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Ricevo comunque questo aggiornamento da Mario – e lo pubblico, anche se con parecchio ritardo:
La guerra è madre di tutte le cose. Divagazioni semiserie di un cuore irriducibilmente anarchico
Dopo la prefazione – poco scherzosa, anche se chiamata “gioco”, di ieri, oggi pubblichiamo il link al capitolo che Mario ha dedicato a Sandro Marcucci. Perché, come si evinceva dal testo precedente, le vittime della strage di Ustica sono più della semplice somma dei passeggeri di quello sfortunato aereo.
Non lo inseriamo per intero: non solo è troppo lungo per un post (e non sarebbe neppure opportuno tagliarne dei pezzi), ma vorremmo così dare la possibilità, a chi non l’avesse ancora avuta, di conoscere qualche tassello dei silenzi su Ustica, raccontato da un testimone. Uno dei pochi, forse l’unico sopravvissuto.
Di lui abbiamo già parlato diverse volte – in quasi tutti i post che riguardano Ustica. E’ stato perseguitato, arrestato, perseguito penalmente… ma, per fortuna nostra e di tutti quelli che vogliono sapere e lottano per la giustizia, può ancora raccontare la verità che nessuno sembra voler raccogliere.
Leggete il capitolo su Sandro, ma leggete anche gli altri: vi farete un’idea di quello che, con queste parole, non siamo sicura di riuscire a far passare.
E, se volete, linkatelo, copiatelo, diffondetelo: è un modo non solo di ricordare e di continuare a chiedere che GIUSTIZIA SIA FATTA e VERITA’ finalmente RIVELATA, ma anche di tutelare la sua voce.
Concludiamo questo appello con le ultime frasi di Mario, dal capitolo su indicato:
“Sandro era solo un Uomo che voleva esclusivamente essere fedele fino in fondo alla sua umanità ed ai valori per cui aveva giurato di essere disposto a dare la vita. Se vi riesce cercate di sentirvi “familiari” di quest’Uomo (quello che il Vangelo avrebbe detto “farsi prossimo”) per sostenere la battaglia di riapertura delle indagini e per riscoprire, allo stesso tempo, quello che Borsellino chiamava il buon profumo dell’onestà contrapposto al puzzo della contiguità che si fa complicità con quei potentati che hanno ritenuto, per la loro sicurezza ed impunità, di strappare la vita a Sandro Marcucci, come agli infiniti testimoni di civiltà e di speranza nella dignità dell’Uomo.”
Per scaricare il documento in formato PDF:
http://www.mariociancarella.altervista.org/
Capitolo 7: Alessandro Marcucci ciccateci sopra e
vi troverete al link: http://wpop4.libero.it/cgi-bin/vlink.cgi?Id=PzrlL5lgcQ3IaGBQbb75Wx059eVQJEAckskx8tZzv1dGt2aTfLHAzBjMX5cQbG5x&Link=http%3A//www.sendspace.com/file/cisia3
Cliccate sopra Download Link: Sandro marcucci copia.pdf
Fatto ciò potete aprire o scaricare il file
Ne parlano anche i blog di Nilde, di Laura e di Rita Atria
Maggio 2002 |
GIOCO PER TENERE IN ALLENAMENTO LA MEMORIA |
Data la lista dei seguenti decessi, trovare le coincidenze |
Parola di Aldo Vincent |
3 agosto '80 Pierangelo Teoldi, Comandante aeroporto Grosseto: incidente stradale 9 maggio '81 - Maurizio Gari, capo controllore Difesa Aerea radar Poggio Ballone: infarto, a 37 anni 20 marzo '87 - Licio Giorgieri, comandante Registro Aeronautico Italiano: ucciso da Unità Comuniste Combattenti 31 Marzo '87 - Mario Alberto Dettori, controllore Difesa Aerea radar Poggio Ballone: suicidio per impiccagione 12 agosto '88 - Ugo Zammarelli, SIOS Cagliari: investito da motocicletta 28 agosto '88 - Mario Naldini e Ivo Nutarelli, piloti: collisione tra velivoli 1° febbraio '91 - Antonio Muzio, Maresciallo torre di controllo Lamezia Terme: omicidio 2 febbraio '92 - Sandro Marcucci, pilota 46a Aerobrigata Pisa: incidente aereo durante servizio antincendio. 2 febbraio '92 - Antonio Pagliara, controllore Difesa Aerea radar Otranto: incidente stradale 12 gennaio '93 - Roberto Boemio, Capo di Stato Maggiore 3a Regione Aerea: accoltellato durante rapina 2 novembre '94 - Gian Paolo Totaro, Maggiore medico: suicidio per impiccagione 21 dicembre '95 - Franco Parisi, controllore Difesa Aerea radar Otranto: suicidio per impiccagione Soluzione: tutti erano in servizio la notte della strage di Ustica 4 aprile 2002 - Michele Landi, consulente informatico per l'omicidio D'Antona e delle procure di Roma e Palermo, confida agli amici di essere a conoscenza di novità su Ustica: suicidio per impiccagione. Non salta all'occhio niente a nessuno? Aldo Vincent Il Gelataio di Corfu' |
sua sede privata
Si è rinnovata, il 15 Giugno scorso, la Sua sconfitta nella temeraria azione giudiziaria che ha voluto coltivare nei miei confronti. Non sono state evidentemente sufficienti le “aderenze” e le “compiacenti disponibilità” di cui Lei gode, a mutare la natura imperfetta della Sua azione giudiziaria, nel tentativo estremo di attribuirmi comunque un marchio di diffamatore.
A Lei non importava che non vi fosse per me il concorso di una qualche pena, in ragione della prescrizione accuratamente coltivata del reato contestatomi; ma che l’operazione Le consentisse comunque di potersi rivalere in sede civile della lamentata diffamazione, e per cifre che mi avrebbero dovuto distruggere indipendentemente dal fatto che io fossi o meno in grado di farvi fronte. Per il resto della vita avrei avuto il suo fiato sul collo qualsiasi cosa “pignorabile” io avessi potuto acquisire.
Ma la soluzione da Lei auspicata era anche tale da offrire una scappatoia qualsiasi e tuttavia definitiva perché le mie dichiarazioni non venissero più ritenute idonee (in quanto provenienti da un conclamato diffamatore) alla persecuzione dei responsabili dei crimini che avevo fin ad oggi denunciato. E che avrei continuato a denunciare; ma con la consapevolezza del limite di credibilità legata al marchio infamante di diffamatore che avrei dovuto portarmi addosso.
Fortunatamente per me, ho trovato un Procuratore Generale intellettualmente onesto che ha dichiarato fin dall’apertura del dibattimento il suo “personale disagio” a sostenere una causa nella quale era stato di fatto inibita all’imputato (io) di poter sostenere in qualsiasi maniera le proprie controdeduzioni. Questo mi rende certo che egli avesse letto la mia memoria e che fosse rimasto sconcertato dalla assenza di deposito (da parte Sua, sig. Generale) di quella mia lettera del 1998 in cui La invitavo a non utilizzare querele fondate su dati artificiosi, ma ad utilizzare ampiamente le accuse che andavo rinnovandoLe in quello scritto. Ma come Le avevo profetizzato nel mio scritto sarebbe stata la definizione del vocabolario di italiano (“pavidità”) ciò che Le avrebbe impedito di raccogliere una limpida sfida di confronto-scontro nella leale rappresentazione delle reciproche posizioni. Quello che una volta era un duello tra gentiluomini.
Ma dovrei forse ricordarLe la risposta che, alle Sue proposte di “accomodamento e di appoggi” in cambio di una defezione dal Movimento Democratico, Le riservò un esponente dei Sottufficiali che Lei certamente si aspettava più incline ad assecondarLa per la notoria cultura di riferimento politico di quel Sottufficiale che guardava alla destra: e parlo di Aldo Stilli. Ricorda come la fulminò dopo la Sua dichiarazione “Sa Stilli io se voglio so anche essere un gentiluomo”? Egli Le rispose: “Mi spiace per Lei Comandante, ma gentiluomini o lo si è sempre, per nascita e per modi di comportamento, o non lo si può diventare a comando o quando faccia solo comodo”. C’erano dunque anche altri fastidiosi oppositori alla Sua policy di comando che non i soli odiati Ciancarella e Marcucci.
E’ stato ancora il Procuratore Generale a ricordare come, di fronte alla sentenza del Tribunale, sarebbe stata necessaria piuttosto la impugnazione in Cassazione che avrebbe consentito la rinnovazione totale del dibattimento, con la conseguente garanzia all’imputato di poter argomentare le proprie controdeduzioni. Ma a Lei ed a quanti hanno tutelato i Suoi interessi, questo aspetto non interessava proprio, anzi avete certamente “brigato” perché quell’appello, sostenuto dall’Ufficio del P.M. contro le sue stesse richieste in sede di primo grado del processo, fosse astutamente e celatamente coltivato fino all’intervento di una prescrizione comunque punitiva per me.
E che l’unico vero obiettivo della causa da Lei propugnata fossi io, come ha ben detto l’avvocatessa del mio coimputato Sgherri, era testimoniata dal fatto che nessuno si fosse dato premura di registrare il decesso dello stesso Sgherri, al fine di stralciarne la posizione processuale, né avesse dato atto della conseguente materiale impossibilità di notificargli la notizia del dibattimento fissato per il 15 Giugno.
Un progetto miseramente fallito, dunque, e che potrebbe avere ora delle spiacevoli conseguenze per il Suo personale interesse.
In questi giorni, in attesa delle motivazioni della sentenza dell’appello, i miei legali stanno infatti valutando la possibilità di essere noi, a nostra volta, a promuovere la richiesta di un riconoscimento di danno materiale, morale ed esistenziale. Non so se ciò sarà possibile, secondo le previsioni del Diritto Positivo e per la natura stessa del proscioglimento intervenuto, ma oltre che augurarmelo ciò è comunque per me fonte di grande soddisfazione, sapendoLa in apprensione. Come lo è il sapere che quegli stessi miei legali hanno già avviato la impugnazione di una radiazione mai notificata, e per di più fondata su un atto presuntivamente firmato dal Presidente Pertini, ma che si palesa come un documento recante una evidente e goffa falsificazione della firma del Presidente.
Mentre restiamo comunque in attesa delle soluzioni possibili a questi due orientamenti giudiziari, e della possibilità che quel Magistrato che ha ancora fra le mani il fascicolo per strage, nella vicenda Ustica (di cui oggi – mentre Le scrivo – ricorre il 27° anniversario) volesse davvero tornare ad indagare sulle responsabilità politico-militari per quella strage (indagine sulla quale non avrebbe alcuna influenza il Suo proscioglimento ottenuto in virtù di imputazioni un po’ “fantasiose”, disgiunte come apparivano da una puntuale descrizione del progetto stragista e dettate da una crisi di coraggio del Giudice Priore) e volesse dunque eventualmente tornare ad ascoltarmi, con maggiore convinzione e determinazione di quelle che animarono il giudice Priore, in attesa di tutto questo con la presente intendo anche farLe due “doni”: il primo è il libro di Hannah Arendt “La banalità del male” ed il secondo è un piccolo “specchietto”.
