"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci
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lunedì 6 giugno 2011

riprendo dagli amici di Pino Masciari...


Questo è un appello degli amici di Pino Masciari: al momento non abbiamo notizie da Pino, che sappiamo al sud ma appiedato e senza scorta; tutti gli amici di Pino sono allertati, perchè non sappiamo cosa stia realmente accadendo nè in quali condizioni di sicurezza sia Pino.

Stiamo cercando di capire se è necessario organizzarci per andarlo a prendere, ovunque si trovi.

Speriamo a breve di poter fornire ulteriori dettagli.

Gli Amici di Pino Masciari





fonte: http://www.nuovaresistenza.org/2011/06/06/articolo-archivio-blog-degli-amici-di-pino-masciari/comment-page-1/#comment-8694

lunedì 4 febbraio 2008

Sfila, Agata tra mafia e ultrà

di Paola Zanca


angelo della candelora di Sant'Agata a Catania, foto Unità
angelo della candelora di Sant'Agata

Raciti batte la mafia di Sant'Agata. Almeno sui giornali. È il 2 febbraio, la festa patronale di Catania è alle porte e un anno fa moriva, negli scontri tra polizia e tifosi, l'ispettore Filippo Raciti. Ma è anche il giorno dopo la pubblicazione dell'inchiesta che denuncia le mani di Cosa Nostra sull'organizzazione dei festeggiamenti della Santa patrona. Dalle bancarelle ai fuochi d'artificio, dalla processione delle candelore alle soste delle carretto che porta le reliquie di Sant'Agata sotto casa dei boss, tutto - dice l'indagine - è controllato e gestito dai clan Mangion e Santapaola.

«Hanno scoperto l'acqua calda», dice mezza Catania, abituata a sentire sul collo il fiato delle cosche. «Perfino per portare le candelore devi essere raccomandato! - sbotta un signore - Il pescivendolo che dice "la porto io, sono forte" non lo può fare se non lo appoggia qualcuno». Serve la spintarella, insomma, anche per essere devoti, «perché portare i ceri è un'onore». E poco prima che inizi una delle tante processioni che da qui al 5 febbraio celebreranno Sant'Agata, i netturbini si affrettano a spazzare via i coriandoli del carnevale, per lasciare alla santa una strada pulita.

Su La Sicilia, il quotidiano che trovi nei bar e sotto braccio di tutti, la notizia dell'inchiesta sulla gestione mafiosa del patrono, non merita più di un taglio basso, in fondo a sinistra di un paginone dedicato al ricordo del poliziotto ucciso. «I commenti ufficiali in città sono pochi», scrive il giornale, e nemmeno le voci di strada riflettono troppo sull'argomento.

Qualche riga in più si trova sulla cronaca locale di Catania: ma è una sola pagina, niente a confronto dello speciale di dieci, che racconta la storia, le origini e le novità della festa. Il sindaco di Forza Italia Umberto Scapagnini, che ha una pagina d'intervista tutta per sè, non dice nulla sull'argomento, e a dir la verità nessuno glielo chiede. Parla invece l'arcivescovo che dice chiaramente che «Sant'Agata non può accogliere tra i suoi veri devoti gli operatori di violenza e di criminalità mafiosa o di altro genere».

La processione, intanto, è partita. E alle persone che assistono estasiate alla sfilata di ceri accesi, quell'articolo in basso a sinistra, tutt'al più ha fatto sbadigliare.


Pubblicato il: 02.02.08
Modificato il: 02.02.08 alle ore 19.41

fonte: http://www.unita.it/view.asp?idContent=72613

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sabato 2 febbraio 2008

Bella addio, il Pd dimentica la Resistenza


2/2/2008


GIOVANNI DE LUNA


Nei tre documenti fondanti del Partito democratico (il Manifesto dei valori, il Codice etico e lo Statuto), che oggi saranno approvati dalle relative commissioni, non c’è traccia della Resistenza e dell’antifascismo. I motivi di questa omissione non sono facilmente spiegabili. È possibile che si sia voluto consegnare alla storia quelle esperienze, considerandole ormai un patrimonio acquisito degli italiani, connotate da valori - come il «patriottismo costituzionale» richiamato e dal presidente Napolitano - che non possono essere di parte o di partito.

Valori che sono entrati stabilmente a far parte di un comune idem sentire. Ci troveremmo, in questo caso, a confrontarci con un altro aspetto di quel «paese normale» la cui immagine, sempre più spesso evocata, alimenta gli auspici e le illusioni del Partito democratico.

È anche possibile che in questa scelta ci sia invece l’ossessiva ricerca di una sempre più marcata discontinuità con «tutte» le identità novecentesche della sinistra italiana e che il nuovo partito abbia scelto di azzerare tutto il passato senza distinzioni, facendo precipitare in un unico tritacarne di rimozioni e di oblio lo stalinismo e Giustizia e Libertà, i funzionari al servizio di Mosca e i partigiani morti combattendo per la democrazia, il partito di massa e le eroiche minoranze che furono protagoniste della Resistenza. È possibile che ci sia semplicemente un calcolo di pura opportunità, il tentativo di modellare i valori del partito che nasce su quelli di un’ipotetica coalizione di governo di centro, al cui interno, verosimilmente, gli alleati non sarebbero certamente teneri verso quel tipo di eredità. A differenza della Dc, infatti, il mondo cattolico disposto a dialogare con il Partito democratico ha liquidato la Resistenza, seppellendola sotto l’etichetta della guerra fratricida e spostando l’attenzione piuttosto verso la cosiddetta «zona grigia» (fascisti e partigiani furono due minoranze contrapposte, rispetto a una popolazione che non voleva più saperne di combattere né da una parte né dall’altra), verso quella grande maggioranza di italiani che allora preferì non scegliere e tirare a campare.

Scelta culturale o scelta politica, si tratta comunque di una sorta di autorete. Ha suscitato molte perplessità la «fusione fredda» che ha preceduto la nascita del Partito democratico: molti ragionamenti sugli spazi politici da occupare, sulle alleanze da disfare, sugli avversari con cui dialogare; pochissimi sulla propria identità, sulle proprie radici, su un qualcosa che rendesse l’adesione al partito un gesto diverso dall’iscrizione all’anagrafe o ai registri dell’Inps. Forse, in questo senso, l’antifascismo, con il surplus di democrazia che è racchiuso in quell’esperienza, e la Resistenza, con l’imperativo morale di scegliere da che parte stare, potevano essere riferimenti ingombranti, ma utili.


fonte: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=4100&ID_sezione=29&sezione=


POI, LA 'CORREZIONE' DI ROTTA.. ...

Pd, pronto lo statuto. Veltroni: condannati non candidabili


Foto: Unità

C'è una lettera di Veltroni alla commissione valori del partito Democratico che chiede che «il riferimento alla Resistenza e all'antifascismo» siano espliciti. È questa la risposta di Veltroni dopo avere preso atto delle polemiche e delle scelte discusse dai giornali sul manifesto dei valori del Pd.

Nella Magna Charta del partito Democratico un punto di riferimento esplicito è la Costituzione italiana, e «i valori che la ispirano»; vengono poi indicati altri principi, come il pluralismo, la libertà, la tolleranza, la laicità delle istituzioni, la democrazia bipolare. Il Codice Etico esordisce invece proprio con l'indicazione della Costituzione come «delle regole della comunità politica», a cui va affiancata dal Carta internazionale dei diritti dell'uomo.

Il segretatario Veltroni, da Palermo, ha anche promesso di non candidare persone condannate per reati gravi, come mafia e delitti contro la pubblica amministrazione

Inoltre, fanno sapere dallo staff del Pd, «se c'è un partito che non ha esperienze con l'esperienza della Resistenza quello è il partito Democratico». I tre documenti fondanti del partito che saranno approvate dalle apposite Commissioni: il Manifesto dei Valori, il Codice Etico e lo Statuto, licenziato in serata, sabato, dalla sua commissione. La parola finale resta all'Assemblea costituente che dovrà varare definitivamente i tre documenti ai primi di marzo.

