"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

mercoledì 31 ottobre 2007

HAPPY HALLOWEEN!








GLI IMMIGRATI IN PIAZZA PER I LORO DIRITTI


RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
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28 ottobre a Roma

La prima e più grande manifestazione d'autunno contro il governo


di Claudio Mastrogiulio

Domenica 28 ottobre 2007 sono scesi in piazza a Roma, bissando la dimostrazione di forza evidenziata il giorno prima a Brescia, più di diecimila immigrati. La manifestazione, organizzata dal combattivo “Comitato Immigrati in Italia”, si è caratterizzata per delle note positive e incoraggianti rispetto alla prospettiva di una crescita del movimento di opposizione dei lavoratori immigrati e italiani al governo Prodi. La genuinità delle parole d'ordine si sono felicemente accompagnate alla presenza in piazza di migliaia di immigrati esausti, avviliti, ma anche consci del fatto che uniti nella lotta si possono raggiungere risultati positivi in termini transitori (il permesso di soggiorno per tutti incondizionatamente e immediatamente), ma soprattutto in termini generali (la cittadinanza italiana per chiunque viva e lavori in Italia e per i figli degli immigrati nati nel nostro Paese).

La radicalità delle parole d'ordine non si è fermata alle richieste di sanatoria e di permesso di soggiorno generalizzato ma ha abbracciato la risposta fiera della piazza a tutte le politiche razziste in termini di immigrazione che in Italia si stanno susseguendo senza sosta da più di dieci anni.

Tutto è partito dalla Turco-Napolitano che ha avuto l'infame demerito di istituire i Cpt, vale a dire veri e propri lager di Stato, decretati per legge ed in cui si assiste puntualmente all'abolizione dei diritti umani nei confronti di uomini e donne che hanno avuto la sola colpa di essere nati qualche centinaio di chilometri più a sud o più ad est rispetto al gotha del capitalismo internazionale. Questi puntuali attacchi alle condizioni degli ultimi della società sono continuaticon la Bossi-Fini. Questa legge rappresenta la più ferrea applicazione della rozza logica di discriminazione e sfruttamento che sottende all'approccio dei poteri forti italiani nei confronti degli immigrati. Non ci dilunghiamo troppo sulle peculiarità di questa legge, dato che basta anche solo osservarne le conseguenze per capire da quali logiche sia stata partorita e soprattutto per quale fine. Il governo Prodi (ministro del Prc, Ferrero, alla "solidarietà") ha legiferato sull'immigrazione in sostanziale continuità con la precedente parentesi amministrativa del capitalismo non inserendo né la chiusura dei Cpt nè la regolarizzazione del milione di immigrati presenti in Italia. Anzi una delle decisioni prese in merito è stata quella che vede come prerogativa imprescindibile per l'ingresso in Italia il cosiddetto "sponsor", vale a dire la certificazione di avere un padrone che aspetta i flussi migratori non accompagnati da alcun diritto per poter accrescere sempre più i propri profitti e le proprie rendite.
Durante la manifestazione sono stati più volte ricordati due episodi che dimostrano l'essenza razzista e repressiva del governo italiano e di tutte le politiche che a esso sono riconducibili: l'assurdo blocco di 2.000 lavoratori immigrati che partivano da Napoli per raggiungere Roma ed unirsi alla manifestazione; la morte di almeno sette immigrati -proprio l'altro giorno- nelle acque della Calabria, immigrati che tentavano disperatamente di raggiungere l'Italia per migliorare la propria vita e che per tutta risposta vengono lasciati in balìa di sfruttatori illegali come gli scafisti oppure soggetti alle barbarie degli sfruttatori "legali" come le forze dell'ordine e il potere a cui rispondono.

I padroni italiani hanno bisogno degli immigrati, è infatti evidente che i lavori più umili e rispetto ai quali i lavoratori italiani vedono un riscontro per le loro tutele, sono sempre più affidati ai lavoratori stranieri. Come detto il capitale ha un bisogno congenito di questo importante e significativo pezzo della classe operaia ma, in continuità con la sua essenza sfruttatrice e classista, non vuole riconoscere a questi lavoratori i più basilari dei loro diritti, le più elementari delle loro tutele.


L'unità tra i lavoratori come unica risposta
I poteri forti italiani, nel loro disegno organico di sfruttamento indiscriminato, hanno dalla loro la sovrastruttura giuridica che ne fa da garante, accompagnata ovviamente da tutta quella pletora di cani e lacchè che in maniera calzante il vecchio Engels chiamava "bande armate a servizio del capitale". La risposta alle politiche dei governi borghesi di centrodestra e centrosinistra in materia di immigrazione e di lavoro non può che essere unitaria, radicale, netta e caratterizzata da forti connotati di classe. Non vedere l'ampiezza di questo disegno organico risulta quanto mai improbabile se si osservano i parallelismi non soltanto temporali ma anche più prettamente politici tra gli attacchi ai diritti al lavoro, a una pensione, a una vita dignitosa nei confronti dei lavoratori italiani e gli attacchi alle più basilari condizioni di vita che devono caratterizzare qualsiasi essere umano, qualunque sia la sua nazionalità, qualunque sia la sua provenienza.

L'organicità e la cooperazione che le classi dominanti hanno dimostrato tra loro al di là dei confini nazionali è stata evidente quando, ad esempio, sono stati firmati i primi "protocolli d'intesa" tra le forze dell'ordine costituito italiane e quelle dei diversi Paesi di provenienza per permettere più facilmente la cacciata degli immigrati dall'Italia. La stessa essenza unitaria dovrà caratterizzare la risposta degli immigrati e di tutti gli sfruttati che contestualmente al perdurare della difesa degli interessi di Confindustria e di tutti i poteri forti italiani hanno visto peggiorare inesorabilmente le loro condizioni di vita. Continuare sulla strada tracciata con le manifestazioni del 27 e 28 ottobre è necessario per poter attuare una continua, reale e duratura dimostrazione di forza ma soprattutto dimostrazione di fierezza, dignità e volontà di riscatto da parte di tutte quelle forze sociali oppresse più o meno evidentemente dal giogo sfruttatore del capitalismo.


Roberto Angiuoni (dirigente PdAC) tiene un comizio applauditissimo
Una manifestazione esemplare, la più grande contro il governo in questo autunno.
Il Partito di Alternativa Comunista è stato tra gli organizzatori dell'imponente manifestazione romana (così come ha partecipato anche alla manifestazione del Nord, tenuta sabato a Brescia).
Alternativa Comunista è stata, insieme con l’organizzazione del “Che Fare”, l'unica sigla politica presente massicciamente in piazza, a dispetto di quei partitini nominali o binominali (il diminutivo è per la loro consistenza politica e non numerica) che sono presenti solo quando c'è da comparire sulla stampa (che ha ignorato la manifestazione, nonostante persino l'Ansa parlasse di diecimila manifestanti a Roma). Spiace rimarcare che mancavano (o sono passati velocemente, senza militanti al seguito) i parlamentari "critici" e i sedicenti "leader" di movimento: forse perché non c'erano i riflettori della Tv?

Comunque sia, si sono persi la più grande manifestazione finora fatta, in questo autunno, contro il governo Prodi. Una manifestazione che può dare la linea a tutte le prossime mobilitazioni.

Il PdAC partecipe fin dalla sua nascita, quotidianamente, nelle lotte degli immigrati, era ben presente. E il nostro intervento è stato tra i più applauditi in piazza, motivo che ci permette di affermare e ribadire con forza che le posizioni di coerenza e nettezza politica pagano in termini di legittimità all'interno di un movimento così eterogeneo, variegato ma anche genuino e sincero. Le nostre parole d'ordine sono state mirate a sottolineare la continuità tra le politiche dei due poli borghesi, il parallelismo tra le guerre sociali e militari di Prodi, ponendo l'accento infine sulla necessità dell'unità rispetto al prossimo fondamentale appuntamento che la classe lavoratrice e i giovani (nativi e immigrati) avranno il dovere di non mancare e rispetto al quale dovranno presentarsi con la stessa forza e la stessa radicalità osservate in questa manifestazione, vale a dire lo sciopero generale del 9 novembre.



Nella sezione foto del nostro sito http://www.alternativacomunista.org/
potete vedere altre decine di foto della imponente manifestazione degli immigrati.
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Il telefonino del futuro? Lo hanno inventato a Perugia giovani universitari



di Chiara Conti


Si chiama CamaBiLife ed è il rivoluzionario telefono cellulare progettato da un gruppo di giovani talenti dell'Università degli Studi di Perugia, così innovativo che il team si è aggiudicato la quarta edizione del Nokia University Program (Nup).



Cos'è il Nup. L'iniziativa, promossa dalla società leader mondiale nel campo della telefonia mobile, si propone di fare incontrare concretamente e aprire un dialogo fattivo tra università e impresa.
Gli studenti, guidati da uno o più docenti, hanno 2-3 mesi di tempo per elaborare una ricerca e proporre un business case.


Il premio, nato nel 2003, col tempo ha visto partecipare sempre più poli universitari e facoltà: dalla prima edizione, rivolta esclusivamente agli studenti di due atenei romani, il piano formativo è cresciuto coinvolgendo oggi 10 università e contribuendo a creare sinergie inter-facoltà e pertanto a stimolare l'interdisciplinarietà. Il numero dei giovani talenti è passato dai 500 del 2003 agli oltre 2mila di quest'anno. Nel dettaglio, l'edizione 2007 ha interessato gli studenti delle facoltà di economia, ingegneria e scienze della comunicazione dell'università di: Catania, Bologna, Pescara, Ancona, Milano, Parma, Perugia, Torino, Roma e Salerno.



