"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci
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lunedì 28 gennaio 2008

"Onorata Sanità", 18 arresti nella 'ndrangheta calabrese

L'ex vicepresidente del Consiglio regionale, Francesco Fortugno, ucciso nel 2005


Uno sciagurato intreccio tra ‘ndrangheta, politica e sanità.
È quello smascherato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria che lunedì ha portato all’arresto di 18 persone. Tra loro, oltre ai già detenuti perché considerati i mandanti dell’omicidio Fortugno, Alessandro e Giuseppe Marcianò, c’è un consigliere regionale della Calabria, Mimmo Crea.

Secondo l’indagine, denominata “Onorata Sanità”, l’omicidio nel 2005 del vicepresidente del Consiglio regionale calabrese Francesco Fortugno sarebbe proprio legato all’ingresso di Domenico Crea nel Consiglio. Secondo quanto ricostruito dai pubblici ministeri Andrigo e Colamonaci, insieme al procuratore Francesco Scuderi, l'omicidio Fortugno fu la diretta conseguenza della mancata elezione in Consiglio regionale del soggetto designato quale referente dei clan e diretto garante degli interessi delle cosche.

Crea, primo dei non eletti nella lista della Margherita, infatti, è subentrato a Fortugno dopo la sua morte. La sua è una storia politica controversa: fino al 2005 ha ricoperto la carica di assessore al Turismo della Regione Calabria nelle file del centrodestra, poi il passaggio alla Margherita e la candidatura alle regionali del 2005. Un nome che aveva fatto storcere il naso a molti, tra cui lo stesso Fortugno e l'attuale presidente della Regione Calabria, Agazio Loiero, all'epoca dei fatti ancora nella Margherita.

Dopo l’arresto dei Marcianò, Loiero invitò Crea a farsi da parte, se non altro perché uno dei due, Giuseppe, faceva parte della segreteria politica dello stesso Crea. Il consigliere decise così di ritornare nel centrodestra, aderendo alla Dc di Rotondi e diventandone capogruppo in Consiglio regionale.


Pubblicato il: 28.01.08
Modificato il: 28.01.08 alle ore 17.19

fonte: http://www.unita.it/view.asp?idContent=72452

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venerdì 11 gennaio 2008

NEL PAESE DEI MONNEZZARI


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La dialettica hegeliana "Problema-Reazione-Soluzione", è ieri come oggi, messa in atto dal Sistema!
Quando si vuole realizzare qualcosa, è estremamente funzionale (11 settembre 2001, docet. La ridicola quanto vergognosa epidemia di meningite in Veneto, ecc.)
Il Problema è (l'hanno fatto diventare tale) la Monnezza, la Reazione è (ovviamente) l'indignazione dei cittadini e la Soluzione (magica) saranno gli "Inceneritori" o "Termovalorizzatori", che tutti accetteranno con
entusiasmo, pur di risolvere quanto prima la situazione ambientale e umana indecente.
Purtroppo grazie a questi Cancrovalorizzatori, avremo nei prossimi vent'anni un aumento spaventoso di patologie respiratorie gravissime (nanoparticelle) con inquinamento delle falde acquifere.
Voragini di miliardi di euro per la gioia dei politici (mafie & massoneria) e le lobbies del farmaco...
Marcello Pamio

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Nel paese dei monnezzari
di Carlo Bertani - 11 gennaio 2008


Bande di teppisti senza una strategia complessiva”, ecco come un Ministro dell’Interno ex socialista, e nominato da un governo di centro-sinistra, definisce il malessere degli abitanti del napoletano. E, questo, dopo aver “sentito” il Capo della Polizia Manganelli (basta il nome…) ed aver nominato De Gennaro (Genova 2001?) Commissario Straordinario per la Monnezza.
L’Italia è un “paese fotocopia”. Ogni anno che passa, potremmo “riciclare” le notizie di quello precedente: come nel 2007, 2006, 2005…anche quest’anno è scoppiata “l’emergenza rifiuti”. Anche le notizie fanno monnezza.
Come andrà a finire? Come tutte le “emergenze” italiane: dapprima si criminalizza chi protesta per il sacrosanto diritto alla propria salute (le cifre sull’incidenza dei tumori riportate da Saviano parlano chiaro), poi partirà una strategia formata da promesse (tante), soldi (a chi di dovere), tanto per rientrare in quell’ordinaria “normalità” che, a Napoli, significa non avere la monnezza che arriva al primo piano. Poi, spegneranno i riflettori delle TV, e tutto tornerà “normale”. Fino alla prossima emergenza.


Intanto, montagne di rifiuti s’accumulano nelle strade, mentre colonne di camion cariche di spazzatura s’avventurano – scortate dalla Polizia – fra paesi in guerra e popolazioni al limite della sopportazione. Dove vanno? Tentano di raggiungere l’ennesima discarica “temporanea”, nell’attesa che si trovi l’ennesimo “sito” per l’interramento definitivo: ovviamente, nell’attesa che sia definito dove e se costruire un inceneritore, un termovalorizzatore o comunque lo si voglia chiamare. Intervistati dai solerti TG nazionali, sudaticci funzionari affermano di “lottare contro il tempo”, “contro gli immobilismi”, “contro le eco-mafie”, contro…insomma, un’emergenza apocalittica!
Ora, “un’emergenza” deriva – per definizione – da un evento straordinario ed imprevisto: nessuno prevedeva che, anche quest’anno, avremmo gettato nella spazzatura le bucce dei mandarini e i cartocci del latte?


Negli altri paesi europei, si nominano commissari straordinari per i terremoti e per le alluvioni; nel Bel Paese, alti funzionari dello Stato sono insigniti dell’ambita carica: Commissario per la Monnezza. L ’ultimo ad essere insignito dell’Alta Carica fu Bertolaso. Adesso tocca a De Gennaro. La prossima volta, toccherà ad un Ammiraglio poi, a rotazione, Esercito ed Aeronautica.
Tutto l’andazzo è finalizzato ad un solo scopo: trovare qualcuno disposto ad accettare sul suo territorio una discarica, un’amena valletta (meglio se un po’ nascosta) da riempire di spazzatura. Almeno, per quest’anno “tiriamo il fiato”. Le riunioni “politiche” si sprecano: sindaci di quel partito incontrano governatori dell’altro, ma c’è di mezzo qualche “potente” dell’opposto schieramento, e si torna da capo. S’interpella Roma, ma Roma ha ben altro cui pensare…elezioni, fusioni di partiti, grandi riforme istituzionali…no, Roma nomina il Gran Commissario e…che se la sbucci lui, fra le bucce delle patate e delle arance!


Se riduciamo all’osso la questione, siamo come un gatto che deve “farla” ed osserva con circospezione il terreno: dietro a quel cespuglio? Sotto l’albero? Sì, sotto l’albero va bene: un po’ di lavoro con le zampe anteriori – quindi l’atto – e lo zampettare con quelle posteriori per ricoprire il tutto. Anche per oggi, il problema è risolto. Nel terzo millennio del silicio e delle tecnologie spaziali, il Gran Commissario osserva il gatto. E impara.
Proviamo a salire di un misero scalino ed osservare altre soluzioni?
Per prima cosa dobbiamo sfatare il mito che la spazzatura, in discarica, non inquini: inquina pesantemente e definitivamente il terreno, e non solo.
Nonostante ci raccontino che sono state seguite alla lettera le “norme”, e prese tutte le opportune “precauzioni”, vorremmo sapere cosa genereranno montagne di spazzatura interrate dopo decenni di piogge. Nessuno può fermare l’acqua, che s’intrufola, scava, scende: gutta cavat lapidem – affermavano i latini, la goccia scava la pietra – figuriamoci la monnezza.