Il Manifesto dei Valori, esordisce affermando che «la nascita del Pd ha creato le condizioni per una svolta, non soltanto politica, ma anche culturale e morale, nella vicenda italiana». Segue una rapida analisi della «crisi italiana» collocandola nel contesto internazionale, sottolineando soprattutto la sfida della globalizzazione.


Pubblicato il: 02.02.08
Modificato il: 02.02.08 alle ore 18.56

fonte: http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=72600

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Partigiani a Milano nei giorni della liberazione. Sfila la brigata “G.Cappellini”:Ernesto Guarinoni , Alfredo Cappellini, Ezio Ticozzelli , Mario Orsolini, Carlo Sandrinelli, Gianni Guaini.



LA RESISTENZA

La RESISTENZA fu un movimento armato di liberazione che si sviluppò nella seconda guerra mondiale in tutti i Paesi europei occupati dai nazisti.

Motivazione profonda di questo evento storico fu la volontà di resistere, di non cedere allo straniero che irrompeva nel proprio territorio.

La RESISTENZA fu dunque una spontanea rivolta contro l’invasione straniera che in persone rimaste sino ad allora inerti, destò la forte volontà di difendere la propria terra e la propria libertà.

La dominazione nazista in Europa –dal 1939 al 1945- oltre ad essere accompagnata dalle spaventose rovine che la guerra solitamente porta e dai bombardamenti che distruggevano città , massacrando migliaia di donne , vecchi e bambini , fu caratterizzata da un nuovo orrendo crimine: la deportazione nei campi di concentramento e di sterminio. Milioni di uomini: oppositori, ebrei, inermi cittadini vennero tradotti in Germania in condizioni disumane , smistati in 1188 Lager, dove furono sfruttati, torturati, sterminati nelle camere a gas, nei forni crematori, nelle baracche della morte.

Nei paesi occupati- Austria, Cecoslovacchia, Polonia, Danimarca, Norvegia, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Francia, Jugoslavia, Grecia, Unione Sovietica, Ungheria, Romania, Bulgaria, Paesi Baltici- la Resistenza fu una risposta necessaria: dove c’è OPPRESSIONE inevitabilmente nasce un MOVIMENTO DI LIBERAZIONE.

Non bisogna pensare che la Resistenza si sia svolta in modo uguale in ogni paese: è possibile infatti fare una distinzione tra i paesi sotto un regime nazi-fascista (Germania, Austria e Italia), paesi con democrazie parlamentari occidentali (Norvegia, Danimarca, Belgio, Olanda, Francia e Cecoslovacchia), paesi che lottarono per la difesa della loro identità nazionale (Polonia e gli Stati Baltici ), l’URSS, la Jugoslavia e la Grecia. In Italia, l’opposizione al nazifascismo fu più complessa. Non si trattò soltanto della lotta contro i tedeschi, che dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 avevano occupato la Penisola con dieci divisioni, ma anche della lotta contro la dittatura fascista rinsaldata dall’istituzione della Repubblica di Salò. I motivi della RESISTENZA in Italia furono quindi due:

1- la liberazione della Patria dallo straniero

2- il rifiuto della dittatura fascista che aveva portato il Paese alla catastrofe e che si poneva, contro la volontà del popolo, a servizio dell’invasore.

Il movimento partigiano si formò dapprima nell’Italia settentrionale perché molti giovani decisero di non appoggiare la Repubblica di Salò.

Questo movimento era diretto politicamente dal CLN (Comitato di Liberazione Nazionale),formato a Roma il 9 settembre 1943. Era costituito da diverse formazioni partigiane raggruppate in brigate : le “Garibaldi (costituite da comunisti), le “Giustizia e Libertà” (formate da appartenenti al Partito d’Azione guidato da Ugo la Malfa), le “Matteotti” (socialisti). Operarono inoltre altre formazioni di diversa impronta ideologica: cattolica, liberale, nazionalista e monarchica.

Quasi assente fu la Resistenza nell'Italia meridionale, che peraltro al 12 ottobre 1943 era già stata occupata dalle forze angloamericane fino alla linea Gustav, il fronte difensivo tedesco che tagliava la penisola dalle foci del Volturno, sul Tirreno, fino a Termoli, sul litorale Adriatico. Fece eccezione l'insurrezione di Napoli, dove il popolo nelle ‘quattro giornate’ liberò la città dall'occupazione tedesca.

Questa la dichiarazione del Comitato di Liberazione Nazionale:

fonte: http://www.voli.bs.it/icbreno/spalunni/lavori/esami2002/Laura/storia.htm

venerdì 18 gennaio 2008

Mafia, cinque anni a Cuffaro Rivelò e usò segreti d'ufficio



Grasso: provati favori a singoli mafiosi


Cuffaro
Cuffaro con la coppola da Santoro


Cinque anni: è la condanna imposta a Salvatore Cuffaro,
il presidente della regine Sicilia imputato nel processo sulle “talpe” al Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. Ma sparisce dalla sentenza l’imputazione per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra. Inflitta al presidente della Regione anche la sanzione accessoria di interdizione dai pubblici uffici. La sanzione, però, non avrà immediato effetto ma si divrà attendere la sentenza definitiva. E comunque Cuffaro ha già fatto capire di non avere nessuna intenzione di abbandonare la carica. «Da domani alle 8 – dice – torno a lavorare a pieno regime per la Sicilia».

E annuncia che «ricorreremo in appello perché anche questi residui capi d'accusa possano cadere». I «residui capi d’accusa» sarebbero niente meno che il favoreggiamento personale, la rivelazione e l'utilizzo di segreti d'ufficio. Esclusa l'aggravante di avere compiuto questi reati per favorire la mafia nel suo complesso, rimane però certificato il «favoreggiamento personale» di singoli mafiosi.

Lo spiega bene Piero Grasso, procuratore nazionale dell'Antimafia, secondo il quale la sentenza di venerdì è una «svolta»: «Sono stati tutti condannati – ha detto – ed è stato riconosciuto che a Palermo esisteva una rete per informare i politici sulle indagini della procura, compresa e anche quelle sulla cattura del boss Bernardo Provenzano». E su Cuffaro precisa: «È rimasto provato il favoreggiamento da parte sua nei confronti di singoli mafiosi, ma non è stata provata l'aggravante di favoreggiamento a Cosa Nostra».

Per l'accusa, Cuffaro avrebbe appreso nel 2001 dall' ex maresciallo dei carabinieri, Antonio Borzacchelli, poi eletto deputato regionale, dell'esistenza di microspie sistemate dagli investigatori del Ros nell'abitazione del boss di Brancaccio, Giuseppe Guttadauro.

Il salotto del boss, già condannato all'epoca per mafia, era frequentato da un amico di Cuffaro, il medico Domenico Miceli, ex assessore comunale alla sanità, anche lui Udc, condannato nel dicembre 2006 a otto anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, e ora condannato a 14 anni.

Gli inquirenti sostenevano che Borzacchelli avrebbe avvisato Cuffaro dell'esistenza delle cimici a casa Guttadauro e che il presidente della Regione lo avrebbe a sua volta comunicato a Miceli. In questo modo il boss di Brancaccio avrebbe scoperto le microspie, bruciando l'inchiesta.

Ora la sentenza di primo grado conferma che Cuffaro rivelò e utilizzò per favori personali alcuni segreti d'ufficio, ma rigetta il legame con l'associazione mafiosa nel suo complesso.

Totò Cuffaro era presente in aula al momento della lettura della sentenza. La sua non era una presenza scontata, ma, ha spiegato «è stata mia figlia a convincermi: mi ha detto “papà è giusto che tu vada”».

