La guerra è madre di tutte le cose. Divagazioni semiserie di un cuore irriducibilmente anarchico
"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci
Trama: Il film racconta dall'interno le conseguenze di un esperimento televisivo che gli italiani subiscono da 30 anni. Riesce ad ottenere accesso esclusivo alle sfere più potenti e rivela una storia significativa, derivata dalla spaventosa realtà della televisione italiana, un Paese in cui il passaggio da showgirl a Ministro per le Pari Opportunità è puramente naturale (tratto da http://trovacinema.repubblica.it/film/videocracy-basta-apparire/378953)
Recensione:Cos’è la "videocrazia"? Secondo Erik Gandini, italiano d’origine e svedese di adozione, è il sistema di potere televisivo di cui l’Italia offre oggi l’esempio più consistente ed emblematico. Videocrazia non è esattamente un film su Berlusconi ma un film sull’Italia berlusconiana di lunga durata: fisiologicamente, sociologicamente e forse persino antropologicamente berlusconiana. L’Italia in cui, come afferma Nanni Moretti ne Il Caimano, «Berlusconi ha già vinto». Un’Italia trentennale, ossessionata dall’esibizionismo sessuale e dalla totale assenza di freni morali - con ogni probabilità anche molto incapace di guardarsi allo specchio – che viene restituita dallo sguardo attento di uno "straniero" sui generis, la cui relativa italianità gli ha consentito una conoscenza sul campo del fenomeno analizzato. Ma il suo film non rincorre l’attualità o lo scandalo. Non insegue la notizia o il gossip. Sviluppa piuttosto una distanza critica singolare rispetto alle circostanze e ai personaggi rappresentati o ai materiali di repertorio selezionati e assemblati: distanza critica fatta di straniamento e profondo sdegno allo stesso tempo (tratto da http://www.mymovies.it/film/2009/videocrazia/)
Purtroppo una ricerca in rete non ha permesso di trovare, al momento (però sono le 3 del mattino del 3, quindi magari in giornata le cose cambiano…), sale in cui sia prevista la proiezione di questo film, né a Pavia né a Milano. Verificherò.
Intanto sia chiara una cosa: non baso il mio giudizio del film sul trailer (a vederlo tutto potrebbe anche non piacermi!) ma semplicemente non condivido l’idea di far passare la censura. Con la scusa di un “pubblico variegato” e della “necessità di soddisfare i gusti di tutti” ci propinano banalità colossali e poi si permettono di non far passare qualcosa solo perché potrebbe non piacere al padrone del vapore? Non mi hanno convinto, non mi convinceranno mai. La loro libertà finisce dove comincia la mia, no? Quindi mi voglio prendere la responsabilità di decidere con la mia testa. Ora e sempre.
Sarà sul palco del prossimo Festival di Sanremo ma non ha improvvisamente deciso di darsi alla canzonetta. Frankie Hi-NRG MC sta per cantarle di nuovo chiare, stavolta sul mondo del lavoro. DePrimoMaggio, il suo nuovo album, uscirà proprio durante il Festival e conterrà il brano in gara (Rivoluzione, con il featuring di Roy Paci e lo special guest Enrico Ruggeri) e altre canzoni in cui Francesco Di Gesù (questo il vero nome di Frankie) dirà la sua su precariato e disoccupazione.
Già i titoli dei pezzi parlano chiaro: Call Center (con il featuring di Ascanio Celestini, il cui nuovo film,Parole sante, racconta proprio la lotta dei lavoratori del più grande call center italiano),Direttore(con il featuring di Giorgia), Precariato e Pugni in tasca (con quelli di Paola Cortellesi), Mattatoy(in cui si ascolta la voce del giornalista Gianluca Nicoletti). In più, una chicca: la cover diChicco e Spillo, il primo grande successo di Samuele Bersani.
Realizzato assieme agli storici collaboratori del rapper torinese (Francesco Bruni, Lino De Rosa, Alberto Brizzi, Marco Capaccioni e Leonardo Fresco Beccafichi) DePrimoMaggio si intitola così, spiega Frankie, "perchè, vista l'attuale situazione italiana, del lavoro più che la festa occorrerebbe fare la commemorazione". Staremo a sentire.
Ascanio Celestini presenta il suo film 'Parole Sante'
In occasione dell’anteprima a Milano del film/documento Parole sante ho incontrato Ascanio Celestini, regista e autore della pellicola. Simpatico e semplice si pone subito come uno che vuole raccontarsi e raccontare con la naturalezza di chi crede in ciò che fa.
Ascanio, Lei ha prodotto una pellicola controcorrente in un periodo in cui l’evasione sembra essere la chiave del successo? Ho semplicemente fatto raccontare ai personaggi del “Collettivo PrecariAtesia” la loro storia non come l’antropologo che descrive un iter culturale, ma dando la possibilità a ciascuno dei protagonisti di raccontarsi rivivendo il vissuto. Ascoltare una storia significa farla raccontare.
Come è maturata l’idea di affrontare il fenomeno del ‘precariato’? Si tratta di un problema che, lungi dal decrescere come affermano alcuni economisti, sta crescendo in maniera esponenziale e drammatica. Non che non esistesse nel passato: l’hanno vissuto mio padre e mio nonno, ma poi sono riusciti ad avere un lavoro stabile. Oggi è diverso: si va avanti con l’incertezza fino a non si sa quando e soprattutto manca la prospettiva di miglioramento. Anzi è maturato nelle coscienze un meccanismo di ‘perdita di possibilità’.
Si sente un precario? Sono un lavoratore autonomo, un artigiano e non dipendo da capricci o interessi altrui.
Come mai ha scelto come oggetto dell’analisi proprio un ‘call center”? Intanto si tratta di uno dei ‘call center’ più grandi d’Europa, il primo in Italia e l’ottavo al mondo con 300.000 telefonate al giorno, e si può considerare a buon diritto una specie di laboratorio aziendale: i primi esperimenti vengono testati proprio in questo alveare dove ogni giorno entrano quattromila persone la maggior parte precari (3500 ca.) per un lavoro pagato 550 euro al mese.
Cosa ha rilevato di particolare in questo mondo? Ho cercato di raccontare la parte positiva che è quella dell’auto-organizzazione, cioè il fatto che un gruppo di giovani si sia riunito per capire i propri diritti e difenderli anche se ha pagato con licenziamenti, soprusi e prove di forza perdendo l’unica forma di sostentamento che aveva da anni, come è successo alla coppia Salvatore e Cecilia. È una storia di sconfitte che però hanno costruito una coscienza.
Ritiene di non avere detto qualcosa? Ho cercato di tenere fuori il ruolo dei partiti e dei sindacati anche se all’inizio avevo pensato di fare un documentario diviso in due con una parte dedicata a loro. Poi ho deciso di stare ‘super partes’ anche politicamente senza attaccare nessuno né di destra, né di sinistra perché il vero problema è costituito da questi giovani che chiedono qualcosa e che dovrebbero essere ascoltati e conosciuti anche dai sindacati per evitare che insoddisfazioni e disperazione formino un mix esplosivo.
Da venerdì 8 febbraio al cinema Metropolitan di Roma - via del corso, 7
Parole Sante
Un documentario di Ascanio Celestini presentato alla Festa di Roma nella sezione Extra
Domenica 10 febbraio alle 20.30 Ascanio Celestini saluterà il pubblico in sala.
A Torino già in sala al King Kong Microplex - via Po, 21, sara' prorogato fino al 17 febbraio.