Il libro, se mai ne avesse avuto conoscenza, è la lunga riflessione che la giornalista ebrea sviluppò – durante il processo al criminale nazista Adolf Eichmann, in Israele negli anni ’60 - sui percorsi di ignobiltà a cui ciascun uomo ordinario può essere indotto dalla passività di fronte alla perversione dei propri superiori, e dalla sua attesa di lucrare interessati privilegi e miglioramenti di posizione funzionale da questo servilismo passivo nelle reazioni di contrasto ed attivissimo peraltro nella realizzazione dei desiderata criminali e criminogeni di quei perversi “superiori politico-militari”.
Sentieri di cui chiunque, nessuno escluso, può subire quella torbida affabulazione, che io ho voluto combattere - a qualsiasi prezzo risultasse necessario pagare - per conservare la mia struttura di umanità e di valori ideali, e che Lei io credo abbia invece assecondato con quella caratteristica che ricordava Sandro Marcucci nella sua ultima intervista: “Conoscevamo benissimo il Generale Tascio, era disponibile a qualsiasi cosa pur di fare carriera”.
C’è sempre per tutti, tuttavia, una possibilità di riscatto, in questa vita e prima che siamo chiamati a rendicontare le nostre azioni all’unico Superiore di ciascuno, Dio Padre. A me fu molto utile la lettura combinata del libro della Arendt e della Bibbia, mentre continuavo a spiare nello specchio gli eventuali sintomi di una mia mutazione indesiderata verso l’ignobiltà. E’ dunque nella speranza che anche Lei possa essere disponibile ad un simile percorso terapeutico che ho deciso di inviarLe questi due soli doni dei tre elementi necessari alla “cura”, convinto che, se volesse, potrà trovare facilmente disponibilità di una copia della Bibbia.
Qui di seguito le riporto le “istruzioni per l’uso” di entrambi i doni.
Ricorderà, signor Generale, le Sue espressioni - che già Le citavo nella mia precedente del 1998 - con cui Lei, con irosi toni montanti, mi accusava per la mia diversità da Lei, rispetto al quale avrei dovuto invece nutrire (secondo il Suo pensiero) le stesse aspettative di carriera e di emulazione di successo. Ricorderà come tali differenze la facessero imbestialire al punto da trarre la conclusione che esse fossero dettate dal mio “essere comunista” e ad affermare che come tale (cioè comunista) io fossi destinato ad essere “distrutto”, da Lei e quelli come Lei – così come sarebbe accaduto (nei Suoi auspici e nelle Sue minacce) a tutti coloro (ivi compreso i rappresentanti del Parlamento) che facessero riferimento a quel complesso di valori e di filosofia di vita, che Voi chiamate banalmente comunismo, ma volendo forzosamente ricondurlo alla sola e fallimentare esperienza del “socialismo reale sovietico”, mentre è una ben diversa e più ampia ricchezza di umanità ed umanesimo integrale.
Dimenticava, forse, in quelle circostanze minatorie che, oltre alla radice filosofico-politica e sociale, ci divideva anche una insanabile diversità nel sentire come andavano incarnati i riferimenti di fede evangelica che Lei pensava di condividere con me. Ma anche per il Vangelo e la fede una cosa è l’astuto rifugiarsi nei tradimenti storici coltivati da una Chiesa imparentata più con il potere temporale garantito dai principi che con i propri riferimenti teologici ed ideali, altra cosa e tutt’affatto diversa è il riferire al grande annuncio di umanità ed umanesimo integrale che veniva annunciato, proclamato e pagato dal Cristo sulla sua pelle.
Poiché sta scritto “A sua immagine li creò, ad immagine di Dio li creò”, l’unica certezza che possiamo coltivare sul “dopo” della nostra vita terrena, è quella della dinamica del giudizio finale. “Ecco la tua immagine” proclamerà il Signore della storia, ponendo il suo volto accanto allo specchio, nel quale vedremo riflessa la distorta e mostruosa realtà in cui avremo trasformata la nostra essenza di divina umanità, rispetto a quella originale vocazione dell’esser stati creati ad immagine di Dio, in quella di predatori cinici ed avidi della dignità degli altri esseri umani. E sarà questa l’unica certezza che possiamo avere di quel terribile ed affascinante momento: l’essere rivelati a noi stessi per come eravamo in origine ed eravamo chiamati ad essere costruendo la nostra storia, e per come in realtà ci saremo trasformati adeguandoci alle ambizioni del potere e dei potenti.
Allora le istruzioni sono queste, né più né meno di quelle che potevano leggersi su un Dash One, di operabilità di un qualsiasi velivolo:
Mentre La invito a leggere quotidianamente sia la Parola (che Le presenterà il vero volto di Dio e dunque il volto originario di ciascuno di noi) che il libro della Arendt (che Le consentirà di ritrovare le ignobiltà cui una similare aspirazione di potere e di irresponsabilità possano averci, ed averLa, condotti), Le suggerisco di mantenere davanti a Sé lo specchietto per studiare nella Sua immagine riflessa i sintomi della pericolosa patologia di cui Lei potrebbe essere affetto. La patologia “nazifascista” violenta ed irresponsabile che Eichmann interpretò per tutta la sua vita e non seppe riscattare neppure durante il processo finale della sua squallida esistenza.
Potrebbe riconoscerVi, via via, i segni della versione cilena di quella patologia, o di quella cambogiana, o di quella sovietica, come di quella statunitense o di quella ecclesiale. Potrebbe imparare a riconoscere come le forme di manifestazione della devianza possano anche richiamarsi a radici apparentemente lontane ed incompatibili tra loro, ma come in realtà esse tutte corrispondano all’unico virus della ricerca del potere assoluto, insindacabile e con pretesa di immunità ed impunità.
Solo allora i volti delle vittime di Ustica potranno riemergere - anche nella Sua coscienza, assieme alla rivendicazione della propria dignità umiliata e della propria vita scippata - dall’insignificanza in cui gli stragisti le avevano sospinte, perché non importunassero le loro coscienze. La stessa insignificanza che Eichmann aveva riservato e coltivato per le sue vittime ebree, perché non ne importunassero la sua tensione ed il suo impegno a realizzare al meglio l’organizzazione necessaria al raggiungimento dell’obiettivo fissato dai suoi capi a Swansee: lo sterminio di un intero popolo di “diversi”.
Ci sono infatti i grandi criminali, ideatori organizzatori e dispositivi dei peggiori ed efferati crimini che la storia abbia dovuto registrare, ma anche i loro “volenterosi carnefici” – uomini piccoli, che non camminano ma strisciano, usando la colonna vertebrale per questo viscido esercizio piuttosto che per mantenere alta e ritta la schiena come si confà ad un Uomo -, i quali con la loro opera di collaborazione e di non contrasto ne diventano i migliori epigoni ed i più ferventi esecutori. Responsabili in pienezza del crimine consumato senza nessuna scusante per una “obbedienza dovuta” che è stato sempre l’alibi degli omuncoli criminali e criminogeni, e da sempre è accampata per giustificare la propria personale nefandezza.
Provi dunque, signor Generale, a svolgere questo semplice esercizio di lettura combinata ed osservazione del Suo proprio volto, e se ci riesce cerchi di dare risposte diverse da quelle offerte fino ad oggi alla consapevolezza di aver comunque collaborato ad agevolare un crimine scellerato come la strage di Ustica ed il suo occultamento.
Chissà che un giorno qualche Magistrato non possa chiederLe come mai, a fronte di una richiesta di sorvolo appena tangente al nostro spazio aereo del velivolo di Gheddafi (Bengasi – Brindisi – Zagabria – Varsavia), fosse proprio il Suo Ufficio, il Sismi - unico responsabile del rilascio delle clearence internazionali - ad autorizzare piuttosto una rotta di attraversamento tutta interna al nostro sistema difensivo (Bengasi – Palermo – Ponza – Ancona – Zagabria – Varsavia). Chissà che quel curioso di un Magistrato non voglia chiederLe come mai il Suo Ufficio potesse autorizzare quel volo proprio in un giorno in cui era impossibile che Gheddafi potesse chiedere ed ottenere di recarsi a Varsavia, per motivi di diplomazia internazionale che ne inibivano qualsiasi richiesta di recarsi nella capitale Polacca. Ed era il Suo Ufficio, delegato al rilascio della Clearence internazionale, quello che non avrebbe dunque potuto e dovuto consentire un simile volo per garantire quelle condizioni diplomatiche internazionali (“diplomatic clearence” è il nome della autorizzazione ad un volo internazionale), tranne nella ipotesi che proprio per ragioni di diplomazia internazionale fosse stata costruita una astuta trappola per invogliare il satrapo libico a richiedere di volare fino a Varsavia.
Chissà che quel Magistrato indisponente ed eccessivamente curioso non voglia chiederLe quando fu dichiarato obsoleto il codice cripto Nato che poi inaspettatamente qualcuno poté ritrovare in un anonimo cassetto alla fine degli anni ’90. Stia certo che di fronte ad un Magistrato consapevole e determinato Lei non potrebbe uscirsene con il “sia benedetta per una volta l’italica sciatteria” invocata davanti ad un Parlamento, in squallido e servile ascolto tacito, dal suo ex vice comandante alla 46^ AB e successivamente divenuto Suo Capo di Stato Maggiore prima e della Difesa poi, il Generale Mario Arpino.
Quella sciatteria non è infatti consentita dalle regole militari della conservazione di documentazione riservata e di distruzione assoluta della documentazione obsoleta e sostituita. E la vigilanza sul rispetto di tali condizioni di vincolo assoluto era ed è competenza degli Uffici SIOS di cui Lei era responsabile al tempo.
E così via dicendo, in una serie di possibili domande impertinenti che qualche Giudice volesse fare a Lei ed ai Suoi amici di cordata, al solo scopo di individuare i meccanismi ed i responsabili della strage e del suo occultamento pianificato con assoluta scrupolosità.
Anche con l’omicidio di personaggi pericolosi per la loro intervenuta inaffidabilità – primo fra tutti il Generale Boemio, per finire al M.llo Parisi – o per la loro limpida ed autonoma ricerca di Verità per la dovuta Giustizia - primo fra tutti e su tutti il Tenente Colonnello Alessandro Marcucci, che non ha esitato a mettere in gioco la sua dimensione familiare e professionale fino a mettere in gioco la vita che gli è stata criminalmente scippata -.