La notte di giovedì, in vista della sentenza, a Palermo si è tenuta una sorta di veglia, in cui numerose persone si sono riunite in una chiesa del centro per pregare per l’assoluzione del “loro” presidente. «Passerò alla storia come quello che ha fatto pregare un sacco di gente...», ha ironizzato il presidente poco prima della lettura della sentenza nell'aula bunker di Pagliarelli.

Canta vittoria l’Udc, il partito in cui milita Salvatore Cuffaro. «Siamo compiaciuti – dice il segretario del partito Lorenzo Cesa – che già dalla sentenza di primo grado sia stata esclusa ogni forma di collusione del presidente Cuffaro con la mafia». «Avevamo la certezza che Cuffaro non avesse mai favorito la mafia – dichiara Luca Volontè, capogruppo Udc alla Camera – e la sentenza di oggi non fa che confermare le nostre ragioni». Anche Casini gongola: «Da sempre sappiamo che Cuffaro non è colluso con la mafia. Da oggi lo ha certificato anche un tribunale della Repubblica».


Pubblicato il: 18.01.08
Modificato il: 18.01.08 alle ore 19.44

fonte: http://www.unita.it/view.asp?idContent=72211

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COSTANZO SHOW: TOTO' CUFFARO AGGREDISCE GIOVANNI FALCONE




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venerdì 30 novembre 2007

Sussurri, grida ed esposti. Affari e Madaffari



Nomi e buste paga sempre più ricche erano sulla bocca di tutti al Comune di Milano. Il caso di Carmela Madaffari passata da una Asl calabrese alla direzione centrale della Famiglia con un stipendio di 217mila euro.

Gianandrea Zagato: "Mai lavorato per il Comune"


Milano, 30 novembre 2007 - E’ DA UN ANNO e mezzo che tiene banco a Palazzo Marino lo spoils system adottato dal sindaco «per rendere più snella ed efficiente la macchina comunale». L’avvicendamento ai vertici dell’amministrazione di quasi tutti i direttori centrali e di settore (solo 4 salvarono il posto) e l’ampliamento sino a 57 unità di una casta che costa 11 milioni di euro all’anno ai contribuenti, erano sembrati sin dall’inizio così selvaggi da rendere quasi automatici gli accertamenti.

Anche perché sin dal settembre 2006, quando il city-manager Piero Borghini (79.000 euro l’anno di stipendio) e il vicedirettore generale Rita Amabile (264.000) fecero volare un sacco di teste, era parso evidente che proprio non reggesse il confronto tra i curricula presentati da alcuni dei manager entranti e quelli I veleni, comunque, si sono sprecati per mesi.

SOPRATTUTTO sul conto di Carmela Madaffari (217.000 euro l’anno), responsabile della direzione centrale Famiglia. Scava scava venne fuori, infatti, che questa signora, ex sindaco di Santa Cristina d’Aspromonte e poi candidata senza successo al Senato dall’Udc prima di essere ripescata per Palazzo Marino, s’era, in passato, imbattuta in guai grossi timonando un’Asl della sua regione. Ma, lasciando perdere i trascorsi della Madaffari, per quale ragione Milano, sede dell’Authority per il volontariato, s’è rivolta in Calabria per selezionare una manager mai attivo sul territorio ambrosiano?

RADICATO in città è, invece, Riccardo Albertini (203.000), attuale direttore centrale delle Politiche del lavoro. Ex vigile urbano di fede socialista, ex vicepresidente dell’assemblea cittadina per Forza Italia, ex consigliere del Nuovo Psi, rigorosamente non laureato, Albertini venne candidato nel 2006 al Consiglio comunale dalla Lista Moratti. Finì tra i non eletti ma eccolo riemergere in uno dei posti-chiave dell’Amministrazione.

PIÙ O MENO la stessa strada (ma con la differenza della laurea) percorsa da Marco Ricci (190.000 euro), responsabile del settore Pubblicità e ambiente. Non eletto nelle liste di An, ha subito spiccato il volo verso i vertici della macchina comunale. Poco si sa, al contrario, di Marianna Faraci (109.000 euro), numero uno del servizio Pianificazione per la famiglia. Se non che ha aderito al «Comitato Letizia Moratti per Milano». Troppa grazia? No, perchè persino il non laureato Giovanni Congiu, il fotografo che ha immortalato la campagna elettorale del sindaco, uno strapuntino da 70.000 euro l’anno da scattatore ufficiale in Comune l’ha trovato.

di Corrado Dragotto

fonte: http://qn.quotidiano.net/2007/11/30/50044-sussurri_grida_esposti.shtml

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La manager calabrese
di Letizia Moratti, sindaco e manager

L'incredibile storia di Carmela Madaffari: dalla Asl di Locri (sciolta per mafia) alla corte del primo cittadino di Milano. Con uno stipendio di 200 mila euro l'anno


di Giuseppe Offeddu e Ferruccio Sansa da "Milano da morire", Rizzoli Bur.


Ma Letizia Moratti conosce davvero il curriculum di Carmela Madaffari? E che cosa sarebbe più inquietante: che lo conoscesse e lo abbia ignorato o che l'abbia assunta come Dirigente Responsabile della Direzione Centrale Famiglia (con retribuzione annua di 217.130 euro) senza sapere tutta la verità sul suo passato lavorativo?

Già, non colpisce tanto che una signora calabrese che non ha mai vissuto a Milano ottenga un incarico molto importante presso il Comune, quanto che la signora in questione abbia dato prove a dir poco molto contestate: almeno due volte il super-dirigente della Moratti è stato allontanato dalla presidenza delle Asl che le erano state affidate per presunte irregolarità contabili emerse durante la sua gestione. Non solo: sulla testa della Madaffari pende anche una pesantissima interrogazione presentata alla Regione Calabria da Francesco Fortugno, esponente della Margherita e primario del pronto soccorso di Locri. Correva l'anno 2001. Proprio Fortugno sarebbe poi diventato vice-presidente dell'amministrazione regionale e sarebbe stato ucciso il 16 ottobre 2005 a Locri in un seggio per le primarie dell'Unione. Un omicidio su cui si allunga minacciosa l'ombra della 'ndrangheta e delle sue infiltrazioni nell'ambiente della sanità calabrese.

Ma andiamo con ordine, lasciamo che a parlare siano le stesse carte, a cominciare dal curriculum che Madaffari ha presentato al Comune di Milano. Tra le tante esperienze che la dirigente elenca ecco quelle di "presidente dell'Azione Cattolica diocesana", di "sindaco di Santa Cristina d'Aspromonte dal 24 aprile 1995 al settembre 1998" per poi passare a "direttore generale della Asl numero 5 di Crotone dall'11 marzo 1997 al 26 luglio 1998, direttore generale della Asl numero 9 di Locri dal 28 settembre 1998 al 15 ottobre 1999" e infine "direttore generale della Asl numero 6 di Lamezia Terme dal'8 aprile 2004 all'8 agosto 2005".

Quello, però, che Madaffari tace sono il modo e la ragione che hanno portato allo scioglimento del contratto di lavoro. Il dirigente non lo scrive e nessuno si prende la premura di verificare.

A parlare, però, sono gli atti pubblici, a partire da una clamorosa decisione dell'assessorato alla Sanità della Regione Calabria. Nell'atto si legge: "Il decreto legislativo 30 dicembre 1992, numero 502, all'articolo 3 comma 6 prevede che nei casi in cui ricorrono gravi motivi o la gestione presenti una situazione di grave disavanzo o in caso di violazioni di legge o di principi di buon andamento e di imparzialità dell'amministrazione, la Regione risolve il contratto dichiarandone la decadenza e provvede alla sostituzione del direttore generale. In caso di inerzia da parte delle regioni, previo invito ai predetti organi ad adottare le misure adeguate, provvede in via sostitutiva il Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro della Sanità".

