"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

martedì 31 luglio 2007

Canne e cannoni




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Left n.22 del 1 giugno 2007

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L’escalation nell’abuso di sostanze illecite nei teatri di guerra ormai coinvolge militari e civili. Stimolanti e stupefacenti invadono Paesi già devastati dai conflitti. Così tra scontri a fuoco, violenze e privazioni aumentano i casi di dipendenza


di Alessandro De Pascale


Nell’Europa orientale il problema maggiore sono le droghe chimiche, quelle di sintesi. Balcani e Cecenia ne sono pieni. Il Muro è caduto. Ma non i laboratori illegali per la produzione delle anfetamine. Anna Politkovskaja, la giornalista uccisa a Mosca per il suo impegno nel raccontare le verità nascoste dei conflitti russi, ha più volte sollevato il problema. Ha anche scritto di cittadini ceceni che vanno in giro con le tasche cucite, per evitare che i soldati russi li arrestino infilandogli la droga nei pantaloni.
Ma le storie più dure vengono dall’Iraq dilaniato dalla guerra civile, sconvolto da una spirale di violenza che ha lasciato intatte pochissime famiglie. Tamam Abdul-Kadhim, 35 anni, nel 2004 ha vissuto un bombardamento nel centro di Baghdad. Era la prima volta che assisteva a un bagno di sangue. Un avvenimento che ha cambiato per sempre la sua vita. La notte non chiudeva occhio. Allora ha iniziato a usare sedativi, diventandone dipendente. L’Iraq di oggi è pieno di persone nelle sue stesse condizioni. Uomini e donne imprigionati in una quotidianità di morte e terrore. Chi ha potuto è andato via, si è trasferito in Giordania o in Europa. Chi è rimasto cerca sempre di più nelle droghe l’unica possibilità di evadere dalla realtà.

I consumatori appartengono a tutte le classi sociali: insegnanti, militari, poliziotti e disperati. Usano di tutto, dagli psicofarmaci all’eroina. Non essendo un Paese produttore, l’Iraq non si era mai dovuto confrontare con problemi di droga, e ai tempi di Saddam gli unici problemi di dipendenza riguardavano l’alcol. Oggi a causa degli attentati degli estremisti contro i locali pubblici è diventato difficile trovare alcolici. Ma il Paese è ormai pieno di droga. Farmaci contenenti anfetamina e codeina (un derivato medico dell’oppio) si trovano a prezzi bassissimi ad ogni angolo di strada, sui banchi dei mercati e persino nei bar. Dove un tè da 400 dinari (10 centesimi di euro) lo servono direttamente con gli psicofarmaci sciolti dentro. Il problema è che spesso i clienti neanche sanno cosa assumono. Esiste un commercio di farmaci destinati a persone che, anche quando le medicine sono nelle loro confezioni, non sanno leggere dosi e indicazioni. Scritte in inglese, con il marchio del ministero della Salute iracheno e la dicitura «not for sale» (quindi non vendibile senza ricetta medica). Non di rado sono aiuti esteri, dotazioni delle ong. Per strada, scatola e foglietto illustrativo neanche ci sono. Sui banchi dei mercati le pillole si trovano sfuse. Trenta per 500 dinari, medicine di cui nessuno conosce la data di scadenza e che magari sono sotto il sole da settimane. Anche il canale ufficiale di distribuzione, le farmacie, è diviso in due: ci sono quelle che vendono i farmaci di classe A (i più potenti) anche senza ricetta, e quelle a cui non piace vendere un certo tipo di psicofarmaci. Ma di solito anche lì, descritto il sintomo, si ottiene ciò che si chiede. «Se finisci in galera una delle prime cose che ti chiedono i secondini è se hai bisogno di una pillola: prezzo 250 dinari», scriveva di recente una lettrice al direttore di un quotidiano di Baghdad. Campanello d’allarme per comprendere quanto il loro uso sia diffuso nel Paese, con il silenzio del governo, della polizia locale e delle forze di occupazione.

All’uso degli psicofarmaci si è poi aggiunto quello di eroina e cocaina. «Gli iracheni stanno consumando sostanze illecite come mai prima d’ora. Stimiamo che oggi siano circa 5.000 le persone che usano droghe nel sud del Paese. Nel 2004 erano circa 1.500», ha affermato recentemente in un’intervista all’agenzia di stampa irachena Irin il dottor Kamel Ali del Programma di prevenzione contro i narcotici del ministero della Salute. «In tutto il Paese potrebbero essere 10.000». Un recente rapporto dell’agenzia Ghodse evidenzia come «negli ospedali di Baghdad e di tutto il Paese si è registrato un notevole aumento di overdose, per droghe e psicofarmaci». Molti arrivano in ospedale direttamente in ambulanza, una volta perduti i sensi, poiché si spostano solo per lo stretto necessario e sono ancora molto diffidenti verso le istituzioni. Inoltre in Iraq c’è un solo centro che si occupa di dipendenze: l’ospedale psichiatrico di Baghdad.