Ora La lascio, signor Generale, sperando di non averLa infastidita esageratamente con questo intervento. Ma non posso congedarmi da Lei senza averLe ricordato un’altra delle massime che qualcuno dei miei educatori ha scolpito nella mia pelle quando ero ancora un giovane carico di speranze ed attese di nobiltà (che comunque non ho rinnegato nonostante il peso di ciò che mi avete costretto a pagare e portare nella mia vita diseredata). Essa suona così: “Abbiamo una o due volte nella vita l’occasione di essere eroi. Ma tutti i giorni abbiamo l’opportunità di non essere vigliacchi”.
Anche l’accettare di scrutarsi in uno specchio può essere una forma di liberazione da questa condanna alla vigliaccheria che ci fa tutti un po’ meno uomini ed un po’ più servi del potere come lo fu Adolf Eichmann.
Saluti di costante disistima.
Mario CIANCARELLA
2007-06-27 17:29
BOLOGNA - Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nella ricorrenza del 27/o anniversario della strage di Ustica del 27 giugno 1980, ha scritto una lettera alla presidente dell'Associazione delle vittime, Daria Bonfietti, in cui ha rinnovato la propria "solidarietà". "Il loro dolore - è il messaggio del Capo dello Stato ai familiari, diffuso dall'Associazione - è quest'anno acuito dalla commovente iniziativa di aprire un 'Museo della Memoria' (nel pomeriggio l'inaugurazione a Bologna, ndr) nel quale è ricostruito il relitto del DC9 che è stato recuperato nelle acque del Tirreno. L'iniziativa, cui va il mio partecipe apprezzamento anche per la sua valenza artistica, rende ancora più intenso il ricordo e più determinato il desiderio di tutti di vedere accertata la verità sulle cause di un evento così drammatico per il paese".
PRODI, IDEALMENTE VICINO NEL GIORNO DELLA MEMORIA
''Nella giornata del ricordo desidero far pervenire alle autorita', all'on. Melandri, all'artista Christian Boltanski e a tutti i presenti il mio saluto piu' caloroso e la mia ideale sentita vicinanza''. E' il messaggio del presidente del Consiglio Romano Prodi all'associazione delle vittime della strage di Ustica, che ne ha diffuso il testo, nel giorno del 27/o anniversario della strage. Prodi ha annunciato che, per precedenti impegni, con rammarico non puo' essere presente all'inaugurazione del Museo della Memoria.
FASSINO, ARTE E MEMORIA INSIEME AIUTANO A RICORDARE
''Coniugare arte e memoria ritengo sia il modo migliore per ricordare e rendere omaggio alle vittime della strage del Dc-9 Itavia''. Si conclude cosi', con l'auspicio di poter ''visitare presto'' il Museo della memoria che oggi pomeriggio viene inaugurato a Bologna nel 27/o anniversario della strage di Ustica, il messaggio del segretario dei Ds, Piero Fassino, alla presidente dell'associazione dei familiari delle vittime, Daria Bonfietti. Una ''vicenda dolorosa - scrive Fassino - dove la verita' storica non si e' accompagnata fino ad oggi a una verita' giudiziaria, ma che ha messo in evidenza, agli occhi di tutti i cittadini, le connessioni tra stragismo eversivo e apparati deviati, o reticenti, dello Stato. I Ds ricorderanno sempre il sacrificio di quelle 81 vittime perche' le nuove generazioni sappiano e riflettano su un passato che ha visto atti di inaudita violenza i cui scopi restano oscuri''.
ORLANDO, SOLIDARIETA' A FAMIGLIE VITTIME
''Il ventisettesimo anniversario della strage di Ustica e' un momento di dolore e solidarieta' ma anche di speranza. Dolore per la perdita di vite umane, solidarieta' verso quelle famiglie che da oltre un lustro attendono di conoscere la verita' sui motivi e le responsabilita' per la morte dei propri cari''. Lo ha dichiarato Leoluca Orlando, presidente della commissione bicamerale per gli Affari regionali e portavoce nazionale di Italia dei Valori. ''Questo anniversario e' pero' anche un momento di speranza, proprio perche' quelle famiglie non hanno perso la voglia e la forza di chiedere verita' e giustizia e perche' dalla propria esperienza hanno costruito un percorso di crescita sociale rivolto alla collettivita', una lezione di coscienza civile e solidarieta' umana - conclude - che e' d'esempio per tutti''.
VELTRONI, RESTIAMO IN ATTESA VERITA'
''Ci sono nella vita di una persona alcuni eventi che hanno avuto un significato particolare, che hanno determinato un impegno al quale proprio non ci si poteva sottrarre. La strage di Ustica ha rappresentato tutto questo''. E' uno dei passi del messaggio che il sindaco di Roma Walter Veltroni ha inviato all'Associazione dei familiari delle vittime della strage del Dc9-Itavia inabissatosi nei mari di Ustica il 27 giugno 1980. Veltroni spiega che l'impegno di Torino ''che non posso proprio rimandare'' gli impedisce di essere presente all'inaugurazione del Museo della Memoria a Bologna, progetto in cui ''la citta' di Roma - scrive rivolto alla presidente Daria Bonfietti - ha creduto fortemente''. Quel Museo e' una delle ''molte cose'' che sono state fatte alla ricerca di verita' e giustizia, ''perche' i luoghi fisici hanno a volte l'incredibile forza di evitare che il tempo che passa porti via con se' il ricordo di cio' che non dovrebbe essere dimenticato. Non potrebbe comunque, il tempo, portare via con se' la verita' su quel 27 giugno 1980. Di quella per ora - e io desidero, nonostante tutto, sottolineare 'per ora' - restiamo tutti in attesa. Perche' c'e' sempre spazio per la verita'. Adesso a parlare di cio' che e' accaduto ci saranno anche il Museo, il relitto del Dc9 e l'opera di Chistian Boltanski''. Saranno il racconto della ''tragedia'' di 81 persone che non hanno ''neanche il diritto di conoscere il perche'''.
Fonte: http://www.ansa.it/opencms/export/site/visualizza_fdg.html_155723014.html
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Ustica, un museo per ricordarci di non dimenticare
di Massimiliano Melilli
La legge del pendolo è micidiale. Sempre. A volte, anche in senso positivo. Dopo anni trascorsi a considerare inutile la memoria personale e collettiva - perché al tempo del Governo Belusconi bisognava essere molto moderni e dimenticare al più presto il nostro terribile passato - doveva proprio accadere. E’ la potenza della memoria. Lo è ancora di più, in occasione del ventisettesimo anniversario della strage di Ustica (27 giugno 1980). Un momento buio della nostra storia.
Proprio in occasione del ricordo di questo atto di guerra che causò la morte di 81 passeggeri, a Bologna si inaugurerà il Museo per la Memoria di Ustica, un sogno che l’Associazione familiari delle vittime insegue caparbiamente da diciassette anni: una spazio di riflessione che ruota attorno ai resti dell’aereo, il Dc9 Itavia, che quella maledetta sera s’inabissò nelle acque del Tirreno. Torna in vita uno scheletro del passato, dunque. E lo fa per testimoniare (sinceramente) come il ricordo sopravviva sempre. Anche davanti all’inestricabile grumo d’intrighi e ingiustizie che ha segnato il mistero Ustica. Ecco perché questo Museo ha un ruolo decisivo: ci ricorda di non dimenticare. I resti dell’aereo sono arrivati a Bologna un anno fa dal deposito di Pratica di Mare dove per anni è rimasto in custodia. Obiettivo: mostrarli, farli osservare, rifletterci sopra. In autonomia. L’immagine fissa in un movimento di pensieri. Pensieri a perdere per tanti, troppi anni.
I visitatori del museo riceveranno una piccola pubblicazione, parte integrante dell’installazione di Christian Boltanski, il versatile artista chiamato a raccontare la tragedia di Ustica. Lui che ha sempre lavorato sul tema delle “vite qualsiasi”, di figure ai margini, proiettato adesso su una bianca arena di nomi e cognomi: quelli delle vittime. Un quadernetto accoglie le foto di alcuni degli oggetti dei passeggeri rinvenuti in mare. Un testo, duro e appassionato, lo correda. Titolo: “Lista degli oggetti personali”. Lo ha scritto Beppe Sebaste. Struggenti alcuni passaggi: “Le cose, testimonianze della vita delle persone. Gli oggetti sono tracce. Segni di una presenza. Impronte. Gli utensili, il valore d’uso delle cose. Il valore dimesso, la dismissione. Oggetti ordinari, infraordinari, quotidiani. Necessari, superflui”.
In questa poetica minimalista dell’appartenenza, c’è tutto il senso del dolore che da effetto asettico - l’oggetto - diventa metafora palpabile, quasi la sentissimo a livello epidermico, di una strage in nome collettivo che non ha mai smesso di tormentare la coscienza di un Paese. Così, le storie personali di una tragedia corale, rivivono nella geografia degli spazi allestiti nel Museo, fino a diventare volti. I volti di 81 cittadini morti in uno scenario di guerra. Che è bene non dimenticare mai. A futura memoria.
fonte: http://www.articolo21.info/editoriale.php?id=2492
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Vi ricordate? Qualche tempo fa ho pubblicato la notizia di un processo, svoltosi il 15 giugno a Perugia, contro Mario Ciancarella. Poi ne ho pubblicato l'esito. Ora posto l'ultima (per ora) lettera che Mario ci ha inviato.
Grazie Mario, grazie a tutti per la partecipazione e... vi terremo informati!
"Cari Amici,
La sconfitta del Generale Zeno Tascio merita (come avrebbe forse meritato anche quella del Generale Cementano) di essere raccontata nei particolari ed analizzata nel significato e nelle prospettive, non per soddisfare la curiosità di tutti voi (vi ridurrei così a semplici “tifosi supporter” cui offrire qualche argomento di chiacchiera al bar), ma per capire insieme come e perché anche questa vicenda sia collegabile all’impegno sulle stragi che vide impegnati me e Sandro Marcucci. E dunque per saper accordare questa consapevolezza condivisa con il lavoro politico che ancora si apre avanti a tutti noi perché la rivendicazione di Verità e Giustizia per ciascuna e tutte le stragi impunite abbia finalmente una valenza di concretezza istituzionale. In seguito, metteremo in rete, grazie alle collaborazioni preziose di tutti voi, anche l’ennesima lettera che si beccherà il Generale Tascio dopo la sua sonora sconfitta. Con la lettera egli riceverà anche due “regalini”: il libro di Anna Harendt “La banalità del male” (che consiglio a ciascuno di avere nel proprio bagaglio personale) unito ad uno specchio con le “istruzioni per l’uso”.
