"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

mercoledì 21 ottobre 2009

Vietato criticare Berlusconi: C.V.D.

Berlusconi/ Alfano turbato da minacce su Facebook: si muovano i Pm Va individuato e perseguito chi ineggia a odio e morte

Roma, 21 ott. (Apcom) -
Forte sollecitazione dal ministro Angelino Alfano alle Procure per un intervento rapido e risoluto alla lucce delle "minacce che si moltiplicano su Facebook" all'indirizzo del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. "Sono profondamente turbato - ha denunciato Alfano, parlando ai microfoni di Sky a margine del Congresso dei Notai a Venezia - dal fatto che esistano parecchi forum su Facebook, e quindi sulla rete Internet, che inneggiano all'odio nei confronti di Silvio Berlusconi e inneggiano all'omicidio nei confronti del presidente del Consiglio. Poiche' nel nostro Paese esiste l'obbligatorietà dell'azione penale, mi attendo che la Magistratura faccia il proprio dovere indagando perseguendo e trovando coloro i quali inneggiando all'odio e all'omicidio, commettono un reato penale e compiono un'azione disdicevole dal punto di vista morale'. "E' un tema grande- ha sottolineato ancora il ministro di grande di sicurezza che riguarda la persona del presidente del Consiglio'.

fonte: http://www.apcom.net/newspolitica/20091021_192001_5d019c2_73891.shtml


Il commento di Jacopo Venier:

Berlusconi, Alfano - Venier: "E' Alfano killer del web: vuole uccidere internet"


"L'insofferenza di questo Governo alle critiche porta il ministro Alfano, come un killer della libertà, a cercare ancora una volta pretesti per chiudere la bocca ad internet, uno dei pochi spazi dove la libertà di espressione e di dissenso possono ancora essere esercitati. Alcuni eccessi oratori dei navigatori del web non possono essere la scusa per imbavagliare la rete.

Se in Italia è consentito ad un ministro come Brunetta di dire che "gli esponenti della sinistra devono andare a morire ammazzati" e a Bossi di "essere pronto alla guerra se non passa il federalismo" è logico che qualcuno possa esagerare nel mostrare la propria avversione a Berlusconi e al suo regime. Quando Alfano avrà chiuso la bocca ai provocatori che siedono nel suo Governo potrà chiedere maggiore misura ai navigatori della rete". E' quanto afferma Jacopo Venier, responsabile Comunicazione del PdCI, a commento delle dichiarazioni rilasciate dal Ministro Alfano a Venezia.

fonte: http://www.facebook.com/note.php?note_id=159328469813&ref=nf


Il commento di Elena:

Non è così che si è arrivati al governo di Unità Nazionale? Tutti insieme appassionatamente contro i terroristi! Per carità, capiamoci: NON sono una terrorista, non li difendo e nemmeno li capisco. E non capisco né approvo chi, su FB o altrove, inneggia all'eliminazione di Berlusconi. Non lo stimo, non mi piace, non l'ho votato e non mi rappresenta, ma per quel che mi riguarda non ci penso proprio, ad augurargli la morte. Non lo faccio con nessuno, anche se la pensa ed è il mio esatto contrario. Perché sono sostanzialmente pacifista e anche, perché negarlo, perché penso che non ci serve un altro martire. Basta ed avanza già adesso che è solo unto...
Ma criminalizzare tutti quelli che non sono allineati mi sembra un bel giochino degno di Cossiga ed Andreotti nei loro momenti migliori... dove "migliori" è, ovviamente, opinabile.

Dopodiché il ministro Alfano dovrebbe avere la gentilezza di spiegarmi come mai è tanto preoccupato per la violenza (peraltro solo verbale) contro il suo amato Presidente del Consiglio ma non fa una piega contro quella - assolutamente reale - quotidiana che certi "begli spiriti" scatenano contro stranieri, donne, bambini, omosessuali e comunque persone che non la pensano come loro. Giustizia a due marce? O interessi di parte, come sempre?

No Berlusconi Day - appello


Il comitato “No Berlusconi Day”, nato su Facebook per iniziativa di un gruppo di blogger democratici, indice per il prossimo 5 dicembre, a Roma, una manifestazione nazionale per chiedere le dimissioni del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

ILTESTO DELL’APPELLO


A noi non interessa cosa accade se si dimette Berlusconi e riteniamo che il finto “Fair Play” di alcuni settori dell’opposizione, costituisca un atto di omissione di soccorso alla nostra democrazia del quale risponderanno, eventualmente, davanti agli elettori. Quello che sappiamo è che Berlusconi costituisce una gravissima anomalia nel quadro delle democrazie occidentali -come ribadito in questi giorni dalla stampa estera ce definisce la nostra “una dittatura”- e che lì non dovrebbe starci, anzi lì non sarebbe nemmeno dovuto arrivarci: cosa che peraltro sa benissimo anche lui e infatti forza leggi e Costituzione come nel caso dell’ex Lodo Alfano e si appresta a compiere una ulteriore stretta autoritaria come dimostrano i suoi ultimi proclami di Benevento.

Non possiamo più rimanere inerti di fronte alle iniziative di un uomo che tiene il Paese in ostaggio da oltre15 anni e la cui concezione proprietaria dello Stato lo rende ostile verso ogni forma di libera espressione come testimoniano gli attacchi selvaggi alla stampa libera, alla satira, alla Rete degli ultimi mesi. Non possiamo più rimanere inerti di fronte alla spregiudicatezza di un uomo su cui gravano le pesanti ombre di un recente passato legato alla ferocia mafiosa, dei suoi rapporti con mafiosi del calibro di Vittorio Mangano o di condannati per concorso esterno in associazione mafiosa come Marcello Dell’Utri.

Deve dimettersi e difendersi, come ogni cittadino, davanti ai Tribunali della Repubblica per le accuse che gli vengono rivolte.

Per aderire alla manifestazione, comunicare o proporre iniziative locali e nazionali di sostegno o contattare il comitato potete scrivere all’indirizzo e-mail: noberlusconiday@hotmail.it

Questo è l'indirizzo del blog "padre": http://noberlusconiday.wordpress.com/

lunedì 5 ottobre 2009

Il trattato di Lisbona.

Sono stata “benevolmente accusata” di essere di parte, per quel che riguarda il trattato di Lisbona ed il voto irlandese dello scorso 3 ottobre. Il che è assolutamente vero, intendiamoci: ho la mia opinione in merito – come tutti, più o meno.

Però bisognerebbe saper distinguere tra opinioni e fatti.

Il fatto – obiettivo - è il trattato in sé, che ho linkato in questo post:
http://solleviamoci.wordpress.com/2009/10/01/lirlanda-ma-non-solo-ed-il-trattato-di-lisbona/ per chi volesse leggerlo integralmente (buona fortuna: è un malloppo incredibile. Io per ora ci rinuncio, data la connessione lenta che mi affligge ed il linguaggio astruso pieno di rimandi. Esempio: “iv) il terzo comma è sostituito dal nuovo paragrafo 3 seguente, l'ultimo comma diventa paragrafo 4 e il paragrafo 3 diventa paragrafo 5:” (segue) stralciato dalla Gazzetta ufficiale dell’unione Europea).

Le opinioni invece sono personali ed in quanto tali opinabili (tant’è vero che i due termini hanno la stessa radice). Però non si capisce bene perché qualcuno pensa che se la maggioranza dà un determinato giudizio, allora è quello giusto. Non voglio fare un discorso antidemocratico: accetto le decisioni della maggioranza (e infatti mi sorbisco questo governo… SIC!) pur continuando a pensare che è quasi quanto di più lontano vorrei io (quasi perché ci sarebbe pure di peggio, non perché su qualcosa io sia d’accordo). Perché se la maggioranza decide di buttarsi dal balcone, dobbiamo per forza ammazzarci tutti? O non abbiamo invece il dovere (che è pure un diritto) di cercare di far capire a questa riluttante (o male o poco informata, quando non artatamente disinformata) maggioranza che, forse, esistono alternative – e magari anche migliori?

Comunque, per non far torto ai lettori, questa volta pubblico articoli di entrambi gli schieramenti (c’è da dire che se n’è parlato pochissimo, se non proprio in questi giorni a seguito della votazione irlandese. Ma nessuno ha fatto un’analisi del trattato e di quello che significa: si è preso atto del cambiamento di idea irlandese e… buona la prima. Anzi la seconda - votazione).

Cominciamo con un pronunciamento che, se fossi un po’ meno vecchia e saggia (si fa per dire), basterebbe a farmi essere contro:

Trattato di Lisbona, dichiarazione di Berlusconi
Sono felice per la decisione del popolo irlandese di dire “sì” al Trattato di Lisbona e mi congratulo con il Primo Ministro Cowen per questo successo.
Il “sì” irlandese rappresenta un passo decisivo verso l’entrata in vigore del Trattato, che ci consentirà di avere un’Europa più forte ed efficace.
Mi auguro che il messaggio positivo che viene dall’Irlanda sia raccolto anche da quegli Stati membri che non hanno ancora completato la ratifica, nonostante i loro Parlamenti si siano già espressi a favore.
Rimaniamo fedeli all’obiettivo dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona entro la fine dell’anno.