Un lungo preambolo, ma già si capisce che la posizione del soggetto interessato non è delle più comode. Il documento prosegue impietoso: "La legge regionale 23 dicembre 1996 numero 43, all'articolo 22, comma 5, dispone che i direttori generali delle aziende sono rimossi dal loro incarico qualora dal bilancio di esercizio risulti una rilevante perdita non addebitabile a cause estranee alla loro responsabilità; alla loro rimozione provvede il presidente della giunta regionale con provvedimento motivato da adottare previa deliberazione della Giunta medesima".

Un gergo burocratico, ma il senso si capisce ugualmente. E' soltanto l'inizio, perché dopo il preambolo il documento elenca le accuse a Madaffari: "Dall'esame della deliberazione numero 636 del 31 maggio 1999 adottata dal direttore generale della Asl numero 9 di Locri ed avente per oggetto: approvazione conto consuntivo 1998, l'esercizio 1998 viene formalmente chiuso con un disavanzo di 22.597.856.483 (cioè oltre 22 miliardi e mezzo di lire, ndr). Nello stesso atto deliberativo, viene allegato un prospetto in cui si evidenzia la formazione di un "fuori bilancio" di 31.968.505.918 lire".

L'assessore chiarisce: "In tale contesto, per carenza istruttoria dell'atto, non viene data una rappresentazione veritiera e corretta dell'andamento della gestione dell'azienda, dove tra le voci di maggiore rilevanza di aggregati di spesa si trova un fuori bilancio di ben 12,3 miliardi di lire di farmaceutica relativa ai mesi di settembre, ottobre, novembre e dicembre, portando la spesa media pro-capite a 263.133 lire che non trova riscontro ed analogie con la media regionale e nazionale. Figurano inoltre spese fuori bilancio per indennità accessorie al personale, medicina generica e guardia medica, specialistica convenzionata esterna, beni e servizi".

Insomma, il periodo maggiormente contestato è quello che va da settembre a dicembre 1998, proprio quando Madaffari era appena entrata in servizio per la Asl di Locri, come ricorda il curriculum presentato dal neo-dirigente morattiano al comune di Milano.

Non basta: "Il collegio dei revisori dei conti - prosegue l'assessore nella sua relazione - ha segnalato a più riprese la necessità della rimozione di tutti quegli atti che rappresentano per il bilancio aziendale un onere inutile e superfluo, quali liquidazioni per interessi, rivalutazione monetaria e spese legali, spesso originati da ingiustificati ritardi nei pagamenti". A ogni paragrafo aumenta il carico degli addebiti alla gestione della Asl di Locri, tristemente famosa per la sua cattiva gestione e per le infiltrazioni della criminalità organizzata: "Con nota numero 5083 ai sensi dell'articolo 32 comma 1 della legge 449 del 27 dicembre 1997 era stato fissato il tetto massimo di spesa per beni e servizi per complessivi 20.862.000.000 di lire, specificando che la mancata attuazione di... quanto esposto... tenuto conto dei risultati conseguiti in termini di razionalizzazione della spesa e di risanamento del bilancio sarà oggetto, da parte della Regione, di verifica dell'attività svolta", ma "dal modello RND 01 al 31.12.1998 e dal conto consuntivo 1998 è emersa una spesa totale di 22.540.000.000 realizzando uno sforamento di lire 1.678.000.000".

La gestione Madaffari, passata alla lente di ingrandimento, secondo la Regione nella migliore delle ipotesi non avrebbe brillato per efficienza, proprio una delle bandiere che Letizia Moratti, donna di impresa, ha fatto sventolare sulla sua campagna elettorale.

L'assessore, però, non si ferma qui. Gli addebiti sono tanti, tra gli altri si dice ancora: "Il ministero della Sanità con decreto numero 100/SCPS/7/964 del 19 marzo 1999 ha proposto, ai sensi dell'articolo 32 comma 2 della legge 449/1997, una riduzione del Fsr (Finanziamento Sanitario Regionale) per la Calabria di lire 13.420.000.000 per inadempienze nella trasmissione dei dati al sistema informativo sanitario, indispensabili alle attività di programmazione e di controllo. Su tali inadempienze, l'azienda sanitaria numero 9 di Locri (quella diretta per oltre un anno da Madaffari) risultava maggiormente inadempiente e solo grazie alla puntualità di altre aziende si è potuto mantenere un tasso percentuale inferiore al 6 per cento che è la soglia massima entro la quale non vengono applicate le sanzioni".

Ecco l'elenco dei principali addebiti contestati a Madaffari dalla Giunta regionale che trae le sue conseguenze: "Udita la relazione dell'Assessore alla Sanità, ritenuto che dalla valutazione gestionale dell'Azienda emerge una situazione di grave disavanzo riconducibile all'inerzia dell'azione della direzione generale e che non è giustificabile il disavanzo di amministrazione 1998". Di più: "Per quanto concerne l'esercizio 1999 il bilancio economico preventivo, presentato con deliberazione numero 418 del 19 marzo 1999 (in piena gestione Madaffari, ndr) prevede costi da sostenersi nell'esercizio per 215.173.000.000, prevedendo, pertanto, un risultato economico atteso a fine esercizio 1999 con un disavanzo di amministrazione di 30.308.000.000". Ma la Giunta punta anche il dito su un ultimo aspetto: "Come rilevato anche dallo stesso collegio dei revisori dei conti, manca un'attenta, costante e vigile opera di monitoraggio della spesa".

La conclusione è presto detta: la Giunta sostiene che "ricorrono i presupposti" per risolvere il contratto di Madaffari. Un episodio non certo brillante, finito però nel dimenticatoio, archiviato dal super-dirigente della Moratti con una sola riga nel curriculum: "direttore generale della Asl di Locri". Tutto qui.

Ma è soltanto il primo capitolo della tormentata carriera sanitaria di Carmela Madaffari. Il secondo viene raccontato direttamente da Francesco Fortugno. E' la seduta del consiglio regionale calabrese di martedì 18 settembre 2001, ore 17,03, come riportato negli atti pubblici. L'interrogazione a risposta scritta si riferisce sempre al discusso periodo di presidenza della Asl di Locri.

Scrive Fortugno: "Da un paio di anni presso l'Asl numero 9 con vari atti e con ostinazione si porta avanti il disegno di creare un doppione del Pronto Soccorso-Astanteria denominato medicina d'urgenza-astanteria da affidare all'aspirante dottor Luigi Giugno. Nel periodo in cui questa illegittima iniziativa è stata portata avanti si sono alternati quattro cosiddetti manager e precisamente Madaffari, Pelaia, Sgrò e Strobili. La prima e i due ultimi, tesi alla realizzazione di tale unità operativa come struttura complessa, il secondo che frenava sospendendo gli atti, teso a ripristinare la legalità violata". Prosegue Fortugno: "Tale scandalosa vicenda è caratterizzata da un succedersi di decisioni incoerenti dei protagonisti, di pareri e proposte di organi responsabili altalenanti e contraddittori secondo i diversi momenti, non si capisce se dettati da ripensamenti interpretativi o da timori di responsabilità eccessive o da sollecitazioni superiori spregiudicate e deprecabili".

Il motivo che sta alla base della denuncia di Fortugno è presto detto: "Dall'apertura l'ospedale fu dotato di un pronto soccorso astanteria e accettazione", allora perché, sostiene il rappresentate della Margherita, crearne un altro?

