"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

giovedì 11 ottobre 2007

Birmania: il video dell'orrore

MONACI TORTURATI FATTI SPARIRE NELLA NOTTE

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IL PUNTO




I monaci rivoluzionari


Da più di un mese in Birmania è in corso una serie di manifestazioni di piazza contro la sciagurata decisione del 15 Agosto scorso da parte della giunta militare al potere di raddoppiare il prezzo della benzina e di quintuplicare il prezzo del gas per uso domestico, facendo così lievitare anche i prezzi delle tariffe dei trasporti pubblici e dei beni di prima necessità, medicinali compresi, e aggravando ovviamente le già disastrose condizioni economiche in cui versa la stragrande maggioranza del popolo birmano.

La giunta non ha dato alcuna motivazione per tale dissennata decisione, ma c’è chi dice che sia un pretesto per alimentare le proteste e quindi procedere a un nuovo giro di vite contro chi si batte per il ripristino della democrazia. E’ purtroppo un fatto assodato da tempo in questa giunta il suo mix micidiale di violenza repressiva e pura idiozia. Oltre a derubare il Paese delle sue risorse naturali (gas, petrolio, legname e pietre preziose) svendendole all’estero per poi importare il prodotto raffinato a prezzi insostenibili a lungo termine, i generali al potere sono pure circondati da uno sciame di indovini che influenzano le loro decisioni che puntualmente si rivelano un disastro per il Paese dal punto di vista economico e sociale.

Già nel 1987 un indovino aveva convinto l’allora leader della giunta Ne Win a dichiarare l’annullamento del valore delle banconote, perché secondo questo idiota le banconote divise in decimali sarebbero state causa di sventure per il Paese. E così da un giorno all’altro milioni di birmani si ritrovarono sul lastrico, visto che non esisteva (e non esiste in pratica neanche oggi) un sistema bancario degno di tal nome e tutti i risparmi erano in contanti e tenuti in casa. Ovviamente non era stata data la possibilità ai birmani di cambiare le vecchie banconote con le nuove che, sempre secondo il consiglio dell’indovino, sarebbero dovute essere suddivise per i multipli di nove. Allucinante. Dopo qualche anno si è però tornati ai decimali.

L’ultimo esempio dell’idiozia dilagante tra i generali al potere è stata la decisione presa un paio di anni fa di spostare la capitale da Rangoon - Yangoon secondo la nuova denominazione decisa dai generali, che hanno anche cambiato il nome del Paese nell’odierno Myanmar - in una località scelta al centro del Paese ma nel bel mezzo della foresta, nel nulla. Tutti i funzionari che lavoravano nei vari ministeri di Rangoon sono stati obbligati a trasferirsi, altrimenti sarebbero finiti in carcere. I lavori per costruire da zero il palazzo del governo, i ministeri, gli uffici amministrativi vari, l’aeroporto e le nuove case per i dipendenti pubblici erano già cominciati anni prima nel silenzio assoluto delle autorità. Nessuno ne sapeva niente.

Il nome scelto per la nuova capitale è Naypyidaw che vuol dire “Il posto dove vivono i re”, altra grande idea del leader della giunta, il 74enne generale Than Shwe. Naturalmente c’è una spiegazione più razionale a tutto ciò: la paura dei generali di subire un’invasione armata straniera. Rangoon è infatti molto più vulnerabile di una roccaforte situata nel cuore della foresta. Ma fin quando i generali avranno le spalle coperte da Cina e India, i loro maggiori sponsor, ciò non si verificherà mai.

Le proteste di questi giorni sono partite dall’iniziativa del Gruppo della 88-Generation Students, formato dagli ormai ex studenti che nel 1988 si sollevarono contro la giunta per il ripristino della democrazia ma furono repressi nel sangue, arrestati e torturati in massa. Già un paio di giorni dopo la prima manifestazione tredici importanti attivisti della 88-Generation sono stati arrestati e spariti nel nulla, ma si segnala almeno un altro centinaio di arresti che si aggiunge al migliaio circa di detenuti politici già in carcere da anni; molti attivisti poi si sono dati alla clandestinità.