(fonte: http://www.governo.it/Notizie/Palazzo%20Chigi/dettaglio.asp?d=51010)

Contento lui, ovvio che non sono contenta io! Non per partito preso: semplicemente perché lui è quello del dolo Alfano, dello scudo fiscale, dei tagli alla scuola e delle centrali nucleari, tanto per citare qualche esempio recente, e io no. Pare piuttosto probabile che non saremo d’accordo nemmeno sull’Europa! D’altra parte bisogna ricordare che la firma per l’Italia fu posta da Prodi e D’Alema (http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2007:306:0135:0145:IT:PDF , C 306/140, dove 140 è la pagina), anche se poi, essendo caduto il governo Prodi…

Ma vediamo cosa dice Il Corriere della Sera:

Il referendum sulla «mini costituzione» europea - Trattato di Lisbona, l'Irlanda vota sì

Il premier Cowen: «Un buon giorno per noi e per l'Europa». Soddisfazione di Barroso

MILANO - «Il sì ha vinto»: lo ha annunciato il premier irlandese Brian Cowen. I sì al referendum sul Trattato di Lisbona sono stati il 67,1%, i no il 32,9%. L'affluenza è stata del 58%. Nel 2008 i no erano stati il 53,4%. I dati definitivi sono stati più rosei per i sostenitori europei di quanto si prevedeva alla vigilia. «La gente ha parlato, questo è un buon giorno per l'Irlanda e per l'Europa. Insieme all'Europa, siamo migliori e più forti. Il Trattato farà nascere un'Europa più forte e un'Irlanda migliore», ha aggiunto Cowen. Nella consultazione del 12 giugno 2008 gli irlandesi (tre milioni di aventi diritto al voto, l’1% degli elettori dell’Ue) avevano respinto il Trattato, paralizzandone di fatto l’applicazione.

BARROSO: SEGNO DI FIDUCIA - Il tanto atteso sì di Dublino al Trattato di Lisbona rappresenta «un grande giorno per l'Irlanda e un grande giorno per l'Europa». Così José Manuel Barroso, presidente della Commissione Ue, ha commentato il risultato del secondo referendum dell'Isola di smeraldo, dopo la bocciatura dello scorso anno. Per Barroso il risultato è «un segno di fiducia» nell'Europea e «dimostra che l'Ue è pronta a prestare attenzione» ai dubbi degli elettori Dublino ha infatti ricevuto le garanzie che chiedeva sul fatto che il Trattato non influirà su alcuni indirizzi chiave della propria politica come la neutralità militare, o le sue leggi fiscali e soprattutto in materia di aborto, ancora oggi severamente vietato.

SODDISFAZIONE IN EUROPA - Il sì degli irlandesi al Trattato di Lisbona è una «buona notizia per l'Europa» e dimostra il loro «vero» impegno per il progetto europeo, ha affermato il presidente del Parlamento europeo Jerzy Buzek, che si è detto molto contento degli esiti elettorali. Soddisfatta anche il cancelliere tedesco Angela Merkel: «Mi voglio congratulare con il popolo irlandese per l'esito del referendum e anche con il mio collega Brian Cowen. Si tratta di un passo importante sulla strada del Trattato di Lisbona e posso dire che la Germania, nel giorno della Riunificazione, è molto lieta del risultato». «E' il coronamento degli sforzi compiuti in particolare durante la presidenza francese dell'Ue per dare una risposta alle preoccupazioni che avevano espresso gli irlandesi», è il commento di Sarkozy. Dall'Italia, il responsabile del Pd per la politica estera Piero Fassino ha parlato di «un voto che restituisce speranza e fiducia nell'Europa, che soltanto se saprà parlare con una voce sola e agire unita potrà far fronte alle sfide della globalizzazione e corrispondere alle attese dei cittadini».

I DUE PARTITI CONCORDI - Tre milioni di elettori ieri hanno votato per decidere la sorte della «mini costituzione» europea. I seggi hanno chiuso alle 22, dopo 15 ore di voto. L’affluenza alle urne avrebbe superato il 50%, almeno nella capitale Dublino. Entrambi i grandi partiti irlandesi, il Fianna Fail e il Fine Gael, erano favorevoli al sì. Fra i primi a recarsi alle urne per sostenere il sì la presidente dell’Irlanda Mary McAleese, e il primo ministro («Taoiseach») Brian Cowen, con la moglie Mary; poi i leader del Fine Gael, Enda Kenny, e del Labour, Eamon Gilmore. Il no riuniva i nazionalisti dello Sinn Fein e alcuni gruppetti cattolici conservatori o di estrema destar. Oltre al miliardario Declan Ganley, che l’anno scorso organizzò la campagna del no ma che quest’anno è stato indebolito dalla bruciante sconfitta alle elezioni europee, quando ha tentato di lanciarsi in politica.

GLI SVILUPPI - Il testo di Lisbona dovrà essere adottato da tutti i 27 Paesi, ma l’Irlanda era l’unico tenuto, per costituzione, a pronunciarsi per referendum. Finora sono 24 i Paesi membri che hanno completato il processo di ratifica. Il presidente polacco Lech Kaczynski ha promesso la firma subito dopo il sì irlandese. Wladyslaw Stasiak, capo dell'ufficio del presidente, ha confermato che la firma avverrà subito, «senza inutili rinvii». Rimarrà poi da completare la ratifica del trattato soltanto nella Repubblica Ceca, dove la firma resta appesa a un ricorso in giustizia e alla buona volontà del presidente euroscettico Vaclav Klaus.

(http://www.corriere.it/esteri/09_ottobre_03/irlanda-referendum-trattato-lisbona_3e2465f8-aff5-11de-8f2f-00144f02aabc.shtml)

Potrei continuare con gli articoli apparsi su altri quotidiani, ma il tenore è sempre lo stesso (per chi volesse verificare, senza pretese di completezza, ecco altri link:

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/associata/2009/10/03/visualizza_new.html_964741356.html

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/200910articoli/47870girata.asp

http://periodicoitaliano.info/2009/10/04/referendum-in-irlanda-si-al-trattato-di-lisbona/

http://blog.irlandando.it/5167-lirlanda-dice-si-al-trattato-di-lisbona/

Tutti felici e contenti, ma nessuno che si prenda la briga di spiegare bene cosa è questo trattato, cosa prevede e cosa cambia.

A pensar male si fa peccato, insegna una vecchia volpe della politica italiana. Sarà. Ma come non pensar male quando una si prova a cimentare con questa perla di democrazia e trova, ad esempio:

“j) la sigla «BCE» è sostituita dai termini «Banca centrale europea»;
k) i termini «statuto del SEBC» sono sostituiti da «statuto del SEBC e della BCE»;”
sempre dalla Gazzetta Ufficiale (http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2007:306:0042:0133:IT:PDF, C306/43)

ma come… prima mi dici che la sigla BCE è sostituita e la riga sotto la chiami ancora BCE? Devo forse capire che la sigla è stata sostituita solo nel paragrafo j)? C’era proprio bisogno di questa sostanziale modifica, chissà quanto ci hanno studiato!!!

A parte la fin troppo facile ironia, è difficile trovare in rete qualcosa di dettagliato che illustri i lati positivi di questo trattato. Ci prova in modo molto succinto Wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Trattato_di_Lisbona), ma per il resto vi sono molte generiche asserzioni di maggior democrazia, ma poca sostanza. E ci credo: non basta una laurea in giurisprudenza ed un mese sabbatico per capirci qualcosa! Viene davvero il sospetto che sia stato redatto (il trattato e tutti i suoi protocolli, allegati etc) in modo così farraginoso per evitare che qualcuno lo leggesse e soprattutto lo capisse… oppure ha ragione La pulce di Voltaire, che scrive:

“…l'opinione pubblica continua a disinteressarsi di Bruxelles, come se si trattasse di una Calcutta dorata ed esotica.” (http://lapulcedivoltaire.blogosfere.it/2009/10/la-ue-dopo-il-referendum-sul-trattato-di-lisbona.html)

In compenso si trovano alcuni pezzi critici. Forse perché la massima “per criticare bisogna conoscere” si attaglia meglio, appunto, a chi è contro.
Vediamo:

“Quella del Trattato di Lisbona non è l’Europa che vogliamo!”, dicono le femministe

di Beatrice Ippolito

Al referendum del 12 giugno 2008, chiamati a dare o meno il proprio assenso alla ratifica governativa del Trattato di Lisbona, il 53.6% degli irlandesi rispose con un clamoroso “NO!”. Di essi la maggioranza erano donne. “Ingrati!”, gridarono indignati e stupiti vari media europei. L’immagine che venne fatta circolare fu quella di un paese animato da fieri sentimenti antieuropei, frutto di egoismo e di ignoranza.

Tra meno di due settimane, il 2 ottobre 2009, la Repubblica d’Irlanda sarà nuovamente chiamata a referendare sul medesimo quesito senza che, nel frattempo, il Trattato sia stato fatto oggetto di una qualche revisione o rettifica che giustifichi il disattendimento di una volontà popolare sgradita ma pur sempre democraticamente espressa.

Perché un nuovo referendum? Ma davvero gli irlandesi sono maggioritariamente euro-scettici? Ed è vero che le irlandesi sono contro l’Europa e ne vogliono star fuori?

Uno dei timori dell’Irlanda Cattolica è che la ratifica del Trattato di Lisbona dia la stura alla liberalizzazione dei servizi abortivi, mettendo fine alla singolarità che fa dell’Irlanda forse l’unico paese nell’EU dove l’aborto è bandito come crimine e come peccato. Considerata la maggioranza cattolica, le donne irlandesi, sono dunque, per lo più, antiabortiste?

Le femministe dublinesi dell’Open Feminist Forum, riunitesi al Buswell Hotel la settimana scorsa per discutere sulla questione referendaria, hanno concluso i lavori con un appello a dire nuovamente “No!”.

Anti-Europa anche loro?
Non proprio, visto che tutte le intervenute hanno tenuto a sottolineare, in apertura di discorso, la propria appartenenza all’Europa.

E Pro-Europa si dichiarano anche diverse personalità del mondo politico e accademico irlandese, come ad esempio Mary Lou McDonald, la deputata irlandese dello Sinn Fein, Patricia McKenna, la parlamentare europea dei verdi ora People’s Movement – Movimento dei Popoli, Ailbhe Smith, scrittrice, femminista, direttora del WERRC (Centro ricerche e risorse educative per/delle donne di UCD, ora Dipartimento di Women’ s Studies della Scuola di Social Justice di UCD ) e altre.