Il progetto vincente. In particolare, a presentare CamaBiLife e a meritarsi il riconoscimento da Nokia, sono stati Irene Bassani, Tatiana Del Rocio Soriano Cordova e Valentino Cicero, tutti quanti studenti presso la facoltà di economia di Perugia.



Chiamati a sviluppare un progetto che avesse come protagonista l'integrazione delle reti fisse e mobili (convergenza) e la possibilità di declinarla in funzione delle diverse categorie di bisogni dei consumatori (divergenza), il gruppo perugino ha risposto con un dual phone (doppio telefono) che unisce, tramite il design molto innovativo, perfettamente simmetrico, due apparati identici con caratteristiche all'avanguardia.



«Due sono i punti di forza di questa proposta, - dichiara Andrea Facchini, Direttore Marketing di Nokia Italia – innanzitutto, l'aver ideato un telefono che, essendo doppio, sia in grado di soddisfare le esigenze dei clienti più evoluti, abituati a utilizzare due telefoni per sfruttare le varie offerte economiche degli operatori di telefonia. In più è pensato ecofriendly, cioè dotato di un sistema di autoricarica ecocompatibile».



Il mobile, infatti, è dual dentro e fuori: internamente con doppio supporto per la sim card, doppio processore e due antenne; esternamente con due display, tastiere, auricolari, microfoni e videocamere. Un doppio utilizzo facilitato dalla condivisione di una memoria, un software e una batteria.



Ma questa forte attenzione alla funzionalità e praticità si sposa con la necessità di ricorrere a un sistema di alimentazione che sfrutti energia pulita, in quanto CamaBiLife rispetta l'ambiente grazie alla presenza di micro pannelli solari che rivestono l'intera superficie del telefono, con l'unica eccezione del display.



Inoltre, il cellulare non passa inosservato per il suo changeble design con forme e colori in una combinazione del tutto nuova mediante la cover di materiale plastico, cangiante a seconda della luce presente. La scala di tonalità va dal trasparente vitreo, da permettere alla luce di raggiungere i micro pannelli solari, al nero, che rende il telefono un elegante oggetto di tendenza, passando per la scala dei colori dell'iride.



Infine, dal momento che è pensato per un uso continuo nei diversi momenti della giornata, CamaBiLife è ergonomico, ossia dalla forma smussata e contenuta per consentire la rotazione nel palmo della mano con estrema facilità.


Ma questa intuizione un giorno potrebbe tradursi in realtà ed arrivare sul mercato? E' ancora troppo presto per dirlo ma un giorno chissà…


«L'obiettivo di fondo del premio non è tanto di realizzare un progetto ma di avvicinare e preparare i giovani al mondo del lavoro, facendo sì che imparino ad esercitarsi e a strutturare un business case. La progettazione, a riprova, prevede anche l'individuazione delle strategie di marketing per definire il prezzo, la pubblicità e i canali vendita del prodotto». In ogni caso - chiosa Facchini - «Si tratta di uno straordinario patrimonio di conoscenze, visioni e interpretazioni da coltivare e con cui continuare a confrontarsi».

fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tecnologia%20e%20Business/2007/10/nokia-prototipi.shtml?uuid=f2ec775a-86b7-11dc-9f3e-00000e251029&type=Libero

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Pedofilia, Meter denuncia portale da un milione di dollari al giorno




Siracusa, 31 ott. (Adnkronos/Ign) - Un portale da un milione di dollari al giorno. E' quello denunciato oggi alla Polizia postale italiana di Catania dai volontari di Meter, l'associazione antipedofilia fondata e guidata da don Fortunato Di Noto. ''Per rabbia, pudore e vergogna - riferiscono i volontari - non riportiamo le descrizioni che i pedofili anticipano per ogni film ma che rappresentano esattamente il contenuto dei filmati''.

Il sito, forse ucraino ma con server negli Stati Uniti, vende dvd a sfondo pedopornografico in cui i bambini fanno sesso con adulti. Ci sono 102 titoli e oltre 7.000 foto. E il settore rende: solo oggi 2.457 persone hanno acquistato video on line. Il sito spedisce una mail che, con discrezione, indica come effettuare il pagamento senza "avere noie con polizia, legge, FBI" e vende un filmato mediamente a 350 dollari l'uno. Per un incasso totale, stimato, di 859.950 dollari.

Proprio oggi l'Italia ha aderito al Virtual Global Taskforce (VCG), l'organizzazione internazionale fondata nel 2003 per coordinare le attività delle polizie di diversi Paesi nell'azione di contrasto alla pedofilia on line. Il nostro Paese si aggiunge così ai 4 Paesi fondatori (Stati Uniti, Australia, Inghilterra e Canada) e all'Interpol, e si prepara a condividere informazioni e strumenti con le polizie di questi stati con l'obiettivo di contrastare la presenza dei pedofili sul web e di sensibilizzare le persone a un corretto uso di internet.

fonte: http://www.adnkronos.com/IGN/Cronaca/?id=1.0.1496628900

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Birmania, nuovo corteo di monaci buddisti



Un centinaio di tonache tornano in strada dopo la violenta repressione del mese scorso
Il rapporto dell'organizzazione umanitaria Human Rights Watch: "Comprati a dieci anni"

La denuncia: "Arruolati bambini-soldato"

RANGOON - Tornano a sfilare i monaci contro il regime birmano. Circa duecento bonzi in saio rosso hanno dato vita ad un nuovo corteo per la democrazia lungo le strade di Pakkoku, una delle città nella Birmania centrale dove è nata la protesta. Mentre si dirigono verso la pagoda di Shwegu, i monaci cantano e recitano la 'Metta Sutta', la preghiera di Budda sull'amore universale. E' la prima volta che i monaci birmani tornano in piazza dopo le violente repressioni dello scorso mese.

L'inviato Onu, Gambari, tornerà questo fine settimana nel Paese per tentare di riavvicinare governo e opposizione. La giunta militare birmana ha intanto liberato 7 esponenti della Lega per la democrazia, il partito di Suu Kyi, di cui 150 membri sono ancora in carcere.

Intanto l'organizzazione umanitaria Human Rights Watch, denuncia che l'esercito birmano ricorre a bambini soldato per far fronte al fenomeno della diserzione. Il rapporto della Hrw sostiene che la giunta militare abbia autorizzato i reclutatori a "comperare" bambini, alcuni non hanno neppure dieci anni.

I bambini-soldato sono reclutati in strada, alle fermate dell'autobus o nelle stazioni ferroviarie, nelle povere case dei loro genitori, costretti a seguire i loro aguzzini con la minaccia dell'arresto. "Alcuni vengono picchiati fino a quando non accettano", si dice nel rapporto intitolato "Venduti per essere soldati". Secondo Hrw, sarebbero migliaia i bambini arruolati in questo modo.

"I generali del governo tollerano l'arruolamento di bambini e non puniscono coloro che lo esercitano", sostiene Jo Becker, incaricato della difesa dei diritti dei bambini. "In questa atmosfera i reclutatori militari si dedicano a piacimento al traffico di minori".

(31 ottobre 2007)

fonte: http://www.repubblica.it/2007/10/sezioni/esteri/birmania-2/nuovi-cortei-monaci/nuovi-cortei-monaci.html

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Sicurezza, Veltroni contro la Romania



Dopo l'aggressione della donna a Tor di Quinto il sindaco della capitale duro contro Bucarest: "No a flussi incontrollati di immigrati". Napolitano: "Barbara aggressione"

Cdm straordinario sul ddl espulsioni

Si convertirà in decreto legge la parte del disegno di legge contenute nel pacchetto sicurezza
Fini: "Demolire le baraccopoli, identificare ed mandare via i clandestini"


ROMA - "E' necessario assumere iniziative straordinarie e d'urgenza sul piano legislativo in materia di sicurezza". Lo ha detto il sindaco di Roma e leader del Pd Walter Veltroni durante una conferenza stampa improvvisata in Campidoglio dopo l'aggressione della donna a Tor di Quinto. Veltroni ha avuto parole dure contro Bucarest: "Non si possono aprire i boccaporti", ha detto, ricordando che Roma era la città più sicura del mondo "prima dell'ingresso della Romania nell'Ue". Oggi Prodi ha chiamato il premier Rumeno, mentre Napolitano ha parlato di barbara aggressione"

Prodi. Il presidente del consiglio, Romano Prodi, ha convocato un Consiglio dei ministri straordinario in serata a Palazzo Chigi. All'ordine del giorno "provvedimenti di contrasto alla criminalità": si dovrebbe convertire in decreto legge la parte del disegno di legge in materia di espulsioni. Prodi ha chiamato il premier rumeno, Calin Popescu Tariceanu, per rappresentare il "dolore e lo sconcerto suo personale e di tutto il governo italiano" per la tragedia accaduta oggi a Roma. Il premier ha chiesto a Tariceanu "un impegno molto fermo di cooperazione" tra i due paesi.

Napolitano. "Profondamente impressionato per la barbara aggressione criminale di cui è stata vittima la sua consorte, accolga le espressioni della mia più affettuosa partecipazione al suo sgomento e alla sua ansia", è il messaggio che il presidente della Repubblica ha inviato al marito di Giovanna Reggiani. "
L'episodio di efferata violenza - dice ancora Napolitano - richiama ancora una volta l'attenzione delle istituzioni sulla necessità di compiere ogni sforzo per garantire il bene prezioso della sicurezza e della vita dei cittadini."

Veltroni. Il sindaco di Roma ha parlato di "un vero, autentico orrore" e ha aggiunto che "si tratta di un'espressione di violenza che da qualche mese ha cominciato a manifestarsi in questa città e che testimonia che c'è stato un cambiamento di clima".

