"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

domenica 1 luglio 2007

lettera al generale Tascio


All'Attenzione del



Generale Zeno TASCIO

sua sede privata



Egregio Sig. Generale,

Si è rinnovata, il 15 Giugno scorso, la Sua sconfitta nella temeraria azione giudiziaria che ha voluto coltivare nei miei confronti. Non sono state evidentemente sufficienti le “aderenze” e le “compiacenti disponibilità” di cui Lei gode, a mutare la natura imperfetta della Sua azione giudiziaria, nel tentativo estremo di attribuirmi comunque un marchio di diffamatore.

A Lei non importava che non vi fosse per me il concorso di una qualche pena, in ragione della prescrizione accuratamente coltivata del reato contestatomi; ma che l’operazione Le consentisse comunque di potersi rivalere in sede civile della lamentata diffamazione, e per cifre che mi avrebbero dovuto distruggere indipendentemente dal fatto che io fossi o meno in grado di farvi fronte. Per il resto della vita avrei avuto il suo fiato sul collo qualsiasi cosa “pignorabile” io avessi potuto acquisire.

Ma la soluzione da Lei auspicata era anche tale da offrire una scappatoia qualsiasi e tuttavia definitiva perché le mie dichiarazioni non venissero più ritenute idonee (in quanto provenienti da un conclamato diffamatore) alla persecuzione dei responsabili dei crimini che avevo fin ad oggi denunciato. E che avrei continuato a denunciare; ma con la consapevolezza del limite di credibilità legata al marchio infamante di diffamatore che avrei dovuto portarmi addosso.

Fortunatamente per me, ho trovato un Procuratore Generale intellettualmente onesto che ha dichiarato fin dall’apertura del dibattimento il suo “personale disagio” a sostenere una causa nella quale era stato di fatto inibita all’imputato (io) di poter sostenere in qualsiasi maniera le proprie controdeduzioni. Questo mi rende certo che egli avesse letto la mia memoria e che fosse rimasto sconcertato dalla assenza di deposito (da parte Sua, sig. Generale) di quella mia lettera del 1998 in cui La invitavo a non utilizzare querele fondate su dati artificiosi, ma ad utilizzare ampiamente le accuse che andavo rinnovandoLe in quello scritto. Ma come Le avevo profetizzato nel mio scritto sarebbe stata la definizione del vocabolario di italiano (“pavidità”) ciò che Le avrebbe impedito di raccogliere una limpida sfida di confronto-scontro nella leale rappresentazione delle reciproche posizioni. Quello che una volta era un duello tra gentiluomini.

Ma dovrei forse ricordarLe la risposta che, alle Sue proposte di “accomodamento e di appoggi” in cambio di una defezione dal Movimento Democratico, Le riservò un esponente dei Sottufficiali che Lei certamente si aspettava più incline ad assecondarLa per la notoria cultura di riferimento politico di quel Sottufficiale che guardava alla destra: e parlo di Aldo Stilli. Ricorda come la fulminò dopo la Sua dichiarazione “Sa Stilli io se voglio so anche essere un gentiluomo”? Egli Le rispose: “Mi spiace per Lei Comandante, ma gentiluomini o lo si è sempre, per nascita e per modi di comportamento, o non lo si può diventare a comando o quando faccia solo comodo”. C’erano dunque anche altri fastidiosi oppositori alla Sua policy di comando che non i soli odiati Ciancarella e Marcucci.

E’ stato ancora il Procuratore Generale a ricordare come, di fronte alla sentenza del Tribunale, sarebbe stata necessaria piuttosto la impugnazione in Cassazione che avrebbe consentito la rinnovazione totale del dibattimento, con la conseguente garanzia all’imputato di poter argomentare le proprie controdeduzioni. Ma a Lei ed a quanti hanno tutelato i Suoi interessi, questo aspetto non interessava proprio, anzi avete certamente “brigato” perché quell’appello, sostenuto dall’Ufficio del P.M. contro le sue stesse richieste in sede di primo grado del processo, fosse astutamente e celatamente coltivato fino all’intervento di una prescrizione comunque punitiva per me.

E che l’unico vero obiettivo della causa da Lei propugnata fossi io, come ha ben detto l’avvocatessa del mio coimputato Sgherri, era testimoniata dal fatto che nessuno si fosse dato premura di registrare il decesso dello stesso Sgherri, al fine di stralciarne la posizione processuale, né avesse dato atto della conseguente materiale impossibilità di notificargli la notizia del dibattimento fissato per il 15 Giugno.