Dunque in questo resoconto lavorerò così:
- Il dibattimento in Corte d’Appello di Perugia del 15-6-2007
- Genesi e natura di una querela
- Ruoli e funzioni del Generale Tascio nel quadro della devianza istituzionale politico-militare
- Prospettive di azione politica
- Il dibattimento in Corte d’Appello.
La giornata era iniziata in maniera preoccupante: il mio legale di fiducia nella specifica vicenda, l’Avv. Afredo Galasso, era impossibilitato a presenziare per la concomitanza di un altro dibattimento per fatti di Mafia a Sciacca ed aveva inviato un fax giustificativo con richiesta di rinvio.
Tuttavia la Corte aveva inizialmente discusso tutte le richieste di rinvio presentate dai legali delle varie cause tranne la nostra, e dopo aver accolto tutte le altre richieste, aveva fissato al pomeriggio la valutazione del nostro caso, per un eventuale dibattimento, facendoci così scivolare dietro tutte le altre cause in discussione. Avevo comunicato questo sospetto-certezza (che si volesse andare comunque al dibattimento anche con la nomina di un legale d’ufficio) allo studio di Galasso e questi mi aveva contattato subito dopo rassicurandomi che se io avessi insistito nella pretesa della assistenza del legale di fiducia e nel richiamare la motivazione giustificativa inoltrata via fax alla Corte dallo studio legale essi non avrebbero potuto non rinviare.
Così però non sarebbe stato, ed i miei sospetti e timori alle 16.30 si sarebbero concretizzati con il rifiuto di accoglimento della richiesta di rinvio, con la perentoria tacitazione della mia richiesta di poter essere assistito dal legale di fiducia (Lei potrà verbalizzare le sue dichiarazioni al momento opportuno, questa Corte ha valutato la richiesta di rinvio e non ritiene che sia sufficientemente motivata – almeno per giustificare l’impossibilità di nomina di sostituti in uno dei due dibattimenti – ed ha pertanto deciso di non accoglierla, nominando in aula un difensore d’ufficio – il quale ovviamente si sarebbe astenuto anche dal richiedere termini a difesa, che avrebbero automaticamente preteso il rinvio ma che avrebbero anche potuto essere concessi nell’ordine di un’ora, com’era accaduto a La Spezia nel 1982 - per la sua assistenza legale) e con la apertura del dibattimento.
L’ombra di “La Spezia”, ai tempi del mio processo militare del 1982 (come potrete leggere quando completerò lo specifico capitolo) tornava ad affacciarsi pesantemente anche in questa nuova sfida, almeno nelle intenzioni della Corte.
Questa volta ero almeno sicuro sulla circostanza che il mio legale non mi avesse giocato come avevano fatto invece i miei legali del tempo (Avv. Tarsitano per la direzione del PCI, on Fortuna per la segreteria del PSI, on Martinazzoli per la Direzione della DC) ed i riferimenti e garanti politici (on Baracetti per il PCI, on Valdo Spini per la segreteria PSI, on Maria Eletta Martini per la Direzione della DC) del mio mega pool difensivo politico-professionale che mi aveva invece svenduto agli interessi dei miei avversari.
Il patto a quel tempo era stato questo (come fu confessato dalla Martini ad un incredulo e giovane sacerdote amico, Don Alessandro Bertolacci di Viareggio, che le poneva interrogativi scomodi sulla vicenda): Non presenza al dibattimento del pool di difesa con richieste di rinvio che si sapeva non sarebbero state accettate, e dunque abbandono della linea di difesa di svolgere un processo politico alla Forza Armata del tempo per il comportamento dei suoi vertici. Nomina di avvocati d’ufficio Manzella e Pelagotti del foro di La Spezia – referenti locali per la DC ed il PCI -. (ai quali sarebbe stata concessa, in caso di richiesta di termini a difesa – come in realtà avvenne – una sola ora di tempo), celebrazione del processo, assoluzione per “insufficienza di prove”, reciproca rinuncia a presentare motivazioni di appello e ….. ripresa in servizio del sottoscritto. Ma quest’ultimo impegno, il solo che competesse ai miei avversari, (confermato davanti a diversi testimoni civili nel successivo Ottobre dal Presidente di quella Corte, il Giudice Ciancaglini, che incontrando il sottoscritto a latere di un processo a Verona ad un altro militare democratico e venendo a conoscenza della mia perdurante condizione di sospeso dal servizio in attesa di appello, se ne uscì candidamente con un “Ma perdio non erano stati questi gli accordi”) fu disatteso, ed essi approfittarono alla fine della formula “insufficienza di prove” piuttosto che ”per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato” (con le quali ogni azione disciplinare sarebbe stata inibita) per costruire un procedimento disciplinare farsesco e falso (ben consapevoli che non avrebbero mai potuto essere denunciati dai loro “complici politici” nello scempio dello Stato di Diritto che si andava consumando).
In base a quel procedimento sarebbe stata poi proposta al livello politico la mia radiazione.
La mia sola fortuna fu che a quel punto i miei avversari ed i loro complici non avevano più titolo per interventi diretti e la responsabilità della sottoscrizione della radiazione competeva al solo Presidente Pertini, il quale mi risulta l’abbia invece sempre rifiutata, costringendoli allo squallido falso su cui oggi l’Avv. Novani di Viareggio sta cercando di costruire l’impugnativa per nullità ed inesistenza della documentazione necessaria della radiazione stessa. Vedrete che anche questa volta ci sarà una terribile coalizione di interessi politici militari (anche del nostro Governo di sinistra) per sostenere che quel falso sia invece un atto autentico. Chi vivrà vedrà, ma ci saremo comunque divertiti molto.
Nella circostanza di Perugia l’obiettivo era il medesimo e cioè trasformare la “non procedibilità per difetto di querela” in “prescrizione del reato” così da essere legittimati a sostenere che il reato fosse stato comunque consumato, senza neppure entrare nel merito delle vicende contestate o consentirmi una qualsiasi controdeduzione.
Questo avrebbe consentito ai miei avversari di sostenere che io mi fossi salvato da una punizione penale solo per la intervenuta prescrizione del reato. Infatti in questo Paese gli unici due personaggi per i quali dalla prescrizione dei reati contestati – e comunque accertati - tutti abbiano solo tratto (o siano stati costretti ed ammoniti a trarre) conseguenti convincimenti di piena innocenza, sono stati solo l’on Silvio Berlusconi e l’on. Giulio Andreotti. Nel mio caso la prescrizione sarebbe stata inseguita (come al tempo lo fu l’insufficienza di prove) per avere poi mano libera in rilevanti richieste risarcitorie in sede civile, mentre qualsiasi altra successiva esternazione avesse voluto fare il Ciancarella sulle vicende stragiste (in particolare Ustica, il Monte Serra e la uccisione di Sandro Marcucci) esse sarebbero state tutte ricondotte a quella “natura diffamatoria” del soggetto “certificata dalla prescrizione presuntiva di pena, per una colpevolezza comunque ritenuta accertata dalla Corte di Appello di Perugia, pur senza aver mai potuto entrare in una articolata discussione del merito”.
E’ quanto il Gen. Tascio ed il suo avvocato andavano fra loro bofonchiando per tutto il giorno, facendo molta attenzione che io fossi nei pressi e potessi raccogliere le prospettive delle pesanti conseguenze economiche che avrei dovuto attendermi dall’esito del processo.
Non sono state ore facili, ve lo garantisco, essendo costretto a rivivere uno sceneggiato già vissuto e carico di conseguenze negative. Ma è qui, in quei frangenti, che la forza che mi ha trasmesso la vostra solidarietà ha avuto il sopravvento. Mi ha dato la capacità di non sfuggire più gli sguardi da faina che il generale mi indirizzava, vedendolo ricostringersi ad abbassare a sua volta gli occhi man mano che riprendevo coraggio e lo sfidavo con sguardi lunghi e senza più timore. Sentivo che, comunque fosse andata, dovevo rispondere anzitutto alla vostra fiducia ed alla vostra incrollabile determinazione democratica a pretendere verità e giustizia sulle stragi, come pure applicazione e tutela della formidabile Costituzione regalataci dalla Resistenza. Dovevo mantenere fissa davanti agli occhi l’immagine di Sandro ucciso per la sua limpida determinazione.
Di colpo andare avanti è stato più semplice, perché il riferimento, grazie a voi, è tornato ad essere la giustezza di ciò che stavo facendo e di ciò che mi aveva condotto in quel luogo e non più la minacciosa prospettiva di una conclusione penalizzante (per intervenuta prescrizione) di quel processo che si andava profilando.
Dunque questo mio grazie a tutti voi, per avermi saputo restituire a me stesso ed alla integrità dei valori che mi hanno sempre guidato, non è un puro esercizio di educazione formale. E’ la stessa gratitudine che sentii e che conservo per le presenze eteree delle vittime del Serra che mi si fecero presenti dopo il mio primo arresto. La nobiltà delle cause per cui combattiamo non diventa svendibile alle paure delle contingenti aggressioni che possano essere subite, se qualcuno ti aiuta a tenerle davanti agli occhi con fermezza e certezza di aver lavorato per la cosa giusta. E d’altra parte nel Vangelo è scritto: “Quando vi trascineranno davanti ai Tribunali a causa del mio nome (Io sono la via, la Verità, e la vita aveva detto altrove) non vi preoccupate di quello che direte. Lo spirito che è in voi vi suggerirà quanto dovrete dire)”. Ed ancora aveva detto: “il discepolo non è più del maestro. Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi. Non abbiate paura, andate ed annunciate la Verità”. Ma torniamo al procedimento.
Ho avuto molta fortuna, tra l’altro, grazie a tre assist notevoli ed inaspettati: due dalle legali rappresentanti dei miei due coimputati ma il primo (insperato e certamente più determinante) dal Procuratore Generale della Corte d’appello. Questi, chiamato a pronunciarsi, dichiarava il suo profondo disagio nel sostenere la causa come proposta dall’appello del Pubblico Ministero, per diversi motivi:
1° La vicenda (relativa comunque “ad un reato eventualmente ampiamente prescritto” precisava) per come era stata definita dalla sentenza di primo grado (improcedibilità per difetto di querela) avrebbe potuto e dovuto tutt’al più essere oggetto di impugnazione davanti alla Cassazione con la richiesta di rinnovazione inziale del dibattimento. E non come “appello”, perché ciò costringeva la Corte a valutare (e la Procura Generale a sostenere) una responsabilità penale eventuale dell’imputato senza averne mai potuto ascoltare le controdeduzioni e senza aver mai potuto ascoltare neppure le motivazioni della parte lesa. Dunque un processo che sarebbe sfuggito ad ogni ordinaria procedura dibattimentale di accertamento.