Cinecittà è un pezzo di Roma a ridosso del Grande Raccordo Anulare. Accanto a uno dei primi centri commerciali della capitale quattromila lavoratori precari attraversano ventiquattro ore al giorno il portone di un’anonima palazzina, una fabbrica di occupazione a tempo determinato che sembra un condominio qualunque. Tra loro alcuni operatori telefonici hanno organizzato scioperi, manifestazioni, scritto un giornale e presentato un esposto all’Ufficio Provinciale del Lavoro. Si sono autorganizzati, hanno rischiato e sono stati licenziati. Qualcuno poteva salvarsi e accettare un lavoro pagato 550 euro al mese, ma “noi non siamo mica il Titanic –mi dicono- non affonderemo cantando”.
Oggi si chiudono le consultazioni. La maggioranza dei partiti chiede il voto Due spiragli: mandato esplorativo al presidente Marini o governo Amato
Montezemolo: "Almeno inserire le preferenze". L'ex premier ribadisce: "Alle urne" Nel Pd pronti al voto. Bettini apre: "Alleanze possibili su programmi omogenei"
di CLAUDIA FUSANI
ROMA- La campagna elettorale è in piena attività ma resta da giocare ancora qualche carta per evitare il voto. Ed è bene farlo fino in fondo, "nell'interesse del paese che dalla politica si aspetta un'assunzione di responsabilità". Così mentre Veltroni assicura che "buona parte del Paese non vuole una campagna elettorale con tre mesi di urla per poi tornare esattamente a come eravamo e a come siamo", il presidente di Confindustria fa un appello "disperato" perchè non si vada a votare ma vengano prima definite quelle nuove regole in grado di dare governabilità e stabilità. Appelli che sembrano perdersi nell'aria. A fine giornata si fa vivo Berlusconi per dire: "No grazie, offerte di dialogo tardive, ci sono solo le urne. E per noi sarà un trionfo senza precedenti".
Veltroni e Montezemolo non parlano quasi mai nello stesso posto (oggi il segretario è a Roma e il numero 1 degli industriali a Pordenone) ma sempre più spesso dicono e chiedono le stesse cose: una politica che decida, che sappia parlare a voce bassa, in grado di dare fiducia e stabilità al paese.
Quelli di oggi sono gli ultimi appelli. Domani il presidente della Repubblica conclude i colloqui, tra mecoledì e giovedì deciderà il da farsi, le posizioni dei partiti sono distanti, quasi un muro contro muro, e il ritorno alle urne resta ad oggi la soluzione più probabile della crisi magari col passaggio di un incarico esplorativo dall'esito però molto incerto. Oggi è tornata a circolare in modo insistente l'ipotesi che dal Qurinale esca un incarico governativo (al ministro dell'Interno Giuliano Amato?) per un esecutivo lungo dieci mesi, un anno, quel tanto che basta per fare le riforme elettorali, istituzionali e dei regolamenti parlamentari. Quello che chiede il Pd di Veltroni, la Confindustria di Montezemolo, l'Udc di Casini. A favore di questa scelta ci sarebbe anche la forte irritazione del Colle, notata oggi da alcuni degli interlocutori che si sono succeduti nelle consultazioni, per le dichiarazioni circa "marce su Roma" e "milioni di italiani in piazza per andare alle urne". Pressing e minacce inaccettabili per la Presidenza della Repubblica decisa più che mai a percorrere il pur stretto pertugio che ha davanti.
La sfida a Berlusconi: "Corri da solo". Veltroni, accompagnato da Franceschini e Bettini vorrebbe oggi non parlare di crisi di governo. C'è il Pd, i nuovi circoli, le adesioni. Poi ci finisce dentro da solo, portato dalle parole. E dalle domande. Il segretario torna sul nodo delle allenze: "Vorrei che Forza Italia avesse il nostro stesso coraggio: visto che sono così sicuri di vincere, perchè non vanno soli senza allearsi con chiunque?". Finora il Cavaliere ha sempre risposto picche a questa ipotesi pur sapendo che la sua coalizione è risorta dalla ceneri e di certo non ha un grande cemento. Immediata la replica di Forza Italia affidata ai numeri 2 e 3 del partito, Sandro Bondi e Fabrizio Cicchitto: "Richiesta incomprensibile, il centrodestra non è il centrosinistra". An, con Matteoli, gli manda a dire che "il bizantinismo sarebbe negare il voto agli italiani".
Tema delicato, questo delle allenze. E a Mussi (Sd) che dice "se il Pd va da solo vuol dire che corre contro la sinistra", risponde il coordinatore del pd Goffredo Bettini: "La nostra non è una voglia boriosa di andare da soli. Vogliamo però allenze omogenee su alcuni e precisi punti".
Veltroni: "Un governo di 8-10 mesi". Il segretario insiste sulla "grande opportunità" di cambiare le regole, il sistema di voto, di avere una sola Camera che approva le leggi, di tagliare i costi della politica e al tempo stesso di proseguire nella scelta di aumentare i salari. Fare tutto questo "in otto-dieci mesi e poi tornare a votare avendo finalmente un'idea più semplice ed appassionata della politica". Veltroni chiede "un'assunzione di responsabilità da parte di tutte le forze politiche. Non una forzatura, sia chiaro, nei confronti del Quirinale, ma "un appello alle forze politiche a cominciare da Berlusconi". E a proposito di marce e di popolo in piazza evocati da Bossi e dal Cavaliere, il sindaco di Roma taglia corto: "I richiami alla piazza non sono mai un segno di forza nè di responsabilità".
Ma il Pd è pronto: al via 2.500 circoli e 1 milione e 200 mila adesioni. Come che sia, il Pd è pronto alla campagna elettorale. Almeno così sembra nel vedere i numeri distribuiti oggi nel quartier generale del partito in piazza Sant'Anastasia. In un fine settimana in Italia sono nati "2.500 circoli per 1 milione e 200 mila persone che hanno aderito ritirando il certificato-tessera. Molto di più dei 900 mila che erano la sommatoria degli iscritti a Ds e Dl" spiega Andrea Orlando. Il messaggio è chiaro: vada come vada, il Pd esiste già, nasce nelle urne, "sta in mezzo alla struttura sociale del paese grazie ad un nuovo soggetto politico aperto, lieve ma con buone radici". L'obiettivo è arrivare a 7821 circoli in tutta Italia.
Montezemolo: "Almeno inserire le preferenze". Montezemolo chiede "un governo di scopo o tecnico" in grado comunque di affrontare le emergenze e le riforme strutturali per sbloccare un paese bloccato. Il suo è un appello "disperato per non andare al voto" perchè la situazione interna ma anche internazionale in questo inizio d'anno è "molto, molto difficile". Ma nella "peggiore delle ipotesi", riflette, "almeno venga fatta una modifica per inserire le preferenze". E' la stessa richiesta dell'Udc di Casini a Napolitano.