Un progetto miseramente fallito, dunque, e che potrebbe avere ora delle spiacevoli conseguenze per il Suo personale interesse.

In questi giorni, in attesa delle motivazioni della sentenza dell’appello, i miei legali stanno infatti valutando la possibilità di essere noi, a nostra volta, a promuovere la richiesta di un riconoscimento di danno materiale, morale ed esistenziale. Non so se ciò sarà possibile, secondo le previsioni del Diritto Positivo e per la natura stessa del proscioglimento intervenuto, ma oltre che augurarmelo ciò è comunque per me fonte di grande soddisfazione, sapendoLa in apprensione. Come lo è il sapere che quegli stessi miei legali hanno già avviato la impugnazione di una radiazione mai notificata, e per di più fondata su un atto presuntivamente firmato dal Presidente Pertini, ma che si palesa come un documento recante una evidente e goffa falsificazione della firma del Presidente.

Mentre restiamo comunque in attesa delle soluzioni possibili a questi due orientamenti giudiziari, e della possibilità che quel Magistrato che ha ancora fra le mani il fascicolo per strage, nella vicenda Ustica (di cui oggi – mentre Le scrivo – ricorre il 27° anniversario) volesse davvero tornare ad indagare sulle responsabilità politico-militari per quella strage (indagine sulla quale non avrebbe alcuna influenza il Suo proscioglimento ottenuto in virtù di imputazioni un po’ “fantasiose”, disgiunte come apparivano da una puntuale descrizione del progetto stragista e dettate da una crisi di coraggio del Giudice Priore) e volesse dunque eventualmente tornare ad ascoltarmi, con maggiore convinzione e determinazione di quelle che animarono il giudice Priore, in attesa di tutto questo con la presente intendo anche farLe due “doni”: il primo è il libro di Hannah Arendt “La banalità del male” ed il secondo è un piccolo “specchietto”.

Il libro, se mai ne avesse avuto conoscenza, è la lunga riflessione che la giornalista ebrea sviluppò – durante il processo al criminale nazista Adolf Eichmann, in Israele negli anni ’60 - sui percorsi di ignobiltà a cui ciascun uomo ordinario può essere indotto dalla passività di fronte alla perversione dei propri superiori, e dalla sua attesa di lucrare interessati privilegi e miglioramenti di posizione funzionale da questo servilismo passivo nelle reazioni di contrasto ed attivissimo peraltro nella realizzazione dei desiderata criminali e criminogeni di quei perversi “superiori politico-militari”.

Sentieri di cui chiunque, nessuno escluso, può subire quella torbida affabulazione, che io ho voluto combattere - a qualsiasi prezzo risultasse necessario pagare - per conservare la mia struttura di umanità e di valori ideali, e che Lei io credo abbia invece assecondato con quella caratteristica che ricordava Sandro Marcucci nella sua ultima intervista: “Conoscevamo benissimo il Generale Tascio, era disponibile a qualsiasi cosa pur di fare carriera”.

C’è sempre per tutti, tuttavia, una possibilità di riscatto, in questa vita e prima che siamo chiamati a rendicontare le nostre azioni all’unico Superiore di ciascuno, Dio Padre. A me fu molto utile la lettura combinata del libro della Arendt e della Bibbia, mentre continuavo a spiare nello specchio gli eventuali sintomi di una mia mutazione indesiderata verso l’ignobiltà. E’ dunque nella speranza che anche Lei possa essere disponibile ad un simile percorso terapeutico che ho deciso di inviarLe questi due soli doni dei tre elementi necessari alla “cura”, convinto che, se volesse, potrà trovare facilmente disponibilità di una copia della Bibbia.

Qui di seguito le riporto le “istruzioni per l’uso” di entrambi i doni.

Ricorderà, signor Generale, le Sue espressioni - che già Le citavo nella mia precedente del 1998 - con cui Lei, con irosi toni montanti, mi accusava per la mia diversità da Lei, rispetto al quale avrei dovuto invece nutrire (secondo il Suo pensiero) le stesse aspettative di carriera e di emulazione di successo. Ricorderà come tali differenze la facessero imbestialire al punto da trarre la conclusione che esse fossero dettate dal mio “essere comunista” e ad affermare che come tale (cioè comunista) io fossi destinato ad essere “distrutto”, da Lei e quelli come Lei – così come sarebbe accaduto (nei Suoi auspici e nelle Sue minacce) a tutti coloro (ivi compreso i rappresentanti del Parlamento) che facessero riferimento a quel complesso di valori e di filosofia di vita, che Voi chiamate banalmente comunismo, ma volendo forzosamente ricondurlo alla sola e fallimentare esperienza del “socialismo reale sovietico”, mentre è una ben diversa e più ampia ricchezza di umanità ed umanesimo integrale.