2° Perché a fronte della lamentela della parte lesa sulla “improcedibilità per difetto di querela” resistevano forti e motivati dubbi sulla certezza del deposito della querela (nei tempi utili e necessari per la costruzione della imputazione), stante il rilievo che sulla querela – firmata sì dal generale Tascio con firma autenticata dal suo legale, ed appuntata sì con un timbro in gomma recante una data del Giugno 1993 – mancava tuttavia ogni prescritto riferimento al funzionario che l’avesse ricevuta, ogni riferimento alla catalogazione e protocollazione della stessa a cura dell’Ufficio, e soprattutto ogni riferimento al soggetto che l’avesse materialmente depositata.
3° Perché in mancanza eventuale di accoglimento della Corte della conferma auspicata dall’Ufficio della Procura Generale del verdetto di improcedibilità sentenziato in primo grado, non rimaneva alla sua funzione di accusatore che la richiesta di dichiarazione di “intervenuta prescrizione”, pur in assenza di qualsivoglia possibilità dell’imputato di offrire in qualsiasi fase del dibattimento le sue controdeduzioni.
Dunque di giudici ce n’è. E non solo a Berlino, come scriveva Del Gaudio; ma anche in questo disgraziato Paese. Certo, nel medesimo ufficio della Pubblica accusa, si nasconde evidentemente qualche amico di personaggi come Tascio e dei legali che ne curavano l’immagine e l’onorabilità, che ha ritenuto di “accogliere” una querela imperfetta, e forse presentata oltre tempo massimo, sulla quale costruire un processo falsificato ed alterato. Forse si sarebbe potuto chiedere al Procuratore Generale se non fosse possibile comunque risalire a ritroso per intercettare il giorno in cui quella querela fosse stata inserita nel Registro Generale, e da chi, onde avere la possibilità di chiedere conto a costui di eventuali discrepanze in ordine alla non regolare protocollazione dell’atto ed alla assenza di una relata di deposito che desse atto del soggetto depositante e del soggetto ricevente. E così pure di capire chi e perché avesse mantenuto in frigorifero l’appello fino alla più ampia maturazione della prescrizione per poi riesumarla solo dopo le sentenze di proscioglimento per il Generale Tascio per le imputazioni relative ad Ustica. Ma forse di più non era possibile esigere da un Procuratore Generale comunque intellettualmente onesto al punto di dichiarare il proprio “disagio” (che non è cosa da poco in una causa penale) nel sostenere la specifica accusa nella causa in discussione.
Il secondo assist è venuto dalla legale dello Sgherri Guido - il giornalista del Corriere di Perugia coimputato per i miei stessi reati, avendo redatto l’articolo da cui il generale Tascio traeva motivo di querela - che dichiarava come fosse praticamente evidente che il processo avesse di mira un solo preciso imputato (pur senza nominarmi), mostrando indifferenza per i coimputati. Infatti il suo assistito risultava deceduto già da due anni, eppure la Corte non aveva dato alcun segno di averne registrato la conseguente uscita dal processo, né aveva dato conto o chiesto ragione della materiale impossibilità di notificargli la convocazione per l’udienza in corso”.
Il terzo assist è venuto dalla legale del terzo coimputato, il direttore responsabile del giornale, Dott. Benincasa, il cui articolo era stato fonte della “presunta” querela del generale. La avvocatessa, nel ritornare con puntigliosa precisione sulle dinamiche della registrazione degli atti di querela, ha riproposto la sconcertante natura della querela del generale e la incertezza sulle circostanze e la data dell’effettivo deposito. Essa ha poi analizzato la ampia giurisprudenza di Cassazione che ne chiede e pretende la vincolante rispondenza a precise procedure, precisando che tale orientamento non è finalizzato “ad impedire la ordinaria tutela del proprio diritto da parte del querelante” quanto a “garantire la puntuale conoscenza degli addebiti da parte dei soggetti imputabili delle persone lagnanti e della corretta applicazione delle sequenze di procedibilità. Non ultimo per consentire la legittima azione di rivalsa qualora il dibattimento accertasse la insussistenza delle lagnanze relative alla querela”.
Ma il miglior assist, io credo, mi è stato offerto dallo stesso legale della “parte offesa”, e cioè del generale Tascio. Questi ha anzitutto depositato, nello stupito sconcerto del Presidente della Corte, le sentenze di proscioglimento del generale, in Corte d’Appello ed in Cassazione, per le imputazioni che gli erano state contestate in relazione alla vicenda di Ustica; ma, come ben sapete, non in ordine alla strage in quanto tale.
E questo, se mai ce ne fosse stato bisogno, non faceva che confermare il sospetto che avevo sottolineato nella mia memoria per il dibattimento (v. documento Tascio 2007), che la controparte volesse lucrare su una assoluzione che io per primo avevo pronosticato già al Giudice Priore, stante la natura e la impostazione stessa delle imputazioni. E di fronte alle perplessità della corte veniva ribadito che le sentenze erano utili a dimostrare la infondatezza delle mie presunte accuse di coinvolgimento del Generale nell’omicidio di Marcucci (beh sì quell’avvocato ha detto proprio così “omicidio” e non “presunto omicidio, come sostiene Ciancarella”) per le indagini che egli stava svolgendo sulla vicenda Ustica e sulle responsabilità che lui e Ciancarella contestavano al Generale in ordine alla strage. (Di tutto un po’ dunque, senza riferimenti, precisazioni, o accenni al convincimento più volte ribadito in ogni sede ed anche direttamente al Generale, o nella memoria inviata alla Corte d’Appello di Perugia, che le accuse formulate contro il Generale, per come erano state confezionate, non avrebbero retto alla prova dibattimentale). E tuttavia, come avevo ulteriormente specificato nella memoria, si erano ben guardati dal depositare la mia lettera di sfida indirizzata al Gen. Tascio nel 1996 (vedi documento TASCIOLE).
Infine, forse per la supponenza arrogante con cui ritenevano di aver già vinto la partita; ma facendo miserevolmente precipitare tutto l’impianto della contestazione ad una mera avidità economica, affermava di richiedere la applicazione della “prescrizione” anche allo scopo di “vedere garantito l’interesse del suo assistito ad ottenere in sede civile gli ordinari compensi di rivalsa”, per i quali non esitava ad allegare, depositandone la nota, le spese legali che sarebbero state pretese del proprio studio.
Vuoi vedere mi sono detto che ora il Generale “faina” pretenderebbe da me che sia io a coprire le spese che lui ha dovuto sostenere per la propria difesa relativamente ad Ustica? Beh il generale sarebbe stato un Illuso comunque, oltre che per la mia assoluta incapacità a rispondere di tali pretese, anche perché non credo che gli basterebbero 10 cause risarcitorie per coprire gli oneri di un pregevole quanto certamente dispendioso lavoro di difesa nelle imputazioni per Ustica.
Ebbene non sorprendetevi ma, come detto, pur in presenza cotanti depositi di documenti e presunzione di aver subito diffamazione per la quale dover essere tutelato, il generale ed i suoi legali si sono ancora una volta “dimenticati”, se non proprio ben guardati, dal depositare la mia lettera del Maggio 1998 in cui lo sfidavo a proporre querela, non su forzose ed arbitrarie costruzioni di una intelligence a fini diffamatori tra me ed un cronista di provincia (peraltro mai avvenuta), ma utilizzando piuttosto quella documentazione certa e non rinnegabile che andavo a consegnargli io stesso e nella quale lo sfidavo a rispondere puntualmente delle nefandezze di cui lo andavo accusando!
Ma glielo avevo pur scritto che, in virtù di quella che non io ma il dizionario di italiano definisce pavidità, egli si sarebbe certamente ritratto di fronte ad una simile ed aperta sfida. Ed e’ rimasto ancora una volta con le sue sole ed inutili carte false in mano, sbugiardato dalle circostanze della produzione delle stesse indipendentemente dal merito. Così come accadeva quando veniva sbugiardato, documenti parlamentari alla mano, da Lino Totano o da me nelle estenuanti assemblee in cui riuniva il personale della 46^ per raccontarci le sue “documentate” bugie.
Il Presidente, subito dopo la esposizione della “parte lesa”, aveva chiesto a me, in quanto imputato, di fare dichiarazioni da verbalizzare. A quel punto avevo risposto che io avevo sempre espresso con consapevole libertà le mie idee, come d’altra parte avevo fatto nella memoria inviata alla Corte perché fosse acquisita agli atti. E che dunque ben volentieri avrei voluto fare dichiarazioni anche per contestare le ardite e non provate correlazioni tentate dalla parte lesa per costruire le ipotesi diffamatorie di cui venivo da loro accusato. E tuttavia rinunciavo a qualsiasi specifica dichiarazione, se non quella che vi rinunciavo per la circostanza per cui venivo impedito dal rilasciarle con la garanzia e l’assistenza legale del mio avvocato di fiducia, pur non volendo mancare con questo di rispetto per la giovane legale che aveva accettato il ruolo di legale di ufficio.
Vi assicuro che in quelle condizioni attendere per quasi mezz’ora la decisione della Camera di Consiglio e’ stato stressante oltre ogni dire. In quelle condizioni di caldo asfissiante per un’aula completamente esposta al sole di mezzogiorno, con il carico di caffé e di sigarette che avevo consumato e con il livello di stress crescente, non aver accusato nessun malessere ha ancora una volta certificato che quella valutazione di “eccellente struttura psicofisica” accertata nella selezione di ingresso in Aeronautica doveva essere ben fondata. Ero certo che si stessero cercando soluzioni alchemiche per avallare i desiderata del Generale. Ma non era così.
“In nome del popolo italiano la Corte d’appello di Perugia” sentenziava infatti “di doversi confermare la sentenza di primo grado di improcedibilità della causa per difetto di querela”.
Mi sono ingiuriato per non possedere in quel momento un telefonino di quelli che permettono di fare fotografie digitali. Ma vi assicuro che non dimenticherò mai il viso sconcertato e contrariato, che malcelava una furia incontenibile, del mio nemico generale Tascio. Mi ricordava il volto trasfigurato dall’ira di Jack Nicholson nella interpretazione del Colonnello dei Marines che vede la sua boria trasformarsi in ragione di carcerazione e di imputazione nel film “Codice d’onore”. Comunque i volti delle faine rimangono sempre abbastanza imperturbabili, se non agli esperti occhi dei loro avversari, e dunque ciascuno può immaginare come meglio crede l’immagine di uno sconfitto incredulo e sconcertato dall’esito di una battaglia che presumeva arrogantemente di aver già vinto a mani basse.
Il crollo della batteria del telefonino mi ha impedito di diffondere subito ed a tutti voi la notizia del bel risultato, e per questa mancanza di previdenza nel mantenere carico il telefonino chiedo davvero scusa a tutti.
L’importante ora è capire, metabolizzare, elaborare e proporre. Vado a provarci con le altre parti del documento.
- Genesi e natura di una querela.