"Da decenni - racconta Fortugno - l'astanteria nei suoi posti letto ha tenuto in osservazione gli ammalati e accolto i bisognosi di cure urgenti. Tutte le regionali sull'emergenza... confermano l'esistenza dei posti letto di medicina di urgenza-astanteria presso l'ospedale di Locri, così pure il Dea e non consentono il doppione costruito per il dottor Giugno". Fortugno usa espressioni forti da cui emergerebbe (se le accuse fossero confermate) un quadro molto pesante: "Giugno è stato incaricato in spregio alle leggi. Il dottor Pelaia ha sospeso gli atti. Il dottor Sgrò, commissario subentrato, ha ripristinato l'incarico al dottor Giugno, aiuto di medicina, che non possiede i requisiti per dirigere una struttura di secondo livello. Lo stesso incaricato è stato privilegiato rispetto ad altri sanitari della disciplina con titoli ed esperienza di gran lunga superiori". Non solo: "Per tale illegittimo ed inutile doppione è stato addirittura bandito un concorso per la carica di Primario, sempre in contrasto con la legge in mancanza di un piano triennale delle assunzioni e senza pianta organica ben definita. Di recente si è proceduto all'individuazione del componente della commissione di concorso di competenza del Consiglio dei Sanitari, nonostante i componenti siano stati avvertiti dell'illiceità del Concorso". L'elenco delle presunte violazioni di leggi e regolamenti, secondo Fortugno, è lungo: le delibere adottate non rispetterebbero i requisiti e i principi della legalità, dell'opportunità, dell'economicità, dell'oggettività e della trasparenza, "che devono essere presenti in tutti gli atti amministrativi". L'allora consigliere regionale poi punta il dito contro decisioni prese senza tenere in considerazione l'iter obbligatorio previsto. Non sarebbe neppure stata indicata "la copertura finanziaria".

E Fortugno conclude: "Perché allora si adottano tutti questi atti? Si vuole favorire qualcuno e perché? Si vogliono danneggiare altri? Vi sono poteri oscuri e connivenze illegali che influenzano nefastamente le istituzioni? Per tutte queste iniziative che sono in contraddizione con la legge, che vengono portate avanti in modo sprezzante e lesivo delle persone che si sentono intimorite da tali violenze fatte utilizzando la gestione delle istituzioni, è indispensabile e urgente il recupero di legalità per evitare che le istituzioni vengano dominate e inquinate. Sono preoccupato dello sperpero del pubblico denaro, che sembra una vocazione di alcuni manager".

Così si chiude l'interrogazione di Fortugno. Luigi Giugno è poi diventato, ovviamente, primario dell'ospedale di Locri. Ma le ultime pagine della storia sono state scritte dopo l'assassinio del primario e vice-presidente della regione Calabria e portano la firma della Procura di Catanzaro. Il 23 settembre 2006 sono stati emessi quattro avvisi di garanzia nei confronti degli ex assessori regionali alla Salute Giovanni Filocamo (70 anni, ex parlamentare di Forza Italia) e Giovanni Luzzo (66 anni, Udc, attuale presidente del Consiglio comunale di Lamezia Terme) oltre che di Luigi Giugno, 51, e dell'ex direttore generale dell'Azienda sanitaria di Locri Manuela Stroili, 50, succeduta a Madaffari (che non è indagata). Le accuse ipotizzate dalla Procura sono abuso d'ufficio per tutti gli indagati e concussione per Filocamo e Giugno. Secondo il sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, Luigi de Magistris, Francesco Fortugno avrebbe subito un danno ingiusto nella sua attività di primario del pronto soccorso e di medicina d'urgenza all'ospedale di Locri, per effetto di una serie di scelte compiute, a vario titolo, dai quattro indagati. In particolare, Giovanni Filocamo è indagato in qualità prima di assessore alla Sanità della Regione Calabria e poi di commissario straordinario all'Asl 9 di Locri. Luigi Giugno è indagato in qualità di medico della divisione di medicina generale dell'ospedale di Locri. Manuela Stroili è indagata come direttore generale dell'Azienda sanitaria 9 di Locri. Giovanni Luzzo in qualità di assessore regionale alla Sanità. I quattro avrebbero, appunto, arrecato danni ingiusti a Francesco Fortugno. Secondo la Procura, Giovanni Filocamo, Luigi Giugno e Manuela Stroili avrebbero diviso il presidio di pronto soccorso dell'ospedale di Locri, in cui era primario Francesco Fortugno, creando un reparto di medicina d'urgenza e astanteria per poterlo assegnare al dottor Giugno. Per la Procura di Catanzaro, sarebbe stato anche previsto un bando ad hoc per superare l'assenza di requisiti, da parte dello stesso Giugno, per diventare primario. Questa decisione avrebbe creato un doppione del reparto, sottraendo posti letto alla divisione di medicina, con spreco di denaro pubblico e di personale.
Sembra di rileggere l'accusa di Fortugno, parola per parola. Ma cinque anni dopo, e soprattutto dopo la morte del coraggioso medico. Nelle ipotesi di accusa, si parla anche di vantaggi economici per Filocamo, Giugno e Stroili. E ancora: si ricostruiscono i mancati interventi dell'assessorato regionale alla Sanità, oltre al tentativo di allontanare Fortugno dall'incarico di primario. Nei confronti di Giovanni Luzzo, le accuse sono riferite alla mancata revoca dell'incarico di Filocamo come commissario straordinario dell'Asl di Locri, nonostante fossero state riscontrate diverse irregolarità. Luzzo avrebbe garantito, secondo l'accusa, anche l'intercessione nei confronti della giunta regionale perchè non venisse affrontata la situazione dell'Azienda sanitaria di Locri.

Insomma, la Asl di Locri è una delle più calde d'Italia, come dimostra l'intervento del consigliere regionale Angela Napoli in un'assemblea tenuta nel 2006 alla presenza del ministro della Sanità, Livia Turco: "Lei stessa, signor ministro, ha fatto riferimento al rispetto della legalità in questo settore. A questo proposito, lei ha richiamato la bontà dell'abrogazione della legge emanata nella precedente legislatura, circa le compatibilità di funzioni aziendali per la nomina dei dirigenti delle varie ASL. Ebbene, le chiedo: è veramente convinta, ministro Turco, che l'abrogazione, da sola, di quella legge potrà portare al risanamento, dal punto di vista legale, per quanto riguarda la nomina dei dirigenti delle ASL? Lei sa benissimo che, in tutte le regioni - quindi non dipende dal fatto che l'amministrazione sia di centrodestra o di centrosinistra -, la dirigenza delle ASL non avviene e non è mai avvenuta nel rispetto delle professionalità, ma semplicemente nel rispetto della spartizione politica dei partiti di amministrazione regionale. Questo ha portato a quella mancanza di legalità - della quale si è tanto parlato e si continua a parlare anche sulla stampa nazionale per quanto è accaduto in Calabria -, che ha condotto, ad esempio, alla relazione della commissione d'accesso sull'ASL di Locri. Peraltro, la inviterei a leggere quella relazione, perché, essendo lei il ministro della salute, ha il dovere di sapere cosa accade.
Come mi può parlare di legalità, nel momento in cui i concorsi, che ormai sono stati banditi, hanno inserito, all'interno delle strutture ospedaliere di determinate regioni, uomini la cui professionalità è fuori da ogni logica? La professionalità dovrebbe essere il principale metro di valutazione nelle selezione del personale, perché - ripeto - c'è di mezzo la salute dell'uomo. Quei concorsi, invece, hanno portato addirittura alla vittoria figli dei capi mafia delle cosche locali!".

Ecco, questa Asl.