Dimenticava, forse, in quelle circostanze minatorie che, oltre alla radice filosofico-politica e sociale, ci divideva anche una insanabile diversità nel sentire come andavano incarnati i riferimenti di fede evangelica che Lei pensava di condividere con me. Ma anche per il Vangelo e la fede una cosa è l’astuto rifugiarsi nei tradimenti storici coltivati da una Chiesa imparentata più con il potere temporale garantito dai principi che con i propri riferimenti teologici ed ideali, altra cosa e tutt’affatto diversa è il riferire al grande annuncio di umanità ed umanesimo integrale che veniva annunciato, proclamato e pagato dal Cristo sulla sua pelle.

Poiché sta scritto “A sua immagine li creò, ad immagine di Dio li creò”, l’unica certezza che possiamo coltivare sul “dopo” della nostra vita terrena, è quella della dinamica del giudizio finale. “Ecco la tua immagine” proclamerà il Signore della storia, ponendo il suo volto accanto allo specchio, nel quale vedremo riflessa la distorta e mostruosa realtà in cui avremo trasformata la nostra essenza di divina umanità, rispetto a quella originale vocazione dell’esser stati creati ad immagine di Dio, in quella di predatori cinici ed avidi della dignità degli altri esseri umani. E sarà questa l’unica certezza che possiamo avere di quel terribile ed affascinante momento: l’essere rivelati a noi stessi per come eravamo in origine ed eravamo chiamati ad essere costruendo la nostra storia, e per come in realtà ci saremo trasformati adeguandoci alle ambizioni del potere e dei potenti.

Allora le istruzioni sono queste, né più né meno di quelle che potevano leggersi su un Dash One, di operabilità di un qualsiasi velivolo:

Mentre La invito a leggere quotidianamente sia la Parola (che Le presenterà il vero volto di Dio e dunque il volto originario di ciascuno di noi) che il libro della Arendt (che Le consentirà di ritrovare le ignobiltà cui una similare aspirazione di potere e di irresponsabilità possano averci, ed averLa, condotti), Le suggerisco di mantenere davanti a Sé lo specchietto per studiare nella Sua immagine riflessa i sintomi della pericolosa patologia di cui Lei potrebbe essere affetto. La patologia “nazifascista” violenta ed irresponsabile che Eichmann interpretò per tutta la sua vita e non seppe riscattare neppure durante il processo finale della sua squallida esistenza.

Potrebbe riconoscerVi, via via, i segni della versione cilena di quella patologia, o di quella cambogiana, o di quella sovietica, come di quella statunitense o di quella ecclesiale. Potrebbe imparare a riconoscere come le forme di manifestazione della devianza possano anche richiamarsi a radici apparentemente lontane ed incompatibili tra loro, ma come in realtà esse tutte corrispondano all’unico virus della ricerca del potere assoluto, insindacabile e con pretesa di immunità ed impunità.

Solo allora i volti delle vittime di Ustica potranno riemergere - anche nella Sua coscienza, assieme alla rivendicazione della propria dignità umiliata e della propria vita scippata - dall’insignificanza in cui gli stragisti le avevano sospinte, perché non importunassero le loro coscienze. La stessa insignificanza che Eichmann aveva riservato e coltivato per le sue vittime ebree, perché non ne importunassero la sua tensione ed il suo impegno a realizzare al meglio l’organizzazione necessaria al raggiungimento dell’obiettivo fissato dai suoi capi a Swansee: lo sterminio di un intero popolo di “diversi”.

Ci sono infatti i grandi criminali, ideatori organizzatori e dispositivi dei peggiori ed efferati crimini che la storia abbia dovuto registrare, ma anche i loro “volenterosi carnefici” – uomini piccoli, che non camminano ma strisciano, usando la colonna vertebrale per questo viscido esercizio piuttosto che per mantenere alta e ritta la schiena come si confà ad un Uomo -, i quali con la loro opera di collaborazione e di non contrasto ne diventano i migliori epigoni ed i più ferventi esecutori. Responsabili in pienezza del crimine consumato senza nessuna scusante per una “obbedienza dovuta” che è stato sempre l’alibi degli omuncoli criminali e criminogeni, e da sempre è accampata per giustificare la propria personale nefandezza.