E’ il Maggio 1993 ed il Movimento politico de La Rete, fondato da Leoluca Orlando, nella sua espressione cittadina di Pisa, indice una conferenza stampa, convocando con un comunicato la stampa locale e quella nazionale, per presentare la vicenda della morte di Alessandro Marcucci e del suo avvistatore di incendi Silvio Lorenzini, precipitati a bordo del piper su cui volavano in servizio antincendi per la Regione Toscana.
Le diapositive dei rottami del velivolo che saranno proiettate in conferenza stampa dimostreranno, secondo gli organizzatori della conferenza stampa, la natura omicidiaria della precipitazione del velivolo e la superficialità della indagine tecnica orientata a concludere per evidente “responsabilità del pilota” (Sandro Marcucci) che avrebbe “volato non rispettando le quote minime di sicurezza e non tenendo conto dei fenomeni di micrometeorologia che potevano verificarsi sul luogo dell’incidente a causa delle condizioni meteo”.
La conferenza stampa sarebbe stata introdotta da giovani ragazze militanti nel Movimento, ed il tema sarebbe stato svolto e presentato da Mario Ciancarella – già candidato nel 1992 alle elezioni parlamentari nelle liste del Movimento -, ed il deputato in carica de La Rete, on Alfredo Galasso, avrebbe tratto le conclusioni della iniziativa.
Alcuni giornalisti intervengono alla conferenza stampa per conto di varie testate, altri decidono di costruire i propri articoli sulla base del solo comunicato di convocazione della segreteria locale del Movimento. Così decide di comportarsi ad esempio il giornalista Guido Sgherri, il quale, senza alcun contatto diretto con alcuno degli organizzatori, e men che meno con me (che lo avrei rinviato per qualsiasi dichiarazione alla celebrazione della conferenza stampa, con conseguente invito ad eventualmente intervenire) redige uno degli innumerevoli articoli (molto approssimati) che si sono registrati in tutti questi anni sulla vicenda.
Al termine della conferenza stampa, Alfredo Galasso, prendendo la parola, definisce quello che e’ stato mostrato come “l’omicidio di Sandro Marcucci e di Silvio Lorenzini” (così lo riprende il Tirreno del giorno successivo) auspicando che le funzioni politiche e giudiziarie vogliano e sappiano riaprire l’indagine sul disastro aereo.
Passano tre anni e solo sul finire del 1996 veniamo a conoscenza di una querela per diffamazione che il Generale Tascio avrebbe presentato nel Giugno 1993 alla Procura di Perugia. Alfredo Galasso assume la mia difesa e nella udienza preliminare davanti al GIP sostiene che la querela mostra tali e tanti aspetti dubbi sulla correttezza del suo deposito (data certa del deposito, mancata protocollazione dell’Ufficio, mancata indicazione del funzionario che avrebbe raccolto la querela e della persona fisica che la avrebbe depositata) da ritenere che manchino le condizioni di procedibilità per “difetto di querela”.
L’Ufficio del Pubblico Ministero si oppone a simile interpretazione sostenendo la perfezione del deposito ed il diritto del querelante a vedere salvaguardato un interesse legittimo e protetto, ed il GIP accoglie tale richiesta disponendo il rinvio a giudizio per il 20 Aprile 1998.
Alfredo Galasso non potrà essere presente, in quella data, per un concomitante impegno di natura giudiziaria ed io non potrò essere presente per impegni che mi porteranno in Sicilia a parlare con giovani studenti/esse di Sandro Marcucci e della nostra cultura della Legalità Democratica. Invio pertanto una memoria al Presidente del Tribunale motivando la mia assenza e specificando per quali motivi non avrei avuto problemi a rappresentare la insanabile inimicizia che mi contrapponeva al Generale Zeno Tascio.
Con un certo stupore vengo informato da Alfredo che la causa era stata vinta: lo stesso Pubblico Ministero, in apertura di udienza, aveva infatti proposto (contro le tesi sostenute dal suo stesso Ufficio in sede preliminare) il “non doversi procedere per difetto di querela”.
E’ a quel punto che scrissi la lettera di sfida al Generale Tascio che tutti avete avuto modo di leggere (o potreste avere modo di fare oggi se ne aveste curiosità), se ne avrete avuto modo e voglia.
Passano nove lunghi anni e solo alla fine di Maggio viene notificato all’Ufficio dell’Avv. Galasso l’intervenuto appello del Pubblico Ministero, in data 28 Maggio 1998, avverso alla sentenza del Tribunale in accoglimento delle sue stesse richieste. Quell’appello ha dunque giaciuto in silenzio per nove anni lasciando maturare ampiamente i tempi di una eventuale prescrizione, ma tuttavia è stato accolto dalla Corte di appello 2 Maggio 2007.
Questo l’iter seguito dalla querela intentata dal Gen. Tascio, con le conclusioni che conosciamo. Capire come e perché abbia potuto avvenire tutto questo e in questo modo diventa assolutamente urgente e necessario.
Per chi non conosca la mia versione di Ustica, fornita a Priore e raccontata nell’asfissiante testo che ho redatto su quella strage scellerata, bisognerà ricordare che proprio dopo le prime audizioni di Priore, quindi tra il 93 ed il 94, un Carabiniere, tale Lampis, mi aveva rivelato in maniera davvero singolare di aver assistito ad un colloquio tra un suo diretto superiore, l’appuntato Stivala, ed il Comandante del distaccamento Aeronautico presso Ca’ di Mare, in cui quest’ultimo avrebbe detto: “Abbiamo (Hanno) chiuso la bocca a Marcucci, ora dobbiamo (dovranno) chiuderla a Ciancarella”.
Ebbene voi forse non ci crederete ma questo “chiudere la bocca” è quanto ho sentito sibilare, riferendo a me, dal Gen. Tascio al suo legale nella interminabile giornata di Perugia. Dunque è ben possibile che quella condanna a vivere che spesso ho evocato raccontando la mia storia, potesse consistere nella speranza di attribuire un marchio infamante di diffamatore a chi andava rivelandosi un pericolo reale per la sicurezza dei responsabili della strage di Ustica. E qui emerge, in tutto il suo spessore di ignobiltà, la figura del Generale Zeno Tascio.
Noi, tanto Sandro che io cioè, non abbiamo mai attribuito a questo personaggi ruoli superiori alle sue reali doti e capacità. Ma di certo lo abbiamo definito puntualmente come persona disponibile, per interessi di carriera, e per natura autoritaria, ad assecondare i desiderata di quanti tra i suoi sovraordinati si mostrassero bisognosi di complicità a livelli inferiori.
- Ruoli e funzioni del Generale Tascio nel quadro della devianza istituzionale politico-militare
Di certo Tascio non è stato ideatore del progetto Ustica. Ma sono altrettanto certo che egli si sia dato disponibile prima a costruire la trappola in cui attirare Gheddafi e poi ad occultare le reali circostanze della caduta e del ritrovamento del MIG della Sila.
Non è un caso che nella mia lettera aperta pubblicata su IL TIRRENO del 28 Gennaio 1992, cinque giorni prima dell’omicidio di Sandro, io non scrivessi direttamente di lui, ma mi rivolgessi alle forze politiche – ed in particolare al Ministro della Difesa del tempo, l’on Rognoni – che fosse responsabilità diretta della politica l’aver consentito che si “costruissero i Tascio per nascondere la Verità”. La specie dei Tascio infatti è stata ampiamente protetta nelle Istituzioni statali e negli apparati militari perché potessero essere utilizzati, con lusinghe e garanzie di impunità, contro i “disturbatori del manovratore”.
La prova generale della sua affidabilità per quello che sarebbe stato poi il suo ruolo per Ustica, il nostro la aveva già fatta quando venne chiamato a Pisa, lui che era ancora Colonnello per un comando di competenza di un generale, con il compito di realizzare e garantire il depistaggio sulle responsabilità per la strage del Monte Serra, e di stroncare il Movimento Democratico che ormai aveva pervaso ampiamente il personale nelle sue attese di democratizzazione delle Forze Armate, nello spirito democratico della Costituzione, e nelle proposte di percorsi idonei a realizzarla.
Non aveva esitato a fare l’una e l’altra cosa e la stelletta da Generale di Brigata aveva subito premiato lo zelo di Zeno, verso i suoi referenti, piu’ o meno occulti.
Non è un caso che Sandro, nell’intervista a cornice di quella lettera aperta, dicesse “Conoscevamo molto bene il generale Tascio, era disponibile a tutto pur di fare carriera”. Ed è su questa consapevolezza, argomentandola con minuti particolari, che avevo sfidato Tascio a proporre una querela più sostanziosa e più sostenibile di quella che aveva prodotto a Perugia.
Non è un caso che lui si fosse ritratto e che non abbia mai fatto menzione di quella lettera, perché avrebbe corso il rischio di scivolare su un terreno viscido sul quale ben più difficile gli sarebbe stato sostenere la diffamazione in continuazione. Ma senza questo coraggio la sua tesi secondo la quale lo accuserei di una relazione diretta di responsabilità per la morte di Marcucci significa oltre che dire il falso, offendere la mia stessa intelligenza.
Che bisogno avrei di accusare lui, quando una simile e temeraria, quanto infondata accusa, sarebbe destinata a cadere trascinando con sé la possibilità di accertamento delle cause e delle responsabilità per la morte di Sandro Marcucci?E’ proprio quello che è successo con Ustica, e che dunque sperava di poter rinnovare: e cioè se per Ustica il raffinato e micidiale depistaggio è consistito nell’indirizzare il Magistrato ad accogliere tesi spericolate di colpevolezza presunta e comunque non correlabile ad un fatto di cui non era stata definita la vera natura (una strage senza scenario e dinamiche comprovate cioè) dalle quali il Generale e coloro di cui si rese complice nella strage potessero uscire indenni, nel mio caso l’operazione consisteva nel convincere il Magistrato che avessi voluto falsamente e calunniosamente attribuire a lui la morte violenta di Sandro sulla quale, in virtù dell‘ovvio e dovuto riconoscimento della infondatezza di tale tesi di responsabilità diretta di Tascio, non avrebbe potuto che cadere l’oblio e l’indifferenza per una vicenda che, come Ustica, rimanesse così nell’opacità dell’indefinito e della imperscrutabilità. Non cadere in questa raffinata trappola costituisce la mia più grande soddisfazione ed il mio orgoglio, perché la ultima sentenza lascia intatte le possibilità che, se un qualche giudice volesse o se si costituisse una volontà politica, si possano riaprire le indagini per strage nella vicenda Ustica, e per omicidio nella vicenda Marcucci, non tralasciando di rivisitare le altre scelleratezze militari dalla strage del Monte Serra, alla vicenda di Emanuele Scieri.