“Non si tratta di dire “No” all’Europa.”, - dicono. “Si tratta di dire “No” a un trattato che pone al centro degli interessi europei, non le persone, ma il mercato.”.

Tra gli articoli del Trattato, quello più contestato è l’Art. 14 che legalizza la “crescente liberalizzazione dei servizi di interesse economico generale.”. I servizi di interesse economico generale sono, per intendersi, gli ospedali, le scuole, i trasporti, le telecomunicazioni, l’acqua, la luce, il gas e tutto quanto non ancora privatizzato nel servizio pubblico generale.

Ciò che sta a cuore all’Europa del Trattato, sostengono i comitati per il “No” in particolare il capitolo intitolato Public Services &Economic Issues è il libero mercato e la libera concorrenza che ne è il principio ispiratore.

Il principio è ribadito nell’Art 105 TFEU che si pone come fine la realizzazione di “...an open market economy with free competition ..” – una economia di mercato aperto alla libera concorrenza –.

L’interesse è così prioritario che il Protocollo n.6 del Trattato si preoccupa di garantire che “... the intended market as set out in Articles [1 -3] ... includes a system ensuring that competition is not distorted.” – detto mercato come stabilito negli articoli da 1 a 3 ... preveda un sistema che garantisca che la concorrenza non abbia a subire distorsioni. -.
In ottemperanza a tale principio, “... essential public services such as water and sanitation, public transport, energy, post and telecoms…” – servizi pubblici essenziali come acqua, sanità, trasporti pubblici, energia, servizi postali e di telecomunicazioni – potrebbero, pertanto, venire rinegoziati come “economic activities” – attività economiche - “suitable for trade” – passibili di commercializzazione.

“Attività economica”, la Corte di Giustizia Europea stabilisce che sia qualsiasi servizio che abbia “...the essential characteristic ..” – la caratteristica essenziale - “...that it must be provided for remuneration...” – di essere fornito a fronte di prezzo pagato...”.

E a pagarlo non è necessario che siano gli utilizzatori finali, chiarisce la Commissione Europea in una Dichiarazione fatta in novembre 2007. In altre parole, gli stati nazionali avrebbero la facoltà di subappaltare i servizi a società private. (I dati sono tratti dal capitolo Creeping Privatization sempre dal sito www.sayno.ie, cui si rimanda per approfondimenti.) In Italia già accade. Si pensi ai servizi postali, alle ditte di rimozione dei rifiuti, ecc.

Ora, dicono le femministe dublinesi del Forum nel loro foglietto informativo,, “... the majority of those working in public services are women ...” – quelli che operano nel settore del pubblico impiego sono in maggioranza donne. -. Son le donne, più che gli uomini, che si rivolgono ai servizi pubblici per cure mediche, esami, gravidanza; sono donne, più che uomini, quelle che si occupano dei servizi di cura ai minori, ai malati, agli anziani; sono donne, più che uomini, quelle che operano nei settori educativi, donne quelle che maggiormente affollano i mezzi di trasporto pubblico.

Le donne irlandesi sanno già cosa significano i tagli ai contributi familiari per i minori in età prescolare o disabili; le donne irlandesi che lottano nei comitati per la casa sanno cosa han voluto dire gli ulteriori tagli ai fondi per la riqualificazione dei quartieri popolari attesi ormai da decenni. E “..Lisbon, which deepens the very policies that have caused the economic crisis, would make the bad situation worse.” – (il (trattato di ) Lisbona che accentua le politiche che hanno portato alla crisi economica, è probabile che renda la già cattiva situazione ancor peggiore. – perché per stare ai dettami del Patto di Stabilità come ribadito nell’Art 136, i governi non faranno che effetture tagli alla spesa pubblica privatizzandone i servizi e facendone ricadere i costi sui lavoratori e in particolare sulle donne.

Quanto alla Carta dei Diritti Fondamentali, è vero, il Trattato li fa suoi ma senza ampliare la gamma dei diritti da difendere e anzi erodendoli di fatto con l’introduzione di numerose eccezioni. E quel che è peggio è che il Trattato tace sui diritti riproduttivi e sessuali; tace sul diritto alla libertà femminile; tace sulla violenza contro le donne; tace sui servizi a sostegno della maternità e dell’infanzia.

Le femministe irlandesi temono anzi che la Corte di Giustizia Europea deponga a favore del mercato e contro i diritti delle donne come ha già fatto con i diritti dei lavoratori sacrificati al diritto delle aziende di non essere danneggiate dalla concorrenza. (caso Vaxholm, caso delle navi traghetto finlandesi, caso dell’azienda italiana Irem che aveva preferito contrattare tecnici italiani specializzati i cui salari più convenienti per l’azienda, innescando una competizione dai risvolti xenofobi)

Altri punti dolenti sono la militarizzazione dell’Europa, la creazione dei “Battle groups” – contingenti militari di combattimento – ,il rafforzamento dei rapporti con la NATO, l’aumento delle spese militari. Di contro, sostengono, gli impegni reali per ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici risultano assai fiacchi.

Ce n’è abbastanza, insomma, per dire “No” a Lisbona un’altra volta.
Vedi on line : Campaign Against the EU Constitution

(fonte: http://www.womenews.net/spip3/spip.php?article4804)

e anche

Trattato di Lisbona & Nuovo Ordine Internazionale

Marcello Pamio – 4 giugno 2008

Oggi possiamo tranquillamente parlare di “Nuovo Ordine Internazionale” o “Nuovo Ordine Mondiale”, senza essere tacciati da psicopatici cospirazionisti, e sapete perché?
Per il semplice motivo che personaggi del calibro di George Herbert Walker Bush, Giovanni Paolo II, Henry Kissinger, Kofi Annan, Bill Clinton, Gordon Brown e molti altri, ne hanno parlato liberamente e pubblicamente.

George Bush senior parlò esattamente di Nuovo Ordine Mondiale l’11 settembre (data simbolica) del 1990; Papa Giovanni Paolo II lo fece nel messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace il 1° gennaio 2003; Kofi Annan (ex segretario dell’ONU) nel suo ultimo discorso all’assemblea delle Nazioni Unite, parlando ai 192 leader dei paesi membri chiese nientepopodimenchè la “creazione di un nuovo ordine mondiale”[1].
Quindi se siamo dei visionari, siamo in buona (per modo di dire) compagnia!
Oggi il Sistema oligarchico che anela al controllo della vita di milioni di persone ha fatto e sta facendo passi da gigante per raggiungere questo obiettivo. L’ultimo in ordine cronologico è il “Trattato di Lisbona”.

Pochi ne avranno sentito parlare, ma è già stato votato dai governanti europei, tra cui anche l’Italia.

Il 30 maggio scorso, “il Consiglio dei Ministri – dice Franco Frattini – ha approvato all’unanimità il ddl di ratifica del Trattato di Lisbona, che i presidenti delle Camere inseriranno come priorità nell'ordine del giorno dei lavori parlamentari”[2]
Il grande statista Roberto Calderoli, Ministro per la Semplificazione , ha aggiunto però che “rimangono le riserve della Lega che proporrà una legge ad hoc per consentire un Referendum sul Trattato”[3]

Il suo è stato un sì, ma con riserva, perché “c’è - dice lui - una perdita di sovranità notevole”[4].

Staremo a vedere se il Carroccio riuscirà ad ottenere una legge costituzionale che permetta a noi cittadini di dire la nostra su questo Trattato con un referendum. Oggi infatti non è possibile il voto popolare su un Trattato. Chissà come mai?!
Il primo paese ad aver ratificato il nuovo trattato è stata l’Ungheria, seguita a ruota da Slovenia, Malta, Romania, Bulgaria, Polonia, Slovacchia, Portogallo, Danimarca, Austria, Lettonia e Lituania.[5]

L’Impero Britannico che in sede di negoziato ha ottenuto diverse e importanti esenzioni (opting out) deve ancora ratificarlo. Con opting-out s’intende la clausola di esenzione: in pratica è la deroga che - onde impedire un bloccaggio generale - è concessa agli Stati membri che non desiderano associarsi agli altri Stati. Inghilterra e Danimarca non hanno infatti aderito alla terza fase dell’unione economica e monetaria (UEM): questi due paesi intelligentemente incamerano il Signoraggio sulla loro moneta (rispettivamente sterlina e corona danese), ma anche sull’euro, visto che partecipano come soci/proprietari della BCE, Banca Centrale europea di Francoforte (quote di “proprietà”: Inghilterra 15,98% e Danimarca 1,72%).

Non a caso l’Inghilterra è da secoli il Centro del Potere planetario!

Ma cos’è questo Trattato e perché c’interessa?

Questo Trattato modifica e sostituisce il Trattato dell’Unione europea (1992), noto come Maastricht, e il Trattato istitutivo della comunità europea (1957).

Il Trattato dovrebbe entrare in vigore all’inizio del 2009, e il prossimo 12 giugno sarà una data molto importante per tutti, visto che in Irlanda si effettuerà il referendum. Unico paese in Europa ad aver istituto un voto popolare sull’argomento.

Il Movimento internazionale Diritti Civili Solidarietà denuncia da mesi il pericolo di questo Trattato, chiedendo a gran voce che non venga ratificato, perchè se ciò avverrà:

- Aumenteranno i poteri straordinari della Commissione dell’Unione Europea in quasi tutti gli aspetti della vita dei cittadini (politica economica e difesa), privando il nostro Paese della propria sovranità e vanificando in questo senso la Costituzione italiana, a partire dall’Articolo 1 che recita “la sovranità appartiene al popolo”.
- La politica di difesa del Trattato prevede, oltre alle missioni di pace, anche missioni offensive, che violano l’Art. 11 della Costituzione. Attraverso il potenziamento delle forze militari messe a disposizione dell'Unione Europea, è in atto un tentativo di fare dell'Europa un braccio della NATO. Con la creazione di un gruppo ristretto di paesi a cui verrebbero demandate le iniziative militari, sarebbe più facile aggirare l'opposizione di chi vorrebbe evitare lo scontro strategico portato avanti da Londra e Washington nei confronti di Russia e Cina[6].
- In politica economica si parla di una vera e propria “dittatura dell’Unione e della Banca Centrale Europea”. Grazie al Trattato di Lisbona, infatti, i burocrati dell’Unione Europea avranno pieno titolo a bocciare qualunque misura decisa dal nostro governo, e dagli altri governi europei, per difendere la propria economia, l’occupazione, i redditi, l’industria e l’agricoltura, ed intervenire sui prezzi.