Provi dunque, signor Generale, a svolgere questo semplice esercizio di lettura combinata ed osservazione del Suo proprio volto, e se ci riesce cerchi di dare risposte diverse da quelle offerte fino ad oggi alla consapevolezza di aver comunque collaborato ad agevolare un crimine scellerato come la strage di Ustica ed il suo occultamento.

Chissà che un giorno qualche Magistrato non possa chiederLe come mai, a fronte di una richiesta di sorvolo appena tangente al nostro spazio aereo del velivolo di Gheddafi (Bengasi – Brindisi – Zagabria – Varsavia), fosse proprio il Suo Ufficio, il Sismi - unico responsabile del rilascio delle clearence internazionali - ad autorizzare piuttosto una rotta di attraversamento tutta interna al nostro sistema difensivo (Bengasi – Palermo – Ponza – Ancona – Zagabria – Varsavia). Chissà che quel curioso di un Magistrato non voglia chiederLe come mai il Suo Ufficio potesse autorizzare quel volo proprio in un giorno in cui era impossibile che Gheddafi potesse chiedere ed ottenere di recarsi a Varsavia, per motivi di diplomazia internazionale che ne inibivano qualsiasi richiesta di recarsi nella capitale Polacca. Ed era il Suo Ufficio, delegato al rilascio della Clearence internazionale, quello che non avrebbe dunque potuto e dovuto consentire un simile volo per garantire quelle condizioni diplomatiche internazionali (“diplomatic clearence” è il nome della autorizzazione ad un volo internazionale), tranne nella ipotesi che proprio per ragioni di diplomazia internazionale fosse stata costruita una astuta trappola per invogliare il satrapo libico a richiedere di volare fino a Varsavia.

Chissà che quel Magistrato indisponente ed eccessivamente curioso non voglia chiederLe quando fu dichiarato obsoleto il codice cripto Nato che poi inaspettatamente qualcuno poté ritrovare in un anonimo cassetto alla fine degli anni ’90. Stia certo che di fronte ad un Magistrato consapevole e determinato Lei non potrebbe uscirsene con il “sia benedetta per una volta l’italica sciatteria” invocata davanti ad un Parlamento, in squallido e servile ascolto tacito, dal suo ex vice comandante alla 46^ AB e successivamente divenuto Suo Capo di Stato Maggiore prima e della Difesa poi, il Generale Mario Arpino.

Quella sciatteria non è infatti consentita dalle regole militari della conservazione di documentazione riservata e di distruzione assoluta della documentazione obsoleta e sostituita. E la vigilanza sul rispetto di tali condizioni di vincolo assoluto era ed è competenza degli Uffici SIOS di cui Lei era responsabile al tempo.

E così via dicendo, in una serie di possibili domande impertinenti che qualche Giudice volesse fare a Lei ed ai Suoi amici di cordata, al solo scopo di individuare i meccanismi ed i responsabili della strage e del suo occultamento pianificato con assoluta scrupolosità.

Anche con l’omicidio di personaggi pericolosi per la loro intervenuta inaffidabilità – primo fra tutti il Generale Boemio, per finire al M.llo Parisi – o per la loro limpida ed autonoma ricerca di Verità per la dovuta Giustizia - primo fra tutti e su tutti il Tenente Colonnello Alessandro Marcucci, che non ha esitato a mettere in gioco la sua dimensione familiare e professionale fino a mettere in gioco la vita che gli è stata criminalmente scippata -.

Ora La lascio, signor Generale, sperando di non averLa infastidita esageratamente con questo intervento. Ma non posso congedarmi da Lei senza averLe ricordato un’altra delle massime che qualcuno dei miei educatori ha scolpito nella mia pelle quando ero ancora un giovane carico di speranze ed attese di nobiltà (che comunque non ho rinnegato nonostante il peso di ciò che mi avete costretto a pagare e portare nella mia vita diseredata). Essa suona così: “Abbiamo una o due volte nella vita l’occasione di essere eroi. Ma tutti i giorni abbiamo l’opportunità di non essere vigliacchi”.

Anche l’accettare di scrutarsi in uno specchio può essere una forma di liberazione da questa condanna alla vigliaccheria che ci fa tutti un po’ meno uomini ed un po’ più servi del potere come lo fu Adolf Eichmann.

Saluti di costante disistima.

Mario CIANCARELLA


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