Risultato: dopo qualche anno, metalli pesanti e molecole d’ogni forma s’espandono ben oltre i confini della discarica e vanno ad inquinare le falde acquifere. La preziosa, e sempre più scarsa acqua che abbiamo a disposizione, dobbiamo prelevarla sempre più lontano dalle città, perché le falde più vicine sono inquinate da Cromo, Mercurio, Piombo e molecole d’ogni tipo sparse a pioggia. Addio agricoltura biologica. Finito? Manco per idea.
Le molecole organiche (carta, legno, residui alimentari, materie plastiche, ecc) sono costituite da lunghissime catene formate da atomi di Carbonio. Tutto cambia – panta rei, affermavano già i Greci – ed il Carbonio può seguire due strade per “mutare”: l’unica cosa che non può assolutamente fare è rimanere così com’è, perché la chimica è un continuo mutare, trasformare, rinnovare.
Se il Carbonio si lega con l’Ossigeno (tipicamente, una combustione) forma l’anidride carbonica – responsabile dell’effetto serra – mentre se è interrato cambia per fermentazione anaerobica. I batteri, sempre presenti, spezzano le lunghe catene di atomi e formano metano: a prima vista, sembrerebbe una buona soluzione.


Invece no, perché il metano che si forma è difficile da recuperare ed è – per gli usi energetici – di scarsissima entità, mentre – se liberato nell’atmosfera – inquina, e parecchio. Una molecola di metano riflette una quantità di radiazione infrarossa (l’effetto serra) pari a 21 volte quella riflessa da una molecola d’anidride carbonica! Quindi, dal punto di vista dell’inquinamento, le discariche sono la peggior soluzione: incrementano enormemente l’effetto serra ed inquinano definitivamente terreni e falde acquifere.
L’altra soluzione è bruciare i rifiuti in appositi impianti, per ottenere la miglior combustione possibile e ridurre il rilascio di prodotti di combustione indesiderati.
Qui bisogna sfatare un mito: i termovalorizzatori producono sì energia elettrica, ma è sbagliato pensare ad essi come ad un metodo di produzione energetica. Più seriamente, dovrebbe essere chiarito che sono mezzi per eliminare i rifiuti, dai quali è possibile recuperare un po’ d’energia.
La distinzione è importante perché, se pensassimo ad essi come al toccasana della produzione energetica, potremmo cadere nell’errore di generare più rifiuti: tanto ci penseranno i termovalorizzatori!


I termovalorizzatori, però, bruciano il materiale più composito che possiamo immaginare: pur trasformando preventivamente i rifiuti nel CDR (Combustibile Da Rifiuti) mediante complesse operazioni chimico-fisiche, rimane un composto formato da legno, plastica, coloranti, vernici, ecc.
All’estero, la tecnologia per bruciare i rifiuti è più avanzata che in Italia, e si riescono ad ottenere rilasci molto contenuti di sostanze inquinanti, tanto che gli impianti sorgono anche in aree urbane.
In Italia – e questo è un altro mistero che dovrebbero spiegarci – anche i più moderni impianti sono almeno un paio di “generazioni” indietro rispetto a quelli d’oltralpe.
I timori delle popolazioni – quindi – sono pienamente giustificati: perché un sindaco dovrebbe concedere la costruzione di un termovalorizzatore, quando non ha garanzie sul futuro inquinamento?


Discariche e termovalorizzatori sono mezzucci per risolvere il breve ed il medio periodo ma, se vogliamo veramente salire un ulteriore “scalino” e cercare soluzioni radicali, non possiamo che partire dalla “catena” del rifiuto: in definitiva, si brucia ciò che s’immette nella “filiera” del rifiuto.
I rifiuti organici naturali (scarti di cucina, ad esempio) non producono inquinanti: il vero problema sono i materiali prodotti dall’uomo mediante la manipolazione chimica. Una cassetta di legno può bruciare tranquillamente: la stessa cassetta, costituita da materiale plastico, è un problema.
Qui nasce il problema dei rifiuti: quando s’arriva al cassonetto, la frittata oramai è fatta.


La raccolta differenziata dei rifiuti è ottima cosa, ma è lenta ad affermarsi e sembra non riuscire a superare la metà, forse il 60% della produzione di rifiuti, anche nelle migliori condizioni.
Le proposte sono molte: dalla raccolta “porta a porta” (molto costosa) ad un generale abbattimento della quantità d’imballaggi, che formano gran parte dei rifiuti.
Dobbiamo, però, sfatare un mito, ovvero il ritorno al trasporto dei materiali sfusi: chi ha vissuto nel mondo dove si rifornivano i negozi con i sacchi di pasta, sa benissimo che quel metodo necessitava di tanta mano d’opera in più per realizzare la distribuzione.
In questo senso, la grande distribuzione è un passo in avanti, non indietro: in termini d’efficienza – sia energetica, sia per le ore di lavoro necessarie – il mondo “polverizzato” dei piccoli esercenti condurrebbe a nuovi rincari delle merci. Già oggi è possibile, non ovunque, ordinare direttamente le merci via Internet, e questo è un altro progresso: risparmi di tempo e carburanti.
Va da sé che, se si devono rifornire i supermercati con merci imballate (giacché chi acquista compra una confezione, mentre un tempo c’era un addetto che confezionare i pacchi), aumenterà la massa degli imballaggi.


Gli imballaggi sono dunque i materiali che generano più problemi per un loro eventuale uso energetico: enormi masse di materie plastiche, nylon, coloranti. E’ proprio necessario costruirli con queste sostanze?
Se i contenitori per il trasporto e l’imballaggio delle merci vengono recuperati, allora possiamo costruirli con qualsiasi materiale, ma se vanno a finire nel cassonetto – quante volte abbiamo notato cataste di cassette per la frutta in plastica accanto ai cassonetti? – sarebbe meglio farli di legno. E per gli imballaggi, non sarebbe meglio utilizzare il cartone? Ancora: è proprio necessario colorare il cartone, cosicché rimane intriso di coloranti chimici che inquinano pesantemente?
I sacchetti potrebbero essere di carta, oppure fabbricati con polimeri dell’amido di mais, i coloranti usati potrebbero essere d’origine naturale: certo, forse non si riuscirebbe ad ottenere quel meraviglioso rosa shocking, ma val bene la pena se dopo non si genera diossina!


Ci sono milioni d’interventi per intervenire nella “filiera” del rifiuto: perché non viene proibita la vendita delle batterie (pile) tradizionali, così utilizziamo solo quelle ricaricabili? Se si possono ricaricare anche solo 200 volte, significa ridurre allo 0,5% la quantità di batterie esauste! Idem per le lampadine.
Il 5% del petrolio che importiamo non viene usato per generare energia, bensì per usi petrolchimici: sono circa 10 milioni di tonnellate l’anno, il carico di 25 superpetroliere. Con quel petrolio saranno sintetizzati medicinali, materie plastiche, gomme, fibre tessili, coloranti, inchiostri, ecc.
Questo mare di composti, in gran parte, finirà in discarica nel volgere di pochi anni. Perché?
Poiché la monnezza sta diventando il terminale d’ogni attività umana: senza monnezza, il capitalismo non ha futuro!


Mi sono piaciuti parecchio alcuni passaggi di un articolo comparso sul Web, dal titolo L'impero della rumentadi Gianluca Freda, perché metteva il dito proprio sulla genesi della monnezza, sul mal primigenio del problema.
Citando Maurizio Pallante in La decrescita felice – laddove afferma che La produzione è un’attività finalizzata a trasformare le risorse in rifiuti attraverso un passaggio intermedio, sempre più breve, allo stato di merci– Freda conclude che La merce, in quest’accezione, non è altro che monnezza grezza che va raffinata al più presto, affinché si possano ricavare dal prodotto finito i meritati e lucrosi profitti imprenditoriali.
Correttamente, Freda identifica nella monnezza il prodotto finito del lavoro capitalista, perché soltanto dalla distruzione del bene sarà possibile ottenere la vendita di un nuovo bene! Tragico, ma è così.


Se spicchiamo un salto nel tempo di parecchi secoli, troviamo artigiani tessili preoccupati: per i prezzi? Per trovare un acquirente ad una camicia in ruvida lana?
No, il problema era avere la lana per filare, per tessere, per confezionare la camicia! Dopo, c’erano stuoli di pretendenti, pronti a scucire monete d’oro oppure a barattare il proprio lavoro in cambio.
Per avere più lana, s’iniziò ad acquistarla in posti sempre più lontani, in quantità crescenti, con l’impiego di sempre più risorse, i capitali.
Il capitale – e tutto la panoplia dei primi mezzi finanziari, lettere di credito, cambiali, ecc – aveva il precipuo scopo di soddisfare una impellente necessità umana: non crepare di polmonite.