Sembra follia ma purtroppo non lo è.

L'ex ministro e insigne giurista Giuseppe Guarino, ordinario di diritto amministrativo all'Università di Roma, ha diffidato dal ratificare il trattato così com'è, perché esso codificherebbe un sistema di "governo di un organo" o "organocrazia".

Il trattato viola almeno due articoli della Costituzione italiana, l'Art. 1 e 11.
Riguardo a quest'ultimo, le condizioni di parità sono violate dal fatto che paesi come la Gran Bretagna e la Danimarca, membri del trattato, sono esonerati dalla partecipazione all'Euro. Così essi possono, ad esempio, fissare il tasso d'interesse in modo vantaggioso per loro ma svantaggioso per gli altri firmatari del trattato.

Inoltre il Trattato aumenta sensibilmente i poteri della Commissione Europea.
Ad esempio, nel caso della procedura di infrazione del Patto di Stabilità, stabilita dall'Art. 104, la Commissione finora aveva solo il potere di notificare l'avvenuta infrazione al Consiglio dei Ministri dell'EU, che poi decideva se avviare la procedura o meno. Nella nuova versione, sono stati introdotti tre piccoli cambiamenti che spostano quei poteri in seno alla Commissione. Non sarebbe saggio approvare il trattato, riproponendosi di cambiare in seguito le sue parti sbagliate, ha osservato il prof. Guarino. Ciò sarebbe di fatto impossibile, dato che occorre l'unanimità.
Un altro eminente costituzionalista tedesco, il prof. Schachtschneider, ha sviluppato una lezione dal titolo “La legittimazione della pena di morte e dell'omicidio” in cui sostiene che il Trattato di Lisbona nel suo continuo sostenere una cosa e rimandare ad altra contraria attraverso il richiamo alle “Spiegazioni della Carta dei Diritti Fondamentali” legittima la pena di morte e l’omicidio “per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un'insurrezione” e “per atti commessi in tempo di guerra o in caso di pericolo imminente di guerra” (ben 14 Stati dell’Unione europea sono impegnati nella guerra in Iraq).[7]

“In caso di pericolo imminente di guerra”? Ma noi, grazie alla politica guerrafondaia di Bush & Company siamo dall’11 settembre 2001 quotidianamente in “guerra” contro il terrorismo! Come la mettiamo?

Sarebbe poi di interesse nazionale conoscere – soprattutto nell’ottica della nuova legge sulla sicurezza votata dal governo Berlusconi - cosa s’intende per “sommossa” e “insurrezione”.

Forse il movimento No-Tav può essere considerato una sommossa? O tutti coloro che si battono perché non vengano costruite centrali atomiche o cancro-valorizzatori (leggi inceneritori)?

Chi lo sa, fatto sta che con la nuova legge sulla sicurezza, questi siti saranno di “interesse nazionale” per cui potranno essere difesi dall’esercito, e gli organizzatori di manifestazioni (pacifiche) di protesta, potrebbero finire in galera! Alla faccia della libertà.

Ma d’altronde la grande maestra America insegna.

Il 17 ottobre 2006 Bush junior ha firmato il “Military Commissions Act” (MCA) che introduce l’istituzione di tribunali militari con potere di giudicare sia chi è cittadino USA sia chi non lo è.

In un colpo solo, ha fatto sparire il più antico fra i diritti della società anglofona: quello di opporsi al potere governativo di arrestare chiunque e detenere arbitrariamente le persone: l’Habeas Corpus, considerato uno dei principi più importanti stabiliti dalla Magna Charta Libertatum (firmata da Re Giovanni Senza Terra nel 1215)[8]

Ma non è tutto perché lo stesso giorno, sempre il solito Bush ha firmato il “John Warner Defense Authorizations Act” che permette al presidente di dislocare truppe in qualsiasi località degli Stati Uniti e di assumere il controllo delle unità della Guardia nazionale in qualsiasi stato degli USA senza previo consenso del governatore o del magistrato, al fine di “reprimere disordini pubblici”.

All’appello manca la Legge Marziale e poi siamo al completo…

Il Trattato di Lisbona in quest’ottica è l’ennesimo passo in avanti verso la creazione del cosiddetto Nuovo Ordine Internazionale, cioè “maggiori poteri di controllo di pochi su molti”.

La sua ratifica permetterà ai banchieri di Bruxelles di potenziare il loro potere su noi sudditi europei e di conseguenza limitare di molto le nostre libertà individuali.

La sovranità dei popoli sta per essere consegnata totalmente nelle mani di qualche oscuro e potente banchiere...

Dobbiamo sperare quindi che venga fatto un Referendum popolare (con legge costituzionale) sul Trattato di Lisbona!

Non sappiamo se possa servire a qualcosa, ma proviamo a mandare il nostro disappunto mediante una e-mail o lettera, alle segreterie dei principali partiti di governo e dei quotidiani nazionali.

Segreteria politica federale rsoragna@leganord.org
Affari istituzionali rmarraccini@leganord.org
Giustizia sanvar@leganord.org
Segreteria nazionale Giovani Forza Italia segreterianazionale@forzaitaliagiovani.it
Il Corriere della Sera www.corriere.it/scrivi/bit.shtml
La Repubblica larepubblica@repubblica.it

La senatrice Lidia Menapace contraria al Trattato di Lisbona

Importantissima segnalazione per ambedue i temi anzi tre: abolizione della neutralità (che obbliga Svizzera, Svezia, Austria, Finlandia, Malta a mutare forma dello stato o a non aderire all'Europa) mentre sarebbe proprio il caso di tenere aperta la possibilità di provare a fare un' Europa neutrale (che non vuol nemmeno dire disarmata, ma ad esempio nell'impossibilità di possedere armi atomiche e qualsiasi armamento nucleare) (dunque un bel sostegno alla campagna Via le bombe!), pena di morte (che abbiamo appena tolto dal codice militare di guerra italiano), fine della sovranità nazionale in economia, che è una clausola tombale sullo stato sociale. credo che davvero dovremmo fare un grande botto in proposito. Mandiamo il testo di Liliana sottoscritto e appoggiato dalla rete a Liberazione, al Manifesto, alla segreteria di Rifondazione e a tutta la Sinistra arcobaleno (avete visto che l'unico colore assente è il rosa?), al gruppo della sinistra al parlamento europeo.

Se volete scaricare il Trattato di Lisbona integrale in italiano (287 pagine)
www.consilium.europa.eu/uedocs/cmsUpload/cg00014.it07.pdf
(fonte: http://www.disinformazione.it/trattato_lisbona.htm)

ecco l’articolo citato nel testo:

La legittimazione della pena di morte e dell'omicidio

Pubblichiamo qui il testo del prof. Schnachschenider sulla pena di morte in Europa.
Grazie all'amico Claudio Celani per la traduzione.

La Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (la cosiddetta "Costituzione" bocciata in Francia nel 2005, a cui ci riferiremo d'ora in avanti con la sigla CDFUE) permette espressamente nelle "spiegazioni" ai Diritti Fondamentali e nelle sue "definizioni negative" – assorbite nel Trattato di Lisbona – contrariamente all'abolizione della pena di morte vigente in Germania, Austria e altri paesi in conformità con il principio [costituzionale] della dignità dell'uomo, la reintroduzione della pena di morte in caso di guerra o in caso di diretto pericolo di guerra, ma permette anche l'omicidio per reprimere una sommossa o un'insurrezione.

Decisivo per questo non è l'Art. 2 Paragrafo 2 della Carta, che proibisce la condanna a morte e l'esecuzione capitale, bensì la spiegazione di quest'articolo, integrata nel Trattato [di Lisbona], che risale alla Convenzione sui Diritti Umani del 1950. Secondo l'Art. 6 Par. 1 e Sottopar. 3 del Trattato sull'Unione Europea (TUE) nella versione di Lisbona, vengono definiti i diritti, le libertà e i principi fondamentali della Carta in conformità con le disposizioni generali del Titolo VII dela Carta, che regola l'esposizione e l'applicazione degli stessi, e sottoposti alla debita considerazione delle "spiegazioni" allegate alla Carta, in cui vengono indicate le fonti di queste disposizioni.

La rilevanza giuridica delle "spiegazioni" sgorga anche dal Paragrafo 5 S. 2 del Preambolo della Carta, secondo il quale l'interpretazione di questa avviene "tenendo in debito conto le spiegazioni elaborate sotto l'autorità del praesidium della Convenzione europea". Il Paragrafo 5 S. 2 del Preambolo e il Paragrafo 7 dell'Art. 52 sono stati reinseriti nella Carta il 12 dicembre 2007. Erano già presenti nel naufragato Trattato Costituzionale del 29 ottobre 2004. Questo allargamento del testo smentisce il temporaneo successo della politica contro la pena di morte e l'esecuzione capitale. Le "spiegazioni" riguardano anche e proprio l'Art. 2 Par. 2 della Carta.