Ma agli studenti e agli attivisti politici della NLD - la National League for Democracy, il partito di Aung San Suu Kyi - si sono aggiunti i monaci, che anche negli anni scorsi si erano fatti portabandiera di marce e manifestazioni di protesta contro la giunta.

Nonostante “l’invito” del regime a non unirsi alla protesta, migliaia di monaci sfilano ogni giorno da una pagoda all’altra a Rangoon, Mandalay e in molte altre località della Birmania protetti da un cordone di gente che sempre più numerosa scende in piazza. Marciano con la ciotola del cibo capovolta in segno di rifiuto e disprezzo del regime, soprattutto dopo le sue mancate scuse per le violenze commesse contro alcuni monaci il 6 Settembre a Pakokku in risposta al sequestro di una ventina di soldati tenuti in ostaggio per poche ore dai monaci nel loro monastero e al rogo di qualche auto dell’esercito e polizia nei pressi dello stesso monastero.

Nei giorni scorsi la “Federation of All Burma Young Monks Unions” ha emanato un comunicato esortando il popolo birmano a unirsi coraggiosamente ai monaci e agli studenti nella protesta.

Anche un importante poeta, Aung Way, ha esortato tutti gli artisti e poeti birmani a unirsi alla protesta. Ma se agli studenti, ai monaci, agli intellettuali e a gran parte popolazione si unissero anche i soldati semplici e gli ufficiali di grado inferiore dell’esercito, forse questa volta al regime per sopravvivere non basterà aver ingaggiato le solite squadracce di picchiatori e paramilitari che sono già entrate in azione negli ultimi giorni.

Infatti quasi ogni famiglia birmana ha un proprio membro nell’esercito o nella polizia ma solo la cricca legata ai generali del SPDC - State Peace and Development Council, il nome della giunta al potere - si è veramente arricchita alle spalle del resto del Paese. Per ora non c’è ancora stata la solita brutale reazione sanguinaria del regime e non è ancora stato dichiarato ufficialmente lo stato di emergenza, ma a Rangoon e dintorni sono arrivati molti soldati di rinforzo armati di tutto punto e c’è chi dice che lo stato d’emergenza sia stato dichiarato in segreto nella nuova capitale Naypyidaw per autorizzare le autorità regionali e locali a mantenere sotto controllo le dimostrazioni anche sparando alla folla se necessario. Si dice anche che in qualche ospedale di Rangoon e zone limitrofe sia stato dato l’ordine di mandar via tutti i pazienti.

Non si sa quindi ancora che piega prenderanno gli eventi ma queste proteste, che continuano ogni giorno da più di un mese, rappresentano un fatto molto importante e andrebbero sostenute da tutti i cosiddetti Paesi civili e democratici.

Per esempio sospendendo immediatamente il corso di formazione in diritto umanitario, diritti umani e diritto dei conflitti armati previsto in Ottobre presso l'Istituto Internazionale di Diritto Umanitario di Sanremo, con la partecipazione di funzionari del regime birmano; un corso organizzato e finanziato dal nostro Governo in barba al divieto di ospitare nei Paesi UE funzionari della giunta militare con un grado superiore a caporale.

Così, tanto per cominciare in casa nostra.

Enrico Sabatino

fonte: http://www.canisciolti.info/news_dettaglio.php?id=8995
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Birmania: traballa il regime militare

Una protesta di massa mette in pericolo il sanguinario regime



di Alberto Madoglio

Le proteste di massa che da giorni stanno infiammando diverse città di Myanmar (la Birmania), hanno costretto tutti i mezzi d’informazione a interessarsi delle sorti di un Paese del quale fino a poco tempo fa non si erano mai preoccupati.


