"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci
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sabato 15 dicembre 2007

La minaccia nucleare : cinque minuti a mezzanotte

di Alessia Grossi


La minaccia nucleare, di Maurizio Simoncelli, edizioni Ediesse - 250x151

«Sette minuti. Solo sette minuti ci separano dalla mezzanotte nucleare, questa è la stima del «Bulletin of the Atomic Scientists», la rivista degli scienziati che parteciparono al Progetto Manhattan e che si occupa di aggiornare il cosiddetto Doomsday Clock, l'orologio del Giorno del Giudizio Universale. Le lancette dell'orologio vengono spostate in avanti e indietro a seconda della situazione mondiale, tenuto conto dello stato del disarmo e della proliferazione nucleare e delle azioni delle organizzazioni e dei governi. Dal 27 febbraio 2002 le lancette sono state spostate in avanti di due minuti, fermandosi nella stessa posizione in cui debuttarono sessanta anni fa, in piena Guerra Fredda». Questa avrebbe dovuto essere l'introduzione a Pericolo nucleare secondo di tre capitoli del libro La minaccia nucleare, ora in libreria. Ma l'introduzione che abbiamo citato è "scomparsa" perché, come leggiamo nel libro, drammaticamente aggiornata. Oggi, infatti, sono solo 5 i simbolici minuti che mancano alla fine

Nel libro (a cura di Maurizio Simoncelli, scritto insieme a Rosa Massimo e Francesca Dottarelli ed edito da Ediesse nella collana Materiali di pace dell'Archivio Disarmo) Rosa Massimo scrive: «Nel numero di gennaio 2007 del Bulletin of the Atomic Scientists è stata pubblicata la notizia che il Board of Directors insieme al Board of Sponsors, che comprende ben 18 premi Nobel, hanno ritenuto necessario uno spostamento delle lancette: pertanto, in questo momento sono solo cinque i minuti che ci dividono dalla mezzanotte nucleare».

Il motivo del drastico avanzamento verso la mezzanotte nasce da questa constatazione degli scienziati: Siamo entrati nella «seconda era nucleare». Due le ragioni principali. Da una parte rispetto al recente passato c'è una maggiore facilità di scambio di «informazioni e materiali sensibili da un Paese all'altro a fronte dell' «erosione del regime internazionale di disarmo e non proliferazione» e della presenza quindi «di migliaia di testate nucleari pronte ad essere usate nel giro di pochi minuti». D'altro canto a contribuire alla rapida accelerazione verso il giorno finale sarebbero i «cambiamenti climatici che stanno colpendo il nostro pianeta» e che potrebbero portarlo al collasso.

Si parte dunque da questi ed altri dati approfonditi e spiegati in modo semplice e chiaro nel libro curato da Simoncelli per provare a ripensare insieme una «politica del disarmo» che coinvolga Occidente ed Oriente e che - come ha spiegato il curatore durante un incontro svoltosi a Roma in occasione della Settimana per la pace e per i diritti umani promossa dalla Provincia - «aggiorni il Trattato di disarmo e non proliferazione vecchio 40 anni e che non tiene conto degli ultimi sviluppi sullo scacchiere mondiale. Al di là dell'opinione più o meno favorevole all'uso del nucleare civile - ha spiegato Simoncelli - il trattato dovrebbe reimpostarsi per evitare un effetto domino in quei Paesi, del Medio Oriente ad esempio, ma non soltanto, in cui entrare in possesso dell'energia nucleare è diventato il fiore all'occhiello dello sviluppo economico. Pensare ad un'azione più efficace dell'unione Europea potrebbe significare ripensare anche il ruolo dell'Italia che potrebbe fare da traino in una prospettiva di disarmo che guardi di più al tema della prevenzione che a quello della guerra preventiva» continua l'esperto di geopolitica.

«Tuttavia a rendere poco credibile l'Italia in questo ruolo - interviene Lisa Clark, coordinatrice della capagna Un futuro senza atomiche - sono quelle 90 bombe atomiche, 50 ad Aviano, in una base Usa e 40 a Ghedi presenti sul suolo italiano. Non tutti sono a conoscenza di questo fatto - ha spiegato la Clark - che secondo i giuristi internazionali per il disarmo atomico viola il Trattato di Non Proliferazione Nucleare sottoscritto dal nostro Paese nel 1975 come Stato non dotato di armi nucleari. La campagna per il disarmo che stiamo portando avanti con altre 40 associazioni, conclude Lisa Clark, ha lo scopo di raccogliere firme per una proposta di legge di iniziativa popolare per la messa al bando delle armi nucleari».