"Non si può girare intorno - ha ribadito il leader del Pd - la sicurezza è una grande questione nazionale che chiama in causa iniziative d'urgenza sul piano legislativo: i prefetti devono poter espellere i cittadini comunitari che hanno commesso reati contro cose e persone". Su questi temi Veltroni ha incontrato al Viminale il ministro dell'Interno Giuliano Amato e il prefetto di Roma Carlo Mosca.

"Credo che l'Italia debba porre la questione" riguardo ai flussi migratori provenienti dalla Romania "in sede europea: è un problema di natura politica. Ritengo che l'Europa debba chiamare in causa le autorità romene", ha detto il sindaco di Roma. "Se si sta in Europa - ha aggiunto determinato - bisogna starci a certe regole: la prima non può essere quella di aprire i boccaporti e mandare migliaia di persone da un Paese europeo all'altro".

Veltroni ha poi ricordato il vertice avuto qualche giorno fa con il ministro dell'Interno della Romania "durante il quale - ha detto - sono stato duro quanto necessario, anche se qualcuno mi ha accusato di esserlo stato troppo". Infine il sindaco e leader del Pd, ha ricordato che "prima dell'ingresso della Romania nell'Unione europea, Roma era la città più sicura del mondo".

Il sindaco ha citato gli episodi di criminalità. Da quello "al ciclista ucciso all'aggressione al regista Tornatore, a una consigliera municipale, alla violenza sessuale verso una ragazza e questo episodio orrendo. Tutti questi fatti - ha sottolineato Veltroni - sono riconducibili purtroppo a un'unica matrice: in questa città da diversi mesi c'è un arrivo di persone che vengono da Paesi comunitari. Non si tratta di immigrati che vengono qui per 'campare', ma di un'altra tipologia di immigrazione che ha come sua caratteristica la criminalità". Veltroni ha precisato di non fare "generalizzazioni verso un singolo Paese", ricordando tuttavia che "il 75% di arresti effettuati l'anno scorso hanno riguardato i romeni.

An: "Governo in Aula". Il portavoce di Alleanza nazionale, Andrea Ronchi, chiede al presidente del Consiglio, Romano Prodi e al ministro dell'Interno, Giuliano Amato, "di riferire con urgenza alla Camera".
Il presidente di Alleanza nazionale, Gianfranco Fini, invita sindaco e prefetto a fare "quello che la legge impone: demolizione delle baraccopoli abusive, identificazione e espulsione dei clandestini e dei cittadini comunitari privi di fonte certa di sostentamento, come espressamente previsto dalle normative europee".

"Si vergognino i coccodrilli della sinistra tipo Veltroni, che oggi piangono e chiedono immediati interventi - dice Roberto Calderoli, coordinatore delle segreterie nazionali della Lega Nord -, la responsabilità di quanto sta accadendo nelle nostre città è di questa maggioranza e di questo governo che tra i primi atti ha sospeso la moratoria sulla libera circolazione dei cittadini provenienti dai paesi ultimi entrati nella Ue, tra cui la Romania, cosa che la Lega Nord e il governo Berlusconi avevano invece sempre impedito, proprio per la consapevolezza dei pericoli a cui si andava incontro".

"Di fronte a una tragedia come quella di Roma la strumentalizzazione da parte della destra risulta davvero incredibile". Lo dice il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, che aggiunge: "La moratoria riguardo all'adesione della Romania all'Europa era relativa solo ai rapporti di lavoro e non all'ingresso dei cittadini romeni nel nostro paese. Non applicandola abbiamo ridotto il ricorso ancora più massiccio al lavoro nero nel nostro Paese".

"Un episodio orrendo. Siamo d'accordo con Veltroni e condividiamo la necessità di coinvolgere l'Unione Europea e la Romania per regolare i flussi indiscriminati ed affrontare con efficacia il tema della sicurezza nelle nostre città. E' un problema europeo che va affrontata con la massima decisione: nessuna tolleranza verso i criminali e la violenza". Lo afferma il presidente dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio, commentando quanto accaduto a Roma.

(31 ottobre 2007)

fonte: http://www.repubblica.it/2007/10/sezioni/cronaca/tor-di-quinto/reazioni-uccisa/reazioni-uccisa.html

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IL FATTO
Tor di Quinto, in coma donna assalita da romeno:è stata aggredita, violentata e gettata in un fosso
Ha 47 anni, tornava a casa alle 20,30 dopo un pomeriggio in centro
L'aggressore arrestato ieri sera nel vicino campo nomadi

ROMA (31 ottobre) - Non è ancora clinicamente morta la donna che ieri è stata aggredita, violentata e seviziata, infine gettata in un fosso a Tor di Quinto. «Alle 17.50 la paziente presenta uno stato di coma con assenza di riflessi,
ma con residua attività elettrico cerebrale. Perciò non è clinicamente morta», ha detto un medico del Sant'Andrea nella sala d'attesa della Rianimazione.

La vittima. Si tratta di Giovanna Reggiani, 47 anni, moglie di un ufficiale della Marina (capitano di vascello su un dragamine), che alle 20,30 era appena uscita dalla stazione ferroviaria di Tordiquinto per tornare a casa, nei vicini alloggi della Marina, dopo un pomeriggio di shopping in centro. Autore dell'aggressione un romeno di 24 anni, arrestato nella notte per omicidio e violenza sessuale.

Trascinata in una baracca. Il romeno ha trascinato a forza la donna in una baracca nei dintorni della stazione, dove è stata violentata e seviziata a lungo. Inutili i suoi disperati tentativi di difesa, perché è stata più volte colpita alla testa. La polizia ha trovato nella baracca la borsa della vittima dell'aggressione. Quando è stata trovata nel fosso la donna aveva il pantalone abbassato, un maglione nero ripiegato fin sotto le ascelle, un solo stivaletto, una catenina e una fede con incisa una data e un nome e il volto tumefatto e coperto di sangue.

Trasportata in spalla. E' stata un'anziana romena ad accorgersi della tragedia e a fermare un autobus che percorreva viale Tordiquinto all'altezza di via di Camposampiero. La donna, che non parla italiano, a gesti ha indicato all'autista di guardare nel fosso, dove giaceva la donna, esile e di media corporatura, che stanotte è stata operata al Sant'Andrea e per la quale poi non c'è più stato nulla da fare. La nomade, a cenni, ha riferito alla polizia di aver visto un uomo mentre trasportava in spalla la sua vittima e che, mentre la trascinava, gli ha urlato di fermarsi, ma l'uomo ha gettato la vittima nel fossato ed è fuggito.

L'arresto. Accompagnata dagli agenti della polizia la donna, dopo aver descritto l'aggressore, è andata nel campo abusivo allestito a Tordiquinto dove ha detto di vivere. Lì gli agenti hanno visto il 24enne uscire da una baracca, sporco di fango e sangue sul volto e su tutto il corpo, e la donna lo ha indicato come l'autore del delitto. In un primo momento si era pensato che la vittima dell'aggressione fosse una giovane prostituta dell'Est, vista la zona dell'agressione.

Ancora sporco di sangue e fango. Quando ieri sera Nicolae Romulus Mailat, 24enne senza fissa dimora, è stato arrestato dagli agenti della polizia di Stato del commissariato Ponte Milvio, diretti da Emiliano Brayda, era ancora sporco di sangue e fango e aveva numerosi graffi sia sulle braccia, sia sul volto. Non ha detto una parola e in nottata è stato portato a Regina Coeli. Il procuratore aggiunto Italo Ormanni e ilsostituto Maria Bice Barborini hanno chiesto la convalida del fermo del romeno.

fonte: http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=12202&sez=HOME_INITALIA

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martedì 30 ottobre 2007

Nel GRANO il potere del futuro




di Pierluigi Paoletti http://www.centrofondi.it/


Uno degli effetti della disgregazione economica (http://www.centrofondi.it/report/report_10_03_06.pdf) attuata da chi veramente controlla attualmente il mondo è proprio l’aumento esorbitante del grano che ha fatto “lievitare”, è proprio il caso di dire, il prezzo di farina, pane, pasta.



Oggi, non bisogna essere dei complottisti per capire che la politica del liberalismo e della globalizzazione degli anni ’90 aveva come obiettivo la completa riduzione in schiavitù dell’intera popolazione mondiale. Attraverso le politiche imposte dal WTO http://it.wikipedia.org/wiki/Organizzazione_Mondiale_del_Commercio organizzazione sovranazionale al quale obbediscono supinamente 150 stati (praticamente tutto il mondo industrializzato), si è arrivati alla distruzione completa dei mercati interni dei singoli paesi a favore delle importazioni in mano ai grandi gruppi.

La distruzione dei mercati interni, avvenuta in appena 12 anni (dalla nascita del WTO) e con una velocità che ha spiazzato numerosi imprenditori, ha portato i singoli stati ad essere completamente dipendenti dalle importazioni, specialmente in campo alimentare e soprattutto nel settore strategico per un paese, quello del grano. Fino agli anni ’80 la produzione di grano era simbolo di potere e Stati Uniti e Russia si confrontavano anche dalla quantità di grano prodotta e l’Italia era tra i maggiori produttori mondiali, vista anche la nostra dieta mediterranea. Oggi siamo costretti ad importare oltre il 40%, con la tendenza in aumento, mentre solo pochi anni fa avevamo praticamente l’autosufficienza.

Le ragioni di ciò sono facili da immaginare se pensiamo che solo nel 1985 il costo del grano al quintale era di 50.000 lire mentre solo qualche mese fa era arrivato a 12 euro (24.000 lire), o se pensiamo che la comunità europea elargiva contributi per non coltivare grano. Anche se oggi siamo arrivati a 22 euro al quintale pagato al produttore, siamo ancora lontani dal giusto prezzo che remunera i notevoli aumenti dei costi che gli agricoltori hanno dovuto sopportare dal 1985 ad oggi.

