"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

sabato 28 luglio 2007

Svezia: quale Paradiso?



Tra Socialismo ed Eugenetica

di Carlo Lottieri

Da decenni la Svezia è al centro di un’infuocata controversia ideologica, che in più di un’occasione ha finito per celare la realtà di questo Paese, facendone quasi soltanto uno schema astratto. Nei dibattiti contemporanei, la società svedese è spesso esaltata in quanto capace d’essere al tempo stesso efficiente e solidale, moderna e redistributiva, in grado di produrre ricchezza e ridurre le disuguaglianze. Per la sinistra europea, il sistema sociale scandinavo è una specie d’icona: da difendersi ad ogni costo.

In realtà, la Svezia è più complessa di quanto non si creda. Pochi sanno, ad esempio, che negli ultimi trent’anni gli svedesi si sono in parte allontanati dai dogmi dello statalismo di un tempo, avviando un processo di liberalizzazione che fa di questa economia (pur molto tassata) una realtà abbastanza estranea a taluni vizi che caratterizzano la Francia, la Germania e la stessa Italia.

In particolare, la Svezia non conosce quel tipo di politica economica che contraddistingue le socialdemocrazie del continente (non ha un settore pubblico che ricordi l’Iri o i colossi francesi à la Renault); e questo spiega perché l’indice sulle libertà economiche redatto dalla Heritage Foundation le assicuri negli ultimi anni una buona posizione, ben al di sopra di molti altri paesi europei. Lo statalismo svedese, quindi, si concentra sui “servizi alla persona”: in quel mix di paternalismo ed assistenzialismo che caratterizza il modello scandinavo.

È comunque vero che nell’edificare il proprio sistema di welfare la Svezia ha espresso un radicalismo senza paragoni, fino al punto da delineare un’esistenza programmata – dalla culla alla tomba – che non solo riduce gli spazi di responsabilità del singolo (basti ricordare che il tasso di assenteismo, in Svezia, è triplo rispetto all’Italia), ma conosce pure esiti inquietanti. Perché, sebbene per decenni non se ne sia parlato, la socialdemocrazia nordica ha sviluppato programmi eugenetici non privi di punti di contatti con le analoghe politiche naziste.

Per cogliere alcuni aspetti di tale intrigante vicenda – che fu chiusa solo da Olof Palme – è ora disponibile un volume scritto da un giovane studioso italiano, Luca Dotti, che ha esaminato il quarantennio (1934-1975) durante il quale la socialdemocrazia di Stoccolma ha promosso la sua legislazione su castrazione, sterilizzazione e aborto. Risultato di un attento lavoro d’archivio, il volume di Dotti ha soprattutto il merito di documentare: al di là di ogni interpretazione e giudizio. E leggendo queste pagine colpisce l’intreccio tra le “buone intenzioni” (i sussidi per l’alimentazione o l’abbigliamento dei bambini) e la “violenza amministrata”. Basti ricordare che in un paese di non molti milioni di abitanti come la Svezia furono praticati ben 63 mila interventi di sterilizzazione, contro i 300 mila della Germania nazista.

Dai documenti analizzati emerge nettamente la stretta connessione tra le teorie socialiste dell’economista Gunnar Myrdal, premio Nobel nel 1974, e i progetti eugenetici governativi. L’esplicito obiettivo di Dotti è cogliere i paradossi e le difficoltà della “società svedese dagli anni Trenta agli anni Settanta, totalmente rapita dal mito e dal sogno genocratico di una popolazione perfettibile, razionalmente e programmaticamente adatta al Nuovo Mondo del progresso, della serialità, e della grande dimensione”.

Nel pensiero di Myrdal e di sua moglie Alva l’azione coercitiva dello Stato orientata a sterilizzare, castrare, imporre l’aborto e fare tutto il possibile per migliorare la “razza svedese” è parte di una visione collettivista che affida allo Stato l’incarico di prendersi cura della società nel suo insieme. Per le donne, così, è immaginato un sistema di aiuti e servizi che però non rinuncia ad esprimere una dura condanna moralistica nei riguardi del lavoro domestico. Fa una certa impressione, ad esempio, leggere che la casalinga, la quale non partecipa attivamente alla produzione dei beni collettivi, solo per questo può essere accusata – come fanno i Myrdal nel 1934 – di essere svogliata, egoista, chiusa in se stessa.

Sulla base di simili considerazioni (che riguardano le donne, ma anche le minoranze etniche, i marginali e altri gruppi) sono quindi realizzati autentici piani per tutelare la sanità della “razza svedese”.