L’interesse bancario, richiesto su ogni prestito, aumentò a dismisura le dimensioni dei capitali originari, tanto che – alla fine del ‘400 – i banchieri fiorentini si permettevano di finanziare le spedizioni nel Nuovo Mondo. Mica per interesse filantropico: per trovare altra lana e spezie, che erano necessarie giacché non erano solo il pepe e la cannella, bensì tutta la chimica e la farmacopea dell’epoca.
Finché il lavoro rimase manuale, la quantità d’energia che il “sistema” poteva gestire era limitata dalle masse muscolari di uomini ed animali, ma con l’avvento del vapore aumentò esponenzialmente. Più camicie, più soldi: il problema è che ogni persona può indossare una sola camicia la volta. Ne potrà tenere 50 in un armadio, ma oltre le 50 non si sa più dove metterle.
Ecco, allora, che la camicia – per continuare ad incrementare il capitale – deve durare di meno: non c’è altra soluzione.


La scrivania sulla quale ho appoggiato il computer è una scrivania “da soci” (probabilmente da architetto) degli anni ’20: è costruita in quercia, con incastri a coda di rondine e pochi inserti metallici. La pagai 100.000 lire da un rigattiere, la restaurai e la sto usando da molti anni: quando me ne sarò andato, potrà rendere gli stessi servigi a mio figlio, ai miei nipoti, bisnipoti, ecc. Basterà una mano di vernice e un po’ di cera ogni tanto: la mia scrivania è un minuscolo soldatino del movimento anti-capitalista.
Se avessi acquistato, ad un prezzo certo maggiore, una moderna scrivania in truciolato, oggi l’impiallacciatura inizierebbe a staccarsi, le gambe ad indebolirsi, i cassetti a perdere i fondi. Accanto ai cassonetti, ci sono spesso cataste di mobili in truciolato: il truciolato è un grande alleato del capitalismo.


Un enorme quantitativo di rifiuti è costituito da mobili: anzi, ex mobili. Per costruire i mobili, deforestiamo immense aree, scacciamo con la forza popolazioni che vi abitano da millenni, trituriamo il legno e lo ricomponiamo con colle sintetiche. Con i pannelli, quindi, costruiamo i mobili.
I mobili moderni saranno pure lisci e senza la minima fessura, ma dopo qualche decennio – inevitabilmente – le colle si de-polimerizzano ed i pannelli di truciolato vanno letteralmente in polvere: perché non usare il legno?
Un mobile in legno – se protetto dai tarli – può durare alcuni secoli: ne sono testimoni i mobili antichi giunti sino a noi. Curandoli con della semplice cera d’api, i nostri progenitori hanno usato gli stessi mobili per generazioni: certo, ci sono preferenze dovute alle mode od agli stili, ma tutto questo cela soltanto la nostra ansia del dover cambiare tutto ciò che ci circonda, frequentemente, per mascherare la nostra incapacità di cambiare il nostro pessimo stile di vita. Dalla produzione al consumo, tutto deve vorticare celermente per donarci l’illusione della felicità. Effimera.


Ovviamente, il capitalismo alimenta ad arte – grazie alla pubblicità – la sete di mutamento: sei depresso? Comprati un paio di scarpe nuove: per un paio d’ore scaccerai il male ai piedi, osservando le tue nuove zampe sontuosamente calzate.
La stessa molla del consumo inconsapevole ci spinge ad acquistare il cartoccio dei pomodori che ha la confezione più appariscente e colorata: nastrini dorati, nylon che riflettono la luce, scritte accattivanti che richiamano paradisi della natura.
In realtà, quei pomodori sono probabilmente cresciuti sotto una cappa di concimi chimici e diserbanti, e sono stati raccolti da uno schiavo nero – che oggi chiamiamo “extracomunitario” – per pochi centesimi: nell’estate del 2006, le Forze dell’Ordine scoprirono – in Puglia – una vera holding della schiavitù, con tanto di “caporali” armati che sorvegliavano i “lavoratori extracomunitari”. Peggio dei campi di cotone dell’Alabama.


Se fossimo consapevoli dell’abisso d’infelicità nel quale siamo precipitati, probabilmente acquisteremmo la metà dei prodotti che compriamo: perché non si costruiscono automobili che durano trent’anni? Sarebbe possibile e vantaggioso, sia economicamente e sia per gli aspetti energetici ed ambientali.
La risposta è: perché nessuno si terrebbe la stessa auto per trent’anni! Vorrebbe cambiare, non entrare nella stessa “forma” per tre decenni. Ci chiediamo perché ci disturba tanto? Perché quel “cambiare” acquieta la nostra sete di mutamento interiore, perché ci rendiamo conto che stiamo costruendo un mondo alla rovescia: campagne spopolate e città invivibili, ricchi straricchi e poveri strapoveri, felicità effimere e depressioni dilaganti.


Difficile stabilire dove sia iniziato questo circolo vizioso: possiamo soltanto affermare che è perfettamente coerente con i desideri di chi guadagna un euro a camicia, e pare acquietare le ansie di coloro che – se non acquistano una camicia nuova ogni mese – cadono in depressione.
Ora, qualcuno potrebbe chiedersi cosa c’entra tutto ciò con la politica spicciola: possiamo discutere all’infinito sulla convenienza della raccolta differenziata, sugli inceneritori, sul riciclo dei materiali – ed è giusto farlo – ma se non mutiamo le nostre abitudini – ovvero se non diminuiamo la colossale quantità di beni che consumiamo nei paesi ricchi, senza trovare felicità – saranno soltanto pannicelli caldi per curare un tumore.


Siamo così fessi, stupidi, inconsapevoli? No: c’è chi alimenta ad arte questa tendenza e ci campa allegramente. Ovviamente, chi produce un bene vorrà produrne di più per arricchirsi: la nota teoria dello “sviluppo senza limiti”, che rischia seriamente di mettere in crisi l’intera specie umana, ma c’è chi ha trasformato il rifiuto in un cespite di ricchezza e di potere.
Tutti paghiamo la tassa sulla spazzatura. Quanto? Dipende, ma una cifra vicina ai 200 euro a famiglia è vicina alla realtà.
Questa tassa (le sole famiglie) genera annualmente un capitale pari a circa 5 miliardi di euro (altri forniscono cifre ben maggiori, ma non ha soverchia importanza). Chi lo gestisce? Gli assessori incaricati di gestire i rifiuti, che si servono d’aziende municipalizzate o private per “risolvere” il problema.


Qui entrano in gioco le cosiddette “eco-mafie”, che non sono eserciti d’individui con coppola e lupara: più semplicemente, sono distinti signori in doppiopetto che ricevono appalti per la gestione della spazzatura i quali, a loro volta, li re-distribuiscono in una jungla di subappalti.
Sulla monnezza campa un esercito di camionisti, raccoglitori, funzionari…e su tutti, come un sovrano, regna il nostro assessore che, con una delibera, può cambiare il destino di centinaia di persone. Le quali, ovviamente, mostreranno riconoscenza alle elezioni. Proviamo a riflettere su qualche milione di euro da gestire per raccogliere voti: la spazzatura può anche fare tre volte il giro dello Stivale (difatti, la spediscono in Sardegna, che è proprio dietro l’angolo), basta che alla scadenza elettorale caschi tutta sullo stesso nome!
Perché, soprattutto al Sud, la raccolta differenziata non decolla? Poiché manderebbe in crisi il sistema, “l’affare monnezza”. Del resto, la politica-spazzatura, la TV-spazzatura e l’informazione-spazzatura, su cosa potrebbero reggersi?


C’è modo d’uscirne?
Senza uno Stato che si riappropri di quei poteri che la cosiddetta “deregulation” ha generato, potremo discutere all’infinito su discariche e termovalorizzatori, ma rimarremo sempre nella m…pardon nella monnezza. E non si venga a raccontare che il problema è solo napoletano; ho visto personalmente intere vallette, al Nord, riempite di spazzatura, che non hanno ripari a valle: prima o dopo, quella monnezza finirà inevitabilmente sulla testa di chi sta sotto. Magari fra cent’anni: e chi se ne frega di cosa avverrà fra cent’anni! Nomineranno un Commissario per le Monnezze Cadenti.
Un primo passo verso la decrescita, passa proprio per uno Stato che torni a difendere la salute ed il buon livello di vita della popolazione. Come? Stabilendo, per legge, più tutele sulla produzione dei beni.