«Ma - conclude Maurizio Simoncelli - gli equilibri geopolitici delle aree a rischio non permettono di pensare il disarmo senza ripensare il tema delle risorse e dell'energia. Se è vero che, come dicono gli analisti, tra venti o trenta anni i giacimenti di energia cominceranno a diminuire la loro produzione, la partita energetica è tutta da giocare. Così - si legge anche nel libro - da un lato la forza militare può essere una carta da giocare e dall'altro dotarsi di energia nucleare sembra l'unica strada percorribile. In questo senso uno dei principi da mettere in discussione è- conclude Simoncelli - che per arrestare il cambiamento climatico ci voglia il nucleare».

Pubblicato il: 15.12.07
Modificato il: 15.12.07 alle ore 12.43

fonte: http://www.unita.it/view.asp?idContent=71411

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venerdì 9 novembre 2007

Metodo antibastardi per lavorare di più

Il saggio di Robert Sutton è diventato un bestseller negli Stati Uniti e in Italia

ROMA - In Italia hanno arruolato Sergio Marchionne e con lui la Fiat, che va ad aggiungersi a pregiati esempi americani come la Google e la Southwest Airline. Tutte aziende di successo. Sul blog italiano, non ne sono proprio certi ma una scommessa la farebbero: Marchionne applica il «metodo antistronzi ». Il nome del metodo non è un granché, poco autorevole per un testo vuol cambiare la cultura aziendale, promettendo più civiltà e produttività. Ma, secondo il suo autore, «stronzo» è il termine migliore per esprimere la paura e il disprezzo che contemporaneamente insorgono in ufficio di fronte al superiore bastardo. Il libro è nato da un articolo sull'Harvard Business Review dove Robert I. Sutton — docente di Tecnica aziendale alla Stanford University — spiegava come non vi fosse alcun vantaggio a tenersi dei prevaricatori in azienda. Sommerso di email, ne ha fatto un saggio che ha venduto oltre un milone di copie in America.


Robert I. Sutton
Passato pressoché sotto silenzio stampa e per giunta pubblicato da un editore appena nato, in Italia
Il metodo antistronzi (Elliot, pp. 250, e 14,50) ha superato le 240.000 copie: un bestseller. Senza contare il successo dei blog: quello nazionale (metodoantistronzi.splinder.com) e quello di Sutton (bobsuttontypepad.com), che si è trasformato in un gruppo di auto aiuto on line per angariati e di ogni nazione: 12 milioni di utenti soltanto nella Ue. Cifre da débâcle, per una società che stigmatizza il bullismo nelle scuole e poi lo ripropone come modello di relazione negli uffici.

Il saggio non è però un manuale di consigli ai «mobbizzati». Sutton offre qualche suggerimento ma, pur mosso da solidarietà umana, punta al cambiamento collettivo. Non che prospetti a modello uffici popolati da smidollati. È un fermo sostenitore del confronto costruttivo, quello generato da discussioni sulle idee. «Se hai torto taci, se hai ragione combatti» suggerisce, elencando numerosi esempi dove il metodo ha portato risultati eccezionali. Ma niente di personale, niente «intimidazioni, scherni, sguardi di traverso, sufficienza, offese pubbliche camuffate da battute, trattamenti del prossimo come fosse trasparente». Altrimenti il fatturato cala. I bulli, infatti, provocano danni enormi non solo alle loro vittime, anche all'azienda. Secondo numerosi studi, chi — pur non direttamente coinvolto — assiste alle prepotenze, riduce il proprio rendimento.

Un'organizzazione basata su paura e disprezzo non può certo aspettarsi dedizione. Accade, piuttosto, che l'assenteismo cresca, che le azioni siano volte innanzitutto a guardarsi le spalle, che il timore di rappresaglia annulli l'intraprendenza e cancelli ogni spinta allo sforzo discrezionale.
Sutton racconta che un'azienda della Silicon Valley ha calcolato il costo (per difetto) del comportamento di un singolo bastardo: 160.000 dollari l'anno. Se si considera che l'incidenza del bullismo sul lavoro in Europa è del 15%... Ma c'è di più, qualche bastardo ben piazzato può generare ripercussioni in borsa, allontanando potenziali clienti e minando la fiducia degli investitori. È successo alla Cerner Corporation nel 2001 per colpa di Neal Patterson. Il titolo ha perso 22 punti in un giorno a causa di una sua sgradevole email ai dipendenti. Certo, questo avviene in America, dove i grandi gruppi fanno a gara per essere considerati a prova d'etica, perché la stress economy non paga più e i consumatori premiano chi ha buona fama. Ma, si sa, le tendenze statunitensi viaggiano veloci verso l'Europa.