La politica dei biocarburanti poi rischia di far precipitare le cose, come ha già fatto in Messico dove il pane (la tortillas) è già aumentata di oltre il 400% in pochi mesi. A fronte di un prezzo del grano, pagato al produttore, di 22 euro al quintale (oggi!) abbiamo un prezzo del pane che come media costa 270 euro al quintale (2,7 euro al chilo) ovvero 12,27 volte (!!!) superiore al prezzo percepito dall’imprenditore agricolo, se non è speculazione questa…

Piccolo dato statistico dal 1985 il pane è aumentato del 419% mentre il prezzo ai produttori è costantemente sceso. Il problema agricolo e in special modo quello relativo al grano oltre ad avere un impatto sulle nostre finanze già allo stremo dai debiti e dalle voracità famelica di uno stato allo sbando, rischia di mettere in serio pericolo l’indipendenza e la nostra libertà (anche se oggi è già fortemente compromessa).

Una via di salvezza ovviamente c’è e adesso sta diventando imperativo metterla in atto. Stiamo parlando del risanamento delle economie locali e in particolar modo del progetto per l’agricoltura Il sapore del cuore http://www.centrofondi.it/articoli/sapore_cuore_progetto.htm un progetto aziendale che permetterebbe ai produttori di ottenere con l’accorciamento della filiera agroalimentare di poter ottenere un prezzo giusto dalla loro produzione e poter dare al consumatore finale un prodotto di qualità superiore ad un costo inferiore, visti i rincari odierni. Arrivare ad un prezzo del pane di 1,5 euro (150 euro al quintale) è possibile e consentirebbe a tutti la soddisfazione e lo stesso potrebbe accadere con l’ortofrutta, latte, carne ecc. La ricostruzione della filiera agroalimentare senza inutili e dannosi passaggi è l’unica strada che ci porta a riconquistare la sovranità alimentare che è anche il primo pilastro dell’economia locale e nazionale.

Il prezzo del petrolio oggi ai massimi storici quasi a 80$ (il dato attuale è 94 dollari a barile, n.d.m.) e la consapevolezza che il suo picco di produzione è già stato toccato http://www.centrofondi.it/report/report_03_05_07.pdf ci spingono verso la produzione locale. Le merci di fronte ad un costante aumento dei prezzi dell’energia petrolifera non potranno continuare a fare migliaia di chilometri prima di essere vendute e consumate o i loro prezzi schizzeranno alle stelle (e lo stiamo già vedendo). Rafforzare le economie locali, magari con l’ausilio di una moneta complementare come, Ecoroma, Scec, Tau ecc., ricostruire filiere produttive ormai quasi estinte, ci consentirà di avere economie locali più forti e autonome che potranno scambiarsi merci e servizi tra di loro (ri)costruendo così una economia nazionale.

Risanare il piccolo per guarire il grande sarà il motto dei prossimi giorni, mesi, anni, ovvero

Pensare globalmente e agire localmente
Questa situazione critica ha portato anche ai massimi dell’oro e a infrangere i minimi del dollar index (ma potrebbe essere una trappola), mentre l’euro ha toccato (anche lui) i massimi storici. Quindi massimi per petrolio, grano, oro e euro e minimi per il dollaro, un mix esplosivo che potrebbe portare a breve ad una crisi valutaria imponente. Siamo quindi ad un punto cruciale per tutto questo nostro pazzo, pazzo mondo e qualcosa di importante sta per succedere anche se secondo noi ora molto probabilmente ci sarà una reazione del dollaro che spengerà la miccia di questo momento esplosivo, ma come abbiamo detto nell’ultimo report sarà solo per poco…

Comunque sia sarà bene stare con gli occhi bene aperti e molto attenti.

That’s all folks
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fonte: http://www.disinformazione.it/

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Evo Morales sale in cattedra a Roma

Morales con Zanotelli nella sede di Action



di Alessia Grossi


«Sono un po' sorpreso perché c'è un pubblico molto folto qui questa sera. Non immaginavo che in Italia ci fossero tante persone interessate al mio Paese». Esordisce così Evo Morales Ayma, presidente della Repubblica della Bolivia, lunedì sera di fronte alla giovane folla che lo acclama riunita nell'Aula Magna dell'Università La Sapienza di Roma. Un incontro voluto e sostenuto da molti movimenti sociali, uno su tutti l'Associazione "A Sud", dalle testate Carta, Liberazione e Il manifesto in accordo con la prima università romana. Ad introdurre il Capo di Stato boliviano il professor Luciano Vasapollo, militante intellettuale interessato alla rivoluzione dei popoli dell'America Latina e un Gianni Minà più commosso del solito. «Ernesto Che Guevara non doveva essere un visionario quando parlava del riscatto del popolo indigeno d'America se questa sera con noi abbiamo un presidente boliviano che viene dalla sua terra» dice Minà a gran voce.


«Io non ho finito il percorso scolastico. La mia è stata l'università della lotta insieme ai contadini e agli operai» inizia il racconto Morales rivolgendosi agli studenti. E lui stesso sembra essere ancora meravigliato di come sia diventato da giovane militante quale era colui che ha guidando il suo popolo alla liberazione. «Nel 1990 venni in Italia a partecipare ad alcune conferenze come cocalero ( i cocaleros sono contadini quechua e aymara coltivatori della foglia di coca che rivendicano il diritto degli indigeni a coltivare la «sacra foglia») e in quell'occasione cercavo di spiegare le ragioni del movimento indios e mai avrei pensato di diventare io stesso presidente» spiega Morales ricordando la sua storia di ex sindacalista e deputato dei cocaleros della Bolivia e la posizione dominante dell'Italia nel commercio della foglia di coca fin dall''800. «Poi - racconta divertito - la Chiesa e la Coca Cola degli Usa hanno rotto questo rapporto».

Ora da presidente della Bolivia Evo Morales sa che non è stato semplice cambiare le cose in Bolivia. Una volta al Governo bisognava affrontare mille problemi secolari come la lotta per la nazionalizzazione degli idrocarburi, quella per ottenere aiuti dal Fondo Monetario Internazionale, quella per difendersi dalla solidarietà condizionata degli Usa (che in cambio di 30milioni di dollari in aiuti per riconvertire le raffinerie di petrolio chiedevano il rispetto di tre condizioni: la privatizzazione delle miniere, l'eliminazione della coltivazione delle coca, e la lotta al terrorismo cioè ai cocaleros).

Poi Morales parla della piacevole scoperta dell'asse latinoamericano. La solidarietà vera di Cuba, del Venezuela di Chavez, dell'unione delle forze dei leader sudamericani e caraibici come aveva sperato fin da giovane e di come decise il suo percorso presidenziale grazie ad un suggerimento di Fidel Castro. «Durante un incontro a L'Avana con altri paesi del Sudamerica nel 2002 il comandante Castro ci disse di non fare come lui fu costretto a fare. Ma di seguire l'esempio di Chavez per riformare i nostri Paesi. Utilizzare lo strumento dell'Assemblea Costituente per riscrivere la Costituzione della Liberazione». E ora che la Costituzione si sta facendo in Bolivia Morales spiega anche quanto sia difficile far valere i diritti di tutti. «Ma - conclude - la Costituzione deve essere approvata dai due terzi dell'Assemblea altrimenti sarà il popolo a decidere con il referendum».

Morales si fregia di essersi ridotto il compenso da presidente. «Sono passato a 2mila euro contro i 25mila mensili dei miei predecessori - spiega. Ma poi ho dovuto rialzare il mio compenso dato che nessun funzionario pubblico può prendere uno stipendio superiore a quello del presidente». Ironia a parte Morales conclude con i numeri veri. Quelli che per gli indios boliviani stanno facendo la differenza. Come la riduzione del deficit in salita dal 1965. «Denaro impiegato nell'istruzione, negli asili nido, nei bonus per i bambini e nelle pensioni per gli anziani, l'80 per cento dei quali, in quanto contadini fino a poco tempo fa non ne aveva nemmeno diritto». E ancora la crescita delle riserve finanziarie del suo Paese, ultimo tra quelli dell'America Latina. «Siamo passati da 1,7 miliardi di dollari del 2006 a 5 miliardi di dollari del 2007. Per voi italiani non saranno molti ma per noi sono tanti e la sfida è quella di raddoppiare nei prossimi due anni.

La volontà di colmare un divario economico che va avanti da 500 anni. In Bolivia il rapporto è di 1 a 127 - racconta Morales - il che significa che il 90 per cento della popolazione, gli indios, i contadini, i minatori, vive con un boliviano (moneta nazionale) al giorno a fronte di un 10 per cento, le famiglie dell'ex oligarchia che ne spende 127. «La sfida - dice il contadino- presidente - è sanare il più possibile questo divario».


Pubblicato il: 30.10.07
Modificato il: 30.10.07 alle ore 13.43

fonte: http://www.unita.it/view.asp?idContent=70205

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Essere Italiani (e benvisti) in Brasile




DAL SITO DI PIERO RICCA


La lettera di Francesco, italiano a Belo Horizonte, Brasile.