Mia suocera ha un frigorifero Bosch che acquistò nei primi anni ’60: funziona tuttora, ed è costruito con un acciaio che ci potreste fare una lama di Toledo. Una cara amica ha ancora un monumentale frigorifero FIAT, che ha attraversato tutte le stagioni della tecnologia ed oggi ha già valore nel mercato del modernariato. E funziona.
Ovvio che, quando la concorrenza scivola nel monopolismo, nel cartello dei produttori e lo Stato si estingue, l’interesse generale sarebbe quello di darvi un frigorifero che dura due mesi.
Perché, un’auto, deve avere soltanto due anni di garanzia?
Se, ipoteticamente (ma conosco situazioni che si avvicinano parecchio all’esempio), dopo due anni ed un giorno si rompe la pompa dell’acqua e si “fonde” il motore? Oppure, il parabrezza – inspiegabilmente – si fessura (“cancro del vetro”, lo chiamano, ma facessero il piacere…), una gomma scoppia dopo poche migliaia di chilometri – eh sì, “capita” – chi vi risarcisce?


L’auto che avete acquistato – quei 20.000 euro, poniamo – per quanto tempo deve durare?
Se dopo pochi anni inizia ad andare letteralmente in pezzi (qualcuno ricorda le Alfasud che lasciavano una scia di ruggine dopo pochi anni?), questa è truffa, soltanto che le leggi non la riconoscono come tale.
Ovvio, perché andrebbe ad intaccare il comma numero uno: tutto deve essere funzionale all’accumulazione del capitale. Il comma due, invece, recita: qualsiasi legge che contrasta con il comma uno è automaticamente abrogata, e deve essere immediatamente gettata nella monnezza. Fine.

Carlo Bertani articoli@carlobertani.it www.carlobertani.it http://carlobertani.blogspot.com/


www.disinformazione.it


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lunedì 22 ottobre 2007

E' la Mafia la prima azienda italiana


L'usura è la prima fonte di guadagno

L«Azienda Mafia» è la prima azienda italiana: fattura oltre 90 mld di euro di utili. È quanto è stato annunciato oggi alla presentazione del decimo rapporto di «Sos Impresa» sulla criminalità. Le organizzazioni criminali di stampo mafioso esercitano il loro condizionamento in tutto il tessuto economico del Paese. Il giro d’affari dell»Azienda Mafià, con oltre 90 mld di fatturato, è rappresentato in primo luogo dall’usura, con 30 mld di euro e che colpisce 150mila commercianti.

Al secondo posto, sempre secondo il rapporto di Sos Impresa, l’abusivismo commerciale con 13 mld di euro, segue il racket con 10 mld, l’agromafia con 7,5 mld, la contraffazione e la pirateria con 7,4 mld, furti e rapine con 7 mld, appalti e forniture con 6,5 mld, truffe con 4,6 mld, giochi e scommesse con 2,5 e contrabbando con 2 mld. Il fatturato dei 90 mld della mafia rappresenta il 7% del Pil nazionale, pari a 5 manovre finanziarie. Gli imprenditori e i commercianti subiscono 1.300 reati al giorno, ovvero 50 ogni ora.

Alla presentazione del rapporto era presente il sottosegretario all’Interno Marco Minniti. «Domani in Cdm - ha detto il viceministro - presenteremo il pacchetto sulla sicurezza. Occorre colpire i patrimoni. Ci poniamo come primo obiettivo rivisitare tutta la partita delle misure di prevenzione. E poi ci sarà la cancellazione del patteggiamento in appello dei reati di mafia, un punto questo dal quale non si può prescindere».

Nel pacchetto della sicurezza sono previste anche misure contro la contraffazione. «Quello della contraffazione è un giro di affari da 7 mld di euro - ha detto il sottosegretario - non si può pensare che sia solo un problema dei vucumprà.

Parliamo di una questione internazionale che investe perfettamente la grande criminilità e la criminalità mafiosa». Per quanto riguarda le misure di prevenzione verrà presentato un apposito disegno di legge che prevede appunto delle misure patrimoniali per i reati che interessano la grande criminalità. Minniti ha anche voluto annunciare l’istituzione del cosiddetto «tutor anti-racket», che diventerà operativo nei prossimi giorni e sarà sperimentato in sei aree del paese.

«Il tutor si prenderà cura di una azienda che vuole investire accompagnandola sia sul terreno della semplificazione ha detto Minniti - sia su quello della sicurezza, cioè la possibilità di resistere al racket sul territorio».

fonte: http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200710articoli/26905girata.asp

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STORIA DELLA MAFIA


Datare le origini del potere criminale nel nostro Paese è impresa ardua, se non impossibile. Più semplice definirne la natura che rappresenta una peculiarità tutta italiana. Questo non vuol dire che in altri paesi non esistano forme di criminalità organizzata, ma è soprattutto in Italia che il sistema dell’illegalità si è storicamente definito in precise organizzazioni, ciascuna con proprie caratteristiche e precisi radicamenti regionali.

Il fenomeno di gran lunga più diffuso - e che negli anni dell’emigrazione è stato esportato soprattutto oltreoceano, in paesi ricchi come gli Stati Uniti – è quello della mafia siciliana che va anche sotto il nome di Cosa nostra. Fenomeni di criminalità organizzata, con varie ramificazioni, esistono da più di un secolo anche in Campania (la camorra), in Calabria (la ‘ndrangheta) e da tempi molto più recenti anche in Puglia (la sacra corona unita).

Senza avere l’ambizione di addentrarsi in analisi squisitamente sociologiche, l’obiettivo di queste pagine è quello di illustrare la nascita, il radicamento, lo sviluppo, le trasformazioni e gli intrecci con il potere legale dello Stato di queste organizzazioni criminali.





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mercoledì 17 ottobre 2007

Busta con proiettile a De Magistris



Uguale minaccia anche al gip Forleo

La lettera al pm di Catanzaro è stata inviata da Bologna: all'interno un bossolo calibro 38 e un foglio con la scritta: "Il prossimo è per te".
In giornata una lettera molto simile recapitata al gip di Milano Forleo nel suo ufficio


Catanzaro, 17 ottobre 2007 - Una busta contenente un proiettile calibro 38, modificato in modo artigianale, è stata recapitata via posta al sostituto procuratore della Repubblica del Tribunale di Catanzaro, Luigi de Magistris.

Il plico, spedito da Bologna, è stato aperto ieri sera dallo stesso magistrato nel suo ufficio. Oltre al proiettile, c'era dentro un foglio, sul quale era stata disegnata una stella a cinque punte, recante la scritta: "Il prossimo è per te".

Il pm de Magistris ha immediatamente avvisato la Digos, che ha avviato le indagini del caso, di quanto accaduto. De Magistris è al centro del caso politico-istituzionale dopo la richiesta di trasferimento presentata nei suoi confronti dal Guardasigilli Clemente Mastella.


LETTERA DI MINACCE ANCHE ALLA FORLEO

Anche il gip di Milano Clementina Forleo ha ricevuto oggi una busta contenente un proiettile e un messaggio intimidatorio. Ad aprire la busta è stato lo stesso gip nel pomeriggio mentre si trovava nel suo ufficio al Palazzo di Giustizia di Milano.

fonte: http://qn.quotidiano.net/2007/10/17/42205-busta_proiettile_magistris.shtml

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lunedì 15 ottobre 2007

Mafia: la Procura chiede 8 anni per Cuffaro



Otto anni di reclusione per aver rivelato notizie delicate e favoreggiamento.

E' questa la richiesta del procuratore di Palermo nei confronti del presidente della Regione Salvatore Cuffaro. Gli avvocati del governatore della Sicilia hanno chiesto la remissione del processo.


La condanna a otto anni di reclusione nei confronti del presidente della Regione Salvatore Cuffaro, imputato di favoreggiamento a Cosa Nostra e rivelazione di notizie riservate, è stata chiesta dal procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone, a conclusione della requisitoria nel processo alla "talpe della Ddda" in corso di svolgimento a Palermo. I difensori di Cuffaro hanno chiesto la remissione del processo per "legitima suspicione", in seguito alle polemiche sorte all'interno della Procura sul capo d'imputazione nei confronti del Governatore.