Oggi sono infatti legittimato ancor di più a raccontare in ogni sede (sia essa l’ufficio di un P.M. o una audizione in Commissione Difesa) fatti e circostanze, dai quali trarre suggerimenti di percorsi di indagine e segnalare possibilità di accertamento non sminuite dal trascorrere degli anni.
Ricominciare dai fatti i ruoli e le funzioni rivestite da Tascio ad esempio nel 1980 (i suoi comportamenti e quelli delle strutture Aeronautiche da allora in avanti, come ad esempio la assoluta dissonanza dei comportamenti della Difesa Aerea rispetto alle sue ordinarie modalità operative – ciò che io chiamo “i fondamentali di un apparato”), le possibili individuazioni dei responsabili politici che disposero la strage (il Gen Ferri, all’atto del suo rinvio a giudizio, disse infatti “Se mai avessimo mentito lo avremmo fatto solo in esecuzione di ordini superiori”. Ed aveva comunque ragione perché la macchina militare non è mai “autocefala”, anche se per gli ordini illeciti la Legge stabilisce il “dovere di disobbedienza e segnalazione”. E quei livelli superiori (superiori ad un Capo di Stato Maggiore. cioè) non avrebbero potuto che essere i livelli politici di Governo.
Il compito che ci sta davanti è dunque un compito immane che ben difficilmente sarà assecondato dagli uomini politici, troppo spesso coinvolti nella progressiva deriva antidemocratica e di corruttela del nostro sistema di rappresentanza. Ma dobbiamo provarci in tutte le maniere.
Riuscire a pretendere la “ri-apertura” effettiva delle indagini sulla strage di Ustica (una ipotesi comunque ancora attiva e pendente in qualche fascicolo abbandonato su polverosi scaffali di qualche Procura), riuscire a pretendere la riapertura delle indagini sulla strage del Monte Serra, sull’omicidio di Marcucci e di Scieri, riuscire a pretendere che la Politica si faccia finalmente carico di intervenire nella devianza strutturale di apparati e corpi armati dello Stato (ciò che poi determina anche le ignobili pretese di irresponsabilità anche per quei militari esposti a radiazioni da uranio impoverito e deceduti senza riconoscimenti solo per aver cercato di servire il Paese secondo quanto veniva loro richiesto dal Governo e dal Parlamento – e nel caso del Kossovo si parla di guida politica del centro-sinistra!! -), riuscire a pretendere che per i comportamenti degli apparati al Social Forum di Genova, per i comportamenti che hanno determinato l’omicidio di Carlo Giuliano o di Aldrovandi i responsabili rispondano pienamente dei loro comportamenti criminali, significherebbe offrire la speranza al Paese di non essere più impunemente aggredito nella sua ordinaria e pacifica convivenza “democratica e costituzionale”. Ma questo esige che siano compiuti atti politici propedeutici. Ed è quanto andrò a presentare nel paragrafo conclusivo di questo lungo ed estenuante intervento.
- Prospettive di azione politica.
Quando noi riferiamo ad Ustica o ad ogni altra strage impunita, spesso parliamo di “depistaggio” come se si trattasse di un reato preciso. Nel nostro immaginario collettivo esso costituisce un reato infame e gravissimo. Ebbene quel reato non esiste.
Se infatti apriamo il codice penale potremmo rimanere sorpresi ed esterrefatti: la fattispecie di reato di “depistaggio” non esiste, non e’ stata definita dal legislatore e ad esso non e’ ovviamente correlata alcuna pena.
Ora quanto andremo a dire potrà apparire ai più garantisti tra noi come una prospettiva infelice ed inaccettabile, ma prima di alimentare la polemica vorrei che riflettessimo insieme sulla idea comune di “legalità” che riteniamo di poter condividere.
Come ben vediamo in questi giorni il criterio di “legalità” appare del tutto astratto da relazioni dirette con i criteri di “democrazia e costituzionalità”. La “legalità” viene così legata molto spesso alle pulsioni di più vile interesse dei ceti dominanti contro coloro che ne disturbano o ne attentano il privilegio, comunque acquisito.
E’ in nome di quella generica “legalità” che si sgomberano infatti oggi gli abitanti di abitazioni abusivamente occupate, dimenticando che la “legalità democratica e costituzionale” prevede e tutela anche il diritto di ciascuno alla abitazione ed al lavoro, ed e’ in nome di quella generica “legalità” che si fronteggiano le “invasioni degli extracomunitari”, dimenticando che “la legalità democratica e costituzionale” garantisce e tutela i diritti fondamentali del Cittadino e della Persona, anche per la persona dello Straniero.
Insomma cari amici e compagni, noi siamo chiamati a saper declinare apertamente il concetto di “legalità” cui intendiamo riferire, perché ogni regime ha una sua specifica “legalità” e si dota degli strumenti e degli apparati idonei a perseguirla e a difenderla dai tentativi di mutarla (ciò che un qualsiasi regime chiama “eversione”).
Era una forma di “legalità” quella che stabiliva lo “ius primae noctis” del signore sulle mogli dei suoi servitori della gleba; era una forma di “legalità” quella che regolava la condizione di schiavitù, era una forma di “legalità” quella che considerava la donna un essere inferiore e non degna del diritto di voto e dunque della partecipazione alla costruzione del proprio specifico futuro, era una forma di “legalità” quella che considerava non punibile il delitto d’onore (specie se consumato contro la donna) o che riteneva lo stupro un delitto contro la morale e non contro la persona. E così via dicendo.
La differenza dei diversi regimi sta nei diversi valori di riferimento di ciascuno di essi e nel metodo conseguente di contrasto alla “illegalità”. Per cui i regimi autoritari e violenti saranno alieni dalla certezza del diritto e dal rispetto della dignità personale dei suoi imputati e condannati, i regimi democratici dovrebbero imporre e dimostrare la propria superiore civiltà dalla applicazione del diritto nel più totale rispetto della persona dell’imputato o condannato e nella ricerca più avanzata di certezza del diritto fondata sul valore preminente della persona umana. Ma il criterio della “legalità” e della sua difesa, in astratto, e’ il medesimo.
La criminalità organizzata stessa ha infatti una sua concezione di “legalità”, peraltro severissima con chi “sgarri”, come pure la società carceraria si dota di un suo “codice” molto somigliante ad una forma pur primordiale di “legalità”.
La “legalità democratica e costituzionale” dovrebbe dunque distinguersi dalle altre forme solo in virtù del valore dissuasivo e dunque preventivo della pena, della umanità nella applicazione della pena e nell’obiettivo di recupero dei colpevoli e dei devianti alla civiltà della convivenza democratica, nella affermazione sacrale della Persona Umana.
Fuori da queste prospettive un criterio qualunquista di “legalità” e di “garantismo”o predispone alla sua violazione sistematica da parte dei furbetti di quartiere per finire ai grandi corrotti e corruttori, agli stragisti ed ai depistatori, o risulta comunque inefficace per assicurare il rispetto del “diritto” nei rapporti civili e sociali.
Solo se decliniamo la parola “legalità” con le aggettivazioni di “democratica e costituzionale” noi avremo dunque un comune quadro di riferimento sul quale verificare i nostri orientamenti e comportamenti. In questo quadro il doveroso “garantismo” verso gli imputati ed i responsabili di delitti o crimini, per assicurare comunque la tutela ed il rispetto della loro dignità di Persone, non può o meglio non dovrebbe avere la prevalenza sul garantismo verso le vittime ed i loro diritti violati, o sulla difesa dello Stato Democratico.
E’ in questo senso che noi, pur superando il sensazionalismo degli attuali processi mediatici per fatti di sangue e corruzioni di sistema, dovremmo saper essere inflessibili verso quanti, profittando delle loro condizioni di funzionari dello Stato, abbiano costruito condizioni illecite di arricchimento personale e di privilegio ingiustificato consumando crimini proprio all’ombra delle loro divise e funzioni.
Dunque ci sarebbe un “facile” punto di partenza per una politica supportata da una coscienza sociale condivisa o condivisibile nel merito di tali questioni, e sarebbe quello di impegnarsi a definire, in un organico progetto di legge, il “generico reato di depistaggio” come quel reato posto in essere (e che si realizza) dalla consumazione delle più varie attività (omissive, esecutive, di complicità diretta o passiva, di falsificazione e alterazione di documentazione, di falsa testimonianza o voluta diffamazione) finalizzate ad alterare uno scenario delittuoso per sottrarre alle indagini investigative i reali responsabili di un crimine.
Reato che dovrebbe poi prevedere un aumento di pena, da due a tre volte, rispetto a quelle previste per i singoli e specifici reati contestabili ad un normale cittadino (omissione, esecuzione di disposizioni illecite, alterazione e falsificazione di atti, falsa testimonianza e diffamazione) proprio quando a consumarlo fossero degli amministratori pubblici o dei funzionari dello Stato.
Un progetto legislativo che, quando quel reato di depistaggio si colleghi a fattispecie di strage prevedano pene detentive fino l’ergastolo, come atti direttamente correlati a quello di strage e funzionali all’occultamento delle responsabilità dirette in quella strage. E come lo e’ quel reato di strage, sarebbe necessario che anche il depistaggio ad essa collegato fosse dichiarato “imprescrittibile”.
Questa sarebbe una norma dall’enorme potere dissuasivo: infatti volete che un subordinato che oggi - a fronte di un ordine illegittimo di alterare alcuni atti (pur fossero collegati al fine di inquinare le indagini su una strage), e stretto tra il devastante potere ricattatorio del superiore e il suo poco coraggio di contestarne la legittimità degli ordini - non sia indotto a valutare con molto opportunismo la convenienza ad eseguire comunque l’ordine illegittimo, a fronte della garanzia di impunità che gli deriverebbe comunque, alla eventuale scoperta della sua attività illecita di complicità nel depistaggio, dalla prescrizione del reato, praticamente garantita dalla lunghezza dell’accertamento penale e del dibattimento?
Sapete quanti imputati di reati collegati, nella indagine per Ustica, sono usciti dal processo in virtù della intervenuta prescrizione dei reati pur commessi e confessati?
Una simile norma metterebbe invece qualsiasi subordinato nella condizione di valutare con molta consapevolezza le conseguenze del suo operato e di essere consapevole dunque di poter essere chiamato a rispondere, al massimo livello di pena, e senza alcuna garanzia di prescrizione, delle conseguenze di tali suoi comportamenti.
“Caro Comandante, Lei mi sta chiedendo di costruire una falsa traccia di MIG libico, in funzione dell’occultamento di qualcosa che potrebbe avere a che fare con la strage di Ustica? Ma Lei capisce che solo per aver costruito quella traccia falsa io potrei correre il rischio, per tutta la mia vita residua, di essere chiamato a rispondere di depistaggio a fini di strage, e che per questo dovrei rischiare l’ergastolo? No grazie, Comandante, mi scusi ma proprio non posso”.
