La guerra è madre di tutte le cose. Divagazioni semiserie di un cuore irriducibilmente anarchico
"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci
Lo so: non passa giorno che non si
legga notizia di giovani disoccupati, pensionati, cassintegrati,
mobilizzati, over40 etc che non ce la fanno più e si suicidano per
mancanza di speranza. Non passa giorno che le cronache
non riportino di lavoratori che si abbarbicano - letteralmente,
spesso - ai posti di lavoro in pericolo e cerchino di escogitare
qualche forma di protesta eclatante per farsi notare, assurgere alle
cronache e trovare, forse, la soluzione al loro problema.
Purtroppo non mi pare che la classe
politica al potere (e anche tanti che fingono di opporsi, ma che han
cambiato lato della barricata... secondo me) e/o la finanza siano in
grado di dare risposte risolutive e convincenti; d'altra parte
anche troppa parte del sindacato ha abdicato al suo compito e si
comporta né più né meno come il partito politico di riferimento.
D'altra parte, ancora peggio, la
sinistra annaspa, non trova un terreno unitario da cui costruire
un'alternativa valida e convincente.
In mezzo a tutta questa confusione
deprimente, c'è la mia convinzione che non verremo mai a capo di
nulla se non siamo pronti a ridiscutere tutto. Non ha senso la difesa
del posto di lavoro in quanto tale, ma non ha neppure senso mantenere
le lotte "separate". Solo uniti si può pensare di vincere,
e solo pensando ad un lavoro che rispetti gli individui e la loro
dignità ma nel contempo non ne comprometta la salute e soprattutto
serva (perché dai: a che erve continuare a produrre Panda se nessuno
ha i soldi per comprarsele?) e tuteli l'ambiente, senza il quale siam
destinati a sparire tutti, si può uscire dal tunnel, che sia una
miniera, una fabbrica o un laboratorio.
Appunto: uniti. Io purtroppo ho
poco da unire... sono sempre stata parecchio isolata, non per scelta
ma per contingenza, e non ho mai avuto il conforto di colleghi che
spartissero le mie difficoltà. Intendiamoci: non credo nel "mal
comune", anzi la trovo un'idea abbastanza stupida, però anche
sentirsi soli poi, troppo spesso, porta a gesti estremi - né la
solidarietà a parole di qualche compagno può fornire una via
d'uscita.
E dunque... dunque io penso per me,
che poi se mi va bene "m'allargo" e diffondo la mia
fortuna. Se mi andrà bene, perchè ci vuole tanta fortuna anche... e
sono proprio all'ultima spiaggia.
Chi mi conosce sa tutte le
traversie che hanno caratterizzato la mia vita lavorativa: non sono
mai stata una lavativa (ma una scomoda sì), ho fatto di tutto,
eppure sono stata una delle prime vittime delle "riconversioni"
multinazionali, e recidiva per di più. E poi, tanto per non farmi mancare
nulla, ci si son messi pure problemi di salute, che mi hanno portato,
da ultimo, ad un "intervento risolutivo" all'anca destra...
talmente risolutivo che, dopo più di tre anni, quella (che non mi
faceva manco male) è ancora dolorante, la sinistra poverina, che era
la parte lesa già allora, è sempre più sofferente e, ultima
entrata, adesso pure la schiena ne risente. Morale: son disoccupata da più di
tre anni, ho venduto la casa e con quei proventi ci siamo mantenuti
finora, ma non era un palazzo di cui qualcuno pagava l'affitto (o il
mututo) a mia insaputa... e sono pure invalida. Ho persino smesso di
andare a fare colloqui, perché di sentirmi dire, a turno, che son
troppo esperta/vecchia/costosa/inesperta/malata mi son stufata.
Che devo fare, incatenarmi davanti
al municipio e minacciare di darmi fuoco? Temo che mi porterebbero un
accendino... e non ho voglia di rischiare, grazie.
Si torna dunque all'ultima
spiaggia... dove si dimostra che, in fondo, non bisogna mai
rinunciare ai propri sogni. Mi è sempre piaciuto scrivere, con
molti amici ci siamo scambiati pacchi di lettere (altri tempi) e poi
di mail... mi dicono che scrivo anche bene... e allora, voilà: i sono messa a scrivere. Come andrà? Non ne ho idea. Io ci provo.
Alla Marlane di Praia a Mare, in provincia di Cosenza, industria tessile del gruppo Marzotto, si è consumata una tragedia del lavoro della quale si parla poco. Ben oltre 100 lavoratori si sono ammalati di tumore di varia natura e a decine sono deceduti (secondo fonti attendibili e realistiche sono oltre 80). Purtroppo questi numeri, che nascondono vite spezzate, sono destinati a crescere nel tempo.
Il Tribunale di Paola, il 12 novembre 2010 ha rinviato a giudizio Pietro Marzotto ed altri 11 dirigenti della Marlane, della ex-Lanerossi, della Marzotto, con l'accusa di omicidio colposo plurimo, aggravato dalla omissione delle cautele sul lavoro, lesioni colpose gravissime, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro e disastro ambientale doloso, per aver sversato e interrato nell'area antistante lo stabilimento tessile, tonnellate di rifiuti speciali di cui la maggior parte di natura altamente cancerogena.
Dopo anni di indagini e tra mille difficoltà, la Magistratura ha deciso di procedere per raggiungere quella verità richiesta dai lavoratori, dalle famiglie, dalle organizzazioni sociali e associazioni ambientaliste, dalle amministrazioni locali che si sono costituiti parte civile (le parti offese sono oltre 180). Il processo doveva iniziare il 19 aprile 2011 ma la prima udienza è stata rinviata ben 5 volte (l’ultimo rinvio è del 30 dicembre 2011) per vizi di forma, errori di notifica ed eccezioni procedurali presentate dagli avvocati degli imputati. Il dibattimento, quindi, non è ancora veramente iniziato. La prossima udienza dovrebbe svolgersi il 24 febbraio 2012 ed il rischio di prescrizione aumenta con il passare del tempo.