IL PROCURATORE. "Questa requisitoria è stata basata su rigorose valutazioni delle risultanze processuali", ha detto Pignatone, prima di formulare le richieste. La sua presenza in aula, stamane, al fianco dei pm Maurizio De Lucia e Michele Prestipino, è stata letta come la volontà di sostenere le loro valutazioni sui profili della contestazione di reato mossa nel processo al governatore siciliano Salvatore Cuffaro, dopo l'ennesima divergenza sorta in Procura nei giorni scorsi. Pignatone ha aggiunto: "Questo è stato definito il processo alle 'talpè - ha detto - ma questa definizione è riduttiva. Questo processo ha svelato alcuni aspetti strategici e vitali per Cosa nostra, facendo emergere il coacervo di interessi illeciti che hanno accomunato mafiosi, imprenditori, professionisti ed esponenti delle istituzioni, compresi rappresentanti politici".


15/10/2007 16:30

fonte: http://www.unionesarda.it/DettaglioUltimora/?contentId=14592

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giovedì 27 settembre 2007

Appello in difesa del P.M. di Catanzaro Luigi De Magistris



Credevamo che l´uso reiterato e pilotato delle ispezioni ministeriali, i trasferimenti d´ufficio, i provvedimenti disciplinari, volti a mettere a tacere i magistrati scomodi fossero tutte prerogative del governo Berlusconi e del suo guardasigilli Castelli.


Non è così, e dopo l´attacco al Gip Clementina Forleo, la storia si ripete. Questa volta è il ministro Mastella del governo Prodi che cerca di zittire e allontanare un giudice scomodo. Con un dossier di 300 pagine confezionato dai suoi ispettori Mastella chiede al CSM il trasferimento in via cautelare e con procedura d´urgenza del p.m. De Magistris che sta conducendo una inchiesta delicata su un comitato d´affari composto da magistrati, politici, imprenditori e che tocca nomi eccellenti del centrodestra e del centrosinistra.


Ha scritto il giornalista Giuseppe D´Avanzo: «Luigi De Magistris è al lavoro per sollevare i coperchi di quelle pentole borbottanti dove si incrociano, protetti da una magistratura connivente, spaventata o conformista, gli interessi di istituzioni, amministrazioni, politica, imprenditoria, finanza. Un sistema che ha la pretesa di controllare tutti i finanziamenti pubblici che dall´Unione Europea piovono in una Calabria, che ha il vantaggio di essere «obiettivo 1» e attende negli anni 2007/2013 un flusso di danaro pari a 8 miliardi e mezzo di euro».


La Calabria ferita e oppressa dalla ´ndrangheta, la Calabria dei ragazzi di Locri, la Calabria degli onesti si ribella a questa decisione inconsulta!


Il Presidente Napolitano che è anche presidente del CSM e così prodigo di esternazioni non taccia questa volta, faccia sentire la sua voce a difesa di una magistratura autonoma e imparziale.


Luigi De Magistris ha dichiarato: «Mi sembra tutto impossibile, ma io sono sereno» . Noi crediamo che invece tutto sia possibile e non siamo affatto sereni. Siamo indignati!


Per questo esprimiamo la nostra solidarietà al p.m. Luigi De Magistris.Per questo chiediamo al CSM di respingere l´istanza del guardasigilli Mastella.Per questo chiediamo a tutti gli italiani di firmare questo appello


FIRMIAMO IN DIFESA DI UNA MAGISTRATURA AUTONOMA E IMPARZIALE


PRIMI FIRMATARI Francesco (Pancho) Pardi, Francesco Baicchi, Laura Belli, Barbara Fois, Alfredo Giusti, Citto Leotta, Silvia Manderino, Vittorio Marinelli, Pierpalo Mattioni, Aldo Meschini, Cinzia Niccolai, Giuliana Quattromini, Maria Ricciardi Giannoni, Maria Rosano, Anna Silvia, Vincenzo Tradardi





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Chi è Mastella?

Beh, difficile dirlo.. La domanda vera è sopratutto cos'è.

Però se certe frequentazioni sono minimamente indicative, le conclusioni sono facili da trarre. Di cosa parlo? Mastella è stato testimone di nozze, insieme a Totò Cuffaro (toh!) di un certo Francesco Campanella, ex segretario dei giovani UDEUR ora di professione pentito, accusato dalla magistratura di aver procurato la falsa carta d'identità al capo della mafia Bernardo Provenzano.. Come si dice? A pensar male..

mauro

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giovedì 20 settembre 2007

Pino Masciari apre un blog

Il testimone di giustizia:
"Ogni contatto mi allunga la vita"

Pino Masciari, testimone di giustizia che vive 'recluso' in una località segreta ha deciso di aprire una finestra sul mondo attivando un sito www.pinomasciari.it Primo imprenditore vibonese a denunciare i soprusi subiti, racconta la sua odissea sul web


pino masciari, testimone di giustizia che ha aperto un blog Lamezia Terme, 20 settembre 2007 - Pino Masciari, testimone di giustizia, che vive 'recluso' in una località segreta ha deciso di aprire una finestra sul mondo attivando un sito www.pinomasciari.it
Nel blog racconta una vita sofferta, tra disavventure e solidarietà ed in cui racconta la sua odissea quotidiana. A darne notizia oggi è «CalabriaOra», il quotidiano calabrese diretto da Paolo Pollichieni.
Pino Masciari ha scelto anche uno slogan per raccontare la sua storia sul web: «Ogni persona in più che viene a conoscenza della mia storia allunga la mia vita di un giorno».


Masciari ha deciso di raccontare la sua odissea al mondo intero dalle pagine di un suo blog. Primo imprenditore vibonese a denunciare i soprusi subiti dalla malavita organizzata, Masciari, dopo aver testimoniato in decine di processi calabresi, oggi vive «recluso» in una località segreta e racconta un'odissea quotidiana. Appena qualche giorno fa, Andrea, uno degli amici della «società civile», ha «postato» un messaggio in cui annunciava che «la macchina di scorta assegnata a Pino Masciari è di nuovo spirata».

Sul suo sito sono riportate diverse testimonianze.

fonte: http://qn.quotidiano.net/2007/09/20/37289-testimone_giustizia_apre_blog.shtml

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Un testimone di giustizia vittima di uno Stato ingrato
Pino Masciari: UN MORTO CHE CAMMINA.
Noi non lo lasceremo solo. Mai!


Pino Masciari: un morto che cammina. Non lasciamolo solo!


24 maggio 2007
Condannato il magistrato Damiani, denunciato da Pino Masciari per comitato d'affari.
TANGENTI. ALTO MAGISTRATO CONDANNATO DEFINITIVAMENTE A 3 ANNI

- Vibo Valentia, 24 mag. – Dopo circa 20 anni si è concluso il processo contro l’alto magistrato Saverio Damiani, intentato nei suoi confronti dall’ex imprenditore vibonese, Giuseppe Masciari, adesso testimone di giustizia. Chiamato a rispondere di concussione, la suprema Corte di Cassazione oggi lo ha condannato a 3 anni di carcere e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, oltre a 62mila euro e ad un risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede. Secondo le accuse di Masciari, Damiani all’epoca dei fatti, magistrato presso il Tar Calabria, negli anni 88 -89, avrebbe preteso una tangente del 6% sui lavori da lui nelle Serre vibonesi da dividere con un comitato d’affari in cui vi erano politici, malavitosi, pezzi delle istituzioni. Dopo quelle accuse Damiani venne trasferito e nominato nominato presidente del Tar Campania, Lazio fino a quando nel 2001 il governo Berlusconi non lo nominò Consigliere di Stato. Oltre a questa percentuale, l’imprenditore veniva continuamente vessato dalle cosche di quasi tutta la Calabria con attentati e richieste di tangenti, , fin quando un giorno non incontrò un giovane maresciallo dei carabinieri, Nazzareno Lopreato, attuale comandante della stazione di Vibo, a cui denunciò tutte le angherie subite e che lo costrinsero a chiudere a chiudere l’impresa che occupava oltre 100 operai. Ammesso al sistema di protezione in una località del Nord e definito dal procuratore antimafia Vigna, uno dei più importanti testimoni di giustizia, molto spesso è stato costretto a protestare in quanto, secondo le sue denunce, non gli veniva consentito di assistere alle udienze dei numerosi processi dai lui intentati e che vedono alla sbarra numerosi capi ‘ndrina, molti sono stati già condannati. Ma la sentenza più attesa era quella odierna. In una occasione è stato scortato dai ragazzi di Libera, mentre ultimamente si è lagnato per non aver potuto presenziare ad un processo che si sta tenendo presso il tribunale di Crotone, altre volte ha lanciato il grido di “attenti alle prescrizioni”.