Intanto, in America, sono sempre di più le aziende che si dotano di un codice di correttezza interna. Il saggio di Sutton ne fornisce uno in dieci punti. Il precetto base consiste nel non assumere bastardi. E chi ha già in azienda un arrogante molto efficiente applichi il punto 4 del metodo: «trattate gli stronzi da incompetenti», e ricordi la lezione della Men's Wearhouse. Licenziato il commesso bastardo coi colleghi ma recordman delle vendite, il negozio vide aumentare il suo venduto del 30%. Nessun commesso vendeva più della «star», ma la «squadra» funzionava meglio. È uno dei tanti esempi che Sutton propone inoltrandosi nella spiegazione del suo metodo. Oggi al Palazzo delle Esposizioni di Roma ricorderà che «Gli stronzi sono contagiosi», perciò la loro efficacia nel far danni è esponenziale

Cinzia Fiori
09 novembre 2007

fonte: http://www.corriere.it/spettacoli/07_novembre_09/metodo_anti_bastardi_ufficio.shtml

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mercoledì 22 agosto 2007

"On the road" compie 50 anni

Esce la versione proibita di "On the road": sesso esplicito nel romanzo di Kerouac censurato nel '57

Jack Kerouac (foto Mary Altaffer - Ap)

NEW YORK (21 agosto) - «On the Road» (Sulla strada), il romanzo-mito di Jack Kerouac, culto della "Beat generation", compie mezzo secolo. E a 50 anni dalla sua uscita - era il 5 settembre 1957 - gli Stati Uniti celebrano la ricorrenza con una nuova edizione dell'opera senza censure.

Si potranno leggere così per la prima volta le scene erotiche amputate mezzo secolo fa e i nomi dei veri dei protagonisti, precedentemente coperti, dell'avventuroso viaggio sulle strade americane. Allen Ginsberg, Neal Cassady e William Burroughs perdono così i loro pseudonimi e vengono indicati con i loro veri nomi; altri eroi del romanzo vivono apertamente la loro omosessualità e altri si mostrano attratti senza troppi pudori dalle ragazzine. L'edizione del cinquantenario di «On the Road» contiene più sesso esplicito, ha assicurato Penny Vlagopoulos, professoressa di letteratura americana alla Columbia University di New York.

Simbolo di liberazione e di rottura dei costumi sociali, «On the Road» finora ha venduto nel mondo oltre 3 milioni di copie, è stato tradotto in 25 lingue e ha trovato posto nelle antologie di letteratura inglese. Ogni anno inoltre, solo nelle librerie nordamericane, se ne continuano a vendere 100.000 copie. I cinquant'anni di "On the road" verranno festeggiati anche con mostre, conferenze e un film, prodotto da Francis Ford Coppola e diretto dal brasiliano Walter Salles, che comincerà a essere girato l'anno prossimo. Ma l'evento clou si terrà a novembre, quando una grande mostra alla New York Public Library presenterà il manoscritto originale di «On the Road», acquistato da un collezionista privato nel 2001 per 2,4 milioni di dolari.

Per l'anniversario Viking Press pubblica contemporaneamente la riproduzione del manoscritto originale e la versione di 408 pagine senza tagli della storia conosciuta da milioni di lettori nel mondo. «La versione che noi conosciamo non è molto diversa dall'originale, ma quest'ultima ha uno stile più sperimentale, che dona al lettore la sensazione di partecipare all'esperienza letteraria che coltivava Kerouac nella sua mente», ha aggiunto Vlagopoulos. «La versione originale non fu pubblicata subito per evitare guai con persone che si sarebbero potute sentire diffamate o attaccate per i loro comportamenti privati», ha commentato John Sampas, esecutore testamentario di Kerouac.

«On the Road» venne scritto di getto nel 1951 da un modesto scrittore del Massachusetts appena balzato all'attenzione della critica con «The Town and The City». Fino ad allora Kerouac, nato nel 1921 e morto nel '69, era stato un giocatore di football di belle speranze e un cuoco della Marina in guerra congedato per nevrosi con qualche precedente penale e problemi con alcool e droga. Sua l'espressione con cui sarebbe stata poi ricordata tutto il suo gruppo, "Beat generation", di cui facevano parte molti altri scrittori e artisti, tra cui spiccavano Allen Ginsberg, William Burroughs, Neal Cassady.

