"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci
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domenica 2 settembre 2012

L'ultima spiaggia... è la riscoperta dei sogni nel cassetto.



Lo so: non passa giorno che non si legga notizia di giovani disoccupati, pensionati, cassintegrati, mobilizzati, over40 etc che non ce la fanno più e si suicidano per mancanza di speranza.
Non passa giorno che le cronache non riportino di lavoratori che si abbarbicano - letteralmente, spesso - ai posti di lavoro in pericolo e cerchino di escogitare qualche forma di protesta eclatante per farsi notare, assurgere alle cronache e trovare, forse, la soluzione al loro problema.

Purtroppo non mi pare che la classe politica al potere (e anche tanti che fingono di opporsi, ma che han cambiato lato della barricata... secondo me) e/o la finanza siano in grado  di dare risposte risolutive e convincenti; d'altra parte anche troppa parte del sindacato ha abdicato al suo compito e si comporta né più né meno come il partito politico di riferimento.

D'altra parte, ancora peggio, la sinistra annaspa, non trova un terreno unitario da cui costruire un'alternativa valida e convincente.

In mezzo a tutta questa confusione deprimente, c'è la mia convinzione che non verremo mai a capo di nulla se non siamo pronti a ridiscutere tutto. Non ha senso la difesa del posto di lavoro in quanto tale, ma non ha neppure senso mantenere le lotte "separate". Solo uniti si può pensare di vincere, e solo pensando ad un lavoro che rispetti gli individui e la loro dignità ma nel contempo non ne comprometta la salute e soprattutto serva (perché dai: a che erve continuare a produrre Panda se nessuno ha i soldi per comprarsele?) e tuteli l'ambiente, senza il quale siam destinati a sparire tutti, si può uscire dal tunnel, che sia una miniera, una fabbrica o un laboratorio.

Appunto: uniti. Io purtroppo ho poco da unire... sono sempre stata parecchio isolata, non per scelta ma per contingenza, e non ho mai avuto il conforto di colleghi che spartissero le mie difficoltà.
Intendiamoci: non credo nel "mal comune", anzi la trovo un'idea abbastanza stupida, però anche sentirsi soli poi, troppo spesso, porta a gesti estremi - né la solidarietà a parole di qualche compagno può fornire una via d'uscita.

E dunque... dunque io penso per me, che poi se mi va bene "m'allargo" e diffondo la mia fortuna. Se mi andrà bene, perchè ci vuole tanta fortuna anche... e sono proprio all'ultima spiaggia.

Chi mi conosce sa tutte le traversie che hanno caratterizzato la mia vita lavorativa: non sono mai stata una lavativa (ma una scomoda sì), ho fatto di tutto, eppure sono stata una delle prime vittime delle "riconversioni" multinazionali, e recidiva per di più.

E poi, tanto per non farmi mancare nulla, ci si son messi pure problemi di salute, che mi hanno portato, da ultimo, ad un "intervento risolutivo" all'anca destra... talmente risolutivo che, dopo più di tre anni, quella (che non mi faceva manco male) è ancora dolorante, la sinistra poverina, che era la parte lesa già allora, è sempre più sofferente e, ultima entrata, adesso pure la schiena ne risente.

Morale: son disoccupata da più di tre anni, ho venduto la casa e con quei proventi ci siamo mantenuti finora, ma non era un palazzo di cui qualcuno pagava l'affitto (o il mututo) a mia insaputa... e sono pure invalida. Ho persino smesso di andare a fare colloqui, perché di sentirmi dire, a turno, che son troppo esperta/vecchia/costosa/inesperta/malata mi son stufata.

Che devo fare, incatenarmi davanti al municipio e minacciare di darmi fuoco? Temo che mi porterebbero un accendino... e non ho voglia di rischiare, grazie.

Si torna dunque all'ultima spiaggia... dove si dimostra che, in fondo, non bisogna mai rinunciare ai propri sogni.

Mi è sempre piaciuto scrivere, con molti amici ci siamo scambiati pacchi di lettere (altri tempi) e poi di mail... mi dicono che scrivo anche bene... e allora, voilà: i sono messa a scrivere. Come andrà? Non ne ho idea. Io ci provo.





martedì 17 gennaio 2012

Sì: devo farmi per forza un partito.