Le deleghe all'Unione nel campo della politica estera e di sicurezza comune è sufficiente affinché, nell'interesse dell'efficienza delle missioni secondo l'Art. 28 (42) Par. 1 S. 2 e Art. 28b (43) Par. 1 TUE, o anche nell'interesse della difesa, l'introduzione della pena di morte; ad esempio la delega al Consiglio tramite l'Art. 28b (43) Par. 2 S. 1 TUE sulle decisioni riguardanti le missioni, che permette "di stabilire le condizioni generali di attuazione valide" per le missioni stesse. A ciò non partecipano né il Parlamento Europeo né tantomeno i parlamenti nazionali. Una decisione del genere andrebbe valutata in combinazione con l'Art. 2 Par. 2 della CDFUE, con le sue spiegazioni. Inoltre gli stati membri si impegnano con l'Art. 28 (42) Par. 3 Sottopar. 2 S. 1 TUE, "a migliorare progressivamente le proprie capacità militari". Le guerre del passato e del presente dimostrano che la pena di morte ad esempio nel caso di soldati che si rifiutano di eseguire gli ordini, tende a incrementare notevolmente le capacità militari di un esercito. L'efficienza di misure militari può essere incrementata, tra l'altro, per mezzo dell'esecuzione di terroristi e sabotatori o anche presunti tali.

La prassi dell'Unione di estendere estremamente i testi sui doveri degli stati membri non autorizza ad escludere anche una tale interpretazione, quando la situazione lo comanda o lo consiglia. Per inciso, il dovere di riarmo di questa prescrizione non è compatibile con il principio pacifista, vincolante, delle costituzioni tedesca (preambolo della Grundgesetz, Art. 1 Par. 2, Art. 26 Par. 1) e austriaca.

Nella Dichiarazione riguardante le Spiegazioni della Carta dei Diritti Fondamentali, che secondo l'Art. 49b (51) TUE ("Allegato") sono parte costituente dei Trattati, dunque sono parimenti vincolanti, sta scritto:
3. Le disposizioni dell'articolo 2 della Carta corrispondono a quella degli articoli summenzionati della CEDU e del protocollo addizionale e, ai sensi dell'articolo 52, paragrafo 3 della Carta, hanno significato e portata identici. Pertanto le definizioni "negative" che figurano nella CEDU devono essere considerate come presenti anche nella Carta:
a) articolo 2, paragrafo 2 della CEDU:

"La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario:
a) Per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale;
b) Per eseguire un arresto regolare o per impedire l'evasione di una persona regolarmente detenuta;
c) Per eseguire un arresto regolare o per impedire l'evasione di una persona regolarmente detenuta;
d) Per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommosa o un'insurrezione";
b) articolo 2 del protocollo n. 6 della CEDU:
"Uno stato può prevedere nella propria legislazione la pena di morte per atti commessi in tempo di guerra o in caso di pericolo imminente di guerra; tale pena sarà applicata solo nei casi previsti da tale legislazione e conformemente alle sue disposizioni ...".

Sommosse o insurrezioni possono essere viste anche in certe dimostrazioni. Secondo il Trattato di Lisbona, l'uso mortale di armi da fuoco in tali situazioni non rappresenta una violazione del diritto alla vita. In guerra si trovano attualmente sia la Germania che l'Austria. Le guerre dell'Unione Europea aumenteranno. Per questo, l'Unione si riarma – anche con il Trattato di Lisbona.

Karl Albrecht Schachtscchneider
Fonte: http://www.effedieffe.com/content/view/3018/

Per non parlare dell’articolo di Paolo Barnard, che abbiamo pubblicato qui:

http://solleviamoci.wordpress.com/2009/10/02/trattato-di-lisbona-riflessioni-di-paolo-barnard/

ed ancora:

ComeDonChisciotte – IL TRATTATO DI LISBONA E’ UN CAVALLO DI TROIA

DI TITINE KRIESI E GISBERT OTTO
voltairenet.org/

Il verdetto della Corte Costituzionale tedesca sul Trattato di Lisbona chiarisce il dibattito politico. I magistrati non solo hanno segnalato che il nuovo testo implica numerose rinunce in termini di sovranità – che è un pleonasmo – ma inoltre hanno concluso affermando che la sua filosofia è incompatibile con i principi democratici. Pertanto, la Corte Costituzionale tedesca ha stabilito che la ratifica del Trattato di Lisbona sia inquadrata nella ridefinizione, da parte del Parlamento Tedesco, di una serie di principi superiori, però altri Stati non hanno evidenziato la stessa saggezza.

Il Trattato di Lisbona incrementerà le condizioni antidemocratiche e antisociali nella UE. In questo trattato gli Stati Nazionali trasferiscono quasi tutti i loro diritti alla UE. Circa 500 milioni di cittadini perdono la loro possibilità di pratica democratica. La UE interverrà in tutti gli ambiti della vita dei cittadini. La forbice tra ricchi e poveri si aprirà ancora di più. Questo processo è contrario all’Articolo 1 della Legge fondamentale che dichiara inviolabili la dignità dell’essere umano e obbliga la Germania a difendere i diritti umani.
Antidemocrazia fondamentale

Una Costituzione può essere legittimata solo dal popolo, come è stabilito nella legge fondamentale tedesca: “Il potere dello Stato emana dal popolo” (articolo 20 comma 2 frase 1GG) e: “Questa legge fondamentale che vale per tutto il popolo tedesco fino alla riunificazione e liberazione della Germania, perderà il suo valore quando il popolo tedesco, liberamente, promulghi una Costituzione.” (art. 146 GG)

Secondo questo articolo, solo un “popolo europeo” potrebbe legittimare la Costituzione – ma in realtà un “popolo europeo” non esiste. Uno “stato europeo” presumerebbe l’accordo dei popoli d’Europa. Solo i cittadini hanno il diritto di decidere se vogliono trasferire il potere dello Stato alla UE e se così fosse, in quale misura. Contrariamente alla Legge fondamentale, si evitò un referendum su Lisbona perchè il governo sa molto bene che la maggioranza dei cittadini avrebbero votato contro questo trattato. Ma non consultare il popolo è contrario alla clausola di non modificazione dell’art. 79 comma 3 GG: “Non è consentita nessuna modificazione della presente Legge fondamentale che si riferisca alla organizzazione della federazione in Länder, o il principio della partecipazione dei Länder nell’attività legislativa, o i principi enunciati negli articoli 1 e 20.” Le elite politiche ignorano coscientemente questo principio fondamentale. Cercano di ingannare i cittadini. Mediante la manipolazione dell’opinione pubblica vogliono raggiungere i loro obiettivi di potere politico. Un pubblico dibattito nei parlamenti non dovrà avvenire. Questa ricerca di potere è contraria alla Legge fondamentale – per esempio all’articolo 1 GG “La dignità degli esseri umani è inviolabile” ed all’articolo 20 GG (Principi della Costituzione). Questi articoli vengono prima di qualsiasi politica, allo scopo di assicurare la dignità dell’essere umano e garantire un’esistenza degna per tutti, in libertà, e sulle basi della verità.

Senza democrazia non è concepibile uno stato di diritto
Mediante la pianificata integrazione antidemocratica degli stati nella UE, i popoli retrocedono all’epoca precedente alla rivoluzione francese. Si distruggono principi fondamentali dello stato di diritto, tra i quali, in particolare la divisione dei poteri, che protegge i cittadini dagli abusi del potere. E’ una irresponsabilità che si perda questa protezione del diritto, soprattutto, grazie al trattato di Lisbona.

Soprattutto nell’economia, le conseguenze saranno più catastrofiche di quello che già sono ora. Per esempio, il “diritto al lavoro” che è parte della Carta dei diritti fondamentali della UE, così come della dichiarazione dei diritti umani del 1948, viene eliminato nel trattato di Lisbona. Anche il diritto a una “retribuzione adeguata e soddisfacente” del lavoro, che permetta al lavoratore “assicurarsi una esistenza degna”. Viceversa, per la prima volta nella storia dei diritti fondamentali si è stabilita nella Carta della UE la “libertà di commercio”.

Accumulazione di potere della UE non dichiarata apertamente
Inizialmente era previsto che la UE potesse essere attiva solo se convocata esplicitamente – il principio della cosiddetta “autorizzazione individuale limitata”. Questo principio è ignorato tra quelli in considerazione nella sentenza del Tribunale federale costituzionale, a causa delle autorizzazioni estremamente allargate attribuite alla UE. Con il trattato di Lisbona, la UE può agire per ottenere i suoi obiettivi senza consultare i parlamenti nazionali. Addirittura può aumentare le tasse della UE a suo piacimento. Inoltre, per una risoluzione del Consiglio europeo, con “procedimenti agevolati per i cambi” può cambiare totalmente, o in parte, il contenuto del trattato (fatta eccezione per tutto ciò che riguarda la politica estera e la sicurezza). Il trattato di Lisbona, quindi rappresenta una legge di autorizzazione; la UE si allontana totalmente dai principi costituzionali fondamentali, che sono alla base della cultura europea. Questo inganno alle persone – con profonde ripercussioni nella vita quotidiana – va reso evidente.

Il Capitalismo sfrenato ottiene rango costituzionale
La UE è una zona del capitalismo globale. Le colonne del capitalismo sono le cinque “libertà fondamentali”: la libertà di circolazione delle merci, dei capitali, di residenza, dei servizi come la mano d’opera, sono stabilite in forma estrema nel trattato di Lisbona. Questo sistema di “mercato aperto e di libera concorrenza” in cui l’aspetto sociale è poco considerato, sarà decisivo per le nostre condizioni di vita. L’ordine economico in Germania ha un fondamento sociale, in cui non solo si considera il principio di efficienza, ma anche l’aspetto sociale: l’economia deve avere anche una funzione di servizio alla comunità. Viceversa, il trattato di Lisbona segue una chiara linea contraria a questo principio. La libera concorrenza non è altro che un liberismo che crea le attuali condizioni di spoliazione, a scapito dell’aspetto sociale.
I requisiti per i quasi 8 milioni che ricevono gli aiuti sociali Hartz IV, sono vergognosi. Il sistema neoliberista del mercato e della libera concorrenza non ammette una reale politica del lavoro statale e ci porta verso la dittatura del capitalismo sfrenato.