Per la società dell'epoca, molto conservatrice e impaurita dalla commissione McCarthy e dalla caccia ai comunisti, nel libro di Kerouac c'erano troppo sesso e troppa libertà e le case editrici esitarono molto a pubblicare il romanzo. Dovettero passare infatti ben sei anni prima che, nel 1957, la Viking Press, si decidesse alla fine ad accettare il libro e a mandarlo in libreria negli Stati Uniti. Ma il successo fu invece inaspettato ed eccezionale. Disse William Burroughs: «On The Road spedì un'infinità di ragazzi sulla strada; l'alienazione, l'inquietudine, l'insoddisfazione erano lì che aspettavano quando Kerouac indicò loro la strada».

fonte: http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=7468&sez=HOME_SPETTACOLO

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Il mitico esordio di Kerouac è datato 1959 (edizione italiana) si domanderà un profano, che c'azzecca con i magici Settanta? Bè, caro profano, trent'anni fa On the road era la lettura obbligata di qualsiasi giovane. Se avessimo la facoltà di viaggiare nel tempo e di curiosare qua e là tra gli oggetti personali di un adolescente di quegli anni, scorgeremmo, nove volte su dieci, una copia gualcita e ben assimilata di On the road.

"Sulla strada" più che premiare il talento di uno scrittore ha imposto una star. Anzi una rockstar con tutte le caratteristiche dei divi maledetti degli anni Sessanta e Settanta. Proprio quelli che si sono formati sui suoi libri. La morte prematura di Kerouac a 47 anni lo ha consegnato nel mito, la sua fine assomiglia così tanto a quella, tragica, di tante star del rock, da Jimi Hendrix a Jim Morrison. Miti che sono diventati subito dei "contenitori" in cui ognuno ha voluto aggiungere senso proprio. E' accaduto anche per Kerouac. Nel giro di pochi anni il monumento era pronto per l'uso: alcol, droghe, generale irrequietezza, romanticismo, gusto per il viaggio, per la dimensione dell'avventura.

Osservando le numerose citazioni di "Sulla strada", nell'immaginario collettivo quello non è un libro, ma una favola, una metafora, forse un desiderio di libertà. La verità è che lo scrittore americano non fa parte di un semplice archivio di scrittori amati, ma è una presenza ineluttabile nell'album dei ricordi di ognuno, insieme ai compagni di giochi, ai sogni, ai desideri che hanno popolato l'adolescenza. Oggi incontri un quarantenne, può essere un operaio o un industriale, gli nomini Kerouac e vedrai apparire un sorriso sul suo volto e una nostalgia, e ti confesserà questo lontano amore. Lo confesserà come un lontano peccato, come due tiri di hashisc o un amore illegale.

Il mito della Beat Generation ha spopolato negli anni Sessanta, tuttavia la forza di comunicazione di quel gruppo di poeti e scrittori invece di esaurirsi s'è propagato come un indomabile contagio anche alle generazioni successive. Alcuni temi simbolo della B.G. sono pertanto divenuti patrimonio comune al quale i ragazzi degli anni Settanta hanno poi attinto a piene mani. Il segreto dei beat è l'avere impersonato un sogno universale: essere davvero liberi, fuori dalla gabbia dei condizionamenti.

Il rifiuto della guerra, il diffondersi della coscienza ecologista, la rivoluzione sessuale, la depenalizzazione dell'uso della marijuana, il rispetto per le terre e i popoli indigeni, l'attenzione alle filosofie orientali. Questi i temi che negli anni Settanta condizionavano gli umori, le proteste, i sogni, le speranze di tutti i giovani.

"Sulla strada", dalle cui pagine è nato, come ha giustamente affermato Burroughs, Woodstock, ha finito per incarnare simbolicamente qualsiasi forma di opposizione. Il viaggio di Sal e Dean (in realtà l'autore e l'amico Neal Cassady) lungo le strade infinite del Texas e del Messico, è in definitiva un viaggio verso il nulla, nel quale ciò che importa non è arrivare, ma andare, muoversi nella speranza di esorcizzare un'ansia e un male di vivere sempre crescenti, a dispetto delle rischiose vie di fuga offerte dall'alcool o dalla marijuana.

Il bisogno di ribellarsi, il valore dell'amicizia, la ricerca dell'autenticità, il senso di una comune appartenenza, temi-simbolo di On the road, hanno rappresentato negli anni Settanta quella leggendaria utopia di un mondo migliore che ha entusiasmato milioni di ragazzi senza distinzioni di sesso, religione e politica.

"Sulla strada": un libro di culto che ha travalicato i confini letterari e che in qualche misura è divenuto uno stile di vita e di pensiero e che rimane indelebilmente scritto nel grande libro della memoria come uno dei ricordi più belli, più intensi, più magici che l'arte della creatività letteraria ha saputo regalarci.