La scelta del Quirinale. Domattina sono in calendario le consultazioni Forza Italia (alle 10 e 30) e Pd (11 e 30). Per preparare e definire l'incontro Veltroni oggi ha incontrato Massimo D'Alema e in serata il premier Romano Prodi. Nel pomeriggio chiuderanno gli incontri nello studio della Vetrata i presidenti emeriti Cossiga, Scalfaro e Ciampi. Poi Napolitano potrebbe prendersi un giorno per riflettere. La scelta più probabile è quella di un incarico esplorativo al presidente del Senato Franco Marini per cercare di trovare un punto comune tra le forze politiche su una nuova legge elettorale partendo dalla prima bozza Bianco. Una missione quasi impossibile per motivi numerici (quali i voti di questa maggioranza?) e non solo: Verdi e Pdci non ci stanno a farsi uccidere da un proporzionale con soglia di sbarramento al 5%. Allora meglio andare al voto. Per loro, in fondo, c'è sempre la chance di confluire nella Cosa Rossa. Accanto all'incarico a Marini è tornato in quota oggi anche l'ipotesi di un governo Amato che avrebbe in agenda, oltre alle riforme, anche la prosecuzione delle misure economiche tra cui la distribuzione dell'extragettito. Con quali voti? Il trasformista Dini ha già fatto sapere che ci sta e con lui i lib-dem. E voti preziosi potrebbero arrivare dagli Udc Bruno Tabacci e Mario Baccini.
Dopo Miseria e Nobilità e a pochi giorni da La Grande abbuffata di mortadella in Senato il regista Ollio De Ricino presenta in anteprima su YouTube Mortazza Tua, il nuovo horror tratto da una storia «drammaticamente vera». Ogni riferimento a senatori realmente eletti è quindi chiaramente esplicito. Mortazza tua, prossimamente nei peggiori seggi elettorali, è il film che mostra tutto il trash dell’Italia contemporanea. L’Italia che non si accontenta più di abbuffarsi a casa propria ma si abbuffa in piena seduta al Senato della Repubblica. Mortazza tua è il film che chiude i conti con l’Italia degli spaghetti e del mandolino e manda sul grande schermo globale la novelle cucine italiana fatta di mortadella e champagne. Insomma basta vedere il trailer del nuovo colossal della commedia all’italiana per definirlo il miglior horror di tutti i tempi.
Più che horror però, lo stile documentaristico del film lo iscrive di diritto al lungo filone dei film di denuncia. E la denuncia è chiara. Questo, infatti, è il post più recente comparso su YouTube dopo la caduta del Governo Prodi. Ma scorrendo con il mouse fino al fondo più nero della pagina si può vedere in ordine sparso cosa sta a denunciare. Per colpa della caduta del Governo Prodi anche a YouTube salgono i triogliceridi e vengono i brividi. Perché laddove c’erano video di pungente sarcasmo ora c’è la miseria dell’abbuffata, alla nobiltà del gioco delle parti si sostituiscono grasse mortadelle e al posto dell’ironia si insinua il più volgare sfottò.
E allora troviamoAddio Mortadè!, Ciao Mortadella,la mortadella è scaduta. In alcuni di questi post, senza neanche una briciola di vergogna, la mortadella dei senatori è presa ad esempio del lecito festeggiamento. Per non parlare del caso in cui da Mortadella si passa a Merderella, il tutto colorato sempre dalle immagini dei senatori d'osteria. Insomma, c’è qualcuno che ha pensato bene di emulare virtualmente l’orrore del Senato. Ma questo è YouTube, signori, specchio del mondo, dei senatori, nel caso specifico. E se la volgarità passa in Senato non c’è motivo perché non arrivi sul grande schermo.
YouTube però è anche storia. E la storia entra con Lambrettarossa e il suo post di sintesi dei venti mesi del Governo Prodi. La Storia non fa sconti ma aggiunge una morale della «favola». «Si può anche ridere se si vuole». Si può ridere di un «traditore in meno», delle torte in faccia tra gli esponenti della vecchia maggioranza, di Berlusconi che si sente rinato, perché se si sorride la vita sarà più gradevole. Ma lambretta avverte: «non si può ridere proprio di tutto. Spesso si confonde il serio e il faceto, quello che deve far ridere e quello su cui non si deve ridere. E oggi facciamo davvero tanta confusione su ogni cosa».
Pubblicato il: 28.01.08 Modificato il: 28.01.08 alle ore 19.45
ROMA (15 gennaio) - Le autorità afghane hanno deciso di vietare il film Il cacciatore di aquiloni, tratto dal bestseller di Khaled Hosseini ambientato proprio in Afghanistan. La decisione è stata presa per via di alcune scene definite "inaccettabili", che potrebbero «incitare alla violenza». Il film è uscito il mese scorso negli Stati Uniti, prodotto dalla Paramount Vantage, dopo alcuni rinvii per le preoccupazioni sorte a causa delle scene di uno stupro di un bambino e di conflitti tra membri di tribù pashtun e hazara. A dicembre la casa di produzione, terminate le riprese del film in Afghanistan, era stata costretta a far uscire dal paese i tre bambini protagonisti nel timore di ritorsioni. ritorsioni. I tre si trovano ora negli Usa.
«Sulla base delle istruzioni date dal ministero dell'Informazione e della Cultura, il Cacciatore di aquiloni è messo al bando - ha detto all'agenzia Reuters, Latif Ahmadi, direttore dell'organismo statale Afghan Film - Certe scene sono discutibili e inaccettabili per alcune persone e potrebbero provocare reazioni e problemi per il governo e la popolazione». La proibizione non impedirà la circolazione del film in Dvd pirata. I cinema afghani sono pochissimi, solo nelle grandi città, e poco frequentati.
Il Cacciatore di aquiloni (edito in Italia da Piemme; l'anno scorso dello stesso autore è uscito Mille splendidi soli), sullo sfondo di trent'anni di violenta storia afghana, attraverso l'invasione sovietica degli anni Ottanta e l'ascesa dei Taleban al potere nel 1996, racconta l'amicizia tra due bambini, Amir, figlio di una ricca famigila pashtun, e il figlio del suo servitore hazara, Hassan. Quest'ultimo viene violentato da un teppista pashtun, senza che l'amico intervenga in sua difesa. Una scena che è condannata come anti islamica. Un altro bambino è costretto a esibirsi in un ballo erotico per un dirigente Taleban. Il padre dell'attore che interpreta Hassan aveva dichiarato a suo tempo di non essere stato informato che ci sarebbe stata una scena di stupro e, una volta scoperto il fatto, aveva chiesto venisse tagliata. «La gente in Afghanistan non capirà che si tratta di finzione», aveva detto il padre. Il bambino ha avuto un compenso di 10 mila dollari per interpretare Hassan, una somma notevole in Afghanistan.
IL RACCONTO.Prime proiezioni per "Biùtiful cauntri" documentario shock sull'ecomafia in Campania
Quelle campagne di camorra e diossina dove i bimbi giocano tra carcasse di agnelli
Tonellate di veleni scaricate nei terreni e nelle falde idriche da industriali senza scrupoli, soprattutto del Nord
di CONCITA DE GREGORIO
Raccolta di verdure coltivate vicino all'inceneritore di Acerra
C'E' una scena, in "Biùtiful cauntri", in cui due bambini giocano con le carcasse degli agnelli. Non è proprio chiaro se stiano giocando o se li stiano trascinando per buttarli via con una familiarità tale, tuttavia, che sembra giochino: li agitano tenendoli per le zampe come fossero bambole di stracci, li fanno volare, ridono. Gli agnellini sono candidi e minuscoli. Sono morti per eccesso di diossina nel sangue. Un camion passa la sera e raccoglie di casa in casa, di baracca in baracca questo particolare tipo di rifiuti: gli animali morti.