Noi crediamo che sia giusto che emerga con chiarezza quanto accaduto alla Marlane. Riteniamo necessario, quindi, che il processo abbia finalmente inizio e che non ci debbano essere ulteriori impedimenti di varia natura che ostacolino il suo normale svolgimento. Perché i morti, gli ammalati, le loro famiglie e la popolazione chiedono verità e giustizia.
A Vincenzo Benincasa, Lorenzo Bosetti, Salvatore Cristallino, Antonio Favrin, Giuseppe Ferrari, Ernesto Fugazzola, Jean De Jaegher, Carlo Lomonaco, Pietro Marzotto, Lamberto Priori, Attilio Rausse e Silvano Storer, imputati del processo Marlane, vogliamo fare un appello: non chiedete ulteriori rinvii delle udienze, non autorizzate i vostri avvocati ad agire in tal senso: pretendete di raggiungere un verdetto in tempi ragionevolmente brevi. Questo è un vostro preciso diritto, un dovere e una condizione indispensabile per fugare qualsiasi dubbio e rendere giustizia ai lavoratori della Marlane ed alle loro famiglie.
Dopo il "lenzuolino" che recentemente ti ho dedicato, oggi ti propongo un altro spunto di riflessione (che nel precedente era solo accennato, ma nel frattempo è diventato di pressante attualità). Le gabbie salariali: una truffa, hai ragione. Non solo perché sarebbero solo un ulteriore modo di discriminare nelle mani di chi l'interesse dei lavoratori non sa proprio cosa sia, né se ne cura (abbiamo bisogno delle gabbie per vedere che i giovani e le donne prendono meno?) ma perché oltretutto si basano su presupposti non del tutto corretti.
Molto tempo fa ho fatto un sondaggio (l'ho anche pubblicato qui, da qualche parte) con qualche amico volonteroso ed è emerso che non sempre il sud è più a buon mercato del nord, per esempio - il che già per me è sufficiente per sconfessare l'assunto iniziale, altrimenti sarebbe necessario personalizzare i prezzi non per regione, ma nemmeno per provincia: per comune! Ma su questo siamo(io e te) già d'accordo. Quello che mi chiedo io invece è: se è così sbagliato (come io stessa credo) parlare di gabbie salariali, perché non facciamo nulla contro quell'altra enormità sperequativa che è l'appartenenza ad un contratto piuttosto che ad un altro? Perché è "legittimo" che un operaio del commercio percepisca un salario minore di uno del settore metalmeccanico, ma pur sempre superiore a quello di un lavoratore con le stesse mansioni che però è dell'artigianato? L'ultima volta che ho chiesto delucidazioni al mio sindacalista di riferimento, mi ha risposto che dipende dalla "capacità contrattuale", cioè più lavoratori sono iscritti, più riesci a spuntare vantaggi in sede di rinnovo. Evidente e logico, per carità: ma quando vado dal macellaio (il mio: quello del mio paesino, non uno di Milano confrontato con uno di... diciamo Salerno, giusto come esempio) mica mi chiede a che contratto appartengo! Una bistecca costa gli stessi soldi per me e per un'altra lavoratrice del commercio: ergo?
La Costituzione- per ora almeno, ancora - parla di pari dignità, di pari diritti e quant'altro: che non solo è un buon motivo per non accettare le gabbie, ma giustifica anche (secondo me) il mio ragionamento.
Lo so che siamo in crisi e tutto il resto. So anche che un lavoratore di una piccola azienda è più ricattabile di uno che sta in una multinazionale (e a questo punto non si può neppure parlare di scelte: vai dove ti prendono e ti baci pure i gomiti, se ti fanno lavorare e ti pagano!) e che questo è uno dei motivi per cui in tanti non si iscrivono ai sindacati (oltre al fatto - innegabile - che non è che i sindacati abbiano sempre dato buona prova di sé e della volontà di tutelare i lavoratori... ma di questo abbiamo già parlato, anzi ho perché ancora attendo risposta... ammesso che).
Secondo me dovremmo approfittare di questo momento di crisi e volare alto più che mai, ricordando le parole del Che: "Siamo realisti, esigiamo l'impossibile". Altro che concertazione!
Scusa la concisione, ma questa volta ho deciso di non dire tutto io... :)
Premessa: questo pezzo è in fase di studio da parecchio… quindi i riferimenti temporali non sono da prendere alla lettera (ieri potrebbe anche essere tre mesi fa!).
Non stupisca che, anziché rivolgermi a quelli che sono i miei “referenti naturali”, indirizzo questa missiva ad un ipotetico sindacalista generico.
Infatti è più pensata per il concetto di sindacato – nell’accezione di tutore, garante ed incrementatore di TUTTI i diritti di TUTTI i lavoratori – che non per un personaggio specifico: nel corso della mia vita lavorativa, infatti, ho potuto verificare sulla mia pelle quanto poi una sigla non sempre corrisponda ad un comportamento consono.
Ho conosciuto sindacalisti CGIL cui avrei volentieri – metaforicamente – tirato un paio di schiaffoni (quelli che nelle ore di sciopero si imboscano a leggere il giornale in aula sindacale, quelli che avrebbero accettato un controllo diretto sulla quantità di telefonate gestite da un singolo operatore per non mettersi in mostra e rischiare ritorsioni, tanto per fare due esempi eclatanti) e sindacalisti UIL più combattivi e preparati… di me, anche se il contendere ero io! E comunque anche il ritrovato spirito combattivo di Epifani non mi fa dimenticare che anche lui era d’accordo sul TFR nei fondi…
Ma non voglio parlare di me, sono un caso specifico (“umano”, dice qualcuno…) ed invece qui mi interessa maggiormente un discorso generale.