Ma il passato gestionale di Carmela Madaffari ha visto un'altra brusca battuta d'arresto. Siamo arrivati all'ultima tappa del curriculum di manager sanitario del super-dirigente: "direttore generale della Asl 6 di Lamezia Terme dal'8 aprile 2004 all'8 agosto 2005", come è scritto nel curriculum diligentemente presentato da Madaffari. Quello che, però, non è riportato nel documento presentato dal candidato al Comune di Milano compare invece in tre delibere della Giunta regionale: numero 723 dell'8 agosto 2005, numero 937 del 7 novembre 2005 e numero 144 del 27 febbraio 2006. Contro tutte e tre le delibere Madaffari ha proposto ricorso respingendo gli addebiti. Sono pagine molto fitte, quelle deliberate dalla giunta. Pagine ricche ancora una volta di richiami a leggi e regolamenti, ma soprattutto di accuse. Il senso, però, è uno solo: il dirigente viene scaricato. E con questa fa due, un record, forse, in un Paese come l'Italia dove per essere rimossi bisogna proprio mettercisi di impegno.

"Vista la necessità - si legge nella delibera dell'agosto 2005 - di intervenire per rimuovere situazioni di difficoltà gestionali palesatesi talvolta in forme di particolare gravità... considerato che tali problematiche hanno determinato condizioni di evidente disagio delle popolazioni interessate e, pertanto, necessitano di interventi rapidi e straordinari, non compatibili con i tempi dell'ordinaria procedura di verifica previsti per legge e nel contratto stipulato con i singoli direttori generali... viste le informative acquisite e risultanti da apposite schede elaborate dagli uffici da cui si desumono settori evidentemente carenti ed elementi di criticità gestionale che sono, a prima vista e salvo ulteriori approfondimenti, assolutamente incompatibili con una garanzia di normalità gestionale e di sufficienza nell'erogazione dei livelli di assistenza alle popolazioni interessate... premesso che in base alle direttive regionali... l'Azienda presenta gravi inadempienze", conclude la Regione, "delibera di sospendere temporaneamente" Carmela Madaffari.

E' soltanto l'inizio. Nel successivo documento del 7 novembre gli addebiti sono ancora più chiaramente specificati. Dal quarto paragrafo si legge: "Viste le contestazioni sui risultati gestionali mosse nei confronti della dottoressa Carmela Madaffari del Dipartimento Sanità con nota 20937 del 24 ottobre 2005 nella quale vengono assegnati alla medesima dieci giorni per la presentazioni di eventuali controdeduzioni... Evidenziato in particolare che al Direttore Generale dell'Azienda Sanitaria Locale di Lamezia Terme in rapporto agli obiettivi assegnati è stato contestato che il risultato di esercizio 2004 è stato determinato per effetto della impropria ed illegittima registrazione di una posta contabile straordinaria che ha determinato un fittizio risultato di esercizio, il Commissario Straordinario pertanto rilevata tale impropria registrazione ha rideterminato il bilancio d'esercizio 2004 con deliberazione 1088 del 26 settembre 2005, registrando un disavanzo economico di euro 1.307.295,12. In particolare, la posta contabile oggetto di contestazione atteneva nell'iscrivere in economia gli accantonamenti per le indennità del personale non corrisposte che, al contrario, dovevano essere riportate, in caso di mancata corresponsione, all'aumento del monte salari dell'anno successivo e non già in sopravvenienze attive... vista l'integrazione del contratto in data 1 dicembre 2004 sottoscritta dalla dottoressa Carmela Madaffari, dal dirigente generale del dipartimento Sanità e dall'assessore alla Sanità... per effetto di tale disposizione è stata prevista la decadenza automatica in caso di mancato raggiungimento dell'equilibrio economico... Ritenuto ricorrere nel caso in esame e alla luce di quanto sopra una fattispecie di decadenza automatica espressamente prevista sia dalla legge che dal contratto dalla stessa sottoscritto... ad unanimità dei voti si delibera... di dichiarare decaduta dall'incarico di direttore generale dell'Azienda Sanitaria Locale numero 6 di Lamezia Terme la dottoressa Carmela Madaffari... di riservarsi l'adozione di ulteriori provvedimenti in ordine alle emergenze alla stessa contestate...". Insomma, Madaffari - stando a quanto dichiarato dalla Regione - ci sarebbe caduta di nuovo: rimossa per "contestazione sui risultati gestionali". Di più: in questo caso si parla esplicitamente di "impropria ed illegittima registrazione di una posta contabile".

Infine ecco l'affondo finale, contenuto nella delibera più lunga e dettagliata, quella del febbraio 2006. "In rapporto agli obiettivi assegnati - si legge a pagina 2 - sono emerse le seguenti inadempienze: il risultato di esercizio 2004 è stato determinato dall'impropria e illegittima registrazione di una posta contabile straordinaria che ha determinato un fittizio risultato d'esercizio", esordisce il documento, ripetendo poi quanto già detto in precedenza. Ma non basta: "Non vi è coerenza tra le aree di offerta dei livelli di assistenza... e le aree di organizzazione e produzione delle prestazioni". Ancora: "Non vengono garantiti i livelli di assistenza secondo un'ottimale organizzazione della produzione sanitaria per assicurare il corretto rapporto tra bisogni, prestazioni da erogare e organizzazione produttiva...". Ma il punto più pesante è forse il quarto, sottolineato in neretto nella stessa delibera regionale: " Reparto di chirurgia: risultano in servizio numero 4 primari, senza che vi siano le relative unità operative". Insomma, ci sono più responsabili di reparto che reparti.

Il resto del documento è un'antologia della malasanità. Secondo la Regione nella Asl diretta da Carmela Madaffari, bisogna colmare tante lacune nell'applicazione della legge 626 sulla sicurezza dei luoghi di lavoro. In particolare, tra l'altro, occorre provvedere all'adeguamento dell'antincendio, verificare gli impianti di messa a terra, verificare periodicamente gli impianti elettrici delle sale operatorie, eliminare le barriere architettoniche.

Si segnalano anche "forti carenze nelle liste d'attesa", "mancato avvio del piano per la formazione del personale", la mancanza assoluta di "iniziative per la prevenzione del diabete e delle patologie cardiovascolari".

Basta? Non ancora. La Asl di Madaffari ha vaccinato soltanto il 58 per cento degli ultra sessantacinquenni, contro un obiettivo fissato dal ministero di vaccinare il 75 per cento degli assistiti con più di 65 anni.

Infine l'ultimo pesantissimo colpo: "Il tasso di ospedalizzazione nel 2004 è pari a 261,24 ricoveri ogni mille abitanti mentre la media regionale è di 236,90; il tasso registrato a Lamezia è il più alto dopo Locri (273,41)... I ricoveri ordinari nei presidi aziendali, infatti, sono 125,27 ogni mille abitanti contro una media regionale di 89,69. E' evidente che si tratta di ricoveri inappropriati e l'individuazione di tale inappropriatezza è demandata all'azienda sanitaria".

Il verdetto è pesante: decadenza.

Un episodio piuttosto grave, il secondo nel giro di pochi anni, anche se Madaffari contesta le accuse. E quali sono le conseguenze? Per prima cosa, nel dubbio, l'Udc decide di candidarla al Senato. Poi ecco la sorpresa: dopo la trombatura alle elezioni arriva la salvezza anche economica sotto forma di ricco contratto al Comune di Milano. In fondo è una prassi consolidata, nel centrodestra come nel centrosinistra, per mantenere il personale politico: se lo stipendio non arriva dal Parlamento a pagare sarà il Comune. Il risultato non cambia: i 217.130,00 euro sono scuciti dal contribuente.

Ma non finisce così. Qualcuno nell'opposizione si sveglia, il gruppo di Rifondazione Comunista presenta un'interrogazione sull'ultimo incidente di Madafferi, la risoluzione del contratto alla Asl di Lamezia Terme. E dalla risposta emerge che il Comune sa tutto, o quasi.