Basta. Mafaldescamente basta. Non ne posso più. Ma davvero questa volta.

Sono maledettamente stanca delle solite tiritere, delle solidarietà a parole, delle belle frasi cui non segue alcun costrutto.

Saranno almeno tre anni che il mio segretario (per ora ex, visto che non ho ancora rinnovato la tessera) parla della necessità di riunificare i comunisti in un unico grande partito, un partito dalle percentuali berlingueriane per capirci e non un'armata brancaleone sempre alle prese con lo zero virgola. E infatti siamo ancora tutti belli divisi, anzi alla lista nel frattempo se n'è aggiunto qualche altro - poi a una non deve venire il sospetto che al di là delle teorie divergenti ci sia l'interesse per il proprio orticello.

Sono anni anche che si parla della crisi, della solidarietà al mondo del lavoro (chi ancora ce l'ha) e infatti il modello Marchionne impera, l'articolo 18 viene sistematicamente attaccato, per quel che riguarda la sicurezza sul lavoro è meglio stendere un velo pietoso e di sicurezza del lavoro proprio non c'è ombra.

Si evita di scatenare guerre tra poveri (giovani contrapposti a "maturi" o addirittura ai pensionati), giustamente anche, ma non si risolvono i problemi di fondo e ci si limita a ribadire ad ogni pié sospinto la solidarietà... una volta alle lavoratrici della OMSA, una volta a Fincantieri, una volta a Pomigliano e poi al Binario 21 e così via, ma di concreto non si fa nulla. E intanto, oltre a continuare a fare la conta dei morti sul lavoro, ora ci possiamo pure dilettare con la conta dei morti senza lavoro: disoccupati, pensionati, commercianti... è un continuo bollettino di guerra quotidiana, al punto che non si tratta più di emergenza ma di routine.

Ma si continua a parlare di "crescita", anche da parte di tanta sinistra. Che ci sarà mai da crescere, dico io? I figli... la pace... la tolleranza, la cultura, la salute, il benessere di tutti (inteso proprio come "stare bene", non solo e non tanto in termini biecamente materiali di avere e consumare) sì, devono crescere. Non la produzione, non il PIL, non l'economia.

Le persone devono crescere. E già questo lo dicono in pochi. La decrescita sembra una parolaccia, ancora per troppa sinistra. E siccome la sinistra (occhio: sto parlando di sinistra, non di piddì e simili) è troppo debole per far qualcosa oltre ai proclami, ecco che si sprecano incontri, dibattiti, assemblee sulla necessità di UN partito COMUNISTA. Uno, e comunista, appunto. Ho detto niente.

Ci credo ancora, io, nella frase "da ognuno secondo le sue possibilità, ad ognuno secondo i suoi bisogni". Ma a quanto pare non è così semplice, perché se non c'è un grande partito che garantisca una equa distribuzione delle risorse e delle ricchezze (basterebbero anche un po' di uomini onesti, ma sono introvabili come il suddetto partito, mi pare), chi ha avrà sempre di più e chi non ha continuerà a non avere.

D'altra parte non mi pare di vedere segnali positivi neppure dalla parte sindacale... possibile che non si possa pensare ad uno sciopero totale, generale, ad oltranza ma solo a sciopericchi di categoria e perdipiù a tempo determinato? E che razza di incidenza avranno mai?

E allora la soluzione è farmi un mio partito, visto che nessuno dei presenti risponde prefettamente e totalmente al mio pensiero? Ovvio che no, il titolo è solo una provocazione sull'onda di un ricordo gaberiano.
Per tanti motivi, non mi faccio un partito.

Primo, ho sempre detto che un altro partito non serve.

Secondo, sono pigra e non ho proprio voglia di mettermi a pensare per tutti, perché una delle mode più deleterie - e frequenti - degli ultimi tempi è aspettare il leader carismatico, che può anche essere un emerito imbecille ma se è un trascinatore ed è disposto a dire cosa dobbiamo fare, va benissimo.