Caro sindacalista, dicevo: possibile che TRENTA lavoratori che hanno perso il posto di lavoro (non per colpa tua, intendiamoci: ma per la solita trita e ritrita manfrina del liberismo e del mercato), con alle spalle un “incidente sul lavoro” gravissimo occorso a sette loro colleghi non riescano più a trovare uno straccio di occupazione perché costituitisi parte civile al processo contro la proprietà? Possibile che io, come la maggior parte degli italiani temo, debba venire a saperlo grazie ad un paio di interventi in TV (a Ballarò e ad AnnoZero, guarda caso…) di Oliviero Diliberto -“miracolosamente” riapparso dopo l’oscuramento causato dall’andamento delle ultime elezioni politiche, cioè dopo più di un anno! – mentre tu non hai convocato assemblee, scioperi… nulla? Forse che la cosa riguarda solo un settore dei lavoratori piemontesi, e non in generale tutti i lavoratori perché è la chiara lesione di un loro diritto?
In tempi di “governo amico” non ci si agita troppo, mi pare di aver capito, per non mettere in difficoltà un programma che non ti è palesemente nemico. E infatti, la contingenza è stata abbattuta da Craxi ed Amato… Ma in tempi di governo di destra, che si fa? Si tacciono notizie di una gravità spaventosa perché non si ha la forza di imporre adeguate risposte?
E lo so anch’io che c’è la crisi, lo so direttamente sulla mia pelle. Non ho bisogno di un Angeletti che mi venga a parlare delle difficoltà dei pensionati… solo, mi piacerebbe che qualcuno gli ricordasse, tra l’altro, che “i pensionati” non sono una categoria: anche i dirigenti vanno in pensione… ma che abbiano difficoltà a tirare la fine del mese è duro sostenerlo in modo credibile!
Ma so anche che non è continuando a calare la guardia che i problemi dei lavoratori (ecco appunto: lavoratori. Con tutte le logiche conseguenze…) possono essere risolti. Ultimo esempio, la FIAT. Problema nazionale, certo. Tutte le volte che c’è aria di crisi è un problema nazionale, mentre quando c’è aria di utili è un fatto che interessa solo gli azionisti: già questo a me fa accapponare la pelle. Ma, ovviamente, non sto dicendo che i lavoratori della FIAT e del mondo che ci ruota intorno debbono essere abbandonati a sé stessi, ci mancherebbe! Solo, mi piacerebbe sentire la tua voce, caro sindacalista, pretendere che il governo convochi o telefoni o insomma in qualche modo si metta in contatto con il sig. Marchionne e gli chieda precise garanzie per i lavoratori italiani. Proprio come stanno facendo gli altri. Perché che il governo, questo governo, non abbia intenzione di disturbare il manovratore in corsa è comprensibile - non sono loro i sostenitori del libero mercato? E poi, come “giustamente” ricordato ieri sera da Bombassei, se la produzione rileva un esubero di personale, lo si taglia… magari cercando i posti in cui fa meno male, già… ma chi stabilisce a chi fa meno male? Io ritengo che chiunque, italiano, polacco, cinese o sudamericano, quando è posto in cassa integrazione o, peggio (perché la cassa integrazione, come ricordava ieri Diliberto, è un diritto italiano, fortemente voluto dal PCI e negli altri paesi non c’è!), addirittura licenziato, si senta inutile ed è anche possibile che vada in depressione, soprattutto in un momento come l’attuale, quando Bombassei dice agli operai che lui è disposto ad assumerli… per poi metterli in cassa integrazione come i suoi. Ma il discorso di Bombassei è quello tipico dell’imprenditore e non è certo quello del sindacato. Secondo me il sindacato deve sì cercare di tutelare i posti di lavoro, ma deve anche porsi altri problemi. Ad esempio: Marchionne sostiene che la FIAT per stare a galla (con la Chrysler e forse la Opel) deve produrre un certo numero di autovetture. Bene, ma a nessuno viene in mente di chiedergli chi se le compra, le sue vetture? Non è così automatico che produzione diventi vendita, e se gli operai (ma anche gli impiegati, quanto a quello…) sono cassintegrati o licenziati, come se la comprano la macchina, ok gli incentivi statali, ma mica bastano… e il resto come ce lo finanziamo, chiediamo un prestito alla banca dopo che ci hanno sbandierato alla nausea che stiamo meglio degli altri perché abbiamo fatto meno debiti?
O pensa di andare a vendere in Africa, che il mercato non è saturo? Ma con che soldi gliele pagano, ‘ste macchine? A parte che, a quel che ne so io, gli unici tipi di vetture concepibili colà sono tank e jeep, se va bene… che non sono esattamente a buon mercato.
E poi: se per caso quest’avventura va male, tutti i lavoratori coinvolti (quelli che restano, beninteso!) si trovano a terra. E il signor Marchionne? Cosa prevede il suo contratto come buonuscita? No perché io sono notoriamente “malfidata”, ma qualcuno ha controllato?
No. Il sindacato per come lo vedo io deve pensare alle persone prima che alla produzione. Questo PIL è una fregatura. Un individuo deve lavorare per poter vivere – in condizioni dignitose, direbbe la Costituzione – e non vivere per lavorare. Mai sentito parlare dell’otium dei latini, contrapposto al (vile) negotium? E’ ovvio che gli imprenditori, i “padroni”, non lo tengano in considerazione ed anzi lo aborrano. Perché poi la gente se ha del tempo libero lo usa come le pare, magari pure facendo girare le rotelline e riflettendo su tutte le stramberie che le vengono propinate come verità irrefutabili, e che invece sono refutabilissime… e rigettabilissime. Ma se uno passa tre quarti della sua giornata tra lavoro e tempo per andarci, ecco che di tempo per pensare ne resta poco… il che significa gente molto più malleabile.
Ho detto sopra che ci vogliono precise garanzie per i lavoratori italiani, ma sia chiaro: con questo non intendo dire che se gli esuberi saranno lavoratori esteri va tutto bene. Dobbiamo pensare “in grande”. Vogliono il mercato libero, vogliono la globalizzazione? Allora globalizziamo anche i diritti. In primis, il diritto alla vita dignitosa. Per tutti.
E già sento le proteste: mancano i soldi… ma andassero a cercarli tra gli evasori, una buona volta! Gira voce tra gli imprenditori (ma nessuno lo confermerà apertamente) che gli ordini ci sono, solo che… aspettano settembre e intanto sfruttano la cassa integrazione – quelli che possono ovviamente, gli altri tagliano e via.