Caro Piero,

mi chiamo Francesco, sono laureato in Scienze Politiche, compirò trent’anni a dicembre e ti parlo dal Brasile, Belo Horizonte per la precisione. A differenza degli altri amici che ti hanno scritto, la mia scelta è stata dettata non da ragioni professionali ma dall’amore per una donna. Eppure, trasferendomi qui, non ho fatto che guadagnarci anche dal punto di vista della qualità della vita e della realizzazione personale, in tutti i campi. Lasciami fare una piccola premessa e poi capirai meglio. Anch’io ho avuto le mie esperienze professionali in Italia, quasi tutte deludenti, mal pagate e temporanee. Ho iniziato da studente universitario lavorando come operaio in un’azienda dolciaria. Questo contratto lo avevo ottenuto prima che fosse entrata in vigore la cosiddetta “legge Biagi”. Era un contratto temporaneo, il termine tecnico-giuridico era “lavoratore stagionale”, perciò lavoravo solo sei mesi l’anno. Però, proprio perché disponevo di un contratto a termine, prendevo il 20% in più di stipendio rispetto agli operai “fissi”. Inoltre godevo di ferie pagate, malattia e tredicesima; senza dimenticare che al termine del contratto mi veniva riconosciuta una liquidazione corrispondente più o meno ad una mensilità. Ma venne la “Biagi” ed iniziarono i problemi anche per me. Dopo l’esperienza da operaio ho lavorato per una società di comunicazione (lavoro interessante ma che non mi dava prospettive) e infine, prima di laurearmi e di recarmi in Brasile, ho trovato un posto con contratto co.co.co valido un anno in una cooperativa che gestiva le registrazioni audio ed eseguiva le trascrizioni delle udienze penali presso il Tribunale di Perugia. Ti dico solo questo: quando registravo le udienze prendevo solo 5 euro lordi ad ora e la cooperativa mi pagava OGNI TRE MESI SOLO IL 50% DI QUELLO CHE MI DOVEVA…
Per non parlare del fatto che un’udienza poteva durare dieci minuti come dieci ore e naturalmente l’addetto alla registrazione doveva essere sempre presente, nonostante il contratto prevedesse totale libertà del lavoratore. Insomma, ogni giorno, io, studente universitario, dovevo dare la disponibilità totale della mia presenza e la durata della mia giornata di lavoro era decisa dal caso. Ma aspetta, non finisce qui. Scaduto il contratto ho continuato a lavorare in nero per questa cooperativa e non sai quante volte mi è capitato di lavorare sedendo accanto ad un giudice mentre si stava tenendo un’udienza di una persona accusata proprio di sfruttare lavoratori non in regola. Non è paradossale?

In seguito, sempre quando svolgevo la mia parte di “schiavo moderno”, è avvenuta una tragedia nella mia famiglia (praticamente sono rimasto solo). A seguito di questo ho avuto occasione di fare un viaggio in Brasile e qui ho conosciuto la mia attuale compagna, Zara. Morale della favola? Sono tornato in Italia, ho mandato a quel paese la cooperativa (che teoricamente mi dovrebbe ancora 1500 euro, che già so che non riceverò mai) mi sono laureato e mi sono trasferito a casa di Zara. E qui comincia la parte positiva.

Da bravo “scienziato politico” sapevo che il Brasile è un paese in crescita, ma in ogni caso mi aspettavo di trovarmi una realtà arretrata rispetto a quella italiana, anche dal punto di vista politico-istituzionale. Mi sbagliavo e di grosso. Alcuni esempi? Proprio in questi mesi in Brasile il Presidente del Senato è stato indagato per accuse di possesso e lavaggio di denaro sporco. Bene, tale Renan Calheiros si è rifiutato per settimane di dare le dimissioni. Ma la stampa gli é stata addosso costantemente, tutti i giorni i telegiornali aprivano le news con la sua foto accompagnata alle accuse pendenti sul suo capo, non poteva uscire dal Senato che subito veniva assalito dai fotoreporter, tutte le copertine dei giornali venivano dedicate a lui. Insomma, un vero assedio. Ebbene, alla fine Calheiros ha dovuto cedere e si è dimesso. Vuoi sapere di Lula? Lula è molto apprezzato dal popolo brasiliano, anche perchè sotto la sua presidenza il Brasile è cresciuto tantissimo ed ora sta diventando una potenza mondiale. Però Lula è all’inizio del suo secondo mandato e già tutti parlano di chi sarà il suo successore. Lula potrebbe ricandidarsi ma nessuno prende in considerazione questa ipotesi, nemmeno lo stesso Presidente. Il perché? Perché una sua terza elezione, parole sue, “potrebbe costituire un precedente pericoloso per la democrazia”. Proprio come i nostri politici… Ma parliamo della vita quotidiana. Internet? Il collegamento a 56 kb è GRATIS per tutti, si paga solo la banda larga (a prezzi molto ragionevoli). Vuoi fare un deposito in banca? Niente fila, qui l’internet banking è molto più diffuso che in Italia e se non sai usare internet puoi fare tutto con gli sportelli bancomat, ci puoi addirittura fare depositi con contanti o con assegni. Gli uffici pubblici per il cittadino? Hanno tutti dei distributori di acqua gratuita per gli utenti ed è sempre prevista una fila privilegiata per anziani, donne incinta e portatori di handicap. L’ambiente? Nonostante il Brasile sia un paese produttore di petrolio (e questo pochi lo sanno) e quindi autosufficiente da questo punto di vista, come ben saprai è proprio qui che è nato il famoso biodiesel. Per questo ormai il 70 per cento delle auto qui è flex, cioé puó andare indifferentemente ad alcol o a benzina. Solo che l’alcol costa il 30% in meno e quindi avrai giá capito quale combustibile la gente preferisce. E infatti grazie a questa risorsa verde lo smog da auto praticamente qui non esiste. Certo, non voglio dire che il Brasile sia la Svizzera; ma, credimi, anche in questa parte a Sud del mondo ormai sono più avanti di noi.

La mia situazione personale? Fino adesso sono andato avanti dando lezioni private di italiano, ma a breve otterrò la “permanençia” e potrò lavorare come un normale cittadino brasiliano, con un contratto vero. E poiché la mia laurea europea qui in Brasile ha un grande valore, ho giá diverse ed interessanti offerte di lavoro da vagliare. In pratica stanno aspettando la mia regolarizzazione e stanno facendo a gara a chi mi offre di più. Proprio come succede in Italia con i giovani laureati…
Ah, dimenticavo, il prossimo mese io e Zara ci sposiamo.

Un saluto, Francesco



PS: Per chi volesse saperne di piú: http://www.zaraetripo.blogspot.com/


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Apologia di comunismo: l'Udc inventa un reato


Libertè, Egalitè, Volontè

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lunedì, 29 ottobre 2007


Roma - Si chiama Luca Volontè. E' capogruppo alla Camera dell'Udc. Piuttosto attivo, il suo volto è spesso impachettato nei pastoni dei Tg Rai, le sue idee chiare e conseguenti. Ha deciso di stanare tutti i comunisti italiani. Sulla scorta delle n otizie ricevute dalla Polonia dei gemelli Kaczynski, tra l'altro appena sconfitti alle urne, Volontè ha deciso di aprire la più grande delle questioni politiche. "Martedì mattina (oggi per chi legge) ogni deputato riceverà in casella il modulo di adesione alla nostra proposta di legge di riforma costituzionale per inserire il divieto di apologia del comunismo insieme al reato già previsto per il fascismo".

"Siamo un Paese vergogna", attacca quindi Volontè, secondo il quale "è necessaria una operazione verità sui 100 milioni di morti irrisi dai comunisti al governo. Staneremo uno per uno i fedeli amici di Lenin e dei suoi gulag". La proposta lanciata nei giorni in cui il suo capo Pier Ferdinando Casini è in viaggio di nozze, non ha trovato l'entusiasmo che Volontè presumibilmente valutava di raccogliere. Finanche Roberto Calderoli, che è Calderoli, pur trovando l'iniziativa "condivisibile", la ritiene "superflua o comunque tardiva".

E Gianfranco Rotondi, democristiano e moderato almeno quanto Volontè, ricorda che "non esiste il comunismo, ma tanti partiti comunisti. Il comunismo italiano non ci ha negato la libertà, ma ce l'ha portata col sangue dei partigiani".
L'amichevole osservazione di Rotondi forse rallenterà la raccolta delle firme alla quale, come ha annunciato, da domani il deputato vorrebbe destinare ogni energia.

Certo, Volontè non ha ancora chiarito, ma ne avrà il tempo, quale sarà il destino di coloro che verranno "stanati". Tra l'altro proprio di fronte al suo banco, e per giunta nella qualità di presidente dell'assemblea, è seduto un comunista: Fausto Bertinotti. Altri si trovano al Governo, molti anche in Parlamento. Un illustre ex al Quirinale. Stanarli tutti sarebbe una fatica, per non dire dell'imbarazzo a lavorare sulla Carta Costituzionale frutto, purtroppo per Volontè, dell'opera (e dell'inchiostro) di parecchi comunisti.

fonte: la Repubblica

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Idv e Udeur votano con la Cdl: Salta la commissione d'inchiesta sul G8


I partiti di Di Pietro e Mastella ancora una volta si distinguono dall'Unione e la maggioranza va sotto anche alla Camera. Un deputato della Rnp non arriva in tempo



ROMA - La proposta di legge per istituire una commissione di inchiesta sul G8 di Genova non è stata approvata in prima commissione della Camera. Con 22 voti contrari e 22 voti favorevoli la commissione non è riuscita ad affidare il mandato al relatore a riferire in aula. La Cdl, accorsa in massa a votare, ha salutato il risultato con un lungo applauso. Con la Cdl hanno votato anche Idv e Udeur.

In particolare il deputato dipietrista Carlo Costantini ha detto 'no', mentre l'altro esponente dell'Idv, il capogruppo alla Camera Massimo Donadi, non si è presentato. I due esponenti della Rosa nel Pugno, Cinzia Dato e Angelo Piazza, non hanno preso parte alle votazioni. E l'unico deputato dell'Udeur ha votato contro.

Mezz'ora prima che si arrivasse al voto i parlamentari del centrosinistra erano in sovrabbondanza. Nessuno temeva per il peggio visto che mancavano all'appello sette esponenti di Forza Italia. Pochi minuti prima della conclusione dei lavori si è presentata in commissione una nutrita 'pattuglia' di deputati azzurri guidati dal capogruppo Elio Vito. E il loro arrivo ha fatto la differenza. A quel punto anche nell'Unione si è cominciato a telefonare freneticamente agli assenti per vedere di non andare sotto su un provvedimento tanto delicato.