Questo sarebbe un tipico dialogo indotto da un efficace intervento legislativo sul depistaggio rispetto a quanto e’ sempre avvenuto o potrebbe ancora avvenire in occasioni di scelleratezze di stato, nella attuale condizione di assenza di definizione dei reati di depistaggio e delle pene collegate.
Ci sarebbe poi un’altra questione da risolvere con un simile provvedimento legislativo che consiste nel rimborso economico per danno all’erario.
Io credo che nessuno di noi sia oggi scandalizzato ad esempio dal sequestro di beni a condannati per reati di Mafia, e dalla destinazione sociale dei loro proventi. La cultura che guida una simile ipotesi legislativa e’ infatti quella che “il criminale mafioso abbia accumulato ricchezze e beni lucrandoli da attività illecite e criminali, e dunque tali ricchezze non possano essere lasciate nella sua legittima disponibilità o in quella dei suoi parenti proprio in virtu’ della loro provenienza illecita”.
Ora dobbiamo anche sapere che una norma dello Stato pretende che il funzionario dello Stato, quale che ne sia il grado o la funzione, il quale si sia reso complice di pregiudizio in danno dell’erario statale, e’ tenuto al rimborso (ed in solido con lui anche gli eredi) delle cifre di tale danno.
E ancora che può essere chiamato a rispondere di tale danno anche colui, che responsabile di un servizio o una funzione, non avesse presentato agli organi superiori una relazione su circostanze che “potrebbero, anche solo in via ipotetica, recare danno allo Stato” al fine di consentire agli organi di controllo e vigilanza di svolgere attivita’ di prevenzione.
Ebbene cosa ci impedirebbe allora di chiamare a corresponsabilità ed obbligo di rimborso, estensibile anche agli eredi, tutto l’ammontare del danno causato allo Stato dai funzionari che siano stati accertati con sentenze definitive come organizzatori, esecutori e complici depistatori in reati di strage?
Badate, in questa prospettiva non sarebbe sufficiente calcolare solo le spese relative alle indagini (come quelle per il recupero dell’aereo di Ustica che si tentò maldestramente di opporre ai generali imputati, ancor prima di una sentenza definitiva ed anzi in assenza di sentenze di proscioglimento, per quanto impugnate), e neppure il calcolo dei rimborsi riconosciuti ai familiari delle vittime, ma andrebbe valutata, come nel caso di Mafia, qualsiasi ricchezza e bene sia stato lucrato al riparo della propria posizione di funzionario, in base ad un semplicissimo ragionamento:
“Il tale funzionario, approfittando del proprio ruolo e funzione, ha commesso un reato di strage o depistaggio connesso, che solo quel ruolo e quella funzione gli hanno permesso di concretizzare. In quel ruolo e per quella funzione egli ha dunque maturato retribuzioni e livelli di assicurazioni pensionistiche che avevano già pesato sui contributi fiscali versati dai cittadini, proprio contro coloro cioè contro cui egli ha consumato i sui crimini. Dunque al tal funzionario sono revocate tutte le somme versate per stipendi e competenze, ab inizio della sua carriera, e pretendiamo che egli ed i suoi eredi siano tenuti dunque a rimborsare allo Stato tali cifre ottenute per un servizio di garanzia mentre invece egli cospirava per aggredire la sicurezza dei cittadini, e che tali somme siano accumulate in uno specifico fondo a favore delle vittime. Che siano altresì cancellate tutte le garanzie pensionistiche maturate fino alla data della condanna, proprio per averle maturate, il soggetto, nel mentre ordiva il proprio crimine in danno dei Cittadini e dello Stato”.
Capisco che queste previsioni possano apparirvi da brivido, eppure ritengo che esse siano l’unico modo per garantirsi la dissociazione e la collaborazione con gli inquirenti in indagini per crimini scellerati come le stragi. Basterebbe prevedere che alcune di tali sanzioni, come le ultime relative alla restituito ab initio degli stipendi ricevuti o delle condizioni pensionistiche, possano decadere o essere applicate in misura ridotta a fronte di una fattiva collaborazione al disvelamento ed alla ricerca di riscontri probatori per l individuazione delle dinamiche e delle responsabilità principali nella organizzazione ed esecuzione della strage.
Perché infatti dovremmo chiedere ad un funzionario infedele e criminale meno di quanto oggi conveniamo sia giusto chiedere ad un criminale mafioso?
Non è dunque facile concretizzare la solidarietà, che pur sentiamo di offrire e condividere, con coloro che si scontrano con i poteri forti e criminali annidati nello Stato, con una comune azione politica, condivisa nel metodo e nelle prospettive. Perché spesso ci fermiamo ad una solidarietà superficiale ed emotiva con il soggetto vittima, come di fronte ad un malato terminale o ridotto in fin di vita da una aggressione, senza porci il problema di una terapia risolutiva e di una azione di prevenzione contro il ripetersi dei fenomeni aggressivi o delle cause delle patologie devastanti. E la sola idea di aggredire secondo principi di “legalità democratica e costituzionale” i responsabili dei crimini rischia di turbare la nostra natura di democratici.
Io non ho mai preteso di essere assecondato, ma ho sempre chiesto ai referenti politici che volta a volta ho avvicinato, cosa li ostacolasse dal confrontarsi sulla possibilità di applicazione di una assoluta severità verso i funzionari infedeli e responsabili di crimini infami. Ho ricevuto solo silenzi, distacchi, disinteresse progressivo, se non la aperta astiosità e la non dichiarata avversità.
Ed abbiamo così assistito ad audizioni di Ministri della Difesa (in particolare il Generale Concione, primo militare ad assumere il dicastero, e proposto da un governo di centro-sinistra!) che non si sono limitati a riconoscere i fenomeni di ruberie e truffe consumate in reparti armati dello Stato, ma hanno chiesto comprensione per i responsabili in virtù della affermazione che il mondo militare aveva bisogno di non essere umiliato perché sarebbe portatore “di valori affatto diversi, da quelli pur nobili della Società Civile”. Quasi che ci possano essere valori altri e diversi, per qualsiasi componente sociale della Nazione, dai soli e comuni riferimenti Costituzionali.
Così abbiamo avuto anche recentemente (si veda un poderoso articolo di Stella sul Corriere della Sera, sì proprio quello della “Casta”, in cui si denunciano i privilegi insopportabili e gli sprechi ingiustificati della classe politica) militari che, nel mentre erano assenti da mesi dal servizio per le più svariate malattie certificate da medici compiacenti, svolgevano altre intense attività economiche e commerciali, fino addirittura allo spaccio di droga per il quale qualcuno era stato fermato durante una operazione di contrasto ad oltre mille chilometri dalla abitazione di residenza. Ebbene ciascuno di costoro e’ stato mandato assolto dai Tribunali Militari, per i reati contestati di “assenteismo”, ed e’ stato posto in condizione di pensione. Pensioni baby, naturalmente.
Certo fin quando un Procuratore Generale della Corte d’Appello potrà inaugurare l’anno giudiziario militare ricordando quasi con nostalgia come le Forze Armate fossero state sentite per anni dai suoi uomini come una “beata insula, incontaminata dal contagio della Costituzione”, tutto potrà succederci. E la lotta che noi iniziammo perché davvero “l’ordinamento delle Forze Armate si informasse allo spirito democratico della Repubblica” (art. 52 della Costituzione) sarà una battaglia da combattere ancora tutta, e per intero.
E’ necessario dunque chiedere ai rappresentanti politici cosa li costringa ad un atteggiamento di pavidità e di soggezione di fronte ad uomini ed apparati che dovrebbero solo scattare sugli attenti di fronte al richiamo della lealtà alla “legalità democratica” piuttosto che inalberarsi e ventilare minacciosi tintinnii di sciabole, e con i quali invece si ingaggiano duri conflitti solo in occasioni abbastanza meschine e lontane dagli interessi e dalla sicurezza dei cittadini, come nelle ultime vicende che hanno visto contrapposti uomini di Governo al Comandante della GdF Generale Speciale.
Io sento dentro di me la certezza che la “legalità democratica e costituzionale” abbia bisogno di una assoluta severità verso chiunque attenti alle sue caratteristiche fondamentali, quale ne sia il grado, il ruolo e la funzione. E penso che ciò che è stato consentito al Generale Tascio non debba avere diritto di Cittadinanza in un Paese Democratico.
Perché, aldilà degli onest’uomini che io possa aver incontrato tra i Magistrati ed i Politici sul mio percorso, è comunque innegabile che Tascio abbia goduto di complicità interne alle Istituzioni ed agli Uffici anche in quest’ultima circostanza (con l’accoglimento di una querela difettosa, con il mantenimento al caldo del ricorso fino a farlo riemergere quando con l’intervenuta prescrizione speravano di ottenere il massimo – la certificazione di diffamatore per me e la possibilità di chiedere rivalse civili tali da distruggermi definitivamente – senza aver dovuto neppure mai confrontarsi con le mie controdeduzioni -), così come aveva già ricevuto comprensione e piaggeria dai membri della “Commissione Parlamentare di Inchiesta sul fenomeno del terrorismo e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili di strage” a fronte delle sue dichiarazioni reticenti e della evasione smaccatamente falsa dal dichiarare i propri compiti istituzionali.
Si tratta di rompere quella rivoltante consociazione tra poteri politici e mondo militare, per cui i primi pretendono che essi siano solo i pretoriani posti a garanzia della loro gestione del potere, dovendo però offrire in cambio le più ampie garanzie di impunità per qualsivoglia reato consumato contro la “legalità democratica e costituzionale” e sempreché non ostacolino le aspettative di potere incontrastato coltivate da coloro che dovrebbero essere i detentori delle funzioni rappresentative del “sovrano potere popolare”.
Si tratta di rompere il perverso meccanismo per cui il mondo militare oppone una sua presunta “alterità” alla Società Civile, nel timido silenzio del mondo della politica che consente a questa alterità, anche sul piano del diritto e del rispetto della “legalità costituzionale e democratica”.
Dunque la vicenda Tascio contro Ciancarella non ci propone solo un esito favorevole a Mario, ma ci pone di fronte alla sfida di ciò e di quanto intendiamo fare perché i Tascio siano contrastati all’origine del loro percorso e siano comunque inibiti dal perseguirlo con le garanzie di impunità di cui fino ad oggi hanno potuto ampiamente godere.
Grazie ancora a tutti, per la solidale vicinanza, per la tangibile forza a cui ho potuto attingere, nella speranza che il comune cammino non sia reso più difficile da queste prospettive finali che ho comunque ritenuto corretto e doveroso proporvi perché fossero chiari gli obiettivi che mi prefiggo ed i percorsi sui quali da sempre oriento il mio agire.
Mario"