E devolvessero i soldi derivanti da trattenute obsolete e fantasiose sulla busta paga, tipo quello per gli orfani della guerra di Etiopia o per le case popolari (almeno le costruissero!) e tanti altri balzelli che invece spariscono nelle tasche di qualcuno che non se li suda proprio.
Ma, al di là della FIAT e del mondo che le ruota intorno, c’è anche altro. Ci sono lavoratori di ditte che producono altro e che però dovrebbero essere tutelati nello stesso modo.
Nel frattempo sono arrivate anche le rassicurazioni del signor Marchionne… Allora, non è che voglio menar gramo o essere pessimista a tutti i costi. E’ solo che la prima volta che sono stata rassicurata, erano già in fase di studio avanzato le “esternalizzazioni”, la seconda volta gli incentivi alle dimissioni, mentre la terza… be’, alla terza hanno chiuso la filiale in Italia con conseguente licenziamento dei lavoratori. Certo, eravamo in pochi e si trattava di multinazionali… ma, come diceva mia suocera: “quando il diavolo ti accarezza vuole l’anima”. Scusa se non riesco ad essere ottimista!
Intanto mi giunge notizia che“L’iter parlamentare per l’approvazione dell’insediamento, a Cameri
(NO), della fabbrica della morte per l’assemblaggio degli F-35 è ormai definito. A partire dal 2010 inizierà la costruzione del capannone da cui usciranno delle macchine che verranno consegnate a diversi stati che li utilizzeranno per bombardare ed uccidere. Tale impresa industriale-militare viene condotta, con ampio dispendio di denaro pubblico, dalla multinazionale statunitense Lockheed Martin in associazione all'italiana Alenia Aeronautica (del gruppo Finmeccanica) e coinvolgerà una serie numerosa di fabbriche di armi e di morte collocate qua e là sul nostro territorio. Insomma, il riarmo come via d’uscita dalla crisi economica, come con la Grande Crisi degli anni ‘30 e con la Grande Depressione di fine ‘800. Peccato che in entrambi i casi questa strada abbia condotto a guerre mondiali. Di certo,l’impiego dei nuovi bombardieri nelle missioni “di pace” produrrà distruzione, morte e sofferenza. Di sicuro gli F-35 sono i perfetti strumenti operativi di una sorta di gendarmeria mondiale in via di perfezionamento: una volta costruiti non faranno certo la ruggine in qualche hangar italiano o olandese, bensì saranno presto adoperati per uccidere e distruggere in svariate guerre, sia attuali sia future. Gli F-35 ci costeranno un sacco di soldi: circa 600 milioni di euro per costruire e attivare la fabbrica di Cameri, circa 13 miliardi di euro (a rate, fino al 2026) per l'acquisto dei 131 aerei che l'Italia vuole possedere. Del resto è stato già speso o impegnato quasi un miliardo di euro. E ciò risulta ancor più impressionante se si considera la grave crisi economica in corso. Nessuno può ignorare che, con una spesa di questa entità, si potrebbero senza alcun dubbiocreare ben più dei miseri 600 posti di lavoro promessi all'interno dello stabilimento di Cameri. Si potrebbe altresì intervenire in vario modo per migliorare le condizioni di vita di tutti: per esempio ampliando e migliorando la qualità della spesa sociale, tutelando davvero territori e città (basti pensare agli effetti del terremoto abruzzese), investendo in fonti energetiche rinnovabili e ridistribuendo reddito.
E poi vogliono costruire gli F-35 proprio ai confini del parco naturale del Ticino, che dovrebbe quindi sopportare l'impatto dei collaudi di centinaia e centinaia di aerei rumorosissimi e certamente inquinanti, con le relative gravi conseguenze per la salute e la qualità della vita degli abitanti della zona, mentre si potrebbe riconvertire il sito militare ad uso civile. In definitiva, siamo contro gli F-35 perché ci ostiniamo a pensare che sia possibile vivere in un altro modo: senza aggredire gli altri popoli, senza militarizzare il territorio ed i rapporti sociali, operando perché cessi davvero la terribile guerra permanente che l'occidente dei ricchi conduce contro i poveri del nord e del sud del mondo…”
Possiamo in coscienza dirci soddisfatti? No, io credo. Perché la difesa dei posti di lavoro (o l’aumento della quantità degli stessi) secondo me non può prescindere da considerazioni etiche. Sarebbe come dire che va benissimo produrre le mine antiuomo perché altrimenti qualcuno resta a casa. Certo, l’obiettivo non è quello di mettere in difficoltà qualche (tanti o pochi che siano) lavoratore. Ma non si può non avere una visione generale del mondo e soprattutto non pensare al destino dello stesso – e dei nostri figli.
Adesso non pensare che io sia la “garantita”, la giuslavorista che dall’alto del suo sicuro posto di lavoro spara a zero sugli altri. Tutt’altro. Dopo l’ultimo licenziamento ci ho messo otto mesi a trovare un’altra occupazione, e ancora non si parlava di crisi così violenta: era il 2004. Mi sono sentita dire che ero troppo cara, troppo esperta, troppo vecchia… ma troppo giovane per andare in pensione. Il posto che occupo attualmente (parola grossa, visto che sono quattro mesi che non mi faccio vedere: operata all’anca, sono in malattia con problemi vari di ripresa) è in una ditta artigianale che tratta materie plastiche: un altro campo che secondo me è da ridurre drasticamente. Il che dimostra che parlo anche contro il mio interesse specifico, ma d’altronde ritengo che o ci mettiamo a guardare il mondo con una prospettiva “globalizzata”, o ci rinchiudiamo nei nostri microcosmi egoistici. E per questo mi basta la Lega…
Non sottovaluto il problema della riconversione di una linea di automobili ad una di trattori o, chessò, di pannelli solari: ma se continuassimo a produrre auto mentre organizziamo diversamente le lavorazioni? Senza porci il problema delle 10.000 o più, che tanto chisselecompra…
Certo questo momento non è particolarmente favorevole ai lavoratori… ma – a parte che il dibattito sulla necessità che il sindacato sia non solo unito ma conflittuale e non concertativo sindacale è partito da parecchio (giova ricordare questo appello: http://www.fdca.it/sindacale/appello.htm del 2001, tanto per metter giù una data) - proprio per questo non possiamo più aspettare.