Ma non c'è stato nulla da fare perché l'ultimo "convocato" dell'Unione è arrivato troppo tardi, subito dopo il voto. Il 'ritardatario' che non è riuscito a votare era l'esponente della Rosa nel Pugno Lello Di Gioia, che avrebbe dovuto sostituire in commissione uno dei due "titolari" del gruppo. Su 44 votanti 22 hanno detto sì e 22 'no' e quando si arriva alla parità, per regolamento, il mandato al relatore a riferire in Aula non viene conferito. La Cdl ha esultato per questa bocciatura, mentre la maggioranza ha lasciato la commissione piuttosto delusa.

All'ultimo momento, insieme ai rinforzi 'azzurri' è arrivato di corsa anche il deputato dell'Udc Carlo Giovanardi. Mentre il presidente della commissione Affari costituzionali Luciano Violante non ha votato. "Io non prendo mai parte alle votazioni" ha spiegato al termine dei lavori di commissione lo stesso Violante.

(30 ottobre 2007)

fonte: http://www.repubblica.it/2007/06/sezioni/cronaca/g8-genova/salta-commissione/salta-commissione.html

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lunedì 29 ottobre 2007

La Sardegna del banditismo bancario



di Giorgia Maria Pagliaro
foto internet
29/10/2007



Il conflitto in atto in Sardegna tra contadini, amministrazione regionale e banche è stato esemplificato con una battuta efficace da Gavino Ledda, autore di "Padre padrone" e tradotto in quaranta lingue, che lo ha definito "Banditismo bancario". Le date della drammatica vicenda sono citate nel bollettino quotidiano redatto dal comitato dei contadini in lotta nel comune di Decimoputzu e ricordate nei numerosi incontri dagli scioperanti agli esponenti delle forze politiche e sindacali e agli amministratori locali e regionali. La prima è il 1988, quando la Regione Sardegna ha approvato una legge per l'abbattimento dei tassi d'interesse sui prestiti per il rinnovo tecnologico delle aziende e invitato gli emigrati a ritornare nell'isola e investire nell'acquisto di terreni e tecnologia per un lavoro libero e dignitoso. L'altra data è il 1991, quando l'Unione europea, in nome del libero mercato e delle regole della concorrenza, ha dichiarato illegittimo il provvedimento regionale.

Il tasso d'interesse previsto, il tre per cento, dopo la bocciatura europea è cresciuto fino al tredici per cento: crollate le certezze e le speranze, i risparmi di una vita da emigrante hanno iniziato ad ingrossare le casseforti delle banche. Ora rincorrere i guadagni per onorare il debito è l'unico pensiero dei contadini sardi. Come per le vittime dell'usura, gli sforzi si rivelano inutili e, di fronte all'impossibilità da parte dei contadini e degli allevatori di far fronte al mutuo contratto, interviene impietoso il pignoramento per più di 5000 aziende agricole e la messa in vendita al miglior offerente dei macchinari e degli animali. Impoveriti gli imprenditori e minata la stessa esistenza della civiltà agro-pastorale, da queste parti ci si avvia alla catastrofe: in Sardegna partono così una serie di scioperi che vedono contadini e pastori riuniti nel comitato che sta in questi giorni mobilitando associazioni come Altragricoltura e aggregando le forze politiche regionali e nazionali, alla ricerca di un vasto sostegno politico. Dopo i due giorni trascorsi nel mese di Marzo 2007 a Roma, l'incontro con il ministro Paolo De Castro si è rinnovato il 23 Ottobre per mettere a punto i contenuti di una trattativa con l'UE e con le banche.

Gavino Ledda, una delle massime espressioni della cultura sarda, esprime la sua grande preoccupazione per quella terra in cui, da giovane analfabeta, riuscì con enormi sacrifici a laurearsi in Lingue e diventare docente universitario: la civiltà della pecora, del grano, dell'ulivo e del sughero, sostiene, sta pian piano morendo. "Occorrerebbe davvero qualche Gesù capace di cacciare fuori i banchieri dal tempio", afferma con un velo di tristezza. Ma nessun Messia arriverà ora per rivendicare i diritti di questi agricoltori, derubati della loro terra e dei loro stessi frutti: servirà invece la mobilitazione generale del paese per restituire, insieme ai terreni, la speranza per ricostituire migliaia di aziende agricole. Tanto per ricordare, come sosteneva John Donne, che nessun uomo è un'isola.

fonte: http://www.rivistaonline.com/Rivista/ArticoliPrimoPiano.aspx?id=4233

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L’ultimo panettone di Berlusconi




di Enrico Sabatino


29/10/2007


Non c'è giorno che passa senza che Berlusconi non ricordi agli italiani che il governo è alla frutta, che cadrà presto, che deve gettare la spugna, che gli mancheranno i voti di quei senatori che non sono entrati nel Partito Democratico, che bisogna andare a votare immediatamente, che lui ritornerà sicuramente a Palazzo Chigi, ecc., ecc.
Una litania ossessionante, noiosa e stanca dal momento che è da un anno che la ripete come un automa.
Certo il governo Prodi è quello che è, i suoi numeri al Senato sono quelli che sono e l'immagine di lacerazione interna che spande a piene mani è stupefacente, quasi da Guiness dei Primati del masochismo.
Quindi può effettivamente cadere da un momento all'altro, ma che si ritorni subito dopo alle urne è tutt'altro che scontato, anzi.
In primo luogo perché il presidente della repubblica Napolitano può legittimamente sondare gli umori del Parlamento e affidare l'incarico di formare un nuovo governo a chiunque ritenga in grado di ottenere la fiducia nelle due Camere, visto che in Italia non c'è l'elezione diretta del premier, neanche indirettamente come Berlusconi pensa quando dichiara: «la legge elettorale vigente ha indicato un leader di coalizione, che poi è diventato presidente del consiglio dei ministri, non vedo chi possa - contro questa legge - andare a decidere che sia un altro e diverso presidente del consiglio dei ministri».
Pur di tornare a Palazzo Chigi e mettere in bacheca la Coppa Palazzo Chigi come se fosse la Champions League, Berlusconi stravolge qualsiasi realtà, si sa.
Ma bisogna capirlo, ha più di 70 anni e il tempo stringe.

Però il vero motivo fondamentale per cui, anche se dovesse cadere Prodi, non si andrà subito ad elezioni è uno solo: il raggiungimento della pensione a partire dal 29 Ottobre 2008 per quei deputati e senatori di tutti gli schieramenti eletti per la prima volta nella loro vita.
Eletti poi è una parola grossa, in quanto sono finiti in Parlamento solo grazie al fatto di essere stati nominati dalle rispettive segreterie di partito e posizionati ad hoc nelle varie liste elettorali.
Quindi per tutti costoro, che molto probabilmente mai e poi mai sarebbero entrati in Parlamento con una qualsiasi altra legge elettorale, rinunciare alla ricca pensione parlamentare a soli pochi mesi dal suo raggiungimento e solo per fare un favore a Berlusconi sarebbe veramente una beneficenza impossibile da realizzarsi.
Perciò, dato per scontato che l'obiettivo di arrivare alla ricca pensione a vita è in cima a tutto, automaticamente ne consegue che, anche dopo un Prodi dimissionato, nascerebbe un governo qualsiasi che magari porterà ad elezioni nel 2009, ma mai prima.
Forse neanche nel 2009.
E ciò significa che Berlusconi mangerà quest'anno il suo ultimo panettone da leader incontrastato del centrodestra e perenne candidato a Palazzo Chigi da quasi 14 anni.
Infatti mentre si è registrata la nascita del Partito Democratico con Prodi presidente e Veltroni segretario, nella CDL si assiste invece allo sterile tentativo di Berlusconi di formare un partito unico e alle sue solite dichiarazioni: «Il sogno del partito unico del centrodestra, un sogno che è ormai alla nostra portata e che regalerà al nostro Paese un bipolarismo maturo e consolidato», a cui Fini risponde con: «Smettiamola con le ipocrisie: il partito unico non è all'ordine del giorno perchè con questa legge elettorale proporzionale, che qualcuno ha preteso, il partito unico non può essere roba di domani. Spero lo sia per dopodomani, ma con il proporzionale si esaltano le diverse identità e figuriamoci se si va a un grande e indistinto contenitore unico».
Quindi è solo un sogno della mente di Berlusconi mentre tutti i suoi alleati ormai già pensano alle rispettive carriere future senza di lui, ma soprattutto a come sottrargli l'elettorato.
Non finisce qui però.

Insieme a questo palese insuccesso Berlusconi ne ha inanellato un altro, che ben presto verrà alla luce in toto, rappresentato dalla scelta della Brambilla come sua pupilla e futura leader di questo fantomatico partito unico, che più che un suo sogno sarà il suo incubo.
Nella CDL infatti la Brambilla è vista come il fumo negli occhi da tutti.
A partire proprio dai caporioni di Forza Italia (i vari Dell'Utri, Bondi, Scajola, Cicchitto), ma anche dal sindaco di Milano Moratti, da Fini e dalle donne di AN - Santanchè e Mussolini in testa.
Basti vedere poi come è stata trattata a pesci in faccia durante la manifestazione organizzata da AN qualche settimana fa, isolata e relegata in fondo al corteo insieme con i suoi quattro gatti dei Circoli della Libertà.
Ma d'altronde cosa poteva aspettarsi di diverso la Brambilla, che da novella sprovveduta del perfido mondo della politica si era pure autoinvitata alla manifestazione.