Mazzetta per una sentenza: giudice condannato in via definitiva per concussione. Articolo

fonte: www.ammazzatecitutti.org/articoli/070516_pino...

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Forse trovato il corpo di Mauro De Mauro

Nuove rivelazioni sul giornalista de l'Ora di Palermo scomparso nel 1970
Sospetti degli investigatori sulla vera identità di un corpo sepolto nel Lametino

Calabria, cadavere riesumato
potrebbe essere Mauro De Mauro

Aperta nel cimitero di Conflenti la tomba del pregiudicato Salvatore Belvedere
Il corpo venne ritrovato in avanzato stato di decomposizione e fu identificato dal figlio



Mauro De Mauro


CATANZARO - Potrebbe essere di Mauro De Mauro
il cadavere di una persona sepolta nel cimitero di Conflenti, nel Lametino. Il giornalista de l'Ora di Palermo scomparve nel 1970 e il suo corpo non è stato mai ritrovato. In questi anni molte ipotesi sono state fatte (l'inchiesta è stata chiusa nel 2005), ma sulla vicenda non è mai stata fatta piena luce. Adesso la Dda di Catanzaro sta effettuando queste nuove verifiche sulla base della segnalazione di una fonte definita attendibile. La notizia è riportata dal Quotidiano della Calabria.

Il cadavere, la cui sepoltura risale al 1971, fu identificato all'epoca per quello di Salvatore Belvedere, un pregiudicato di Lamezia Terme. Belvedere era evaso dal carcere di Lamezia nel giugno del 1970 insieme ad altri quattro pregiudicati tra cui Pino Scriva, poi diventato collaboratore di giustizia, e il presunto boss di Lamezia Terme Antonio De Sensi.

Il corpo fu trovato in avanzato stato di decomposizione in una buca scavata in una zona di campagna. Il riconoscimento fu fatto da uno dei figli di Belvedere che riconobbe nella cintura indossata dalla vittima quella del padre.

Ora le rivelazioni di una fonte, la cui identità non è stata rivelata dagli investigatori, hanno indotto il sostituto procuratore della Dda, Gerardo Dominijanni, a disporre la riesumazione del cadavere e ad effettuare dell'esame del Dna. La Polizia sta adesso piantonando la tomba nel cimitero di Conflenti in attesa delle riesumazione della salma.

L'ipotesi che il cadavere sepolto a Conflenti non sia quello di Belvedere bensì di Mauro De Mauro è stata fatta di recente in un libro scritto dal giornalista della Gazzetta del Sud, Arcangelo Badolati, secondo il quale la fonte che ha fatto la nuova rivelazione, è un poliziotto, oggi in pensione ma all'epoca in servizio nella Squadra mobile di Catanzaro.

(20 settembre 2007)

fonte: http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/cronaca/mauro-de-mauro/mauro-de-mauro/mauro-de-mauro.html

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giovedì 6 settembre 2007

Cassazione e Omeopatia, ovvero: quando si raggiunge il ridicolo

LA QUESTIONE E' LA SEGUENTE: IL MINISTERO DELLA SALUTE (E LA "CRICCA" DEI MEDICI ALLOPATICI E DELLE INDUSTRIE FARMACEUTICHE) NON RICONOSCE L'OMEOPATIA COME BRANCA DELLA MEDICINA UFFICIALE, DI CONSEGUENZA I PRODOTTI OMEOPATICI, PER LEGGE, NON DEVONO ESSERE CONSIDERATI DEI MEDICINALI (DA CUI IL DIVIETO DI OGNI FORMA DI PUBBLICITA' AGLI STESSI CHE NE RICHIAMINO L'USO); ALLO STESSO TEMPO LA LEGGE ITALIANA, PERALTRO CONTRADDICENDO SE STESSA, FA DIVIETO A CHIUNQUE NON SIA IN POSSESSO DI UNA LAUREA IN MEDICINA DI OCCUPARSI DI OMEOPATIA (E IRIDOLOGIA, MASSAGGI TERAPEUTICI, ECT.)

BEL COLPO.


UN COLPO CHE GLI ERA GIA' RIUSCITO (AI MEDICI) CON L'AGOPUNTURA: PROVATE A PARLARE, AD UN MEDICO ALLOPATICO DI "CANALI ENERGETICI BLOCCATI" "RIEQUILIBRIO ENERGETICO", ECT, E VI RIDERA' IN FACCIA.. EPPURE L'AGOPUNTURA, ANCHE I BAMBINI LO SANNO, CURA PROPRIO RIFACENDOSI A TALI CONCETTI DI BASE. ED E' UNA PRATICA CHE NON SOLO E' MILLENARIA MA, QUI' STA IL PUNTO, FUNZIONA ECCOME.

L'UNICA COSA CHE SI CAPISCE, E MI DISPIACE CHE NE RIMANGA INFANGATA L'IMMAGINE DELLA CASSAZIONE, PERCHE' LO E' SENZA DUBBIO, E' CHE CHE LE PREDETTE LOBBY STANNO FACENDO SEMPRE PIU' PIAZZA PULITA DELLE COSIDETTE MEDICINE ALTERNATIVE SOTTRAENDOLE AL BENE COMUNE ED ALL'OPERA DI TANTI COMPETENTI E APPASSIONATI OPERATORI.

COSI' I MEDICI ALLOPATICI, CHE HANNO UNA FORMA ACUTA DI "ORTICARIA" PER SIMILI "MEDICINE", POSSONO DORMIRE SONNI TRANQUILLI (SOGNANDO I VIAGGETTI PREMIO ED ALTRI BENEFITS CHE PUNTUALMENTE PIOVONO NELLE LORO SACCOCCIE); MENTRE I COLLEGHI, ALLOPATICI MA NON ALLOCCHI, CHE VOGLIONO "BALOCCARSI" CON LA, SECONDO LORO, CREDULITA' COMUNE POSSONO FARLO IN SANTA PACE: IN FONDO SIMILI PRATICHE MALE NON FANNO, E RIEMPIONO COMUNQUE LE TASCHE.

LE LORO, OVVIAMENTE.
MAURO
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Cassazione: laurea obbligatoria per gli omeopati

ROMA (6 settembre) - Per fare l'omeopata ci vuole la laurea in medicina. L'ha stabilito la Corte di cassazione (con la sentenza numero 34.200) a proposito di una condanna del tribunale di Modena a un "medico non convenzionale", per esercizio abusivo della professione. Il "dottore" senza laurea, dopo la condanna, è stato assolto dalla Corte d'appello di Bologna perché, secondo i suoi pazienti, non effettuava atti riconducibili alla professione medica.

La Cassazione ha revocato l'assoluzione e ha ribadito che chi esercita l'attività medica abusivamente, in qualsiasi forma, è punibile secondo l'articolo 348 del codice penale. Non sono stati considerati come attenuanti nemmeno la consapevolezza dei pazienti circa il fatto che l'omeopata non fosse laureato e la natura “innocua” delle prescrizioni. Da piazza Cavour, infatti, fanno sapere che l'omeopatia così come la chiropratica, l'agopuntura, i massaggi terapeutici, l'ipnosi curativa, la fitoterapia e l'idrologia sono terapie non convenzionali finalizzate sempre «alla diagnosi e alla cura delle malattie dell'uomo», perciò sono di esclusiva competenza dei medici.