Noi lavoratori, quantomeno. I burocrati nei sindacati magari sì, ma rappresentano solo loro stessi, non noi. Loro parlano per settori di interesse (il loro, quello che porta più consensi, dimenticando che un lavoratore è tale qualsiasi sia il suo ruolo o la sua età): si preoccupano dei giovani (e va benissimo) cui hanno scippato un futuro, ma quanti di loro fanno attenzione a quelli che hanno più di 40 anni, che vengono cassintegrati o, peggio, licenziati e non hanno alcuna prospettiva di trovare un’occupazione alternativa che almeno li accompagni all’età pensionabile? Hanno mai fatto un censimento della precarietà sopra i 40 anni? Come pensano di agire per questi lavoratori? E ormai non possono più, come un loro “illustre” predecessore fece, ritenere che si tratti di “casi umani”: siamo troppi. Basta leggere questo post ed i relativi commenti: http://solleviamoci.wordpress.com/2009/02/25/levante-disoccupato-e-disperato-%C2%ABvendo-un-rene%C2%BB/#comment-11074, oppure quest’altro: http://solleviamoci.wordpress.com/2008/03/05/%C2%ABnon-trovo-lavoro%C2%BB-disoccupato-si-impicca/#comment-11157
Che la crisi colpisca ogni fascia d’età, del resto, lo dice anche questo articolo:
A questo punto, se ti senti indignato e/o ferito nel profondo, può voler dire due cose: o sei uno di quei burocrati sindacalisti (e allora fai bene a sentirti parte in causa: è proprio con te che ce l’ho), oppure pensi – erroneamente – che il mio sia un discorso qualunquista. Non lo è: non intendo negare che esistono sindacalisti (normalmente sono la base) che lottano per i diritti di tutti, ci mancherebbe. Ne conosco… e normalmente sono incupiti quanto me. Perché poi i lavoratori si rivolgono al sindacato solo quando ne hanno bisogno, non si iscrivono a prescindere. Vero: ma secondo te è logico attendersi che credano in qualcuno che a forza di concertare ha contribuito a metterli in ginocchio? C’hanno messo del loro, vero anche questo. Ma adesso per recuperarli non si può fare altro che dare un esempio, un buon esempio. E non è che ce ne siano in giro tanti… prendiamo il discorso-salario: possiamo partire da questo articolo: http://laclasseoperaia.blogspot.com/2009/05/elogio-della-scala-mobile.html e confrontarlo con quest’altro: http://it.peacereporter.net/articolo/15522/Gli+armamenti%2C+l%27Eldorado+anche+durante+la+crisi
Il primo sostiene che bisogna reintrodurre la scala mobile (ribadisco: tolta da un paio di governi amici… pensa se erano nemici!), mentre il secondo afferma che “Finmeccanica è in controtendenza rispetto alla recessione italiana: guadagna, cresce e gli azionisti si spartiscono i dividendi… E l'occupazione? Da una lettura di questa voce nella relazione trimestrale notiamo come le aziende abbiano un risicato segno di incremento se non di diminuzione degli occupati; ciò è a riprova del fatto che gli investimenti militari portano una leggera crescita di addetti, che sarebbe ben maggiore rispetto a pari investimenti nella direzione del civile.”
Lungi da me l’idea di proporre gabbie salariali, che – per quanto sia innegabile che un caffè non abbia lo stesso prezzo in tutta la penisola… chissà mai perché – i padroni sfrutterebbero a loro vantaggio (ed il sindacato, scusa se te lo dico, non ha la forza per opporsi), è però anche vero che una bistecca a Milano costa uguale sia per un lavoratore del commercio che per uno dell’industria o dell’artigianato. Anche per un precario o un possessore forzato di partita IVA! E invece il sindacato parla di “potere contrattuale” che determina gli aumenti di stipendi. Be’, a prescindere dal fatto che di potere mi sembra ne abbiamo pochino – e non da oggi – direi che compito del sindacato, quello che io vorrei, è anche garantire il rispetto di quelle norme della Costituzione (ma diciamo anche solo del primo paragrafo dell’articolo 36: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.”)
Ultimo punto, ma non certo per importanza, il tema della sicurezza sul lavoro. Gli ultimi dati dicono che siamo – finalmente! – in controtendenza, che le morti sul lavoro sono diminuite. Già: peccato che stiamo parlando sempre di più di tre morti al giorno, e che nel frattempo crescano gli infortuni… “merito” anche dei lavoratori stranieri, quelli meno tutelati ancora. Quelli che sono ancora più carne da macello…
Scusami: lo so che non ti ho detto nulla di nuovo. Lo so che sono una sognatrice e sembro vivere nell’utopia… ma dato che nemmeno un governo amico è in grado di (o vuole) fare leggi a favore dei lavoratori (se non fanno parte dei suoi personali serbatoi di voti, beninteso), che ne dici se ce le facciamo noi?
E già che ci siamo, ricordo che c’è in rete una petizione popolare contro la crisi:
Un secondo barcone di sventurati è stato respinto e ricondotto in Libia. Quanti erano? Non è importante. 100,… 20… ,…1, non ha importanza. sono stati violati dei diritti e a violarli è stato il governo del nostro paese. Questi diritti violati costeranno a povera gente che sfuggiva a guerre massacri e fame in alcuni casi tortura e morte. Ho fatto una carellata veloce e più o meno tutti i dirigenti della sinistra , con toni più o meno diversi, hanno parlato, scritto, condannato.
Non Basta!!! A fronte di questa infamia c’è un’esigenza precisa, ineludibile, che la sinistra dia una risposta unica e compatta antirazzista . Non possono esserci distinguo e non può essere una campagna elettorale che spegne il nostro sdegno.
Chiedo che questo appello venga raccolto e si concretizzi nel giro di poco tempo nella risposta della Sinistra italiana contro al razzismo, contro l’intolleranza e per ristabilire i diritti di asilo e di accoglienza.