Il camion che ritira i sacchi con gli agnelli di Patrizia e Mario è già carico: ha due bufale, dentro. Morte per diossina, appena raccolte lungo la strada. In una scena di poco successiva la madre prepara ai figli dei panini bellissimi a vedersi: pane, prosciutto crudo e mozzarella. Il prosciutto sembra di velluto, la mozzarella a tagliarla rilascia il suo latte. La telecamera indugia con lo zoom. I bambini sono felici. Che bei panini. Saranno di certo buonissimi. La famosa mozzarella di bufala campana: "Femos in de uord".
Se l'Italia non fosse l'Italia ma un paese minimamente reattivo, se gli italiani andassero a vedere i documentari anche quando non sono di Michael Moore, se la televisione comprasse i diritti e mandasse in onda lavori come questo al posto delle gare di pacchi e se poi col satellite "Biutiful cauntri" arrivasse in Europa e nel mondo anche un qualunque spettatore tedesco, inglese, anche un giapponese pronto a partire per le vacanze a Pompei rinuncerebbe e penserebbe quello che pensiamo noi in questo preciso istante: che la mozzarella campana non solo non bisogna pagarla più delle altre ma non bisogna proprio mangiarla più e speriamo che non faccia troppo male quella mangiata finora.
Vediamo, poi, se il crollo del mercato alimentare e del turismo potranno quel che vent'anni di politica non hanno potuto. Di ricotta e mozzarelle si muore dicono le immagini limpide e asciutte del film, perché questo è un posto dove la camorra con la complicità dei politici locali e degli imprenditori di tutto il paese (hanno accento del Nord tutte le voci intercettate nelle telefonate) ha scaricato per anni sul terreno, nei fiumi, nei tombini aperti col piede di porco e quindi nelle fogne, nei fiumi e nei campi tonnellate di amianto. cobalto, alluminio, arsenico, milioni di quintali di sostanze tossiche e proibite che le stesse voci del Nord (ridendo, quasi sempre, al telefono) annunciano di aver appena spedito perché siano seppellite "alla cifra convenuta" e senza dare nell'occhio con le popolazioni che poi "rompono le palle".
Che seccatura tutti questi che prima di essere avvelenati "rompono le palle" invece di morire in silenzio come le pecore. Ecco: tonnellate di metri cubi di percolato nerastro e velenoso che hanno infiltrato la falda acquifera (i contadini lo sanno; infatti nel film annaffiano le piante con l'acqua minerale) e i campi dove si coltiva la patata doc di Acerra, i pomodorini che al mercato di Torino si vendono più cari perché vengono dalla terra del sole, i finocchi e l'insalata.
Allora: le mucche, le bufale e i vitelli che pascolano accanto alle discariche muoiono per la diossina. Le discariche sono ovunque, prevalentemente abusive. Le persone che mangiano quelle mozzarelle, per esempio i bambini del film così contenti del panino, hanno una fibra più forte degli agnellini e non si accasciano sulle zampe, non restano accucciati agonizzanti per giorni ma non è che non si avvelenino: si avvelenano anche i bimbi. Per le persone non c'è un camion che passi a prenderle la notte: gli ospedali, però, sono pieni. Il puzzo nell'aria non è solo puzzo: è veleno, qui si muore di tumore.
Esmeralda Calabria (debutto alla regia, ha lavorato al montaggio con Moretti, Placido, Piccioni, Archibugi), Andrea D'Ambrosio (suo il documentario "Pesci combattenti" sui maestri di strada) e Peppe Ruggiero (curatore del rapporto Ecomafie di Legambiente Campania) sono gli autori del documentario che ha avuto al Festival di Torino la menzione speciale della giuria e che si proietta stasera al cinema Modernissimo di Napoli, domani al Nuovo Sacher di Roma, serate solo a inviti.
Nelle sale dovrebbe uscire entro febbraio, ma non bisogna dare niente per scontato: in fondo si parla pur sempre di politica corrotta e di camorra, ci sono voci e volti di tutti, il sostituto procuratore di Santa Maria Capua Vetere, l'Impregilo di Cesare Romiti raccontata per filo e per segno, l'incredibile appalto che ha avuto e chi glielo ha dato, ci sono le voci delle vittime e dei carnefici e non tutti parlano con lingua del posto, c'è l'elenco dei sette commissari straordinari in tredici anni e c'è anche Bassolino.
Ci sono le immagini, principalmente. Ci sono quelle nuvole nere quei sacchi che figliano liquame a terra: le immagini quando le vedi non te le dimentichi più. Come i bambini che giocano tirandosi addosso le carcasse degli agnelli morti. Poi hai voglia ad ingaggiare pubblicitari all'ente del turismo, hai voglia a spruzzare tre volte al giorno deodorante con gli elicotteri. Se se ne accorgono all'estero addio export di mozzarella. Bisognerà mangiarla noi o magari mandarla in Africa con una missione umanitaria. Scriverci sopra made in Italy, però: e biutiful cauntri.
Intervista a Esmeralda Calabria, Andrea D’Ambrosio e Peppe Ruggiero, autori di «Biùtiful cautri», documentario su i crimini ambientali in Campania. Da Carta n°45 del 2007
Per ora ha ricevuto una menzione speciale al Festival di Torino «per il raggiunto equilibrio tra impegno e rigore espressivo», e non è poco. «Biùtiful cauntri», il documentario che racconta i crimini ambientali che da oltre quattordici anni subisce la Campania, è partito bene, anche se è ancora in attesa di un distributore con un po’ di animo.
Il film è una fotografia reale e cruda di anni di violenza indisturbata subita dai cittadini, che svela la barbara attività dell’ecomafia. Qui non troverete pistole e proiettili ma rifiuti tossici, cave abusive, diossina, scarti velenosi di fonderia, allevatori che vedono giorno dopo giorno morire le loro pecore avvelenate da terreni malsani, cittadini che coltivano pomodori e pesche e che allevano bufale contaminate dal percolato che trabocca dalle discariche vicine. A girarlo e sceneggiarlo, nell’ormai tristemente famoso «triangolo della morte» [Afragola, Giugliano, Acerra, Qualiano e Villarica], così chiamato per l’altissima incidenza di tumori, sono stati i «filmaker» Esmeralda Calabria, Andrea D’Ambrosio e Peppe Ruggiero. Li abbiamo incontrati per discuterne.
Una delle cose che colpisce del documentario è che ormai è diventato «naturale» che a nuova discarica corrisponda la militarizzazione del territorio.
Peppe Ruggiero: L’esperienza del passato ha dimostrato che qualsiasi cosa ha fatto lo Stato in Campania per l’emergenza rifiuti è fallita. Questa gestione ha portato complicazioni sia dal punto di vista tecnologico, sia dal punto di vista sociale, ma anche e soprattutto danni ambientali. Questa situazione ha portato alla sfiducia dei cittadini, specialmente dopo tredici anni di commissariamenti. L’errore principale è stato quello di non avere mai cercato la concertazione con la popolazione, che è quella che subisce i danni in prima persona: le scelte, invece, calano dall’alto, come con la militarizzazione appunto. Ancora oggi la scelta dei siti avviene senza che la popolazione sia ascoltata. Pensiamo alle ultime dichiarazioni del prefetto Pansa, che dice che laddove ci dovessero essere altre proteste lui userà la forza.
Esmeralda Calabria: è indubbio che ci sia una militarizzazione del territorio, che è stata giustificata in nome della «risoluzione del problema». Quello che fa impressione è che il concetto che si vuole fare passare è quello che «si sta difendendo la proprietà dello Stato». Come se la cosa non riguardasse noi tutti.