Insomma Berlusconi ha sbagliato completamente cavallo, scegliendo una persona che forse avrebbe più successo nel mondo del cinema.
E oltre a sognare chimere irraggiungibili, non gli rimane altro che godersi l'ultimo panettone da leader incontrastato della destra e vincere l'ennesima Champions League con il Milan.

Enrico Sabatino


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(pubblicato su gentile concessione dell'Editore)




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domenica 28 ottobre 2007

Von Wernich: ll diavolo confessore







di Maurizio Clerici


Non so quale tormento ha sconvolto i cattolici argentini nell’ascoltare le voci dei sopravissuti alle squadre della morte dei generali P2. Imputato il cappellano militare Christian Von Wernich. Le Tv e i fotografi che cercavano di cogliere nel volto un’ombra di imbarazzo ( se non di pentimento ) trovavano occhi di ghiaccio, labbra piegate nel sarcasmo quando, chi uscito vivo dalle prigioni clandestine, spiegava di quale inferno il sacerdote era stato protagonista.. L’ho visto e rivisto in Tv per evitare il luogo comune del colpevole indifferente, ma Von Wernich insisteva nel rappresentarsi come luogo comune senza speranza. Ha confessato i prigionieri che non si erano arresi alla tortura non avendo segreti da raccontare. Li invitava a collaborare perché l’Altissimo lo pretendeva. Chi confidava la verità nascosta - abbandono di ogni credente che si inginocchia - era lontano dal sospetto di un confessore spia dei torturatori.

L’accusa ha inchiodato all’ergastolo Von Wernich: 7 omicidi, 32 casi di tortura ripetuta dopo le notizie raccolte nel confessionale e 42 amici spariti nel nulla. Nove anni fa il capitano Scilingo è stato il primo repressore a spiegare con quali parole di consolazione Von Wermich ed altri cappellani militari accompagnavano i condannati a morire sull’aereo che li avrebbe dispersi in mare: la volontà del Signore lo pretendeva, segno dell’ amore col quale proteggeva la patria. “Rassegnati, Dio lo sa”. Nell’interpretazione di questi sacerdoti, la rassegnazione disinfettava dagli insetti maligni la nuova società. Ma non erano insetti e non erano maligni: solo ragazzi che non sopportavano l’oppressione armata.

Ecco perché 30 anni dopo memoria e perdono restano i problemi irrisolti della Chiesa nel continente più cattolico del mondo. Von Wermich non è diventato improvvisamente colpevole otto giorni fa. Subito dopo la sentenza del tribunale, la Chiesa annuncia procedure che gli statuti vaticani contemplano per decidere il destino di un prete del quale si conoscono i delitti da tempo immemorabile. Negli ultimi mesi ogni vescovo ha incontrato ogni giorno su ogni giornale e ogni Tv i racconti dei testimoni e i documenti che provano l’orrore. Non a caso il comunicato della Commissione Episcopale appare cinque minuti dopo l’annuncio dell’ergastolo. Perché cinque minuti dopo e non cinque anni o cinque mesi fa come i credenti pretendevano ? Parole preparate da tempo; poche righe che deludono: “Il Vangelo di Cristo impone a noi discepoli una condotta rispettosa verso i fratelli. Un sacerdote cattolico, per azioni e omissioni, si è allontanato dall’esigenze della missione che gli era stata affidata. Chiediamo perdono con pentimento sincero mentre pregiamo Dio nostro Signore di illuminarci per poter compiere la missione di unità e di servizio”. Non una parola di pena per le vittime. La deviazione di Von Wermich rimpicciolisce nella deviazione personale, pecora nera lontana dall’impegno della comunità ecclesiale.

Ed è vero, ma il silenzio della comunità ecclesiale resta il peccato inspiegabile che ha riunito tanti vescovi e tanti sacerdoti alcuni di loro prossimi al processo. E dopo la sentenza se ne aggiungono altri. Il vescovo vicario della diocesi di san Miguel, Federico Gogala, visitava giovani donne che stavano per partorire. Nude e incappucciate per non riconoscerlo. Se ne andava col bambino appena nato mentre la madre veniva assassinata. Una suora e un’infermiera stanno testimoniando. E testimoniano le nonne di piazza di Maggio con la prova di una nipote ritrovata, data in adozione dal Movimento Familiare Cristiano vicino al vescovo ausiliare Gocala. Comprensibile l’imbarazzo e il dolore eppure nessuna spiegazione su “omissioni ed azioni” che tormentano il clero argentino, ma anche sacerdoti e cattolici di tutte le americhe latine, e non solo delle americhe. Non hanno saputo affrontare il passato prossimo con la lealtà che obbliga la loro missione. Per il diritto canonico la decisione sul futuro sacerdotale dell’ex cappellano militare è competenza del vescovo della diocesi, monsignor Martin Elizaide, 67 anni, profilo incolore nella gerarchia argentina. Facile pensare che il verdetto risentirà degli umori della conferenza episcopale. La procedura sarà lunga, Martin Elizaide non ha indicato quanto finirà. A Von Wermich è consentito ricorrere al tribunale vaticano se gli sarà proibito di esercitare la funzione ministeriale.

Si apre un tempo paradossale. Von Wermich può continuare a confessare, celebrare messa come ogni parroco in pace con Dio; potrà distribuire la comunione agli altri torturatori chiusi nella stessa prigione fino a quando la decisione del vescovo non lo impedirà. Ma glielo proibirà per sempre o “la contrizione palese per il male commesso” potrà risorgerlo a nuova vita restituendogli messa, comunione e confessione? Su Ernesto Cardenal e Manuel D’Escoto, ministri nel governo sandinista, papa Woytila aveva alzato l’indice del rimprovero. Hanno perso la messa per sempre. Ferdinando Cardenal, fratello di Ernesto e gesuita, a 70 anni ha riaffrontato il noviziato con l’umiltà di un seminarista adolescente. Ed è tornato a celebrare dopo la lunga punizione. Loro colpa aver accettato un ruolo politico come è successo in altre regioni, anche in Italia. Baget Bozzo (don Gianni per i ragazzi ormai bianchi del ’68) era diventato parlamentare europeo nel nome di Craxi: gli hanno benevolmente imposto la proibizione del predicare in pubblico. Nel privato restava il prete di sempre. Nessuna sanzione radicale.

I delitti di Von Vernich oscurati da silenzio e complicità aprono un capitolo finora esplorato con imbarazzo: il rapporto tra cappellani militari e dittature, dall’America Centrale a Brasile, Cile, Argentina. Con quale spiritualità si sono rivolti a Dio gomito a gomito con le squadre della morte? Fedeli ai doveri pastorali o ligi all’obbedienza dovuta che incatena ogni militare? Fino al processo Von Wernich, ai cappellani militari di Argentina e Cile la Chiesa non ha detto niente. Si sapeva e si sa delle ambiguità a volte degenerate in collaborazione al delitto. Sembra impossibile che i vescovi cappellani militari e i vescovi amici dei vescovi militari siano stati all’oscuro. Possibile che i nunzi apostolici, ambasciatori del Papa, si siano limitati ai sussurri? Forse i doveri diplomatici e l’amicizia personale con gli strateghi della repressione hanno annacquato nell’ipocrisia l’impegno che impone la fede. Vent’anni dopo, 1996, i vescovi argentini si fanno vivi con un’autocritica superficiale. Nel 2000 chiedono per la prima volta perdono. In Cile il silenzio continua. Alla messa della domenica nella cattedrale castrense di Santiago, vecchi e nuovi militari si accostano all’altare con la devozione di Pinochet.

La storia dei rapporti chiesa-stato ha conosciuto in Argentina momenti che oggi (solo oggi) imbarazzano le coscienze. Subito dopo il colpo di stato 1976, il cardinale di Buenos Aires Carlo Aramburu invita i fedeli a collaborare col governo dei generali “i cui membri appaiono assai bene ispirati”. Gran parte dei vescovi e il nunzio apostolico Pio Laghi (cardinale romano) assistono alla cerimonia di insediamento del generale Videla. Laghi è il solo diplomatico straniero presente. Perché? Tre mesi dopo benedice a Tucuman le truppe scatenate nella repressione: “l’autodifesa contro chi vorrebbe far prevalere idee estranee alla nazione… impone misure determinate. In queste circostanze si potrà rispettare il diritto fin dove si potrà”. Anche Benelli, sostituto Segretario di Stato Vaticano, si dichiara “soddisfatto per l’orientamento assunto dal nuovo governo argentino nella sua vocazione cristiana e occidentale”. Paolo VI era stanco, malato. Lo si informa in qualche modo nascondendo quasi tutto.

Anche Giovanni Paolo II viene a sapere della tragedia argentina dalle Madri di piazza di Maggio. La Chiesa di Buenos Aires tranquillizzava il Vaticano ma le madri alle quali avevano rubato i ragazzi vengono a Roma sperando di informare il papa. Per sopravvivere lavorano come perpetue o inservienti in collegi religiosi e parrocchie. Ed è così che Giovanni Paolo II, e non un vescovo argentino, pronuncia per primo la parola “desaparecido”. Tardi, purtroppo: 30 mila morti.

Ieri, come oggi, in Argentina e nel continente latino ( Venezuela compreso ) si delineano Chiese che non si capiscono. Tanti preti e qualche vescovo fra le vittime. Romero e dodici religiosi in Salvador. Due vescovi e religiosi assassinati in Argentina. Il primo a morire don Carlos Mugica, fondatore del movimento dei sacerdoti terzomondismi. Poi padre Josè Tedeschi, poi l’intera comunità dei Pallottini: tre preti, due seminaristi. Il vescovo Enrique Angeletti viene ucciso al ritorno da un convegno in Ecuador organizzato dai teologi della liberazione; il vescovo Carlos Ponce muore a San Nicolas in un incidente stradale che la polizia definisce “immaginario”. Due suore francesi violentate, torturate e uccise dal guardiamarina Astiz. L’essere riconosciuto colpevole non ferma la sua carriera: l’indulto del presidente Menem gli permette la divisa immacolata di capitano di vascello. I vescovi Karlic e Novak non sopportano: precedono il mea culpa ufficiale invocando perdono per il male che la Chiesa “non ha impedito, sopportato e in qualche caso aiutato”.