PS. Chi condivide questa richiesta copi e incolli sul proprio blog il post senza aggiungere o togliere nulla. E’una richiesta minima ma di enorme significato. Facciamoci sentire tutti insieme in un’unica manifestazione o in cento città contemporaneamente.
Loris
Caro Loris, per quanto mi riguarda sulla pelle il sudore ha lo stesso colore. E non importa se il lavoratore sia bianco, nero o giallo lo sfruttamento che lo riduce schiavo è lo stesso, per questo sosterrò ogni iniziativa antirazzista.
Un caro saluto.
Oliviero Diliberto Il sito di Nichi Vendolaha aderito e rilanciato l'appello
... a chi il lavoro ce l'ha a chi ce l'ha più o meno a chi l'ha perso e non lo trova più a chi nemmeno lo cerca più a chi lo cerca e non lo trova a chi si accontenta di lavoretti a chi se lo inventa a chi ci muore a chi ci spera a chi ci crede a voi tutti tranne a chi lo sfrutta.
Sarà sul palco del prossimo Festival di Sanremo ma non ha improvvisamente deciso di darsi alla canzonetta. Frankie Hi-NRG MC sta per cantarle di nuovo chiare, stavolta sul mondo del lavoro. DePrimoMaggio, il suo nuovo album, uscirà proprio durante il Festival e conterrà il brano in gara (Rivoluzione, con il featuring di Roy Paci e lo special guest Enrico Ruggeri) e altre canzoni in cui Francesco Di Gesù (questo il vero nome di Frankie) dirà la sua su precariato e disoccupazione.
Già i titoli dei pezzi parlano chiaro: Call Center (con il featuring di Ascanio Celestini, il cui nuovo film,Parole sante, racconta proprio la lotta dei lavoratori del più grande call center italiano),Direttore(con il featuring di Giorgia), Precariato e Pugni in tasca (con quelli di Paola Cortellesi), Mattatoy(in cui si ascolta la voce del giornalista Gianluca Nicoletti). In più, una chicca: la cover diChicco e Spillo, il primo grande successo di Samuele Bersani.
Realizzato assieme agli storici collaboratori del rapper torinese (Francesco Bruni, Lino De Rosa, Alberto Brizzi, Marco Capaccioni e Leonardo Fresco Beccafichi) DePrimoMaggio si intitola così, spiega Frankie, "perchè, vista l'attuale situazione italiana, del lavoro più che la festa occorrerebbe fare la commemorazione". Staremo a sentire.
Ascanio Celestini presenta il suo film 'Parole Sante'
In occasione dell’anteprima a Milano del film/documento Parole sante ho incontrato Ascanio Celestini, regista e autore della pellicola. Simpatico e semplice si pone subito come uno che vuole raccontarsi e raccontare con la naturalezza di chi crede in ciò che fa.
Ascanio, Lei ha prodotto una pellicola controcorrente in un periodo in cui l’evasione sembra essere la chiave del successo? Ho semplicemente fatto raccontare ai personaggi del “Collettivo PrecariAtesia” la loro storia non come l’antropologo che descrive un iter culturale, ma dando la possibilità a ciascuno dei protagonisti di raccontarsi rivivendo il vissuto. Ascoltare una storia significa farla raccontare.
Come è maturata l’idea di affrontare il fenomeno del ‘precariato’? Si tratta di un problema che, lungi dal decrescere come affermano alcuni economisti, sta crescendo in maniera esponenziale e drammatica. Non che non esistesse nel passato: l’hanno vissuto mio padre e mio nonno, ma poi sono riusciti ad avere un lavoro stabile. Oggi è diverso: si va avanti con l’incertezza fino a non si sa quando e soprattutto manca la prospettiva di miglioramento. Anzi è maturato nelle coscienze un meccanismo di ‘perdita di possibilità’.
Si sente un precario? Sono un lavoratore autonomo, un artigiano e non dipendo da capricci o interessi altrui.
Come mai ha scelto come oggetto dell’analisi proprio un ‘call center”? Intanto si tratta di uno dei ‘call center’ più grandi d’Europa, il primo in Italia e l’ottavo al mondo con 300.000 telefonate al giorno, e si può considerare a buon diritto una specie di laboratorio aziendale: i primi esperimenti vengono testati proprio in questo alveare dove ogni giorno entrano quattromila persone la maggior parte precari (3500 ca.) per un lavoro pagato 550 euro al mese.
Cosa ha rilevato di particolare in questo mondo? Ho cercato di raccontare la parte positiva che è quella dell’auto-organizzazione, cioè il fatto che un gruppo di giovani si sia riunito per capire i propri diritti e difenderli anche se ha pagato con licenziamenti, soprusi e prove di forza perdendo l’unica forma di sostentamento che aveva da anni, come è successo alla coppia Salvatore e Cecilia. È una storia di sconfitte che però hanno costruito una coscienza.
Ritiene di non avere detto qualcosa? Ho cercato di tenere fuori il ruolo dei partiti e dei sindacati anche se all’inizio avevo pensato di fare un documentario diviso in due con una parte dedicata a loro. Poi ho deciso di stare ‘super partes’ anche politicamente senza attaccare nessuno né di destra, né di sinistra perché il vero problema è costituito da questi giovani che chiedono qualcosa e che dovrebbero essere ascoltati e conosciuti anche dai sindacati per evitare che insoddisfazioni e disperazione formino un mix esplosivo.
Da venerdì 8 febbraio al cinema Metropolitan di Roma - via del corso, 7
Parole Sante
Un documentario di Ascanio Celestini presentato alla Festa di Roma nella sezione Extra
Domenica 10 febbraio alle 20.30 Ascanio Celestini saluterà il pubblico in sala.
A Torino già in sala al King Kong Microplex - via Po, 21, sara' prorogato fino al 17 febbraio.