SULLA STRADA: COME COMINCIA

"La prima volta che incontrai Dean fu poco tempo dopo che mia moglie e io ci separammo. Avevo appena superato una seria malattia della quale non mi prenderò la briga di parlare, sennonchè ebbe qualcosa a che fare con la triste e penosa rottura e con la sensazione da parte mia che tutto fosse morto. Con l'arrivo di Dean Moriarty ebbe inizio quella parte della mia vita che si potrebbe chiamare la mia vita lungo la strada"



JACK KEROUAC: LA VITA, LE OPERE

Jack Kerouac, scrittore americano (Lowell, Massachusetts, 1922 - Saint Petersburg, Florida, 1969). Nella sua opera manifestò in "prosa spontanea", l'inquietudine, l'ansia mistica e il desiderio di fare della vita un'esperienza sempre nuova propri della Beat Generation, di cui Kerouac, con Sahl e Ginsberg, fu il massimo esponente. Fra i suoi romanzi: "Sulla strada" (1957), "I vagabondi del dharma" (1958), "I sotterranei" (1958),

"Big Sur" (1962). E' anche autore di una raccolta di poesie, "Mexico City Blues (1959) e di un libro di note di viaggio, "Il viaggiatore solitario" (1960). Tra i suoi ultimi scritti si ricordano "Satori a Parigi" (1967) e "Vanità di Duluoz" (1968).


Crocifisso Dentello

fonte: http://www.pagine70.com/vmnews/wmview.php?ArtID=219

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giovedì 26 luglio 2007

Il Libro: ‘Una vita meno ordinaria’




Baby Halder

IL DIARIO DI UNA CAMERIERA INDIANA

Di Paola Zanuttini

Baby Halder faceva le pulizie, anzi le fa tuttora, ma fra il prima ed il dopo c’è di mezzo un bestseller, tradotto in undici Paesi ed in quattro lingue indiane, s’intitola ‘Una vita meno ordinaria’ ed in Italia è appena uscito per Bompiani.

E’ il diario di una domestica diventata scrittrice, e già questo non è poco, però ha qualcosa in più. Oltre a raccontare la vita dell’autrice è riuscita a cambiare quella di molte lettrici, cinquantamila solo in India. A Baby, diventata un caso mediatico, si rivolgono tante altre come lei, che vivono una vita grama e che nella sua storia hanno trovato la forza, o la speranza, di ribellarsi. C’è persino un’altra domestica, Sushila Rai, che l’ha emulata ed scritto la propria storia.

Baby, che oggi ha 35 anni, è figlia di un soldato, che poi diventò autista, e di una madre che se ne andò quando lei aveva sette anni.

Era una buona madre, voleva che i suoi quattro figli studiassero, voleva una vita coniugale decente, ma con quel marito sempre lontano, ombroso, irresoluto e manesco era impossibile. Un giorno uscì di casa portandosi via solo il più piccolo, ancora in fasce. Poiché la sorella era già stata data in sposa giovanissima, Baby rimase col fratello maggiore a fronteggiare quel padre sempre più cupo, e la sua esistenza difficile diventò molto difficile. Il padre prese un’altra moglie e, spinto dalla gelosia della matrigna, costrinse la bambina a lasciare la scuola ed a sposarsi. A 12 anni. Lo sposo aveva il doppio della sua età.

Baby, che adorava giocare con le amiche ed a far tardi la notte raccontando interminabili fiabe, fu di fatto stuprata, ingravidata tre volte (finché non si fece chiudere le tube), umiliata, picchiata, ridotta la ruolo di serva. In casa e fuori.

Perché, visto che il marito violento era anche taccagno, cominciò ad andare a servizio per mantenere i figli. Ma visto che il lavoro –ogni lavoro- emancipa, lei si emancipò e decise di andarsene, proprio come sua madre, con la differenza che si portò i figli.

Più che un viaggio, una migrazione: da Durgapur, West Bengala, a Gurgaon, città satellite di Delhi, in cerca del fratello maggiore che aveva già tagliato la corda.


Miserie, molestie, pettegolezzi, padrone arcigne, eroismi quotidiani. Ma nel 1999, Baby finisce a casa del mite e paterno antropologo in pensione Prabodh Kumar, nipote del grande scrittore Premchand, che la accoglie con i bambini e nota che, quando spolvera i libri, la sua cameriera sfortunata si sofferma su titolo e quarta di copertina.

Il professore la invita così a leggere alcuni di quei volumi, specie quelli edificanti di donne emancipate, e poi a scrivere la sua storia.

La sorpresa è che Baby scrive bene, uno stile semplice, a volte infantile (soprattutto nella traduzione italiana: baba, dada, didi, budi, con effetti controversi) ma che segue l’evoluzione dell’autrice. Il professore la traduce dal bengalese all’hindu, corregge qualche errore, e lo invia ad amici editori. La vita di Baby è pubblicata in brani sulle riviste e poi come libro dalle edizioni femministe Zubaan.