"Si è a conoscenza della situazione della dottoressa Carmela Madaffari", risponde candidamente l'amministrazione Moratti. "In particolare, risulta che Madaffari è stata assunta presso l'Azienda Sanitaria Locale numero 6 di Lamezia Terme in data 8 aprile 2004. In data 8 agosto 2005 la Giunta Regionale delle Calabria ha sospeso temporaneamente la dottoressa Madaffari che, avverso tale provvedimento, ha proposto ricorso al Giudice del Lavoro. Il ricorso è stato accolto parzialmente e con ordinanza e, per l'effetto, è stata sospesa l'efficacia della deliberazione della Giunta Regionale. A seguito di tale provvedimento è stata emessa un'ulteriore delibera della Giunta Regionale con la quale è stata confermata la dichiarazione di decadenza e la revoca dell'incarico. La dottoressa Madaffari ha impugnato tale delibera con ricorso al Giudice del Lavoro e al Tar, tuttora pendenti. Il rapporto di lavoro del Direttore Generale delle Asl è regolato da un contratto di diritto privato e deve essere considerato come un rapporto di lavoro autonomo...; conseguentemente gli atti con cui si dispone la risoluzione del relativo contratto si configurano come espressioni non di poteri pubblicistici, ma di autonomia negoziale privatistica, aventi natura sostanziale di atti di recesso dal rapporto contrattuale". Perciò "in relazione a quanto evidenziato, non risulta a questa amministrazione alcun motivo ostativo all'assunzione della dottoressa Madaffari Carmela. Infatti - conclude il comune di Milano - in base alle verifiche effettuate risultano persistere i requisiti generali per l'accesso all'impiego, tra i quali in particolare: "Non essere stato licenziato dalla Pubblica Amministrazione per persistente insufficiente rendimento". Come dire: si vedrà se Madaffari ha perso il posto per insufficiente rendimento, comunque non è stata licenziata, è stato soltanto risolto il contratto.

Ma Milano ha bisogno di andare a prendere in Calabria un "manager" con questo curriculum? Moratti ha questa idea della sua città.


fonte: http://www.societacivile.it/primopiano/articoli_pp/madaffari.html

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domenica 11 novembre 2007

Palermo si ribella, vittime unite nell'antiracket


(di Lirio Abbate)

PALERMO - Ci sono voluti 16 anni per far nascere a Palermo la prima associazione antiracket. Sedici anni dall'omicidio di Libero Grassi, l'imprenditore che si ribellò al pizzo imposto dai boss mafiosi e per questo suo atto non venne sostenuto da nessuno dei suoi colleghi che lo lasciarono da solo. Adesso Palermo cerca di cambiare in meglio, e stamani in un teatro affollato di cittadini si è tenuta a battesimo "Libero Futuro - associazione antiracket Libero Grassi".

E' nata grazie al coraggio di commercianti e imprenditori, molti dei quali presenti alla cerimonia. La gente ha applaudito Damiano Greco, il commerciante del Borgo Vecchio, un quartiere di Palermo, che ha denunciato i suoi estortori; ma anche Vincenzo e Fabio Conticello, Rodolfo Guajana e i suoi figli, Giorgio Scimaca e tutta la sua famiglia e altri imprenditori che in questi ultimi mesi o negli ultimi anni hanno denunciato gli esattori della mafia. Ma il coraggio è anche quello dei ragazzi del comitato Addiopizzo che hanno voluto e sponsorizzato quello che è diventato un vero evento. Il 21 gennaio 2005 non fu così: lo stesso teatro Biondo, in occasione di un altro convegno sull'antiracket, era quasi vuoto. La sfida dunque è stata vinta e i protagonisti sono soprattutto gli imprenditori, giunti anche da Catania, Gela e Siracusa, per essere da esempio e fare in modo che i loro colleghi inseriti nel libro mastro trovato nel blitz che ha portato all'arresto di Salvatore Lo Piccolo possano denunciare già nei prossimi giorni le estorsioni subite. E chi sostiene che non ci sono più alibi per non denunciare è un altro coraggioso imprenditore, Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia.

A "Libero Futuro" hanno già aderito 40 imprenditori. Presidente è Enrico Colajanni. Ma il riferimento forte resta proprio Libero Grassi; il presidente onorario, infatti, è la vedova, Pina Maisano Grassi. L'annuncio è stato fatto dal presidente onorario della Fai, Tano Grasso, suscitando l'applauso della vastissima platea. Colajanni ha annunciato che l'associazione prenderà presto possesso di un appartamento confiscato a un prestanome di Bernardo Provenzano. "Se la cupola mafiosa è azzerata, adesso c'é una nuova cupola, quella dell'associazione antimafia", dice il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, accolto da un'ovazione quando è stato chiamato sul palco da Tanto Grasso. E sul palco è salito anche il senatore Carlo Vizzini, in rappresentanza del sindaco di Palermo, Diego Cammarata, assente all'iniziativa. Vizzini che è assessore comunale punta il dito sulla politica: "Deve avere il coraggio di dire addio ai collusi".

"E' necessario - ha aggiunto - che venga stabilito un codice etico della politica e un grande patto tra politica, imprenditori e istituzioni per rendere impermeabili le istituzioni. Altrimenti la battaglia per sconfiggere la mafia sarà lunga. L'amministrazione di questa città deve essere in prima linea nella lotta a Cosa nostra". Gli ha fatto eco il presidente della Commissione antimafia, Francesco Forgione: "Dopo avere assestato un altro duro colpo alla mafia con la cattura di Salvatore Lo Piccolo dobbiamo intervenire con maggiore decisione non più sulla borghesia mafiosa come si definiva in passato ma su tutti quei livelli della borghesia che in questa città hanno interessi torbidi e legami sospetti. Ma non bisogna abbassare la guardia neppure sui tanti santuari a partire da quelli della finanza, considerati intoccabili".

L'iniziativa, che ha avuto la sua sigla finale con la canzone di Eduardo Bennato "L'isola che non c'é", è stata chiusa da Tano Grasso che ha invitato tutti a fare il gesto di vittoria con le dita della mano, "lo stesso segno - ha ricordato - che Davide Grassi, figlio di Libero, fece nel giorno dei funerali del padre mentre portava in spalla la sua bara".

fonte: http://www.ansa.it/opencms/export/site/notizie/rubriche/daassociare/visualizza_new.html_66889235.html


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venerdì 9 novembre 2007

Appello per Casablanca



Milano, 4 Novembre 2007


Ho ricevuto in questi giorni diversi mail e sms di giovani sinceramente disperati perché Casablanca, un giornale che è la continuazione ideale dei "Siciliani" di Pippo Fava, un giornale che faticosamente combatte a Catania contro l'indifferenza dei tanti e contro l'impero dei Ciancio, un giornale che combatte in trincea e non come noi dalle retrovie, sta per essere ucciso. Ve ne riporto solo alcuni.

Il primo è un sms di una amica, appartenente a un gruppo di uomini, donne e ragazzi che non si arrenderanno mai, che ho avuto la fortuna di incontrare sulla rete nella mia incesssante ricerca di persone che vogliano combattere al mio fianco la mia ultima battaglia e che, dopo di me, possano continuare a combatterla. Mi scrive: "Amico, sono abbattuta stasera. Casablanca è in agonia. Se chiude... Pippo Fava viene ucciso di nuovo. Mi sento impotente, cosa posso fare?Dammi un consiglio perché ho solo voglia di piangere..." Voglio molto bene a questa amica dal volto sconosciuto perché so che lotterà con me sino all'ultimo, e a questo nome è ispirato il suo gruppo, e perché spesso fa iniziare la mia giornata con un sms pieno di colori e di speranza, ma ho rimproverato anche lei perché anche a lei ho gridato che non è tempo di lacrime, è tempo solo di lotta, le lacrime dovremo conservarcele, e saranno di gioia non di disperazione, per quando andremo da Paolo a dirgli che a tutti i morti e gli oppressi dalla mafia e dalla illegalità avremo reso giustizia.