La chiamano «emergenza Campania», come se il problema di quel territorio dovesse rimanere «locale». Nel documentario è forte il messaggio che questa «emergenza» è di tutti, che ci riguarda da vicino.
Andrea D’Ambrosio: è chiaro che la Campania è la punta dell’iceberg. È il territorio più abbandonato, dove tutto sembra «normale». Il problema riguarda però tutto il paese, perché i prodotti agricoli campani contaminati dalla diossina vanno a finire sulle tavole della Romagna, della Lombardia, ad esempio. Abbiamo cercato di far venir fuori anche il «connubio» tra nord e sud, attraverso le intercettazioni telefoniche che testimoniano il traffico illecito dei rifiuti e in cui si ascoltano diversi imprenditori del nord che sversano i rifiuti delle loro industrie nel territorio campano, ma non solo.
Come funziona il ciclo dei rifiuti tossici? Partono tutti dal nord?
Peppe Ruggiero: Sono quasi tredici anni che esiste, questo fenomeno, e nell’arco del tempo sono cambiate sia le metodologie che le rotte. Ovviamente la rotta principale è quella che va dal nord verso il sud, cioè verso la Campania, che è la parte terminale del ciclo. Ma piano piano il fenomeno si sta allargando: Basilicata, Molise, Puglia, tutte zone vicine alla Campania, con la Toscana che è diventata il centro di smistamento. Oggi non c’è regione che non sia colpita dal traffico illecito, tranne la Val D’Aosta. In più, si sta intensificando una rotta interprovinciale, cioè all’interno della stessa regione. Se prima zone come l’avellinese o il beneventano erano immuni da questo fenomeno, le indagini della magistratura invece rivelano che sono state colpite.
Parlando con le persone che vivono quotidianamente il problema dei rifiuti in Campania vi siete fatti un’idea di come si possa uscire da questa situazione?
Andrea D’Ambrosio: Ho la sensazione che non se ne uscirà mai. Ovunque guardi non vedi una via d’uscita. Questa è la mia opinione personale.
Peppe Ruggiero: Questa è la sensazione che ognuno di noi ha parlando con la gente. Penso che siamo arrivati a un impazzimento totale. Già continuare a parlare di «emergenza» non ha senso. L’«emergenza» ha un inizio e una fine. La fine dell’«emergenza» in Campania scade il prossimo 31 dicembre, ma sicuramente ci sarà l’ennesima proroga. È un circolo vizioso, c’è la sfiducia della gente e la sfiducia anche nella tecnologia, perché tutti gli impianti che sono stati costruiti sono obsoleti. La stessa speranza nella raccolta differenziata è scemata, quando la popolazione vede che il materiale raccolto viene buttato nello stesso contenitore o nella stessa discarica. D’altra parte, però, non possiamo rassegnarci e dire che una soluzione non c’è.
Esmeralda Calabria: è impossibile dire come si risolverà la situazione in Campania senza pensare a come si risolverà in Italia. La Campania è lo specchio di una mentalità e di un modo di governare italiano, per cui nel momento in cui si fa un bando di gara e partecipano le più grosse imprese e vince quella con l’offerta economica più bassa, ma anche quella con l’esperienza tecnologica inferiore rispetto alle altre, capisci che non si vuol fare il bene della comunità. Nel documentario c’è una frase di un contadino che dice «ci vuole la distruzione terreste», come per dire quello che si dovrebbe fare «tabula rasa» e ricominciare da zero. Perché se non cambiano le persone, se non ci sono delle persone oneste che abbiano a cuore il bene di tutti e, soprattutto, se non c’è un ricambio generazionale, le cose non potranno cambiare. Poi c’è anche un’altra cosa sconcertante. Non c’è nessuno che neghi questa situazione. È un dato di fatto accettato da tutti. Addirittura dalle istituzioni. Un esempio è la relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti del 2006. Ne abbiamo usato dei pezzi per non utilizzare una voce fuori campo e lì si illustra esattamente qual è la realtà. È tutto documentato. Tutti sanno ma tutto resta immobile.
Scheda tecnica
Regia: Esmeralda Calabria, Andrea D’Ambrosio, Giuseppe Ruggiero Fotografia: Alessandro Abate Montaggio: Esmeralda Calabria Musiche: Paranza Vibes Produzione: Lumière & Co.
Nazione: Italia Anno: 2007 Durata: 73 min. Caratteristiche tecniche: DVcam – Colore
Ho chiesto alla scrittrice e regista Mela Tomaselli, attenta conoscitrice del Kenia, dove ha soggiornato e di cui ha scritto, una sua opinione su quanto sta accadendo in quella Terra in queste ore. A Milano, nel mese di ottobre dello scorso anno Tomaselli ha presentato il film documentario Il sogno di Caleb, per la regia sua e di Elena Bedei. Nel film si parla del ragazzo keniano Caleb, della sua vita in uno degli slums fuori Nairobi, delle circostanze che lo hanno portato poi in Italia dove ha avuto un momento di successo.
Mela Tomaselli non è in grado di sapere cosa stia accadendo in queste ore al ragazzo come agli amici di lui che lei ha conosciuto e che sono stati protagonisti del film. La sua ansia è molto forte.
G.P. - Ciò che sta accadendo in Kenia ti sorprende? Ogni volta che si manifestano tumulti gravi in una regione dell'Africa – ma non solo Africa, certamente tuttavia soprattutto)… la gente occidentale appare come còlta di sorpresa tale è la non conoscenza che si ha di questo continente, delle sue dinamiche sociali e politiche (colpa senza dubbio anche molto dei media che tacciono di loro). Ho pensato di chiedere a te che so conoscere da anni il Kenia per aver studiato i suoi costumi e tradizioni, proponendoli con i tuoi libri e per aver fatto conoscere attraverso il film documentario "Il sogno di Caleb" la vicenda dei giovani keniani Caleb e suoi amici, e per l'aver soggiornato in Africa e conosciuto gli slums di Nairobi…di chiederti se ti fai una ragione, tu, di quando di grave si è messo in movimento: della follia sanguinaria di queste ore.
M.T. - No, non mi sorprende affatto, perché cosa resta ai poveri della terra a cui è negata ogni voce se non l'accondiscendere al fuoco e al sangue per gridare l'ingiustizia? E' il non aver più niente da perdere che genera la violenza che a noi sembra insostenibile... ma che bisognerebbe contestualizzare, senza moralismi e paternalismi.
Quello che bisogna tenere presente, è che quando si innestano ragioni politico-economiche su questioni storiche irrisolte come in questo caso quelle etnico-tribali, è il buon senso dei referenti politici come il presidente Kibaki e il candidato dell'opposizione Odinga che dovrebbe prevalere.
Ma come sempre nessuno lascerà l'osso, perché mostrerebbe una debolezza che pagherebbe cara, specialmente il candidato dell'opposizione che ha raccolto la speranza di tutti i diseredati (pur non essendo un eroe positivo) non solo del suo gruppo etnico ma di tutte le altre ertnie, stanche dei soprusi dei Kikuyu, etnia del presidente, non solo di quello attuale ma anche del primo della repubblica del Kenya dall'Indipendenza, Jomo Kenyatta, che nel 1967-68 si insediò dopo una discussa e sospetta uccisione del candidato favorito di allora, Ronald Ngala, dell'etnia Giriama. La storia non fa sconti e i nodi tornano al pettine.