Così per imporre la sterilizzazione amministrativa di questo o quell’internato basta redigere documenti in cui si fa riferimento al suo basso quoziente intellettivo, ai problemi penali dei parenti, ai figli nati da relazioni extra-coniugali, a problemi fisici (pleurite o altro) e mentali. Poliomielitici, zingari, malati psichici o semplicemente homeless – persone molto povere e per questo non di rado anche analfabete – in tal modo diventano vittime di una macchina spietata, la quale lavora per la collettività e quindi non può avere certo pietà del destino di questi miserabili.

Ma tale collegamento tra socialdemocrazia assistenziale e politiche eugenetiche è da considerarsi puramente occasionale, oppure vi è un legame profondo? La connessione è rilevante, evidente e si colloca a vari livelli.

In primo luogo, il sistema politico socialdemocratico implica la dissoluzione dei diritti individuali, e l’eugenetica può imporsi solo se il corpo sociale è spogliato di ogni capacità di resistenza. In una società in cui i singoli siano considerati soggetti autonomi, proprietari di sé e titolari di diritti originari (al riparo da imposizioni ed espropri), nemmeno la violenza delle sterilizzazioni di Stato potrebbe essere pensabile. Perché l’ombra di Hitler oscuri il Paradiso in terra degli scandinavi è necessario che Locke sia cancellato e si neghi ogni relazione tra proprietà e libertà.

In secondo luogo, la socialdemocrazia implica un indebolimento della famiglia e di ogni altro ambito comunitario naturale, spontaneo, liberamente scelto. Come più di un teorico ha rilevato (a partire da John Rawls), la famiglia è il luogo fondamentale di riproduzione delle differenze e una società egualitaria deve – in un modo o nell’altro – proporsi di depotenziare tale istituzione. Ma una volta che gli individui e soprattutto i soggetti più deboli sono lasciati soli, non bisogna sorprendersi se essi finiscono per subire ogni abuso e violenza da parte dei titolari della forza pubblica.

In terzo luogo, l’ideologia socialdemocratica definisce l’uomo a partire da quei bisogni, più o meno elementari, che gli apparati statali si attribuiscono il compito di soddisfare. Ogni uomo deve disporre di una data salute e di una certa istruzione, deve disporre di un qualche reddito e avere un suo ruolo. In assenza di tutto ciò, la vita non è più dignitosa, né meritevole di essere vissuta. E quando l’azione pubblica non è in grado di assicurare gli standard minimi di qualità della vita, allora tanto vale inibire la nascita di tali soggetti.

Proprio questo gretto materialismo spiega meglio di ogni altra cosa l’universo ottusamente secolarizzato di questa socialdemocrazia scandinava innamorata dell’eugenetica. Il progetto orientato ad impedire (anche grazie a metodi irrispettosi della persona umana) che soggetti malati vengano alla luce è perfettamente coerente con la filosofia della solidarietà di Stato, con l’assistenzialismo coercitivo, con le teorie volte a pianificare la vita sociale.

Il collettivismo socialdemocratico, per giunta, non è privo di tratti ‘produttivistici’. Come rileva Dotti, nella Svezia degli anni Quaranta “i ritardati ineducabili erano considerati un peso, e la loro impossibilità a diventare produttivi permetteva l’assenza di cura ed istruzione”, mentre un trattamento diverso era assicurato ai ritardati in grado di lavorare. Nel 1935 un documento ministeriale ufficiale riportato nel volume arrivò ad affermare che “non risulta di alcun interesse per la società che individui di scarsa qualità fisica e psichica si riproducano”: brano che evidenzia nettamente come l’eugenetica – quale volontà di operare in maniera coercitiva sulla sfera della procreazione – intrattenga un rapporto originario con le logiche socialiste e con l’idea che l’interesse generale faccia premio sui diritti dei singoli.

Sullo sfondo di tutto ciò vi è quella prospettiva grevemente positivista che nel 1922 aveva condotto a creare l’Istituto Statale per la Biologia Razziale, entro un contesto generale che non mancava di esaltare la specificità etnica degli svedesi. Come in Germania e in altri paesi europei, anche nella società scandinava viene elaborato il mito dei contadini, che grazie al loro legame con la terra e i loro limitati rapporti con gli scambi e le città sono individuati quale “razza pura”, sottratta ad ogni meticciamento.

In qualche modo, tutto torna. C’è infatti un filo rosso che congiunge il plumbeo neo-positivismo di Axel Hägerström (noto ai filosofi del diritto per il suo nichilismo dei valori), il collettivismo economico di Myrdal e l’esplicito razzismo di politiche che colpiscono spietatamente – ad esempio – i tattare, insieme di gruppi etnici nomadi tradizionalmente guardati con ostilità dalle popolazioni rurali svedesi.