La vicenda della cameriera illetterata e del letterato, ha suggerito il paragone con Pigmalione, la commedia di Gorge Bernard Shaw (da cui il musical My Fair Lady), in cui il professor Higgins scommette di trasformare una fioraia di Covent Garden dall’accento assai plebeo in una vera duchessa. Ma baby non vede similitudini fra le due storie: “Nel mio caso non c’è stata alcuna scommessa, niente da dimostrare. Tutte le parole che ho scritto erano nel mio cuore, il professore mi ha solo aiutato a trovarle”. Ma perché il professore avrà scelto proprio lei? Avrà riconosciuto un talento o tentato un esperimento antropologico? Anche per questa domanda, Baby, che tanto illetterata e sprovveduta non sembra, ha una risposta: “Aveva avuto altre domestiche, ma non mi pare che con loro abbia stabilito lo stesso rapporto di fiducia. Ha intuito i miei guai, mi ha aiutato ad esprimerli ed a liberarmi da un peso. Il racconto è un cerchio infinito: fa parte della cultura indiana, soprattutto quella femminile, perché noi ascoltiamo di più. Ed io ho preso a raccontare la mia storia, che è individuale ma è anche quella di altre migliaia di donne”.

Urvashi Butalia, la traduttrice in inglese di Baby, dice che il potere taumaturgico del racconto ha effetti contagiosi: “La donna delle pulizie dell’ufficio ha deciso di imparare a leggere, a scrivere ed a guidare per diventare la mia autista. Come lei, molte altre mi hanno scritto, telefonato e dichiarato nei nostri continui incontri pubblici di voler prendere in mano la loro vita”.

Baby non si definisce proprio una femminista nel senso che, sì, vuol difendere i diritti delle donne, ma sono così tanti i diritti calpestati che non si può limitare a sostenere solo quelli. Comunque, nel secondo libro che sta scrivendo ha scelto un approccio più tecnico: indaga sul perché la sua vita è stata segnata così negativamente dalle figure maschili più rilevanti, il padre ed il marito.

E se il padre dopo aver letto ‘Una vita meno ordinaria’, si è stracciato le vesti per il male commesso e lo promuove con orgoglio perché non vuole che a nessun altra bambina accada quel che lui ha imposto alla sua, il marito non ha dato alcun segno di reazione. Convinta dai parenti ad andarlo a visitare, Baby l’ha trovato come l’aveva lasciato, capace soltanto di sibilare: “Quando una se n’è andata una volta se n’è andata per sempre”.

Adesso Baby, circondata dai figli che studiano come avrebbe voluto studiare lei, costretta a fermarsi alla prima media, non vuole saperne di risposarsi, tutt’al più qualche amicizia: si gode libertà e successo.

Ci sono produttori stranieri interessati a trarre un film dal suo libro, ma lei aspetta, preferisce un regista indiano.

Però all’happy end manca un dettaglio. Che fine ha fatto il professore? “Sta bene, ha 72 anni, comincia ad invecchiare, ma fa una buona vita, anche se piuttosto ritirata. Voglio lavorare solo con lui e per lui. Ha tre figli ed una moglie che vive in un ashram e che vede un paio di volte l’anno. Da quando sono a casa sua fa due pasti regolari al giorno. Gli piace il gin e tornando da Salon du Livre di Parigi gliene ho portato un bel po’. Insieme alle bauette: le adora”.

Paola Zanuttini

fonte: Venerdì di Repubblica del 13 luglio 2007

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Una vita meno ordinaria. Diario di una domestica indiana

Halder Baby - Una vita meno ordinaria. Diario di una domestica indiana

TitoloUna vita meno ordinaria. Diario di una domestica indiana
AutoreHalder Baby
Prezzo
Sconto 20%
€ 12,40
(Prezzo di copertina € 15,50 Risparmio € 3,10)
Prezzi in altre valute
Dati2007, 235 p., brossura
TraduttoreVega V.
EditoreBompiani (collana Narratori stranieri Bompiani)

Normalmente disponibile per la spedizione entro 2 giorni lavorativi



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L'INDIA IN VIDEO

Punto Donna - puntata del 3 aprile
L’ India delle donne

Guarda la puntata (Adsl - RaiClik)



Viaggio nell’India
delle spose e delle vedove bambine, dei matrimoni combinati, del femminismo e dell’empowerment delle donne. Quanto la globalizzazione e il boom economico indiano le stanno aiutando?