Il principio del paese di origine rovina l’economia nazionale
Un esempio estremo della concorrenza senza pietà è il principio del paese di origine, che si ripercuote negativamente sulle economie interne. Questo principio consente ad aziende straniere di lavorare in Germania, alle condizioni vigenti nel loro paese di origine. Per esempio, un’azienda polacca con impiegati polacchi e ucraini può lavorare con stipendi molto più bassi di quelli tedeschi. Oltre agli stipendi, valgono pure le condizioni del paese di origine, tra l’altro, sugli standard di qualità, garanzie ecc. La concorrenza senza limiti così creata, minaccia soprattutto le aziende medie e anche la cogestione delle aziende in Germania. Ancora più aziende dovranno chiudere, ma anche le multinazionali saranno colpite, per esempio, quelle di prodotti alimentari; si corre il pericolo che queste ultime offrano prodotti di minor qualità a prezzi inferiori, per ottenere maggiori utili.

Si indebolisce la protezione dei diritti fondamentali
Il trattato di Lisbona legalizza la Carta dei diritti fondamentali della UE. In questa Carta, il capitale non ha alcun obbligo sociale – contrariamente alla Legge fondamentale, secondo la quale deve servire anche al bene comune. Inoltre, è assente il diritto al lavoro – un diritto elementare secondo l’art. 23 della Dichiarazione generale dei diritti umani.

La UE si attribuisce il diritto alla guerra
Gli stati membri perdono sempre di più la sovranità nella difesa a causa dell’integrazione delle forze armate nella difesa congiunta. Inoltre il trattato di Lisbona non solo obbliga i paesi membri della UE al riarmo, ma nell’art. 43 comma 1 EUV si attribuisce il diritto alla guerra, soprattutto nell’ambito della lotta al terrorismo in tutto il mondo e nei propri paesi. Perciò viene eliminato il divieto di una guerra offensiva, contenuta nell’art. 26 comma 1 della legge fondamentale tedesca.

Appoggiarsi alla democrazia
Le strutture democratiche vigenti sono l’unica protezione contro la slealtà di coloro i quali decidono, i quali obbediscono al capitale e alle lobby di potere. Purtroppo, viviamo in un’epoca in cui il diritto è violato costantemente. Eufemismi o semplicemente bugie sono all’ordine del giorno. La missione dei soldati tedeschi in Afghanistan, per esempio, secondo il governo non è una missione di guerra, anche quando ovviamente lo è. Bugie come questa vanno messe allo scoperto. Anche i procedimenti di una politica di potere per rendere effettivo il trattato di Lisbona, con il quale si annullerebbe la democrazia. I popoli d’Europa hanno il diritto di vivere in pace e libertà come cittadini liberi e sovrani in una autentica democrazia.
Titine Kriesi e Gisbert Otto
Fonte: www.voltairenet.org
Link: http://www.voltairenet.org/article161494.html
5.08.2009
Traduzione a cura di UMBERTO CAMMARATA per www.comedonchisciotte.org
Tratto da http://hovistocosechevoiumani.wordpress.com/2009/08/28/comedonchisciotte-il-trattato-di-lisbona-e-un-cavallo-di-troia/

E da ultimo un video:

http://www.youtube.com/watch?v=UiWPpU017Hs

Tutti pazzi? Tutti campanilisti accecati dagli interessi del proprio orticello? Tutti in malafede? Oppure davvero c’è una gatta che cova? Io la mia idea me la son fatta. Un’Europa gestita in modo così verticistico non mi sembra un bell’esempio di democrazia… e se è vero che noi italiani in questo momento avremmo solo da guadagnarci, a dover andare al traino di Paesi più democratici del nostro, è altrettanto vero che meno di 27 persone avrebbero in mano il destino di 500 milioni di cittadini… che, per carità, è meglio che continuino a dormire… o no?
E poi in fondo è vero: non sono europeista. Sono una cittadina del mondo, io!

giovedì 3 settembre 2009

Videocracy - 4 settembre


Ho deciso di aderire all’iniziativa lanciata da http://fabiopari.blogspot.com/2009/08/videocracy-appello-tutti-i-blogger.html per la diffusione di massa di questo film, di cui la RAI ha rifiutato di trasmettere il trailer.

Trama: Il film racconta dall'interno le conseguenze di un esperimento televisivo che gli italiani subiscono da 30 anni. Riesce ad ottenere accesso esclusivo alle sfere più potenti e rivela una storia significativa, derivata dalla spaventosa realtà della televisione italiana, un Paese in cui il passaggio da showgirl a Ministro per le Pari Opportunità è puramente naturale (tratto da http://trovacinema.repubblica.it/film/videocracy-basta-apparire/378953)


Recensione: Cos’è la "videocrazia"? Secondo Erik Gandini, italiano d’origine e svedese di adozione, è il sistema di potere televisivo di cui l’Italia offre oggi l’esempio più consistente ed emblematico. Videocrazia non è esattamente un film su Berlusconi ma un film sull’Italia berlusconiana di lunga durata: fisiologicamente, sociologicamente e forse persino antropologicamente berlusconiana. L’Italia in cui, come afferma Nanni Moretti ne Il Caimano, «Berlusconi ha già vinto». Un’Italia trentennale, ossessionata dall’esibizionismo sessuale e dalla totale assenza di freni morali - con ogni probabilità anche molto incapace di guardarsi allo specchio – che viene restituita dallo sguardo attento di uno "straniero" sui generis, la cui relativa italianità gli ha consentito una conoscenza sul campo del fenomeno analizzato. Ma il suo film non rincorre l’attualità o lo scandalo. Non insegue la notizia o il gossip. Sviluppa piuttosto una distanza critica singolare rispetto alle circostanze e ai personaggi rappresentati o ai materiali di repertorio selezionati e assemblati: distanza critica fatta di straniamento e profondo sdegno allo stesso tempo (tratto da http://www.mymovies.it/film/2009/videocrazia/)


http://www.youtube.com/watch?v=MLKFgBhCe9w


Purtroppo una ricerca in rete non ha permesso di trovare, al momento (però sono le 3 del mattino del 3, quindi magari in giornata le cose cambiano…), sale in cui sia prevista la proiezione di questo film, né a Pavia né a Milano. Verificherò.

Intanto sia chiara una cosa: non baso il mio giudizio del film sul trailer (a vederlo tutto potrebbe anche non piacermi!) ma semplicemente non condivido l’idea di far passare la censura. Con la scusa di un “pubblico variegato” e della “necessità di soddisfare i gusti di tutti” ci propinano banalità colossali e poi si permettono di non far passare qualcosa solo perché potrebbe non piacere al padrone del vapore? Non mi hanno convinto, non mi convinceranno mai. La loro libertà finisce dove comincia la mia, no? Quindi mi voglio prendere la responsabilità di decidere con la mia testa. Ora e sempre.


http://www.youtube.com/watch?v=Bb6MnbsI34g

martedì 18 agosto 2009

Ciao Lilly...


3 ottobre 1997 - 18 agosto 2009

Ciao Lilly. Grazie per questi splendidi 12 anni in cui siamo cresciute insieme... e adesso corri felice e libera nei verdi pascoli in cui sicuramente ti trovi, con Coccola, Devil, Rey, la tua mamma e tutti i tuoi amici che ti hanno preceduto.
Noi ti ricorderemo così.

sabato 15 agosto 2009

Caro sindacalista 2: gabbie, salari e prezzi





Dopo il "lenzuolino"
che recentemente ti ho dedicato, oggi ti propongo un altro spunto di riflessione (che nel precedente era solo accennato, ma nel frattempo è diventato di pressante attualità).

Le gabbie salariali:
una truffa, hai ragione. Non solo perché sarebbero solo un ulteriore modo di discriminare nelle mani di chi l'interesse dei lavoratori non sa proprio cosa sia, né se ne cura (abbiamo bisogno delle gabbie per vedere che i giovani e le donne prendono meno?) ma perché oltretutto si basano su presupposti non del tutto corretti.

Molto tempo fa ho fatto un sondaggio (l'ho anche pubblicato qui, da qualche parte) con qualche amico volonteroso ed è emerso che non sempre il sud è più a buon mercato del nord, per esempio - il che già per me è sufficiente per sconfessare l'assunto iniziale, altrimenti sarebbe necessario personalizzare i prezzi non per regione, ma nemmeno per provincia: per comune!

Ma su questo siamo
(io e te) già d'accordo. Quello che mi chiedo io invece è: se è così sbagliato (come io stessa credo) parlare di gabbie salariali, perché non facciamo nulla contro quell'altra enormità sperequativa che è l'appartenenza ad un contratto piuttosto che ad un altro? Perché è "legittimo" che un operaio del commercio percepisca un salario minore di uno del settore metalmeccanico, ma pur sempre superiore a quello di un lavoratore con le stesse mansioni che però è dell'artigianato?

L'ultima volta che ho chiesto delucidazioni
al mio sindacalista di riferimento, mi ha risposto che dipende dalla "capacità contrattuale", cioè più lavoratori sono iscritti, più riesci a spuntare vantaggi in sede di rinnovo.

Evidente e logico, per carità:
ma quando vado dal macellaio (il mio: quello del mio paesino, non uno di Milano confrontato con uno di... diciamo Salerno, giusto come esempio) mica mi chiede a che contratto appartengo! Una bistecca costa gli stessi soldi per me e per un'altra lavoratrice del commercio: ergo?

La Costituzione - per ora almeno, ancora - parla di pari dignità, di pari diritti e quant'altro: che non solo è un buon motivo per non accettare le gabbie, ma giustifica anche (secondo me) il mio ragionamento.

Lo so che siamo in crisi e tutto il resto. So anche che un lavoratore di una piccola azienda è più ricattabile di uno che sta in una multinazionale (e a questo punto non si può neppure parlare di scelte: vai dove ti prendono e ti baci pure i gomiti, se ti fanno lavorare e ti pagano!) e che questo è uno dei motivi per cui in tanti non si iscrivono ai sindacati (oltre al fatto - innegabile - che non è che i sindacati abbiano sempre dato buona prova di sé e della volontà di tutelare i lavoratori... ma di questo abbiamo già parlato, anzi ho perché ancora attendo risposta... ammesso che).