Terzo, proprio perché sono una convinta assertrice del motto "per criticare bisogna conoscere" e nel contempo riconosco la mia ignoranza colossale (d'altronde sono in buona compagnia: già qualcun altro disse "so di non sapere"... e non era esattamente l'ultimo arrivato) ma ormai le teorie più che altro mi annoiano e son già abbastanza depressa senza impegolarmi in astruse sottigliezze metodologiche e spaccature del capello, non critico, non mi ergo a giudice ma semplicemente scelgo autonomamente la mia strada.

Che è poi la stessa dei miei esordi. Il comunismo pare impraticabile di questi tempi, visto che non riusciamo a garantire a tutti gli stessi diritti, seppur fondamentali (e lasciamo pure perdere se e come tali diritti siano poi stati effettivamente a disposizione dei popoli che hanno avuto l'onore di essere guidati da un partito comunista o presunto tale), ergo torno orgogliosamente anarchica. Insomma, faccio quello che posso. Non ho la forza di salvare il mondo, ma almeno provo a salvare qualcuno.

Anche perché, se lo facessimo tutti, magari scopriremmo che ci siam salvati tutti... insieme. Da soli non si arriva da nessuna parte, ritengo io.

Ciao compagni, sicuramente le nostre strade si ri-incroceranno. Ma io intanto mi rimbocco le maniche e vedo cosa posso - solidarmente - fare. Che non c'entra nulla, spero sia ben chiaro, con l'egoistico salvataggio personale. E neppure con la classica elemosina.

"Fai agli altri quello che, in analoghe circostanze, vorresti fosse fatto a te".

mercoledì 1 dicembre 2010

Ricomincio da qui

Ebbene sì: mi rimetto in pista con questo blog, cui ho cambiato un po' i connotati per sottolineare la "svolta". Che poi a ben vedere tanto svolta non è, perché io sono rimasta la stessa, con le mie convinzioni ben radicate - anche se alcune, lo ammetto, sono un po' acciaccate... quasi come la "me fisica", che da quel benedetto intervento deve ancora trarre qualche beneficio.

Il "Solleviamoci" di lotte, proteste e proposte si è ormai definitivamente trasferito su wordpress ed è decollato bene, al punto che cammina con le sue gambe (e con le dita ed i pensieri di Mauro e la mia collaborazione sporadica) e non ha certo bisogno della mia continua attenzione.

Ergo, mi ritrovo disoccupata (si fa per dire, che già lo ero e lo sono, ma sul serio!) e con un po' - poco, perché comunque non riesco a stare ferma e seduta per più di un quarto d'ora - di tempo a disposizione.

Che fare? Senza scomodare i grandi, ho pensato di pubblicare le mie riflessioni e le mie esperienze di vita. Non perché pensi che chissà che insegnamenti se ne possano trarre, semplicemente perché mi sono accorta, oggi più che mai, che di certi temi, di certe cose non si parla, se non, quando succede, in modo assolutamente impreciso.
Come della storia, soprattutto di quella degli ultimi cent'anni.

Eggià, la storia. Che la scrivano i vincitori è dato noto (e già questo sarebbe discutibile), ma che poi enfatizzino alcuni fatti e ne nascondano altri, o che arrivino a mistificarla per i loro fini a me non sembra giusto. Sì, lo so che l'ignoranza è funzionale al potere e che basta ripetere un certo numero di volte una cosa perché diventi prima credibile e poi persino vera, ma non è un buon servizio ai giovani. E allora, partendo da un'onesta dichiarazione di partigianeria (sì: sono smaccatamente di parte. Come tutti del resto, che lo ammettano o meno), voglio raccontare la "mia" storia, quella che conosco e/o ho vissuto, condita però da riflessioni sull'attualità. Infatti, pur piccandomi di essere un rudere, vivo pur sempre in questo mondo ed in questo attimo!

Non ho pretese da tuttologa, so di non sapere e non sempre ero e sono direttamente presente. Non ho la verità in tasca e nemmeno la voglio. Ma visto che chiunque, soprattutto da destra oggigiorno, può rivedere i fatti a suo piacimento, perché non posso farlo io, che oltretutto verrò letta sì e no da quattro amici?

E con questa per nulla deprimente affermazione, vi dò appuntamento a... non so quando.