Cinecittà è un pezzo di Roma a ridosso del Grande Raccordo Anulare. Accanto a uno dei primi centri commerciali della capitale quattromila lavoratori precari attraversano ventiquattro ore al giorno il portone di un’anonima palazzina, una fabbrica di occupazione a tempo determinato che sembra un condominio qualunque. Tra loro alcuni operatori telefonici hanno organizzato scioperi, manifestazioni, scritto un giornale e presentato un esposto all’Ufficio Provinciale del Lavoro. Si sono autorganizzati, hanno rischiato e sono stati licenziati. Qualcuno poteva salvarsi e accettare un lavoro pagato 550 euro al mese, ma “noi non siamo mica il Titanic –mi dicono- non affonderemo cantando”.
La Fiat non partecipa al tavolo sulla sicurezzaconvocato giovedì mattina presso il ministero della Salute. Lo denuncia in una nota al vetriolo il sottosegretario alla salute Giampaolo Patta. Scopo dell'incontro era quello di verificare la possibilità di definire un protocollo d'intesa sulla sicurezza, come quelli realizzati alla Thissenkrupp, all'Ilva di Taranto, nei porti di Genova, Ravenna, Napoli e alla Fincantieri. Ma la Fiat, «nonostante siano state riscontrate significative violazioni alla legge 123/2007 negli stabilimenti di Cassino, Melfi, Torino, Pomigliano d'Arco», non c'è.
«Che il più grande gruppo industriale automobilistico italiano - si infervora Patta - decida di non sedersi al tavolo del Ministero della Salute per confrontarsi sull'applicazione della legge 123/2007 è un fatto politicamente e istituzionalmente deprecabile. Spero - conclude - che questo atteggiamento venga censurato da Federmeccanica e Confindustria, perché nessuno si senta in dovere di sottrarsi dall'applicazione delle leggi dello Stato».
Il gruppo Fiat, intanto, è stato segnalato alla magistratura per violazioni riscontrate dai Nas e dalle Asl negli stabilimenti di Melfi e Pomigliano d'Arco. «I sopralluoghi sono scattati – ha spiegato ancora Patta – dopo le due morti avvenute a dicembre negli stabilimenti Fiat. Carabinieri e Asl hanno individuato violazioni sul piano unico di rischio, l'identificazione dei lavoratori degli appalti, e l'indicazione delle spese per la sicurezza nei capitolati d'appalto. Si tratta di alcune delle nuove norme introdotte dalla legge 123». Gli stabilimenti Fiat ora hanno tempo un mese per rimettersi in regola, in caso contrario scatteranno le sanzioni penali e amministrative.
Il primo maggio 2007 ero a Venezia, a Campo San Barnaba, per un'iniziativa pubblica sul tema della sicurezza sul lavoro. Si parlò anche di Porto Marghera, dove è appena avvenuta una tragedia terribilmente simile a quella che si verificò nel porto di Ravenna vent'anni prima (il mio libro era appena uscito).
Il 13 marzo 1987 tredici lavoratori persero la vita soffocati nella stiva della gasiera Elisabetta Montanari all’interno del cantiere Mecnavi, all’epoca il più grande cantiere privato sul mare Adriatico. Innescato dalla scintilla di una fiamma ossidrica, un piccolo incendio surriscaldò il rivestimento dei serbatoi di combustibile, che gocciolò sul fondo della stiva e prese fuoco a sua volta. Dalla combustione si svilupparono ossido di carbonio e acido cianidrico. L’aria divenne presto irrespirabile. L’autopsia certificò la morte per edema polmonare causato da inspirazione di sostanze tossiche, dopo una lunghissima agonia.
Nel libro ho cercato di ricostruire la vicenda e il contesto storico, i lunghissimi passaggi processuali (cinque processi penali, sedici anni per arrivare ai risarcimenti alle famiglie), cosa è cambiato e come si possa ancora morire di lavoro, oggi. Volevo contrastare la più subdola fra le figure retoriche solitamente accostate agli incidenti sul lavoro: quante volte ci è capitato di sentire la parola strage associata a fatalità? Invece, ciò che è accaduto si presenta come un'evidente, intollerabile, odiosa ingiustizia. Con una lunga serie di colpevoli: imprenditori, subappaltatori, chi rilasciò le autorizzazioni, chi non vigilò come avrebbe dovuto.
È raro trovare una concentrazione di causesimile a quella che si determinò nel cantiere Mecnavi, ma in ogni infortunio sul lavoro si ritrovano alcuni fra gli elementi di quella tragedia:lavoro nero, caporalato, imprenditori che non tollerano il sindacato nella loro azienda, colpevoli risparmi sulle norme di sicurezza, mancato addestramento del personale, omissione dei sistemi anti-infortunistici, un’organizzazione del lavoro finalizzata al massimo profitto nel più breve tempo possibile.
A Castiglione in Teverina, in provincia di Viterbo, muore un’intera famiglia: gli zii Fiorenzo Cignelli, 58 anni, e Elisabetta Tirinnanzi, 53, il nipote Renato Cignelli, 44 anni e la moglie Rosanna Abbatematteo, 41. Gravemente ferito anche il figlio di Fiorenzo, Giandomenico, di 26 anni. Mentre un'altra vittima del quotidiano stillicidio dei morti sul lavoro è caduta nel genovese.
La strage familiare è accaduta a causa dello scoppio di un deposito di fuochi d'artificio. Secondo i primi rilievi l'esplosione ha causato il crollo del tetto dell'edificio travolgendo le quattro persone che si trovavano all'interno.
La fabbrica aveva subìto l'ultimo controllo dell'ispettorato del lavoro il 18 novembre scorso: gli ispettori avevano verificato che i quattro ambienti in cui è diviso lo stabilimento (deposito, miscelamento, confezionamento e uffici) fossero in regola, e non avevano mosso alcun rilievo ai titolari dell’azienda. La Cignelli, secondo quanto si è appreso, era considerata una ditta modello per quanto riguarda il rispetto delle misure di sicurezza e l'utilizzo di macchinari all'avanguardia, alcuni dei quali ideati dagli stessi proprietari. Il locale dove è avvenuta l'esplosione è quello del confezionamento, nel quale, come prescrivono le norme di sicurezza, non c'è corrente elettrica per evitare scintille. Per questo non è ancora chiaro come sia potuta avvenire l’esplosione.