Secondo me dovremmo approfittare di questo momento di crisi e volare alto più che mai, ricordando le parole del Che: "Siamo realisti, esigiamo l'impossibile". Altro che concertazione!




Scusa la concisione, ma questa volta ho deciso di non dire tutto io... :)

giovedì 16 luglio 2009

Caro sindacalista ti scrivo...














Premessa:
questo pezzo è in fase di studio da parecchio… quindi i riferimenti temporali non sono da prendere alla lettera (ieri potrebbe anche essere tre mesi fa!).


Non stupisca che, anziché rivolgermi a quelli che sono i miei “referenti naturali”, indirizzo questa missiva ad un ipotetico sindacalista generico.


Infatti è più pensata per il concetto di sindacato – nell’accezione di tutore, garante ed incrementatore di TUTTI i diritti di TUTTI i lavoratori – che non per un personaggio specifico: nel corso della mia vita lavorativa, infatti, ho potuto verificare sulla mia pelle quanto poi una sigla non sempre corrisponda ad un comportamento consono.


Ho conosciuto sindacalisti CGIL cui avrei volentieri – metaforicamente – tirato un paio di schiaffoni (quelli che nelle ore di sciopero si imboscano a leggere il giornale in aula sindacale, quelli che avrebbero accettato un controllo diretto sulla quantità di telefonate gestite da un singolo operatore per non mettersi in mostra e rischiare ritorsioni, tanto per fare due esempi eclatanti) e sindacalisti UIL più combattivi e preparati… di me, anche se il contendere ero io! E comunque anche il ritrovato spirito combattivo di Epifani non mi fa dimenticare che anche lui era d’accordo sul TFR nei fondi…


Ma non voglio parlare di me, sono un caso specifico (“umano”, dice qualcuno…) ed invece qui mi interessa maggiormente un discorso generale.

Caro sindacalista, dicevo: possibile che TRENTA lavoratori che hanno perso il posto di lavoro (non per colpa tua, intendiamoci: ma per la solita trita e ritrita manfrina del liberismo e del mercato), con alle spalle un “incidente sul lavoro” gravissimo occorso a sette loro colleghi non riescano più a trovare uno straccio di occupazione perché costituitisi parte civile al processo contro la proprietà? Possibile che io, come la maggior parte degli italiani temo, debba venire a saperlo grazie ad un paio di interventi in TV (a Ballarò e ad AnnoZero, guarda caso…) di Oliviero Diliberto - “miracolosamente” riapparso dopo l’oscuramento causato dall’andamento delle ultime elezioni politiche, cioè dopo più di un anno! – mentre tu non hai convocato assemblee, scioperi… nulla? Forse che la cosa riguarda solo un settore dei lavoratori piemontesi, e non in generale tutti i lavoratori perché è la chiara lesione di un loro diritto?


In tempi di “governo amico” non ci si agita troppo, mi pare di aver capito, per non mettere in difficoltà un programma che non ti è palesemente nemico. E infatti, la contingenza è stata abbattuta da Craxi ed Amato… Ma in tempi di governo di destra, che si fa? Si tacciono notizie di una gravità spaventosa perché non si ha la forza di imporre adeguate risposte?


E lo so anch’io che c’è la crisi, lo so direttamente sulla mia pelle. Non ho bisogno di un Angeletti che mi venga a parlare delle difficoltà dei pensionati… solo, mi piacerebbe che qualcuno gli ricordasse, tra l’altro, che “i pensionati” non sono una categoria: anche i dirigenti vanno in pensione… ma che abbiano difficoltà a tirare la fine del mese è duro sostenerlo in modo credibile!


Ma so anche che non è continuando a calare la guardia che i problemi dei lavoratori (ecco appunto: lavoratori. Con tutte le logiche conseguenze…) possono essere risolti. Ultimo esempio, la FIAT. Problema nazionale, certo. Tutte le volte che c’è aria di crisi è un problema nazionale, mentre quando c’è aria di utili è un fatto che interessa solo gli azionisti: già questo a me fa accapponare la pelle. Ma, ovviamente, non sto dicendo che i lavoratori della FIAT e del mondo che ci ruota intorno debbono essere abbandonati a sé stessi, ci mancherebbe! Solo, mi piacerebbe sentire la tua voce, caro sindacalista, pretendere che il governo convochi o telefoni o insomma in qualche modo si metta in contatto con il sig. Marchionne e gli chieda precise garanzie per i lavoratori italiani. Proprio come stanno facendo gli altri. Perché che il governo, questo governo, non abbia intenzione di disturbare il manovratore in corsa è comprensibile - non sono loro i sostenitori del libero mercato? E poi, come “giustamente” ricordato ieri sera da Bombassei, se la produzione rileva un esubero di personale, lo si taglia… magari cercando i posti in cui fa meno male, già… ma chi stabilisce a chi fa meno male? Io ritengo che chiunque, italiano, polacco, cinese o sudamericano, quando è posto in cassa integrazione o, peggio (perché la cassa integrazione, come ricordava ieri Diliberto, è un diritto italiano, fortemente voluto dal PCI e negli altri paesi non c’è!), addirittura licenziato, si senta inutile ed è anche possibile che vada in depressione, soprattutto in un momento come l’attuale, quando Bombassei dice agli operai che lui è disposto ad assumerli… per poi metterli in cassa integrazione come i suoi. Ma il discorso di Bombassei è quello tipico dell’imprenditore e non è certo quello del sindacato. Secondo me il sindacato deve sì cercare di tutelare i posti di lavoro, ma deve anche porsi altri problemi. Ad esempio: Marchionne sostiene che la FIAT per stare a galla (con la Chrysler e forse la Opel) deve produrre un certo numero di autovetture. Bene, ma a nessuno viene in mente di chiedergli chi se le compra, le sue vetture? Non è così automatico che produzione diventi vendita, e se gli operai (ma anche gli impiegati, quanto a quello…) sono cassintegrati o licenziati, come se la comprano la macchina, ok gli incentivi statali, ma mica bastano… e il resto come ce lo finanziamo, chiediamo un prestito alla banca dopo che ci hanno sbandierato alla nausea che stiamo meglio degli altri perché abbiamo fatto meno debiti?


O pensa di andare a vendere in Africa, che il mercato non è saturo? Ma con che soldi gliele pagano, ‘ste macchine? A parte che, a quel che ne so io, gli unici tipi di vetture concepibili colà sono tank e jeep, se va bene… che non sono esattamente a buon mercato.


E poi: se per caso quest’avventura va male, tutti i lavoratori coinvolti (quelli che restano, beninteso!) si trovano a terra. E il signor Marchionne? Cosa prevede il suo contratto come buonuscita? No perché io sono notoriamente “malfidata”, ma qualcuno ha controllato?

No. Il sindacato per come lo vedo io deve pensare alle persone prima che alla produzione. Questo PIL è una fregatura. Un individuo deve lavorare per poter vivere – in condizioni dignitose, direbbe la Costituzione – e non vivere per lavorare. Mai sentito parlare dell’otium dei latini, contrapposto al (vile) negotium? E’ ovvio che gli imprenditori, i “padroni”, non lo tengano in considerazione ed anzi lo aborrano. Perché poi la gente se ha del tempo libero lo usa come le pare, magari pure facendo girare le rotelline e riflettendo su tutte le stramberie che le vengono propinate come verità irrefutabili, e che invece sono refutabilissime… e rigettabilissime. Ma se uno passa tre quarti della sua giornata tra lavoro e tempo per andarci, ecco che di tempo per pensare ne resta poco… il che significa gente molto più malleabile.

Ho detto sopra che ci vogliono precise garanzie per i lavoratori italiani, ma sia chiaro: con questo non intendo dire che se gli esuberi saranno lavoratori esteri va tutto bene. Dobbiamo pensare “in grande”. Vogliono il mercato libero, vogliono la globalizzazione? Allora globalizziamo anche i diritti. In primis, il diritto alla vita dignitosa. Per tutti.


E già sento le proteste: mancano i soldi… ma andassero a cercarli tra gli evasori, una buona volta! Gira voce tra gli imprenditori (ma nessuno lo confermerà apertamente) che gli ordini ci sono, solo che… aspettano settembre e intanto sfruttano la cassa integrazione – quelli che possono ovviamente, gli altri tagliano e via.

E devolvessero i soldi derivanti da trattenute obsolete e fantasiose sulla busta paga, tipo quello per gli orfani della guerra di Etiopia o per le case popolari (almeno le costruissero!) e tanti altri balzelli che invece spariscono nelle tasche di qualcuno che non se li suda proprio.


Ma, al di là della FIAT e del mondo che le ruota intorno, c’è anche altro. Ci sono lavoratori di ditte che producono altro e che però dovrebbero essere tutelati nello stesso modo.

Nel frattempo sono arrivate anche le rassicurazioni del signor Marchionne… Allora, non è che voglio menar gramo o essere pessimista a tutti i costi. E’ solo che la prima volta che sono stata rassicurata, erano già in fase di studio avanzato le “esternalizzazioni”, la seconda volta gli incentivi alle dimissioni, mentre la terza… be’, alla terza hanno chiuso la filiale in Italia con conseguente licenziamento dei lavoratori. Certo, eravamo in pochi e si trattava di multinazionali… ma, come diceva mia suocera: “quando il diavolo ti accarezza vuole l’anima”. Scusa se non riesco ad essere ottimista!