Non si agitino, però, estetiste, ottici e dietisti. La Corte ha precisato, infatti, che non c'è bisogno della laurea per effettuare la depilazione con aghi elettrici, la misurazione della vista, l'applicazione di lenti a contatto, per rilevare la pressione arteriosa e fare consulenze dietetiche o estetiche.

fonte: http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=8428&sez=HOME_INITALIA
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VEDI NOSTRO POST PRECEDENTE:

Diritto alla Scelta Terapeutica


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"Salvata dall'altra medicina
dico no alla persecuzione"

Foto articolo
Giulia Maria Crespi

ROMA - Ha deciso di parlare e di raccontare, anzi di raccontarsi, soltanto perché, dice, "quello che sta succedendo in Italia è drammatico, c'è il rischio che nove milioni di persone che da anni si curano con l'omeopatia non possano più farlo, perché nuove regole sempre più restrittive metteranno al bando giorno dopo giorno i medicinali non ufficiali; e tutto questo non in nome della verità scientifica ma per favorire le industrie farmaceutiche".

E' un vero j'accuse quello di Giulia Maria Crespi, presidente del Fai, il Fondo per l'ambiente italiano, contro le nuove normative che dovrebbero sottoporre alle stesse sperimentazioni i farmaci allopatici e quelli omeopatici. Ne parla con la forza e la tenacia di chi da sempre lotta per difendere quei patrimoni dell'umanità che si chiamano ambiente, arte, cultura e natura.

"Conosco l'omeopatia da quasi 50 anni. Mi ha aiutato a sconfiggere malattie grandi e piccole. Con questa ho curato i miei figli, i miei nipoti, le persone che lavorano per me, e anche i miei cani. Funziona e non fa male. Perché tanto accanimento? Possibile che i nove milioni italiani che la utilizzano siano tutti cretini, me compresa...?".

Signora Crespi, è vero che l'incontro con l'omeopatia e con l'antroposofia le hanno cambiato la vita, anzi, il modo di vedere la vita?
"Sì, è così. C'è una data precisa. Quarantasette anni fa. Era un periodo non facile. Mio marito era morto, i mie due figli erano piccoli. Da poco, su indicazione di un noto pediatra milanese, avevo iniziato a curarli con l'omeopatia, una scelta davvero controcorrente in quegli anni. Una sera, ricordo, dovevo ricoverarmi per un piccolo intervento, non difficile ma doloroso. Mio figlio però aveva la febbre alta. Ero preoccupata e chiamai l'omeopata, il dottor Bargero, spiegandogli anche che dopo poche ore sarei dovuta entrare in clinica. Lui mi chiese rinviare l'intervento e di provare a curarmi per due settimane con i suoi rimedi. Tentai. Fu un successo e non ho mai più avuto bisogno di operarmi"

Negli anni lei ha poi dovuto affrontare battaglie ben più dure contro la malattia.
"Ho avuto il cancro. Prima al seno, poi all'anca. L'ho sconfitto cinque volte. La prima nel 1968. L'ultima, otto anni fa. Con l'aiuto di un grande luminare e caro amico, il professor Umberto Veronesi. E con la medicina antroposofica. Mi sono fatta operare, ho fatto alcuni cicli di radioterapia, alcune cure ormonali, ho sempre rifiutato la chemioterapia. Ma è alla Lukas Klinic di Basilea, clinica steineriana dove si cura il cancro con terapie alternative, con il vischio ad esempio, che ho capito come davvero ci si deve porre di fronte alla malattia, e quali sono i fattori che portano alla malattia. A cominciare da quello che mangiamo. E' stato a Basilea che ho deciso di occuparmi di agricoltura biodinamica, perché molto inizia da lì, dai veleni che ogni giorno ingeriamo, da quanto abbiamo avvelenato la Terra, l'acqua, tutto".

Dunque lei ritiene che ci debba essere un'integrazione tra medicina "ufficiale"e medicine "non convenzionali"?
"Ci sono malattie contro le quali l'omeopatia non può fare nulla. E' chiaro che se ho la broncopolmonite prendo gli antibiotici, o che per l'Alzheimer e la sclerosi multipla servono farmaci potenti. Ma ci sono le influenze, le allergie, i reumatismi, l'ansia, l'insonnia, i problemi di stomaco, e qui sì che i rimedi omeopatici funzionano. Infatti, proprio perché non sono antitetiche non capisco il riaffiorare ad ondate degli anatemi della medicina ufficiale".

A cominciare, signora Crespi, dal recente editoriale di Lancet, in cui si affermava che l'omeopatia ha soltanto un effetto placebo?
"Lasciamo stare Lancet. Come si può credere all'autorevolezza di una rivista scientifica che si è scoperto essere finanziata da una multinazionale delle armi? Come si può credere a chi vende strumenti di morte? Accettiamo poi che l'omeopatia agisca soltanto come effetto placebo. Se il malanno scompare non è meglio utilizzare un placebo che un farmaco chimico?"

Le nuove norme sono però una direttiva europea.
"Non mi risulta che in Francia, Inghilterra o in Germania esistano limitazioni. Io non chiedo che come in Svezia l'omeopatia venga sostenuta dal servizio sanitario nazionale. Almeno però lasciateci curare come vogliamo".

(19 settembre 2005)

fonte: http://www.repubblica.it/2005/i/sezioni/scienza_e_tecnologia/omeopatia/crespi/crespi.html

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mercoledì 5 settembre 2007

"Sotto scorta in una Sicilia senza onore"


RICORDATE LA LEZIONE DI PASOLINI? "IO SO"..
ABBATE LA METTE IN PRATICA A RISCHIO DELLA SUA VITA E QUELLA DEI SUOI CARI.
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Minacce al giornalista Lirio Abbate dopo l'inchiesta sulla mafia. "Ho fatto solo il mio lavoro"
Prima le lettere di avvertimento, poi una bomba incendiaria sotto la macchina

Vita sotto assedio di un cronista a Palermo


di GIUSEPPE D'AVANZO



L'arresto di Bernando Provenzano


Dice Lirio Abbate che il lavoro di cronista a Palermo o è accurato o non è. Lirio ha 37 anni, è redattore all'Ansa. Come tutti i siciliani "buoni", come tutti i siciliani migliori, non è portato a far gruppo, a stabilire solidarietà e a stabilirvisi. Sono i siciliani peggiori quelli che hanno il genio del gruppo, della "cosca", ricordava Sciascia. Sarà per questo, che Lirio se ne sta per conto suo e segue la sua strada anche se sa bene quale sarebbe il modo più conveniente per starsene in ombra, un po' in disparte e in pace. Puoi sempre scivolare lento sulla superficie dei fatti e quindi "prendere atto": prendere atto che quello è indagato per mafia; che quell'altro è stato rinviato a giudizio; che quell'altro ancora è sotto processo per favoreggiamento alle cosche; che la magistratura sempre "indaga a 360 gradi".

Nessuno te ne vorrà. È il tuo lavoro e se fai il tuo lavoro con prudenza, senza eccessi, con mediocrità, nessuno salterà su contro di te. Però, dice Lirio, che ha una compagna e un bimba di dieci mesi, questo lavoro non è accurato, non è onesto perché non racconta quel che vede e sa: "Io so, noi sappiamo chi sono i mafiosi e gli amici dei mafiosi o i loro protettori. Non ho, non abbiamo bisogno di attendere una sentenza o la parola della Cassazione o un'inchiesta giudiziaria perché penso che, prima della responsabilità penale, sempre eventuale, ci sia una responsabilità sociale e politica accertabile. Se il deputato, il consigliere regionale, l'assessore, il primario, il professore universitario se ne vanno in giro con il mafioso è un fatto. Si conoscono, passeggiano sottobraccio, si baciano quando s'incontrano. È soltanto accuratezza non rinviare ai tempi di una sentenza quel racconto. È il mio lavoro dirlo ora, subito. Non sono una testa calda, non sono un estremista, sono un cronista e credo che il mio impegno sia stretto in poche parole: raccontare quel che posso documentare".