Se ne parla a Punto Donna un programma ideato e condotto da Ilda Bartoloni con la giornalista Laura Delli Colli e l’indologa Alessandra Consolaro.

Nei servizi: la tradizione dei matrimoni combinati; intervista alla regista Deepa Mehta vissuta per due anni sotto scorta per le minacce degli integralisti hindu; parla Medha Partkar, ambientalista che lotta contro la costruzione di un complesso di dighe lungo il fiume Narmada; l’India in Italia, la comunità sikh di Novellara; l’ex assessore del comune di Roma Mariella Gramaglia racconta del suo amore per il subcontinente indiano.

fonte: www.tg3.rai.it/SITOTG/TG3_pagina_es/0,9480,10...

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domenica 20 maggio 2007

Bambini soldato: Ishmael Beah



Memorie di un soldato bambino, un libro assolutamente da non perdere .......

Ishmael Beah
è nato in Sierra Leone nel 1980. Ha raggiunto gli Stati Uniti nel 1998. Dopo aver terminato gli studi superiori alla United Nations International School di New York, nel 2004 si è laureato in scienze politiche all’Oberlin College. Membro dello Human Rights Watch Children’s Rights Division Advisory Committee, ha parlato numerose volte alle Nazioni Unite, al Council on Foreign Relations e al Center for Emerging Threats and Opportunities.Vive a New York.

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Ishmael Beah
Titolo: Memorie di un soldato bambino

ISBN 978-88-545-0176-8

Pagine 256
Euro 15,50





Il 1993 è appena iniziato in Sierra Leone e a Mogbwemo, il piccolo villaggio in cui vive il dodicenne Ishmael, la guerra tra i ribelli e l’esercito regolare, che insanguina la zona del paese più ricca di miniere di diamante, sembra appartenere a una nazione lontana e sconosciuta.

Di tanto in tanto nel villaggio giungono dei profughi che narrano di parenti uccisi e case bruciate, e si trascinano dietro dei bambini che fuggono impauriti al rumore della scure sulla legna o quando i sassi lanciati dalle fionde dei ragazzi a caccia di uccelli risuonano sui tetti di lamiera.
Ma per Ishmael, suo fratello Junior e gli amici Talloi e Mohamed, quei profughi e quei bambini esagerano sicuramente. La guerra non potrà mica essere più terribile di una scena di Rambo!

L’immaginazione di Ishmael e dei tredicenni Junior, Talloi e Mohamed è catturata da una cosa sola: la musica rap. Affascinati dalla «parlata veloce» di un gruppo americano visto su un enorme televisore a colori nella zona dei divertimenti per turisti bianchi di Mobimbi, i ragazzi hanno fondato una band e se ne vanno in giro a esibirsi nei villaggi vicini.

Un giorno, però, in cui sono in uno di questi villaggi, li raggiunge la terribile notizia: i ribelli hanno attaccato e distrutto Mogbwemo.
Ishmael e Junior restano immobili, impietriti per un lungo, doloroso istante, ma poi non esitano a cercare di percorrere velocemente i chilometri che li separano dalla casa dei genitori.
Una volta giunti, però, a Kabati, il villaggio della nonna lungo il cammino, la vista degli uomini, che emergono dalla fitta foresta che circonda le case, li fa presto desistere dal tentativo.

«Un uomo» scrive Beah, «portava in braccio il figlio morto, pensando che fosse ancora vivo. Era zuppo del sangue del ragazzo e, correndo, ripeteva senza tregua: “Ti porto in ospedale, piccolo mio, e tutto si risolverà”».

Ishmael non vedrà piú casa sua e i suoi genitori. Perderà Junior. Fuggirà nella foresta, dormirà di notte sugli alberi, sarà catturato dall’esercito governativo, imbottito di droga, educato all’orrore, all’omicidio, alla devastazione. Il suo migliore amico non sarà piú il tredicenne Talloi ma l’AK-47 e la sua musica non piú l’hip-hop ma quella del suo fucile automatico.

Testimonianza indimenticabile dal cuore dell’Africa, dove milioni di bambini muoiono di malattie curabili in Occidente e centinaia di migliaia sono mutilati o cadono in guerra, Memorie di un soldato bambino ha fatto gridare al miracolo la critica letteraria americana, stupita da «un’opera dallo sguardo così nitido, dal linguaggio così forte e di tale incomparabile tenerezza» (Melissa Fay Greene).

ordinabile a IBS

«La prima confessione letteraria di un male atroce dei nostri tempi, quello dell'infanzia armata, drogata, plagiata, e mandata a combattere con la violenza indicibile che in queste pagine, e probabilmente anche nella realtà, appare per contrasto non premeditata e innocente».