Intanto mi giunge notizia che “L’iter parlamentare per l’approvazione dell’insediamento, a Cameri

(NO), della fabbrica della morte per l’assemblaggio degli F-35 è ormai definito. A partire dal 2010 inizierà la costruzione del capannone da cui usciranno delle macchine che verranno consegnate a diversi stati che li utilizzeranno per bombardare ed uccidere. Tale impresa industriale-militare viene condotta, con ampio dispendio di denaro pubblico, dalla multinazionale statunitense Lockheed Martin in associazione all'italiana Alenia Aeronautica (del gruppo Finmeccanica) e coinvolgerà una serie numerosa di fabbriche di armi e di morte collocate qua e là sul nostro territorio. Insomma, il riarmo come via d’uscita dalla crisi economica, come con la Grande Crisi degli anni ‘30 e con la Grande Depressione di fine ‘800. Peccato che in entrambi i casi questa strada abbia condotto a guerre mondiali. Di certo, l’impiego dei nuovi bombardieri nelle missioni “di pace” produrrà distruzione, morte e sofferenza. Di sicuro gli F-35 sono i perfetti strumenti operativi di una sorta di gendarmeria mondiale in via di perfezionamento: una volta costruiti non faranno certo la ruggine in qualche hangar italiano o olandese, bensì saranno presto adoperati per uccidere e distruggere in svariate guerre, sia attuali sia future. Gli F-35 ci costeranno un sacco di soldi: circa 600 milioni di euro per costruire e attivare la fabbrica di Cameri, circa 13 miliardi di euro (a rate, fino al 2026) per l'acquisto dei 131 aerei che l'Italia vuole possedere. Del resto è stato già speso o impegnato quasi un miliardo di euro. E ciò risulta ancor più impressionante se si considera la grave crisi economica in corso. Nessuno può ignorare che, con una spesa di questa entità, si potrebbero senza alcun dubbio creare ben più dei miseri 600 posti di lavoro promessi all'interno dello stabilimento di Cameri. Si potrebbe altresì intervenire in vario modo per migliorare le condizioni di vita di tutti: per esempio ampliando e migliorando la qualità della spesa sociale, tutelando davvero territori e città (basti pensare agli effetti del terremoto abruzzese), investendo in fonti energetiche rinnovabili e ridistribuendo reddito.


E poi vogliono costruire gli F-35 proprio ai confini del parco naturale del Ticino, che dovrebbe quindi sopportare l'impatto dei collaudi di centinaia e centinaia di aerei rumorosissimi e certamente inquinanti, con le relative gravi conseguenze per la salute e la qualità della vita degli abitanti della zona, mentre si potrebbe riconvertire il sito militare ad uso civile. In definitiva, siamo contro gli F-35 perché ci ostiniamo a pensare che sia possibile vivere in un altro modo: senza aggredire gli altri popoli, senza militarizzare il territorio ed i rapporti sociali, operando perché cessi davvero la terribile guerra permanente che l'occidente dei ricchi conduce contro i poveri del nord e del sud del mondo…”

(questa è la fonte: http://www.nof35.org/)

Possiamo in coscienza dirci soddisfatti? No, io credo. Perché la difesa dei posti di lavoro (o l’aumento della quantità degli stessi) secondo me non può prescindere da considerazioni etiche. Sarebbe come dire che va benissimo produrre le mine antiuomo perché altrimenti qualcuno resta a casa. Certo, l’obiettivo non è quello di mettere in difficoltà qualche (tanti o pochi che siano) lavoratore. Ma non si può non avere una visione generale del mondo e soprattutto non pensare al destino dello stesso – e dei nostri figli.


Adesso non pensare che io sia la “garantita”, la giuslavorista che dall’alto del suo sicuro posto di lavoro spara a zero sugli altri. Tutt’altro. Dopo l’ultimo licenziamento ci ho messo otto mesi a trovare un’altra occupazione, e ancora non si parlava di crisi così violenta: era il 2004. Mi sono sentita dire che ero troppo cara, troppo esperta, troppo vecchia… ma troppo giovane per andare in pensione. Il posto che occupo attualmente (parola grossa, visto che sono quattro mesi che non mi faccio vedere: operata all’anca, sono in malattia con problemi vari di ripresa) è in una ditta artigianale che tratta materie plastiche: un altro campo che secondo me è da ridurre drasticamente. Il che dimostra che parlo anche contro il mio interesse specifico, ma d’altronde ritengo che o ci mettiamo a guardare il mondo con una prospettiva “globalizzata”, o ci rinchiudiamo nei nostri microcosmi egoistici. E per questo mi basta la Lega…


Non sottovaluto il problema della riconversione di una linea di automobili ad una di trattori o, chessò, di pannelli solari: ma se continuassimo a produrre auto mentre organizziamo diversamente le lavorazioni? Senza porci il problema delle 10.000 o più, che tanto chisselecompra…


Certo questo momento non è particolarmente favorevole ai lavoratori… ma – a parte che il dibattito sulla necessità che il sindacato sia non solo unito ma conflittuale e non concertativo sindacale è partito da parecchio (giova ricordare questo appello: http://www.fdca.it/sindacale/appello.htm del 2001, tanto per metter giù una data) - proprio per questo non possiamo più aspettare.


Noi lavoratori, quantomeno. I burocrati nei sindacati magari sì, ma rappresentano solo loro stessi, non noi. Loro parlano per settori di interesse (il loro, quello che porta più consensi, dimenticando che un lavoratore è tale qualsiasi sia il suo ruolo o la sua età): si preoccupano dei giovani (e va benissimo) cui hanno scippato un futuro, ma quanti di loro fanno attenzione a quelli che hanno più di 40 anni, che vengono cassintegrati o, peggio, licenziati e non hanno alcuna prospettiva di trovare un’occupazione alternativa che almeno li accompagni all’età pensionabile? Hanno mai fatto un censimento della precarietà sopra i 40 anni? Come pensano di agire per questi lavoratori? E ormai non possono più, come un loro “illustre” predecessore fece, ritenere che si tratti di “casi umani”: siamo troppi. Basta leggere questo post ed i relativi commenti: http://solleviamoci.wordpress.com/2009/02/25/levante-disoccupato-e-disperato-%C2%ABvendo-un-rene%C2%BB/#comment-11074, oppure quest’altro: http://solleviamoci.wordpress.com/2008/03/05/%C2%ABnon-trovo-lavoro%C2%BB-disoccupato-si-impicca/#comment-11157


Che la crisi colpisca ogni fascia d’età, del resto, lo dice anche questo articolo:

http://giuseppe-m-b.wordpress.com/2009/03/04/umiliati-e-arrabbiati/


A questo punto, se ti senti indignato e/o ferito nel profondo, può voler dire due cose: o sei uno di quei burocrati sindacalisti (e allora fai bene a sentirti parte in causa: è proprio con te che ce l’ho), oppure pensi – erroneamente – che il mio sia un discorso qualunquista. Non lo è: non intendo negare che esistono sindacalisti (normalmente sono la base) che lottano per i diritti di tutti, ci mancherebbe. Ne conosco… e normalmente sono incupiti quanto me. Perché poi i lavoratori si rivolgono al sindacato solo quando ne hanno bisogno, non si iscrivono a prescindere. Vero: ma secondo te è logico attendersi che credano in qualcuno che a forza di concertare ha contribuito a metterli in ginocchio? C’hanno messo del loro, vero anche questo. Ma adesso per recuperarli non si può fare altro che dare un esempio, un buon esempio. E non è che ce ne siano in giro tanti… prendiamo il discorso-salario: possiamo partire da questo articolo: http://laclasseoperaia.blogspot.com/2009/05/elogio-della-scala-mobile.html e confrontarlo con quest’altro: http://it.peacereporter.net/articolo/15522/Gli+armamenti%2C+l%27Eldorado+anche+durante+la+crisi


Il primo sostiene che bisogna reintrodurre la scala mobile (ribadisco: tolta da un paio di governi amici… pensa se erano nemici!), mentre il secondo afferma che “Finmeccanica è in controtendenza rispetto alla recessione italiana: guadagna, cresce e gli azionisti si spartiscono i dividendi… E l'occupazione? Da una lettura di questa voce nella relazione trimestrale notiamo come le aziende abbiano un risicato segno di incremento se non di diminuzione degli occupati; ciò è a riprova del fatto che gli investimenti militari portano una leggera crescita di addetti, che sarebbe ben maggiore rispetto a pari investimenti nella direzione del civile.


Lungi da me l’idea di proporre gabbie salariali, che – per quanto sia innegabile che un caffè non abbia lo stesso prezzo in tutta la penisola… chissà mai perché – i padroni sfrutterebbero a loro vantaggio (ed il sindacato, scusa se te lo dico, non ha la forza per opporsi), è però anche vero che una bistecca a Milano costa uguale sia per un lavoratore del commercio che per uno dell’industria o dell’artigianato. Anche per un precario o un possessore forzato di partita IVA! E invece il sindacato parla di “potere contrattuale” che determina gli aumenti di stipendi. Be’, a prescindere dal fatto che di potere mi sembra ne abbiamo pochino – e non da oggi – direi che compito del sindacato, quello che io vorrei, è anche garantire il rispetto di quelle norme della Costituzione (ma diciamo anche solo del primo paragrafo dell’articolo 36: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.”)


Ultimo punto, ma non certo per importanza, il tema della sicurezza sul lavoro. Gli ultimi dati dicono che siamo – finalmente! – in controtendenza, che le morti sul lavoro sono diminuite. Già: peccato che stiamo parlando sempre di più di tre morti al giorno, e che nel frattempo crescano gli infortuni… “merito” anche dei lavoratori stranieri, quelli meno tutelati ancora. Quelli che sono ancora più carne da macello…


Scusami: lo so che non ti ho detto nulla di nuovo. Lo so che sono una sognatrice e sembro vivere nell’utopia… ma dato che nemmeno un governo amico è in grado di (o vuole) fare leggi a favore dei lavoratori (se non fanno parte dei suoi personali serbatoi di voti, beninteso), che ne dici se ce le facciamo noi?



E già che ci siamo, ricordo che c’è in rete una petizione popolare contro la crisi:

http://home.rifondazione.it/xisttest/component/option,com_wrapper/Itemid,491/