La nascita della dittatura militare

Alla fine della seconda guerra mondiale è iniziato nel Paese un vasto movimento popolare, diretto dalla Lega delle Persone Antifasciste (un fronte popolare in cui partecipava anche il locale Partito Comunista), il cui principale dirigente era Aung San (padre di Aung San Suu Kyi, leader della Lega Nazionale per la Democrazia, Lnd, conosciuta all’estero come la maggiore esponente dell’opposizione al regime militare e oggi agli arresti domiciliari), che dopo una lotta di due anni ha posto fine alla dominazione inglese.

Aung San è stato assassinato nel 1947. Nel 1962, dopo un lungo periodo di instabilità e di mobilitazione studentesche, vi è stato un golpe militare che ha instaurato una feroce dittatura.
Da allora, la giunta militare al potere, lungi dall’avere intrapreso una sorta di "via birmana al socialismo" (come tutta la stampa borghese vorrebbe farci credere), ha ridotto in miseria e schiavitù cinquanta milioni di cittadini, proibendo partiti politici e sindacati indipendenti.

Oggi il Paese, pur essendo molto ricco di materie prime, specialmente petrolio, gas, legname pregiato e pietre preziose, è uno dei meno sviluppati del sud est asiatico. Il governo destina il 40% del bilancio annuo statale al mantenimento dell’esercito (che con mezzo milione di soldati è uno dei più imponenti al mondo), col risultato che la maggior parte della popolazione di quella che un tempo era soprannominata la “scodella di riso dell’Asia” (per il fatto di essere uno dei maggiori produttori del nutrimento fondamentale per centinaia di milioni di persone del continente), è oggi sottoalimentata.
In questa situazione di cronica miseria, ha preso fuoco la miccia che ha innescato le proteste di questi giorni.

L’impennata dei prezzi dei beni di prima necessità sul mercato mondiale, che si è verificata nel 2007 (causata dalla speculazione finanziaria e dalla crescita economica di Paesi come Cina e India), ha avuto pesanti conseguenze. L’innalzamento generale dei prezzi, verificatosi a gennaio, è stato affrontato dalla giunta militare con la decisione in agosto di raddoppiare il prezzo della benzina, del gasolio, e di quintuplicare il prezzo del gas naturale.
Così, da un giorno all’altro, un lavoratore che di norma guadagna 1000 kyrat al giorno, si è visto costretto a spenderne 800 per poter usare i mezzi pubblici (come racconta La Repubblica del 27 settembre).


L'inizio delle proteste

Le sporadiche e isolate proteste iniziate a febbraio si sono via via estese, fino ad arrivare alle imponenti manifestazioni che abbiamo visto nei telegiornali e che hanno interessato i maggiori centri del Paese, come l’ex capitale Rangoon (ora ribattezzata Yangon) e Mandalay.
Da quanto si riesce a sapere, tra i manifestanti vi sono molti giovani, studenti, e “lavoratori in generale” (sempre per usare la terminologia della stampa borghese).

Al momento, nelle manifestazioni un ruolo centrale è giocato dai monaci buddisti. Ammonta a circa mezzo milione il numero di religiosi, ed è interessante notare come le differenze di classe attraversino questa organizzazione. Le alte gerarchie che ricevono dai militari lucrosi finanziamenti che permettono loro di avere un’esistenza agiata, sostengono il governo. Sono invece i giovani monaci che partecipano attivamente alle mobilitazioni in quanto colpiti direttamente dagli effetti della crisi economica in atto poiché vivono a più stretto contatto con la maggioranza della popolazione e traggono di che vivere dall’elemosina che questa elargisce loro.
Hanno assunto, col passare dei giorni, posizioni più radicali. Se in un primo tempo gli slogan facevano appello alla riconciliazione nazionale, oggi rivendicano la cacciata dei militari e la fine della dittatura, per mezzo dell’azione di massa (che, aggiungiamo noi, essendo per ora "non violenta", e cioè priva di autodifesa, è per questo facilmente reprimibile).
Diversamente l’Lnd ad oggi avanza una proposta di accordo con i generali, per arrivare ad una “transizione morbida” alla "democrazia" e in questa partita stanno cercando di entrare prepotentemente anche le maggiori potenze mondiali.