Altro incidente nel genovese: un operaio è morto dopo essere stato investito da un'auto mentre segnalava la presenza di un cantiere, sulla A10, tra Arenzano ed il bivio per l'A26 verso Genova. È accaduto al km 19. Sul posto sono intervenuti i soccorsi sanitari, la Polizia Stradale ed il personale di Autostrade per l'Italia, ma purtroppo per il lavoratore, dipendente della ditta Seven Service, primaria impresa italiana specializzata negli interventi in galleria, non c'è stato nulla da fare. Sulle cause dell'incidente sono in corso accertamenti ma, secondo i primi rilievi, si è trattato di una concausa tra distrazione ed eccesso di velocità.
Pubblicato il: 06.02.08 Modificato il: 06.02.08 alle ore 18.16
Un operaio di 54 anni, Giuseppe Bonati, di Stienta in provincia di Rovigo, è morto all'ospedale Sant'Anna di Ferrara per le ferite riportate in un infortunio sul lavoro accaduto alle 8 nell'azienda Carpenteria Cmg di via Sutter a Ferrara: l'operaio stava lavorando a un muletto sollevatore, con il motore in funzione, quando il mezzo è partito e lo ha travolto.
Sempre nella mattinata di martedì un incidente in una fabbrica di Torino solo per caso non si è tramutato in tragedia. Due operai sono rimasti coinvolti nello scoppio che li ha investiti, senza per fortuna ucciderli come era accaduto alla Thyssenkrupp di Corso Regina. È successo alle 6.10 nell'azienda Abrate di Collegno, alla periferia Ovest di Torino. Secondo la prima ricostruzione dei vigili del fuoco, per cause non ancora chiarite, c'è stato lo scoppio di un forno industriale a gas. I due lavoratori sono stati portati rispettivamente all'ospedale di Rivoli e al Cto di Torino. La situazione clinica più grave è quella del responsabile di stabilimento, Michele Monteleone, di 41 anni.che ha riportato ustioni sul 40% del corpo ed è ricoverato in prognosi riservata. L'altro operaio, Antonio Lizzo, di 42 anni, si trova in condizioni che sembrano essere meno gravi di quelle del suo compagno di lavoro. Nella piccola fabbrica intanto oltre ai vigili del fuoco sono intervenuti i carabinieri e gli ispettori del lavoro insieme al sostituto procuratore Sabrina Noce. La Procura di Torino ha subito aperto un'inchiesta per accertare ogni eventuale responsabilità nell'incidente. «Quello di stamattina - dice il segretario provinciale della Fim, Antonio Sansone - è l'ultimo caso in ordine di tempo, nel bollettino di guerra degli incidenti sul lavoro. Che poi sia successo appena poche ore dopo la denuncia dell'Anmil secondo la quale nel nostro paese viene ucciso un lavoratore ogni 7 ore, non è altro che la conferma di come gli incidenti non solo non si fermano ma sembra che anche la tragedia della Thyssenkrupp sia passata invano. Le aziende hanno il dovere di riflettere sul milione di incidenti l'anno e i più di mille morti. Non bastano i proclami pubblici e non ci si può fermare alla solidarietà estemporanea".
Nell'azienda Abrate di Collegno sembra che il sindacato non fosse presente, nessun iscritto insomma. "Il sindacato si impegna fino a dove riesce ad arrivare- dice ancora Sansone- in casi come quelli di stamane, dove il sindacato non è presente, è ancora più necessario un significativo impegno di responsabilità sociale se non vogliamo passare il tempo a fare l'elenco delle vittime. Non passa giorno in cui Montezemolo non ci fa una lezione su come migliorare l'Italia, ci piacerebbe -conclude- ascoltarlo ogni tanto a spiegare alle imprese come migliorare la sicurezza dei lavoratori".
Pubblicato il: 05.02.08 Modificato il: 05.02.08 alle ore 13.19
Segnalo questa iniziativa di cui ho appena avuto notizia: leggete, diffondete e... partecipate se potete!
Sabato 1 marzo - ore 16 c/o Sala Superiore TOALDI CAPRA Via Pasubio, SCHIO (VI)
e
Venerdì 14 marzo - ore 21 c/o Sala della CROCE VERDE Via Capriglia, PIETRASANTA (LU)
AL LAVORO, NON ALLA GUERRA per la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro
Incontro con
CIRO ARGENTINORSU THYSSENKRUPP (Torino)
La tragedia della ThyssenKrupp ha scosso i lavoratori di tutto il paese e ha squarciato, almeno per un "attimo", il velo di un'informazione troppo spesso intenta a parlare di cronaca nera o di politica con la "p" minuscola. Anche in questo, come in altri, rari, casi si è detto "ora basta". Ma la strage non finirà. Dopo quelli della ThyssenKrupp, altri lavoratori sono morti in Italia, ogni giorno. E dopo questi altri ne moriranno. Di queste morti noi conosciamo il colpevole. E questo colpevole è il profitto capitalistico, che non esita a mettere a repentaglio la sicurezza, la salute e infine la vita stessa dei lavoratori e delle lavoratrici.
Contro la quotidiana strage che si compie sui luoghi di lavoro le lacrime, la commozione, la solidarietà non bastano. Quello che serve è che i lavoratori tornino ad essere protagonisti della propria vita e impongano con la lotta l'applicazione di regole che senza la loro forza e determinazione non verranno mai applicate.
Parlare direttamente con i lavoratori ThyssenKrupp sarà un'occasione importante per le lavoratrici e i lavoratori del nostro territorio; sarà un momento in cui testimonieremo, anche con la nostra semplice presenza, la nostra solidarietà nei confronti dei morti, dei feriti e dei tantissimi che ogni giorno rischiano la propria vita nei posti di lavoro, come se fossero in guerra.
Redazioni PM della Toscana Via IV novembre 51 - VIAREGGIO (LU) – Apertura Sabato 17-18 Via stradella 57d - RONCHI - Marina di Massa (MS) -Apertura Lunedì 21.30-22.30 EMAIL: primomaggio.toscana@alice.it TEL: 339.6473677 - 339.4505810
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