Livia Manera, Il Corriere della sera


«La prima volta che un soldato bambino si mostra capace di dar voce letteraria a uno dei più angoscianti fenomeni della fine del XX secolo: la comparsa del guerriero-assassino adolescente (o addirittura pre-adolescente)».

William Boyd

«Una delle più importanti storie di guerra della nostra generazione».

Sebastian Junger

«Un libro destinato a diventare un classico della letteratura di guerra».

Publisher’s Weekly

venerdì 9 marzo 2007

GABO COMPIE 80 ANNI

Rendiamo omaggio a un grande scrittore attraverso la penna di Frida Roy.
Grazie Gabo per le emozioni che ci hai regalato!

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Anniversari

Il grande scrittore colombiano festeggia il suo compleanno, a 60 anni dal suo esordio e a 40 dal suo capolavoro, "Cent'anni di solitudine"




C'è già chi ha definito il 2007 l' "anno di Gabriel Garcia Marquez" non solo perché oggi lo scrittore colombiano compie 80 anni, ma anche perché segna i 60 anni del suo primo racconto (La Tercera resignacion), i 40 dalla pubblicazione di "Cent'Anni di Solitudine", ed i 25 dal Premio Nobel per la letteratura.

La Colombia è da tempo in fermento per rendere omaggio ad uno dei suoi figli più illustri che, insieme al grande pittore Botero, ha raggiunto quell'universalità propria alle menti e agli animi più sensibili e vicini al genere umano. E anche per questo che il compleanno di don Gabriel è atteso in America latina, in Italia e nel mondo come un evento eccezionale. Una eccezionalità simile a quella che il continente sudamericano ha riconosciuto nell'agosto scorso a Fidel Castro, di cui Gabo è coetaneo e amico personale, quando ne ha festeggiato l'anniversario di nascita. Ritiratosi da tempo dalla vita mondana e dal dibattito letterario, Garcia Marquez conserva un basso profilo, dopo aver superato con qualche difficoltà un cancro che forse ne ha fiaccato lo spirito e che lo ha spinto a dichiarare nel 2006, due anni dopo dopo la pubblicazione di "Memoria delle mie puttane tristi", di "non avere più ispirazione".

Amareggiato per questa situazione, ha commentato al riguardo: "Non auguro a nessuno il successo. Perché è un po' quello che succede agli alpinisti, che si ammazzano per arrivare in vetta e quando la raggiungono, che fanno? Scendono, o cercano di scendere con la maggiore dignità possibile". E come lo scorso anno ha deluso gli abitanti della sua città natale, Aracataca, che lo aspettavano per festeggiare il suo 79/o compleanno, Gabo non ha partecipato venerdì scorso alla inaugurazione a Cartagena de Indias, la sua città, del 47/o Festival del cinema, che contempla un monumentale omaggio alla relazione fra la sua figura e il grande schermo.


Così tutti si chiedono se interverrà, sempre a Cartagena (26-29 marzo), al 4/o Congresso della lingua spagnola, in cui la Real Academia gli vorrebbe consegnare la lussuosa edizione commemorativa di Cent'Anni di Solitudine, che in quattro decenni é stata tradotta in 35 lingue, vendendo oltre 30 milioni di copie. Di recente, un gruppo di 125 intellettuali incaricato di selezionare le opere letterarie immortali di tutti i tempi ha assegnato la Palma d'oro ad Anna Karenina di Leon Tolstoi, ed ha collocato la saga di Macondo e della famiglia Buendia al 20/o posto. Padre indiscusso del Realismo magico, Garcia Marquez ha elevato alla massima espressione uno stile di raccontare storie fantastiche, non come favole, ma come parte del mondo reale.

"Macondo - ha osservato - più che un luogo del mondo, è uno stato d'animo. Il difficile non era allora passare dallo scenario di un villaggio a quello di una città, ma passare dall'uno all'altro senza che si notasse il mutamento di nostalgie". Ed i critici sono d'accordo sul fatto che la pubblicazione di "Cent'anni di solitudine" segnò l'ufficializzazione del boom della letteratura latinoamericana che nel 1962 aveva offerto "La morte di Artemio Cruz" del messicano Carlos Fuentes e l'anno successivo "La Città ed i cani" del peruviano Mario Vargas Llosa e "Rayuela" dell'argentino Julio Cortazar. Successivamente, dalla fervida immaginazione di Gabo sono nati altri romanzi ("Cronaca di una Morte annunciata", "L'Amore ai tempi del colera" e "Dell'amore e di altri demoni") che ne hanno assicurato l'immortalità letteraria.

Frida Roy, 06 marzo 2007
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