Deve essere questa convinzione che ha fottuto Lirio. Alla vigilia delle elezioni amministrative (maggio 2007), il suo metodo di lavoro deve aver messo di cattivo umore qualche capintesta moralmente opaco. La sua certosina ostinazione a ricostruire la rete di complicità "borghesi" che, per 43 anni, ha custodito la latitanza di Bernardo Provenzano non deve aver migliorato l'umore di altri. Un giorno lo chiamano in questura e gli dicono che "non si deve preoccupare, ma che sarà protetto con discrezione". Lirio si preoccupa, altroché. Cerca di capire. Capisce che sono in corso delle intercettazioni nel quartiere mafiosissimo di Brancaccio e in quelle conversazioni è saltato fuori che occorrono delle armi per fare "una sorpresa a quel rompicoglioni". Dice Lirio che, in quei momenti, quel che ti sta accadendo ti appare del tutto sproporzionato. "In fondo, sei consapevole che il tuo lavoro, per quanto meticoloso e accurato, nella migliori delle ipotesi si avvicina, senza svelarla, all'autentica realtà delle cose. Ti chiedi qual è stata la frase, il dettaglio, il nome che può avere inquietato e non sai dirlo. Puoi forse immaginarlo, non averne la certezza. Così vai avanti. Fingi che non sia accaduto niente. Tieni per te l'angoscia, senza rovesciarla su chi ti è accanto. Tanto passerà".

Non passa invece. Un giorno Lirio trova sulla sua auto "la lettera di un amico". Lo invita "a stare attento". In questura dicono che la minaccia è "molto seria", che una scorta armata lo seguirà passo passo durante il giorno. Per un cronista andarsene in giro con uomini armati è molto buffo. Il lavoro ne è irrimediabilmente pregiudicato. Quale "fonte" accetterà di incontrarti? Quale fonte ti confermerà quel che non potrebbe confermarti? Devi fermarti all'ufficialità, al "prendere atto". Dice Lirio che anche per questo, con la direzione dell'Ansa, decide di "staccare", di venir via dalla Sicilia, di starsene qualche mese a Roma, nella redazione centrale.

Lirio è tornato a Palermo soltanto dieci giorni fa e quelli subito si sono fatti sotto. Nella notte gli hanno sistemato una bomba incendiaria sotto l'auto. Il quartiere della Kalsa bloccato per ore. Polizia a sigillare la zona; artificieri per disattivare l'ordigno; vigili del fuoco preparati al peggio; carri dei vigili urbani per spostare in fretta le auto che davano impiccio e, nei giorni successivi, il silenzio di Palermo. Un silenzio freddo, scrupoloso, amaro che lo imprigiona come in una bolla d'aria. Dice Lirio che non vuole parlare di "solitudine" perché gli sembra retorico e inesatto: se ne vergognerebbe.

"In quel che mi accade" sostiene Lirio "mi sento fortunato. Sento accanto a me l'amichevole presenza dei miei colleghi di redazione. La direzione dell'Ansa è premurosa. Polizia e magistratura di più non potrebbero fare per rassicurarmi. Ma, se si esclude questo cerchio protettivo, avverto l'indifferenza della città. Un sindacato di giornalisti ha diffuso un comunicato in cui si diceva, più o meno, che - è vero - Lirio Abbate è minacciato, ma è un affare che riguarda soltanto lui perché - tranquilli - i cronisti siciliani non corrono alcun pericolo. Si può? Quest'incomprensione collettiva è un grumo di veleno e di amarezza che aggrava l'angoscia peggio della minaccia di quei vigliacchi e non parlo di me soltanto, parlo delle decine di casi che, come il mio, si consumano ogni giorno in città, nell'indifferenza di una Palermo muta che quotidianamente "prende atto" di negozi bruciati dagli estorsori che non risparmiano i piccoli e piccolissimi esercizi e finanche i distributori di benzina. Una città dove, se ti portano via l'auto o la moto, sai a chi puoi rivolgerti - tutti sanno chi è il mafioso del quartiere - per fartela restituire dietro il pagamento di una cauzione, così la chiamano. È vero, l'iniziativa di Confindustria è straordinaria. Erano dodici anni che le associazioni antiracket invocavano un gesto, un passo deciso. Ora c'è una promessa. Vedremo con il tempo se alle parole seguiranno i fatti. Però, perché prima di mandar via chi paga il pizzo non si comincia a mettere fuori da Confindustria l'imprenditore condannato per mafia? Ce ne sono. Basta guardare a Caltanissetta".

Dice Lirio che hanno ragione
il capo dello Stato e il governo a chiedere che "la società civile" faccia la sua parte contro la mafia. È la parte del problema con cui egli sente di dover fare più dolorosamente i conti, oggi. "È un paradosso. Credi di dover fare in modo accurato il tuo lavoro di cronista per illuminare nell'interesse dell'opinione pubblica, di quella "società civile", gli angoli bui e sporchi del cortile di casa. Poi scopri che sei un ingenuo. Nessuno vuole guardare da quella parte, in quegli angoli - no - preferiscono voltarsi da un'altra parte anche se stai lì a tirargli la giacchetta. E allora perché lo faccio?, ti chiedi. Perché infliggo a chi mi è caro ansia, paura, apprensione e, Dio non voglia, pericoli? Perché, mi chiedo, non ascolti chi ti dice: ma chi te lo fa fare, vattene da qui, vattene subito, non ti accorgi che non vale la pena?".

La voce di Lirio sembra rompersi ora. Percettibilmente, il timbro diventa roco e trattenuto come di chi si sta sforzando di controllare un'emozione che forse è rabbia, forse è avvilimento o forse entrambe le cose. Dopo qualche secondo, Lirio dice finalmente: "Lo sai perché non decido di andarmene? Per onore. Sì, per onore! Non per il mostruoso, folle, ridicolo onore di cui si riempiono la bocca mafiosi deboli con i forti e forti con i più deboli, ma per quell'onore che mi chiede di avere rispetto di me stesso, che mi impedisce di inchinarmi alla forza e alla paura, di scendere a patti con ciò che disprezzo. Quell'onore che molti siciliani hanno dimenticato di coltivare".

(5 settembre 2007)

fonte: http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/cronaca/mafia-storia-cronista/mafia-storia-cronista/mafia-storia-cronista.html

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Libri / Bernardo Provenzano & Friends


Lirio Abbate
Peter Gomez
I complici
Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento







Il segretario nazionale dei giovani dell’UDEUR, il nipote dell’ex vicesindaco comunista di Villabate e l’ultimo erede di una famiglia per anni socia del ministro per gli affari Regionali, Enrico La Loggia: a guardarli mentre camminano assieme per le strade del centro di Palermo, sembrano tre ragazzi appena usciti da un convegno sul futuro della Seconda Repubblica. Ma sono tre picciotti. Tre picciotti di Bernardo Provenzano.

Da uno dei maggiori giornalisti d'inchiesta italiani e da un grande esperto di cose siciliane, un libro ricco di materiale inedito (intercettazioni di telefonate tra i figli di Provenzano, documenti tratti da inchieste giudiziarie sui favoreggiatori) su Provenzano, la nuova mafia e i suoi rapporti con la politica. La biografia dell'ultimo capo dei capi letta attraverso le sue alleanze politiche ed economiche: dall'accordo con il Partito Socialista del 1987 fino alla stagione delle bombe di mafia del 1992-93; dall'arresto di Totò Riina fino al patto stretto, secondo i magistrati di Palermo, con i vertici di Forza Italia e dell'Udc siciliana. Un libro esplosivo che ricostruisce, con documenti e testimonianze inedite, la ragnatela di rapporti che hanno permesso a Provenzano di restare libero per quarantatre anni. Un viaggio nella Mafia spa, un'organizzazione criminale che in Sicilia controlla buona parte degli appalti pubblici, lavora con molte cooperative rosse e imprese di dimensione internazionale, ha uomini infiltrati nelle banche, nelle istituzioni economiche, come la Confindustria, e in quelle culturali, come l'università. Quattordici anni dopo gli omicidi di Falcone e Borsellino, l'opera di Peter Gomez e Lirio Abbate racconta come tutto in Sicilia sia tornato come prima, con decine di deputati regionali eletti a Palazzo dei Normanni nonostante i loro evidenti legami con Cosa Nostra, con una serie di parlamentari nazionali arrivati a Roma dopo aver contrattato l'appoggio degli uomini d'onore. Una lenta e inarrestabile riconquista del potere resa possibile dal silenzio delle istituzioni e dei media. In questo quadro l'arresto di Provenzano, più che il segnale della riscossa, diventa solo una tappa nella metamorfosi definitiva verso la mafia del terzo millennio: quella che alla lupara preferisce il doppiopetto.


intervista ad Abbate e Gomez | intervista a Gomez | intervista ad Abbate su Fahrenheit

fonte: http://www.fazieditore.it/scheda_Libro.aspx?l=815

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