Mi stupisce che nella provincia della costa del Kenya, ad esempio, dove ho cominciato a conoscere e respirare le contraddizioni etniche, anche se erano solo potenziali e vissute con tolleranza e pacifica ironia, l'incendio non sia ancora dilagato! I Kikuyu lì si sono insediati portando via pian piano lavoro e posti chiave alle etnie della costa. D'altronde i Kikuyu erano più scolarizzati, più “civilizzati”, mentre i gruppi della costa sembravano meno portati ad aggiornarsi e a “deruralizzarsi”. Di conseguenza si è impiantata nell'anima dei nativi dell'area un fastidio per i Kikuyu.
Ma a livello nazionale c'è un antefatto recente, il referendum su una nuova costituzione proposta dal Presidente Kibaki alla fine del 2005, che aveva sancito una vittoria schiacciante degli “Orange”, il movimento d'opposizione al governo contro i “Banana”, rappresentato dalla coalizione del governo. La nota curiosa è che tra gli Orange c'erano anche sette ministri del governo!
Già in questi due movimenti contrapposti si era creata la situazione di oggi. Nonostante infatti gli Orange avessero vinto, il presidente Kibaki non solo non ha preso atto della sua sconfitta ma ha espulso i sette ministri dal suo governo.
Peraltro il referendum poneva anche la questione della proposta “indecente” del Presidente di rinviare al 2010 le elezioni di oggi. Questo responso del referendum non l'aveva potuto ignorare.
Dal mio modesto parere tutto quello che sta succedendo è purtroppo una naturale conseguenza di tutta una serie di sbagli enormi fatti dal Presidente Kibaki, di cui ho citato solo gli esempli più eclatanti.
Dall'altra parte Odinga e gli altri ministri alleati della sua coalizione stanno pericolosamente cavalcando una situazione di scontento e disperazione, senza avere quei requisiti di traparenza e onestà di intenti che vorrebbero far credere.
D'altronde sembra che il potere offuschi l'etica, e non solo in quel continente... (...scagli la prima pietra...)
Per questo bisognerebbe giudicare senza il paternalismo tipico di noi occidentali.
G.P. - Ho immaginato da subito la tua grande apprensione di queste ore. Le tua parole, oltre a dare preziosi elementi di conoscenza, mi fanno ulteriormente riflettere sull'abisso di ignoranza dell'occidente. C'è un'altra cosa che voglio chiederti: Io ho asccoltato ieri alla radio una intervista a padre Kiziko, che so tu conosci bene, una intervista a radio 24, (rintracciabile nel sito della radio) in cui egli diceva - tra altre cose - di non essere paragonabile il conflitto etnico presente in Kenia a quello del Rwanda, che non c'era un simile clima in Kenia…; E mi sono domandata, alla luce delle notizie che ci vengono date negli aggiornamenti da laggiù - se le sue parole fossero una specie di ‘scaramanzia', se riflettessero davvero il suo pensiero. Penseresti così anche tu, che abbia voluto dare una immagine non drammatica oltre il dovuto forse chissà pensando che già molteplici sono le inessattezze dei media e a volte le amplificazioni di tipo sensazionalistico…Una strana interpretazione la mia?
M.T. -Io non conosco il Rwanda se non dai racconti di alcuni volontari incontrati a Kivuli, andati in «vacanza» in Rwanda nel 2005, già diverso tempo dopo il periodo di orrore. Quello che risaltava dalle loro descrizioni era lo stupore per aver trovato un paese tranquillo e verde.
Alla luce di questo sembrerebbe che un paese e un popolo possano trasformarsi repentinamente, basta si creino fatalmente le pericolosi condizioni… come in tanti gesti di follia nostrana di famiglie che abbiamo sentito nei nostri telegiornali descritte come «così normali»…
Penso che Padre Kizito (Padre Renato “Kizito” Sesana, nella foto a sx) abbia visitato il Rwanda e faccia dei paragoni con cognizione di causa. Io so solo che anch'io ho avuto sempre un'impressione di tolleranza e di grande capacità di convivenza tra le genti del Kenya nonostante tante lingue, etnie e religioni. Dunque capisco come Padre Kizito, che ci vive e in particolare in uno slum, non possa capacitarsi di ammettere un paragone con le vicende del vicino Rwanda, e condivido pienamente.
Non ho condiviso invece la sua prima lettura degli eventi, nell'intervista rilasciata a Radio Popolare il 31, quando non ammetteva ci potessero essere stati brogli nello spoglio delle schede elettorali, ritrovate in numero maggiore dei votanti stessi… e più di 80 seggi conquistati in Parlamento dall'opposizione contro la trentina della coalizione del Presidente non giustificano una maggioranza di voti per il Presidente.
Quanto al sensazionalismo dei nostri mass media accompagnato al silenzio e all'ignoranza… beh si sa che il sensazionalismo dipende dal fatto che ci siano in questo momento tanti italiani in vacanza in Kenya, persino alcuni vip del nostro mondo politico! Anche le conseguenze dell'onda anomala non avevano impressionato per la presenza di tanti occidentali?
Elena Bedei Tel.(39) 339 7740769 elena.bedei@fastwebnet.it
Sinossi: Con la semplicità dei suoi 14 anni, di cui 10 passati in strada, Caleb Onka annuncia attraverso una radio di Nairobi la sua personale campagna elettorale. Il discorso viene sentito da un rapper, Flavour Polle, che lo trasforma in un motivo trascinante. Un anno dopo, in Italia, la canzone rappresenta il Kenya allo Zecchino d’Oro. Agli inizi del 2007 la canzone torna in Kenya, anno di campagna elettorale, rappresentando il Parlamento Mondiale dei Bambini al World Social Forum di Nairobi.
Elena Bedei
Regista e montatrice, sin dal 1974 si interessa particolarmente di documentazione sociale in Africa. Svolge anche il ruolo di formatrice in tecniche di ripresa e montaggio in progetti finanziati dalla comunità europea. Dal 1978 al 1999 è autrice, giornalista e regista di mini-fiction, servizi e programmi tv per Rai, Antenna 3 e Canale 5. Dal 1999 dirige i documentari prodotti dalla sua casa di produzione, la Eblab Filmstudio.
Filmografia
1974 - Ololaha, I nomadi in Somalia, doc / 1975 - A braccia incrociate, doc / 1984 – Ah Elisa, cm / 1985 - I bambini degli altri, cm / 1995 – Emmaus, doc / 2000 – Ritratti d’artista, doc / 2001 – Tedgré, doc / 2002 – La guerra di Claudio, doc / 2004 - Al Amari Social Club, doc / 2005 - Zoumana la star, cm / Bebé a risque, cm / Il sogno di Caleb, doc
Esce «LOOK», pellicola denuncia contro l'invasione delle privacy
Il regista: «Negli Usa 30 milioni di telecamere catturano l’immagine di un americano 200 volte al giorno»
WASHINGTON -«Trenta milioni di telecamere di sorveglianza negli Stati Uniti catturano l’immagine di un americano medio almeno 200 volte al giorno». È questa la frase di lancio, che suona come un vero e proprio allarme sociale, di Look, il provocatorio film di Adam Rifkin, uscito negli Usa il 14 dicembre, in cui si rivelano i pericoli per la privacy insiti nel sempre più frequente e invadente voyeurismo elettronico autorizzato. Banche, strade, supermercati, autovelox e molti altri obiettivi digitali sono pronti a rilevare ogni movimento anche nelle città europee, ma in molti Stati americani, come l’Iowa, si arriva anche ad eccessi, denuncia il filmmaker, spesso sconosciuti alle stesse vittime, come la registrazione all’interno di cabine di prova dei negozi di abbigliamento o nei bagni pubblici. Senza contare che oltre a scorrere sotto gli occhi degli addetti alle sicurezza, le azioni degli inconsapevoli attori, finiscono spesso su Internet.