D’altra parte, non si può pensare che Lager e guLag siano sorti dal nulla. Già in Rousseau e nei testi teorici del primo socialismo s’afferma l’idea che la politica deve assumere una prospettiva demiurgica. Agli occhi dei fautori delle utopie collettiviste, la realtà è sbagliata, corrotta, bisognosa di una palingenesi. Ridistribuire, castrare, pianificare, tassare, incentivare, regolamentare e aiutare sono solo varianti di una medesima logica, che trova nella tremenda hybris del potere statale il suo momento unificante.

da L'Indipendente, 10 luglio 2005

fonte: http://www.brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=1789

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3 commenti:

Val ha detto...

Riporto dal libro:
Olof Palme vita e assassinio di un socialista europeo.
Autore Aldo Garzia
Pag 87-88
La pagina nera dell'eugenetica

Ma anche nella storia della socialdemocratica Svezia c'è una linea d'ombra.
Riguarda le politiche eugenetiche che si sono praticate per quattro decenni,dal 1934 al 1975,con il risultato di ben 62.888 sterilizzazioni.
I governi socialdemocratici che in quel periodo si sono susseguiti ininterrottamente hanno infatti legiferato su sterilizzazione ,aborto e castrazione convinti che tra gli obiettivi della peculiare politica di welfare-oltre alla piena occupazione,alla qualità della vita e dei servizi-ci fosse pure quello di agire sul "cittadino nuovo"eliminando le tare genetiche che affliggevano alcune fasce della popolazione(Luca Dotti,l'utopia eugenetica del welfare state svedese 1934-1975,Rubbettino)
Gli ideatori del progetto di "cittadino nuovo" sono i coniugi Gunnar e Alva Myrdal,fin dagli anni trenta battistrada dei programmi economici e sociali socialdemocratici che prendono il nome di Folkhemmet.
Questi due sociologi ed economisti ,usando anche l'eugenetica,pensavano fose lecito intervenire sui comportamenti individuali considerati devianti di alcolisti ,immigrati,cittadini con disturbi mentali,eccetera.
Tutto si svolgeva democraticamente,cercando il consenso di chi accettava di sottomettersi a sterilizzazione o aborto con la certezza di contribuire a migliorare la società svedese.
E c'erano finanche Corti di giustizia che s'incaricavao di verificare la trasparenza delle procedure e l'assenso dei singoli a sottoporsi alle pratiche mediche.
Questa linea d'ombra dell'esperienza svedese rimanda al quesito sui limiti della politica ,anche quando si hanno le migliori intenzioni.
Come prevedono le politiche di welfare ,è giusto assistere,tutelare,integrare e non abbandonatre a se stessi le fasce sociali più disagiate ma la pretesa di intervenire sul genoma umano per modificarlo e correggerlo fa invece parte dei confini della scienza nel suo rapporto con l'etica e non appartiene agli obiettivi di un programma politico.
Le norme che regolavano l'eugenetica sono decadute nel 1975 grazie all'iniziativa del governo presieduto da Olof Palme.

Considerazioni :
ci sono voluti 6 anni ma poi Palme ha capito,
segno che qualcuno di grande dietro di lui era arrivato( è sempre così).
Purtroppo per noi dietro a Prodi ci sono Sircana&co.
Sti' Myrval boh?
Economisti e sociologi che si vogliono occupare di genoma umano applicato alla convenienza politica?
Sarà, ma mi sono molto più consoni e familiari i detti popolari e credo che la stessa saggezza popolare conribuisca,e non poco, a creare una buona base di partenza per ogni progetto o tipo di rapporto di qualsiasi natura.
In questo caso il" Ad ogni oufelè (leggi ufelè) el sò mestè "(ad ognuno il suo mestiere)era già un buon indizio per domandarsi se fosse il caso e fermarli.
Suerte a tutti.
Val

Val ha detto...

Non so per altri, ma per me la teoria di Marx sul"rapporto sociale del capitalismo di produzione" indica ad uno stato democratico quale deve essere il suo ruolo nel rapporto della triplice e cioè tra chi presta l'opera ,chi la offre e chi ne sarà garante.
Il problema quindi non è legato solamente alla politica ma anche ai personaggi che compongono la triplice in questione.
Diventano d'obbligo tre domande:
Abbiamo noi rappresentanti dei lavoratori in grado di rappresentarli?
Hanno gli imprenditori rappresentanti capaci di comprendere l'equazione veltroniana sul bene comune?
Hanno le politiche strutturali(così come Bersani ama chiamare quello che nella sostanza e per il popolo è lo stato)politici capaci di assecondare ,controllare e garantire queste intese?
Credo che no,quindi ecco a voi il bisogno di mediazione ed ecco il ...PD!
Un successone raga!
Suerte
Val

Anonimo ha detto...

Caspita! Qui siamo tra horror e fantapolica.
Un saluto.