Europa e Usa si dimostrano, a parole, i più duri e conseguenti oppositori del regime, mentre Cina, India e Russia al momento ritengono di "non dover interferire" nella politica interna del Paese. La posta in gioco, come sempre, non è fra "democrazia" e "dittatura" (due termini astratti dietro cui si nasconde di tutto), ma per il controllo delle risorse.

I Paesi imperialisti cercano oggi di scalzare Russia, Cina e India da ruolo di partner privilegiati della Birmania; mentre questi ultimi vorrebbero un mantenimento dello status quo che ha permesso loro negli anni di fare investimenti per diversi miliardi di dollari. In particolare è la burocrazia restaurazionista di Pechino ad avere le maggiori mire sul Paese, anche per la posizione strategica che la Birmania ha come porta di nuovi investimenti verso occidente per la Cina.


Dove va la Birmania?

Mentre scriviamo
il finale della lotta in corso non è ancora stato scritto. La repressione ha avuto inizio, ma la protesta non sembra essere diminuita di intensità. Circolano voci per cui alcuni reparti militari si sarebbero rifiutati di partecipare alla repressione, e che al contrario si sarebbero uniti ai manifestanti. Questo dimostra che la posta in gioco è molto alta, e che entrambi gli schieramenti hanno iniziato una lotta che terminerà solo con la sconfitta sostanziale di uno dei due contendenti.

Per evitare un nuovo 1988 (cioè la feroce repressione e una recrudescenza della dittatura che vi fu dopo un altro periodo di lotte contro il regime), ma per evitare anche che della situazione tragga giovamente solo l'imperialismo nel sostenere un rinnovamento del regime o un regime nuovo comunque posto sotto il suo controllo (magari travestito da democrazia parlamentare), è indispensabile che la classe operaia birmana, in alleanza con i contadini poveri, si organizzi in maniera indipendente. Non saranno infatti né il piccolo clero buddista, né la Lnd, né tantomeno l’imperialismo o le nuove potenze emergenti, a farsi paladini delle rivendicazioni della popolazione sfruttata.

Anche stavolta, come sempre quando le masse popolari si mobilitano, anche se inizialmente senza un programma e persino guidate da religiosi, l'imperialismo è allarmato. Ciò che più teme è di non riuscire a controllare le manifestazioni e di perdere il controllo della situazione. Teme appunto che le masse oppresse si organizzino sulla base delle loro esigenze di classe: che sono inconciliabili con gli interessi dell'imperialismo.

Ciò che serve -e manca drammaticamente fino ad ora anche in Birmania- è allora un
partito rivoluzionario basato su un programma transitorio, che si costruisca in queste grandi lotte, che ne organizzi la crescita e l'autodifesa (non mandando masse inermi di fronte ai fucili), che abbia come parole d’ordine la nazionalizzazione senza indennizzo della terra e delle grandi imprese di estrazione di materie prime del Paese, e la creazione di una democrazia basata sui consigli di operai e contadini poveri, capace di dirigere le masse verso una reale vittoria, in una prospettiva socialista.

fonte: informa@alternativacomunista.org

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3 commenti:

Equo ha detto...

'fanculo,'fanculo, 'fanculo!
"...amore, pietà, la famiglia, il pezzetto di terra a legarci le mani..." (C.Pavese)
Solo una decina d'anni or sono avrei già avuto il fottuto zaino in spalla!
Che merdata invecchiare!

Val ha detto...

Possiamo farlo ugualmente ..noi anarchici nei sentimenti.
Un abbraccio.
Val

Franca ha detto...

Una comunità internazionale "distratta" in tutti questi anni ha ampiamente ignorato la Birmania e quello che vi succedeva.
In pochi hanno però ignorato le possibilità economiche che offre questo paese.
Non è un mistero che, a dispetto delle condanne ufficiali, fra i maggiori investitori in Birmania ci siano Francia, USA e Gran Bretagna.