Il regime cade eppure certe solidarietà non svaniscono. 24 settembre 1991: il nunzio apostolico Ubaldo Calabresi organizza un ricevimento per festeggiare il dodicesimo anniversario dell’investitura di Giovanni Paolo II. Fra gli invitati i generali Videla, Viola e l’ammiraglio Massera riconosciuti colpevoli dell’uccisione di migliaia persone, ma perdonati e rimessi in libertà dalla legge che “riappacifica il paese”. L’altra Chiesa argentina guarda al futuro in modo diverso. Dopo la condanna di Von Wernich la Commissione Giustizia e Pace assistita dal vescovo Jorge Casaretto (71 anni, origini genovesi) si preoccupa del dolore dei familiari ed esprime pietà per le vittime invitando la giustizia a scoprire quali complicità e quanti tradimenti siano allo radice di una tragedia impossibile da nascondere. Casaretto ha guidato la Caritas negli anni del disastro economico: metà Argentina non sapeva cosa mangiare. Ha aperto mense popolari, bussato alle porte che contano.

Von Wernich appartiene all’altra Chiesa. Il suo ergastolo illumina lo scandalo dei sacerdoti che hanno trasformato la confessione in un gadget della tortura. “Era difficile”, sospirava qualche anno fa il vescovo Laguna, portavoce della conferenza episcopale, nella sua stanzetta di Morelos. “Difficile restare fedeli alla promessa e sopravvivere nella paura”. Difficile, ma non impossibile. Cambiando latitudine ecco la storia del cardinale di Praga Miloslav Vlk. Il socialismo reale avevo imposto l’ateismo trasformando la devozione religiosa in un “sentimento privato”. I preti dovevano lavorare per vivere. Per i credenti una sfida andare a messa mentre mani curiose annotavano i nomi sul registro dei sovversivi. Il giovane prete Miloslav Vlk lavava vetri agli angoli delle strade. Ogni tanto perdeva tempo a discorrere coi passanti. Lo racconta nel libro di Sara Regina (edizione San Paolo: Da lavavetri a cardinale). Chi lo avvicinava voleva confessarsi lontano dagli occhi delle polizie. Col secchio d’acqua in mano, Miloslav Vlk ascoltava e assolveva chiudendo nel cuore le loro parole. Qualcuno dovrebbe mandare il libro a Von Wernich e a chissà quanti cappellani militari dell’altra America (ma non solo). Magari capiranno.

mchierici2@libero.it


Cortesia dell'Unità

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La gip Forleo piange




Il giudice Clementina Forleo sabato ha avuto una crisi di pianto mentre riceveva a Pescara il «Premio Borsellino per l'impegno sociale e civile», perché - ha spiegato sul palco - scossa per gli attacchi e i tentativi di delegittimazione ricevuti oggi da un giornale nazionale che oggi ancora tenta di delegittimarmi, dando di me l'immagine di un fiume in piena e di una pazza». Prima di entrare nel salone la Forleo alle domane dei giornalisti non ha risposto limitandosi dire : «Sostengono che faccio la diva, ma non è vero. L'altro giorno ho ricevuto un proiettile». E si è scagliata contro la campagna di delegittimazione del suo lavoro da parte di un quotidiano a tiratura nazionale, cioè il Corriere della sera, che non ha però nominato.


La giudice ha riferito anche di aver rifiutato però di essere scortata, una circostanza che viene giudicata «da far rabbrividire» dal leader della destra sociale Francesco Storace. Anche il portavoce nazionale dell'Italia dei Valori Leoluca Orlando esprime la sua piena solidarietà alla gip di Milano. «Sono estremamente toccato dalle parole pronunciate dal giudice Forleo - ha detto Orlando e ha annunciato -; presenterò quanto prima un atto ispettivo urgente al Presidente del Consiglio ed ai Ministri dell'Interno e della Giustizia, affinché si possa procedere con solerzia alla tutela della dottoressa Forleo e per sollecitare controlli sul suo grado di esposizione».

Intervistato da Lucia Annunziata domenica nella trasmissione In Mezz'ora in onda su RaiTre interviene sul pianto della Forleo anche Luciano Violante. «Mi sono schierato a favore della responsabilità civile dei giudici proprio perché ritengo sbagliato che i giudici si pongano come controparte del potere politico», inizia a dire Violante esprimendo poi «solidarietà umana» alla Forleo che si trova «evidentemente in un momento di difficoltà». Ma non risparmia le critiche, il presidente della commissione Affari costituzionali, sia nei confronti della gip di Milano sia nei confronti del pm Luigi De Magistris per aver partecipato alla trasmissione Annozero.

«Un magistrato non deve utilizzare i mezzi d'informazione per cercare consenso o farsi pubblicità», aggiunge. Anche su De Magistris Violante si augura che il Csm sbrogli la questione presto - dovrebbe pronunciarsi lunedì ndr - e sostiene che anche se l'avocazione dell'inchiesta "Why Not" da parte della procura di Catanzaro «è criticabile», «bisognerebbe leggere il decreto per stabilire chi ha ragione, chi ha fatto la ritorsione», inteso tra Mastella e De Magistris. Secondo Violante bisogna che la magistratura sa messa al sicuro da ingerenze del sistema politico ma non irresponsabile, ovvero - ha spiegato - che cerca consenso invece che nell'applicazione della legge sui mass media, perchè questo tipo di magistratura a suo giudizio è «pericolosa».


Pubblicato il: 28.10.07
Modificato il: 28.10.07 alle ore 15.21

fonte: http://www.unita.it/view.asp?idContent=70142

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Quella legge a favore del lavoro nero


Carlo è un piccolo imprenditore edile ligure che acquista appartamenti, li ristruttura e poi il rivende. In questo modo mantiene dignitosamente la sua famiglia. Paga le tasse e ha un fatturato che giustifica l'assunzione di qualche dipendente. Siccome Carlo ha cominciato dalla gavetta e tuttora, quando è necessario, usa le braccia, ha un occhio particolarmente attento nel valutare la capacità lavorativa dei suoi muratori, che sono anche dei colleghi.

Di Enrique, un ragazzo di venticinque anni originario dell'Ecuador, Carlo ha subito apprezzato la serietà - "E' puntualissimo, altro che certi italiani che arrivano al lavoro mezzo addormentati dopo aver passato la notte in discoteca" - e la perizia. Tanto che, un anno e mezzo fa, ha presentato la domanda per l'assunzione internazionale.

Enrique, infatti, lavorava da clandestino. E Carlo, il suo datore di lavoro, violava la legge. Ma era in buona, e soprattutto numerosa, compagnia. Secondo stime del sindacato degli edili della Cgil, i lavoratori stranieri impiegati nel settore sono il 25 per cento del totale. "Ma - ha dichiarato il segretario nazionale Franco Martini - sappiamo che un altro 25 per cento lavora in nero o è irregolare". Com'è noto, l'emersione del lavoro nero è un obiettivo del sindacato condiviso da tutto il mondo politico. La decisione di Carlo andava in questa direzione. Il seguito dimostrerà che non è stato premiato. Al contrario.

Ma prima è necessario ricordare il meccanismo delle assunzioni internazionali. Secondo la legge, il datore di lavoro dovrebbe individuare il lavoratore nel suo paese di origine e, senza averlo mai visto, assumerlo.

Una strana pretesa e, infatti, le assunzioni internazionali sono un sistema per regolarizzare lavoratori che già si trovano in Italia. Quando arriva il decreto, a fare la fila alle poste sono gli stessi immigrati, non i datori di lavoro. E' un fatto noto a tutti. Tanto che al tempo del governo Berlusconi, i leghisti polemizzarono col ministro dell'Interno Beppe Pisanu domandandogli perché mai quei lavoratori in fila, che erano quasi certamente irregolari, non venivano individuati ed espulsi. La cosa finì là: tutti, anche i leghisti, sono consapevoli della somma ipocrisia della legge.

Una legge che, inoltre, è applicata male. Tra la domanda e la risposta spesso passa più di un anno. Infatti, a distanza di un anno e mezzo, Carlo e Enrique ancora l'attendevano. E nell'attesa, come sempre, lavoravano. Stavano lavorando alla ristrutturazione di un casale nel Basso Piemonte quando, due mesi fa, sono stati circondati dai carabinieri che scortavano un ispettore del lavoro. Carlo è rimasto sorpreso: "Eravamo in una zona isolata, non ci vedeva nessuno".

Ma la sorpresa maggiore è stata scoprire che la domanda di regolarizzazione di Enrique è diventata la prova della sua colpevolezza: se ne aveva chiesto l'assunzione internazionale, Carlo sapeva che era un clandestino. Non l'avesse chiesta, avrebbe potuto raccontare - come fanno in casi analoghi molti datori di lavoro in nero - che Enrique era arrivato là proprio dieci minuti prima del blitz. Probabilmente se la sarebbe cavata senza danni. Invece si è preso una multa di ottomila euro ed Enrique ha avuto l'ordine di espulsione. E' chiaro che, se incontrerà un altro Enrique, Carlo non commetterà più lo stesso errore. Continuerà, come tanti suoi colleghi, a violare la legge. Ma si può chiamare "legge" un sistema di norme delle quali si dà per scontata la violazione?

(glialtrinoi@repubblica.it)


fonte: http://www.repubblica.it/2005/b/rubriche/glialtrinoi/legge-lavoro-nero/legge-lavoro-nero.html

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