TUTTO INIZIA PER UNA MULTA -L’idea del film è venuta al regista quando ha ricevuto una multa per essere passato con il rosso: nella foto allegata appariva mentre era intento a cantare a squarciagola una canzone. Così Rifkin si è messo alla ricerca dei luoghi reali in cui ambientare il suo film e ha sostituito le vere telecamere di sicurezza con videocamere ad alta definizione, in grado però di riprendere in maniera nascosta. A questo punto ha messo in scena le sue storie, affidate ad attori professionisti: un insegnante che cerca di essere un buon marito, il direttore di un negozio che utilizza il magazzino in maniera impropria, un avvocato alle prese con un problema sessuale, e due fratelli che cercano di rovinare la giornata a dei perfetti sconosciuti. Nel tentativo di far riflettere il pubblico sulla minaccia costante cui la privacy è sottoposta, Rifkin non ha rinunciato alla provocazione di fare entrare nel film come comparse le persone che per caso venivano inquadrate. E con un’operazione definita di «guerriglia cinematografica», ha girato molte scene, come quella di sesso nel parcheggio di una scuola media, senza avvertire nessuno.
Franco Gondrano 14 dicembre 2007(ultima modifica: 15 dicembre 2007)
Marjane. Una bambina, un’adolescente, una giovane donna. Come tante ma con una differenza: è iraniana.
Animazione di qualità per una donna in difesa della dignità femminile
Teheran, 1978: Marjane, otto anni, sogna di essere un profeta che salverà il mondo. Educata da genitori molto moderni e particolarmente legata a sua nonna, segue con trepidazione gli avvenimenti che porteranno alla Rivoluzione e provocheranno la caduta dello Scià.
Con l'instaurazione della Repubblica islamica inizia il periodo dei "pasdaran" che controllano i comportamenti e i costumi dei cittadini. Marjane, che deve portare il velo, diventa rivoluzionaria. La guerra contro l'Iraq provoca bombardamenti, privazioni e la sparizione di parenti. La repressione interna diventa ogni giorno più dura e i genitori di Marjane decidono di mandarla a studiare in Austria per proteggerla.
A Vienna, Marjane vive a 14 anni la sua seconda "rivoluzione": l'adolescenza, la libertà, l'amore ma anche l'esilio, la solitudine, la diversità.
Sono rari i film di animazione in grado di far percepire al pubblico le difficoltà dell'esistenza di chi li ha ideati. Spesso impegno in difesa dei diritti e qualità grafica non convivono. In questo caso il connubio è perfettamente riuscito. Marjane Satrapi è riuscita a trasformare i quattro volumi di fumetti in cui raccontava, con dolore e ironia, la propria crescita come donna in un Iran in repentina trasformazione e in un'Europa incapace di accogliere veramente il diverso, in un lungometraggio di animazione di qualità.
Ha anche un altro merito che le va attribuito: è riuscita a sfuggire alle sirene hollywoodiane che la volevano sedurre con la proposta di film in cui Jennifer Lopez sarebbe divenuta sua madre e Brad Pitt suo padre. Ha tenuto duro e ne è nata un'opera in bianco e nero (con lampi di colore) capace di raccontare un'infanzia e un'adolescenza al femminile comune e differente al contempo. Comune perchè tante giovani donne si potranno ritrovare nel suo percorso di crescita. Differente perchè la donna in Iran è (per chi ha dettato e detta le leggi) meno donna. Per una volta ci venga concessa una citazione diretta: vedere questa giovane regista non riuscire più a trattenere le lacrime nel corso di una standing ovation durata 15 minuti a Cannes dava la misura della difficoltà di una vita ma anche della necessità di non dimenticare lo springsteeniano "No retreat no surrender".
"Ci ammazziamo come cani perchè crediamo in Qualcosa di diverso, ma questo maledetto Inferno resta uguale per tutti" - Tadija Mrkonijc- sopravvissuto - Sarajevo '92 Un film-documentario per raccontare il dramma di una delle guerre più crudeli che siano mai state combattute dall'uomo: Ex-Jugoslavia 1991-1995. Tre popoli e tre religioni, gli uni contro gli altri, nel nome del proprio Dio. Un film per non dimenticare quello che a distanza di soli 10 anni potrebbe accadere di nuovo. "Nel Suo Nome" è il racconto di una storia vera.
"Emozionante e Bellissimo" - Il Resto del Carlino
"Picchiano con il calcio del fucile alla nostra porta. C'è un uomo alto, senza capelli con la barba grigia ed una fascia verde al braccio. Dietro di lui due ragazzi giovani, armati. Guarda me, guarda i miei bambini. Poi sorride. "Fuori. Per favore. " I miei bambini cominciano a piangere. "Andrà tutto bene... andrà tutto bene" continuo a ripetere loro. Ma Dio solo sa cosa ci attendeva oltre la porta."
XXII FESTIVAL DEL CINEMA LATINO AMERICANO Concorso Arcoiris TV - Premio del Pubblico in Rete
Ambientato a Milano, il film racconta, in due periodi diversi, la storia sentimentale tra due sorelle di origine sri-lankese e due fratelli italiani. Scorrendo tra il mondo studentesco e la collettività sri-lankese, dove la diversità non rappresenterà mai un ostacolo nelle vicende dei protagonisti, il film conferma che oggi l'integrazione tra i giovani appartiene alla realtà. Maya, la protagonista, una studentessa universitaria che vive da sola, scrive una lunga lettera in cui parla dell'amore ad una persona con la quale non ha mai avuto un gran dialogo: il destinatario rimarrà sconosciuto fino alla fine del film.
Il suo racconto procede in parallelo con le vicende che vive: i capitoli della lettera-libro sono, infatti, quelli che intitolano le sequenze delle scene. Maya ha una sorella, Zoe, carica di problemi adolescenziali. Nei tre giorni in cui si trasferirà dalla sorella, Zoe riuscirà finalmente a conoscere l'anima gemella, Gabriele, e Maya farà la conoscenza di suo fratello, Riccardo: differenti caratteri e diversi modi di vivere l'amore.