La seconda é una email di cui riporto solo alcuni passi : "... Graziella mi dice che Casablanca è in edicola, e non lo compra neanche chi in teoria dovrebbe fare antimafia, non lo compra nessuno delle associazioni antimafia, non lo comprano i vecchi compagni di partito, non lo comprano nemmeno gli amici e 3000 euro al mese d'affitto e di spese continuano a uscire... aiutatemi a trovare un pubblicitario, perchè se muore casablanca, è come aver lasciato morire Graziella, indebitatasi PER NOI, perchè casablanca non produce utili di alcun genere, ....cercasi qualcuno che vende spazi pubblicitari, con massima urgenza ... chiunque ascolti, risponda all'appello disperato,... ne va della vita dell'antimafia vera, se vogliamo produrre sul serio, serve una mano, per favore, aiutateci ......"

La terza mi parla di Graziella Rapisarda, che insieme a Riccardo Orioles faceva parte della redazione dei "Siciliani" e che ora combatte insieme a lui una disperata battaglia perché Casbalanca possa continuare a vivere, e dice tra l'altro: "... ha aperto un mutuo sulla sua casa per pagare le spese di affitto, della redazione, le bollete della luce, ma adesso non ce la fa più a pagare le rate e la sua casa rischia di essere venduta all'asta. ......" Ora dobbiamo decidere, se anche noi mescolarci ai tanti che fanno antimafia solo a parole, a quelli che aspettano che ci siano altri, giudici, magistati, poliziotti, giornalisti costretti anche per colpa nosta a diventare degli eroi, o se vogliamo fare anche noi quel poco che ciascuno di noi può fare per combattere insieme a loro.Ci sono tante altre cose che possiamo e che dovremo fare, ci sarenno tante battaglie più dure e più difficili da combattere e questa che adesso vi chiedo è solo una delle più semplici. Corriamo tutti ad aiutare chi sta per cadere, andiamo a fargli scudo con il nostro corpo. Non materialmente, le vere guerre non si combattono più così, e neanche facendo un obolo, una donazione di cui poi ci dimenticheremmo, perché allora non avremo davvero fatto quello che potevamo e dovevamo fare.

No, quello che possiamo e che dobbiamo fare è leggere quello che questi combattenti in trincea scrivono e, con grande fatica, riescono a pubblicare, impegnamoci. E' dovere di ciascuno di noi comprare leggere e far leggere agli altri questo giornale, permettere che queste persone persono possano continuare a lottare anche per noi e insieme a noi..

Io non sono certo ricco, vivo del mio lavoro, continuo a lavorare anche se potrei già andare in pensione, e posseggo solo la casa in cui abito, ma siccome so di stare meglio di tanti altri che con il loro stipendio non arrivano alla fine del mese, non starò certo a pensare a cosa dovrò rinunziare per fare la mia parte.


Penserò invece a cosa dovrei rinunziare se non la facessi, alla mia libertà.

Io comincerò quindi per primo, perché è mio dovere farlo anche per il mome che porto, a versare sul conto che vi indico in fondo 1500 euro per trenta abbonamenti come sostenitore di Casablanca.

A ciascuno di voi chiedo di fare un semplice abbonamento per voi stessi, sono solo 30 euro, e di non pensare se per questo dovrete rinunziare ad un cinema o ad una pizza, avrete però anche voi acquistato uno spicchio di lbertà.

So che ci sono anche alcuni di voi per i quali anche questo sacrificio potrebbe essere troppo, che non riescono nemmeno una volta al mese ad andare a mangiare una pizza o ad andare a cinema, scrivetemelo e vi manderò una delle copie di Casablanca che mi arriveranno con il mio abbonamento e se non basteranno cercherò di farne degli altri, ma Casablanca non deve, non può morire.

Pippo Fava non può, non deve, essere ucciso ancora.


Ci sono due modalità per sostenere «Casablanca», per fare il vostro dovere, la prima è tramite un bonifico bancario alle coordinate indicate di seguito:

Abbonamento ordinario 30,00
Abbonamento Sostenitore 50,00

Bonifico Bancario Graziella Rapisarda
Banca Popolare Italiana Catania

Cc: 183088

ABI: 5164

CAB: 16903

CIN: M


La seconda, tramite carta di credito, è quella attraverso il sito di seguito indicato: http://www.ritaatria..../

Ancora un grazie a tutti voi per non avermi lasciato da solo in questa lotta per la giustizia.

Salvatore Borsellino


P.S. Per tutti quelli che ne hanno la possibilità: diffondete questo appello.
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giovedì 21 giugno 2007

Una bella notizia!


Riprendo - anche se un po' in ritardo - una notizia avuta da un caro amico, Pino, autore del blog "Diario di Bordo" (linkato):

16 giugno 2007. Fra i Santi di oggi mi piace ricordare San Ticone di Amato.

Amato è l’antico nome della città cipriota di Limassol, Ticone fu vescovo di quella città e venerato come patrono dei viticultori.

Si racconta che, di famiglia poverissima, prese un pezzo di terra per piantarci la vigna ma non aveva risorse. Allora ebbe a prendere un tralcio secco che altri vignaioli avevano scartato elo piantò. Ebbe talmente fede nel futuro che pregò affinché da quel tralcio secco e dalla sua fiducia nascesse una nuova vite. Fu esaudito e quella vite diede i suoi grappoli copiosi molto prima delle altre, si dice il 16 di giugno.

16 di giugno 2007, mi piace ricordare che molti anni fa un giovane magistrato di Lecce, ex alunno della scuola nella quale insegno, prese in carico il fascicolo archiviato che catalogava la morte di Peppino Impastato come “un incidente nel quale un pericoloso terrorista era esploso con la sua bomba” e lo riaprì. Sembrava secco e incartapecorito, ma quel giovane magistrato tanto ebbe fiducia e determinazione che il fascicolo diede nuovi frutti e si scoprì che Peppino era stato ucciso dalla Mafia di Tano Badalamenti. Non sarà mai santo quel giovane magistrato, ma apprendo oggi, con grande piacere, che il Governo lo ha nominato Commissario per la gestione dei beni confiscati alle Mafie. Conosco bene quell’ex-giovane magistrato e sono sicuro che come fece con quel fascicolo rinsecchito farà con la legislazione dei beni confiscati, ridandogli nuova vita e facendole produrre nuovi grandi frutti.

Mi fa piacere che questo Governo abbia fatto una cosa davvero positiva.

Carissimo dott. Antonio MARUCCIA, ti giungano le più fervide congratulazioni per la nomina e la gratitudine per il tuo impegno. Sai che ci siamo stati, ci siamo e ci saremo per qualunque evenienza.

Pino

Caro Dottor Maruccia. non La conosciamo personalmente ma ci bastano i fatti citati dall'amico Pino e la stima che Le dimostra.
Buon lavoro dunque, e... complimenti!
Dovesse mai servire... ci siamo pure noi.

domenica 3 giugno 2007

Incontro a Lucca con Rita Borsellino







Mercoledì, 6 giugno, ore 15:30 Rita Borsellino, vice-presidente di LIBERA (vedi http://www.liberaterra.it/), sarà in piazza san Michele (palazzo pretorio), a Lucca, per sostenere Andrea Tagliasacchi sindaco e parlare di legalità.

La Sinistra Giovanile di Lucca per l'occasione organizza un piccolo buffet dolce il cui ricavato andrà alla campagna "Let'SGo", per comprare un trattore cingolato da utilizzare nelle terre confiscate alla mafia.

Invitiamo tutti a partecipare (chi può ad aiutare) e a diffondere la notizia.

Grazie per l'attenzione,


Mariateresa Politi

Segretaria della Sinistra Giovanile del Circolo di Lucca

3336700990

0583548427

mate.87@hotmail.it

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