Regia: Johnny Dell'Orto
Sceneggiatura: Iresha Totaro
Fotografia: Marco Gordon
Montaggio: Claudio Cipelletti
Musica: Simone Chivilò, Oscar Angiuli, Marco Meazza
Suono: Marco Meazza
Interpreti: Iresha Totaro, Indra Totaro, Alberto Torquati, Riccardo Mestolini, William Angioli, Iroma Fernando, Ennio Orazi, Elena Montessori, Piepaolo Brunoldi
Pochi giorni fa il primo ciak in Toscana. L'appello: «Tagli tre metri di pellicola»
Film sulla strage di Sant'Anna
Il regista accusato di revisionismo: fu atto premeditato, non rappresaglia
SANT'ANNA DI STAZZEMA (Lucca) — Il primo ciak è di pochi giorni fa, nelle sale cinematografiche uscirà tra un anno e la sceneggiatura, già scritta con la consulenza di storici dell'Università di Pisa, è ancora top secret, almeno nelle pagine più crude e oscure. Eppure «Miracolo a Sant'Anna », il film di Spike Lee sulla strage consumata il 12 agosto del 1944 dalle Ss di Walter Reder (560 morti tra cui donne e un centinaio di bambini), suscita già polemiche, accuse di falsi storici e persino di revisionismo. E alla vigilia della sentenza della Cassazione (stamani a Roma) su quell'eccidio — arrivato al capolinea dopo più di mezzo secolo di colpevole dimenticanza con i fascicoli fatti marcire negli «armadi della vergogna » — si materializzano gli spettri di mai sopite polemiche sul ruolo della lotta partigiana nell'Alta Versilia. A lanciare gli strali sul film del grande regista americano, una sezione versiliese dell'Anpi, amministratori, politici e storici locali. Arrabbiati per una presunta «licenza cinematografica » nella quale lo sceneggiatore, seguendo la trama del romanzo di James McBride (Rizzoli, 2002) al quale si ispira il film, avvalorerebbe la tesi che le Ss fossero a caccia di partigiani. Dunque non un eccidio premeditato e pianificato, un atto di terrorismo, come lo ha definito il tribunale militare della Spezia, che due anni fa ha condannato all'ergastolo dieci esecutori materiali (ufficiali e sottufficiali oggi anziani pensionati che non faranno un giorno di carcere), ma una strage in qualche modo indotta da una rappresaglia.
«È una ricostruzione cinematografica fasulla, che non tiene conto della realtà storica — accusano Moreno Costa, Enio Mancini e Giovanni Cipollini, della sezione Anpi di Pietrasanta —. È incredibile che ancora oggi si riproponga come causa della strage di 560 civili la presenza dei partigiani a Sant'Anna». E Marco Bonuccelli, capogruppo di Rifondazione alla Provincia di Lucca, scrive: «Pur stimando e apprezzando il cinema di Spike Lee non posso ritenere una "licenza cinematografica" la totale invenzione sulle motivazioni che portarono i nazifascisti a compiere la strage di Sant'Anna. Quindi è necessario, secondo me, stralciare una finzione di questo tipo altrimenti i danni alla memoria e verità storica saranno gravissimi».
Giorgio Giannelli, ex giornalista parlamentare e storico, fa un appello al regista e gli chiede un taglio: «Mi metto in ginocchio e chiedo a Spike di tagliare tre metri del suo film. La strage di Sant'Anna non è un romanzo, fu una tragedia che appartiene alla storia. E un episodio inventato può stravolgere la storia. Il film avrà una risonanza mondiale. Allora tremo a sapere che da Tokyo a New York, da Mosca a Nuova Delhi sia raccontata una storia falsa. La nostra ».
Eppure c'è chi parla di polemiche insulse, strmentali. Come il sindaco di Stazzema, Michele Silicani: «Polemiche che nascono da una sbagliata interpretazione di una scena del film, nella quale un nazista chiede al prete del paese, don Innocenzo Lazzeri che sarà poi trucidato, dove è un inesistente partigiano chiamato Papalla e se ce ne sono altri in montagna ». Una scena, sostiene il primo cittadino, «che non modifica la storia, il valore della Resistenza e soprattutto riafferma che l'eccidio fu premeditato e pianificato come confermato da testimoni e storici. Vorrei rassicurare l'Anpi che i valori della Resistenza non saranno stravolti e sono certo che Spike Lee farà un capolavoro ».
Marco De Paolis è il pm del processo contro la strage. Non vuole parlare del film: «Non è mio compito e comunque un romanzo e un film sono anche opere di fantasia — dice —. Da magistrato che ha indagato su quell'eccidio dico solo che non fu una rappresaglia. I soldati nazisti massacrarono uomini, donne e bambini e fu un atto di terrorismo, pianificato e studiato nei minimi particolari. Deciso dai vertici del comando tedesco come politica del terrore per dissuadere i cittadini ad aiutare i partigiani».
Strage di Stazzema, chiesto annullamento per i tre nazisti
12 agosto del 1944, a Sant’Anna di Stazzema, in provincia di Lucca, gli uomini non c’erano, erano a lavorare nei boschi: le SS arrivarono, rastrellarono ogni casa e trucidarono gli anziani, le donne e i bambini che erano rimasti in paese. Cinquecentosessanta persone morirono così, in quattro ore, fatte fuori da 10 nazisti. Il tribunale militare di La Spezia nel 2005 li aveva condannati tutti all’ergastolo. Ma più di sessant’anni dopo, il procuratore generale vuole scrivere tutta un’altra storia.
Per tre degli imputati, l' ufficiale nazista Gerard Sommer e i sottufficiali Geory Rauch e Karl Glopler, coloro che ordinarono il rastrellamento e l’eccidio, infatti, la condanna è momentaneamente annullata. Il sostituto procuratore generale, Vittorio Garino, ha chiesto un nuovo processo d’appello. Motivo? I quattro soldati semplici che testimoniarono contro i tre militari dovrebbero essere indagati anche loro. Quindi, testimonianza nulla.
«Devo fare quello che mi dice la mia coscienza – ha detto il Pg Garino – nonostante i fatti contestati agli imputati siano gravissimi e raccapriccianti». Mancherebbe, secondo il pg, «la prova della loro presenza fisica a Sant'Anna di Stazzema». E soprattutto, nel processo sono stati «sentiti come testimoni quattro soldati semplici nazisti che parteciparono ai rastrellamenti e che, quindi, dovevano essere ascoltati con le maggiori garanzie riservate alle persone che hanno la qualità di coindagato».
Cavilli giuridici che sbattono la porta in faccia alla richiesta di verità e giusitizia che tutti si attendono dopo sessant’anni. E invece no, ai rappresentanti delle parti civili che si trovavano in aula, dalla Regione Toscana alla provincia di Lucca, dal Comune di Stazzema fino ad alcuni superstiti dell’eccidio, è toccata la pena di dover sentire anche una richiesta di annullamento. D’altra parte, nessuno dei nazisti imputati ha mai espresso alcun pentimento. Solo un soldato, Adolf Beckert, dopo una conversione religiosa, decise di parlare.
La prima sezione penale della Corte di Cassazione emetterà il suo verdetto giovedì mattina. Intanto, però, si sono già scatenate le reazioni del mondo politico e civile. E anche dei sopravvissuti: «Ho testimoniato più volte, adesso lo Stato deve darci giustizia e verità. Solo questo vogliamo, non abbiamo mai chiesto nessun risarcimento». A parlare è Mauro Pieri che quel giorno di agosto del ’44 aveva 12 anni: «Sono stato portato al chiuso – racconta – con mia madre che aveva 35 anni, mia sorella di 10 e i miei due fratelli di 9 e 3 anni: sono sopravvissuto tra i cadaveri solo perchè mi hanno creduto morto. Ho preso una revolverata e otto schegge di bomba. Oltre mia mamma e i fratelli i nazisti mi hanno ucciso 41 parenti». «La verità sulla strage di Sant'Anna di Stazzema è mancata per 60 anni – afferma il sindaco di Sant'Anna di Stazzema, Michele Silicati – adesso è una vergogna che la Procura della Cassazione abbia chiesto di annullare le condanne per i tre nazisti».
«Sconvolti e indignati» anche il capogruppo Prc a palazzo Madama Giovanni Russo Spena e la senatrice Lidia Menapace, ex partigiana.
Pubblicato il: 06.11.07 Modificato il: 06.11.07 alle ore 17.49