L’arrivo delle nuove droghe
è dovuto al sostanziale fallimento del controllo dei labili confini iracheni. Soprattutto quello tra Iran e Iraq, dove transitano ingenti quantitativi di droga, che stanno facendo esplodere il consumo in tutto il Medio Oriente. Un confine lungo 1.200 chilometri che le forze di occupazione e quelle irachene non riescono a controllare. Molti analisti sostengono che il problema sia da imputare al dilagare della corruzione. Il governo ha fatto di tutto per fermare il flusso di droghe, inviando migliaia di poliziotti in più lungo il confine e chiedendo aiuto alle forze ucraine e polacche di stanza vicino a Batra e Zurabatia. «In passato l’Iraq aveva migliaia di checkpoint e poliziotti lungo il confine, ma oggi, con tutti i problemi del Paese, all’area viene data una scarsa attenzione» ha dichiarato Mahmud Uthman, membro del Consiglio di governo. Ma i risultati ottenuti dall’esecutivo sono stati irrisori. Anche le due città sante di Kerbala e Najaf, nel sud del Paese, hanno indossato la maglia nera dell’abuso. Lungo le polverose strade di queste due città ormai proliferano i narcotrafficanti afgani e iraniani. E l’applicazione della pena di morte anche per il traffico di stupefacenti non è servita da deterrente. I sequestri si moltiplicano, ma traffico e consumo non si arrestano. Gli psicofarmaci passano dal confine giordano, l’eroina da quello iraniano e la cocaina attraverso i Paesi del Corno d’Africa. Il tema della droga ormai non è più un tabù, nella patriarcale e conservatrice società irachena. È diventato un argomento da bar. Uno psichiatra del ministero della Salute, che vuole rimanere anonimo, sostiene che il problema è che l’Iraq non ha strutture adeguate per combattere la crisi: «È un bene che finalmente si parli del problema, ma la cronica mancanza di sicurezza, l’assenza di dati e il fatto che tutto questo sia rimasto a lungo nell’ombra, non ci aiuta a risolverlo. Baghdad conta più di cinque milioni di abitanti, ma noi siamo in grado di monitorare solo una piccola parte della popolazione. E fuori dalla capitale è tutto ancora più difficile».

Se a Baghdad la situazione
è preoccupante, in Afghanistan è allarmante. «Un milione di afgani si droga» tuonava nel rapporto del 2005 l’Ufficio per la droga e il crimine delle Nazioni Unite, diretto dal 2002 dall’italiano Antonio Maria Costa. Le siringhe sono arrivate anche in Afghanistan. Una novità assoluta per il Paese. Un’occidentalizzazione del consumo senza precedenti. Mentre il mondo viene inondato da eroina afgana, il consumo esplode dal confine con Turkmenistan e Uzbekistan e nelle campagne fino a Kabul. I derivati dell’oppio, mai usati negli anni del regime e soprattutto mai prodotti dagli afgani, dal 2001, anno di inizio dell’ultimo conflitto, stanno avendo una rapida diffusione tra la popolazione. Chi non ha accesso a queste sostanze usa psicofarmaci e pure benzina. Il resto del mondo osserva il presente afgano con uno sguardo preoccupato anche verso il futuro. L’enorme quantità di oppio disponibile nel Paese, aggiunta alla corruzione delle istituzioni, rendono al momento impossibile arginare la crescente attività di produzione e raffinazione. Situazione che è destinata a fare schizzare ancora di più verso l’alto la domanda interna, di oppio e eroina.
Dopo la caduta dei talebani sono stati creati programmi di trattamento. Il ministero non sa quanti vi ricorrano, e non ci sono indicazioni sui programmi terapeutici. Quello che si sa è che questi centri nella maggior parte dei casi non possono fare affidamento su farmaci sostitutivi per le astinenze. Usano le corde. Legano le persone ai letti. La loro nascita e le lunghe liste di attesa confermano la vastità del fenomeno delle dipendenze nel Paese. Una nazione che produce più del 90 per cento dell’oppio mondiale, si trova di colpo ad essere anche un grande consumatore. Nella sola Kabul in due anni gli eroinomani sono più che raddoppiati. E il dottor Mohammad Zafar del Programma di riduzione della domanda, del ministero per il Controllo dei narcotici, denuncia come la comunità internazionale si sia interessata solo alla produzione dell’oppio afgano e non al boom del suo consumo in patria. Da un chilo di oppio si producono 100 grammi di eroina pura. Se sotto i talebani la raffinazione avveniva fuori dai confini nazionali (Triangolo d’oro, Pakistan e Iran in testa), oggi i laboratori sono dentro il Paese. Producono dai 70 ai 100 chili di eroina al giorno. Sono sulle colline a sud-est di Jalabad (a ridosso del confine con il Pakistan) e nei distretti di Acheen e Adal Khel (provincia di Nangahar). Nella sola area di Sangeen, secondo ufficiali britannici, ce ne sono più di 150. L’Afghanistan è diventato un Paese dove guardando dalle colline le vallate di alcune province, l’estensione della coltivazione di oppio è paragonabile a quella dei vigneti in molte regioni italiane. E proprio come avviene in Italia per la stagione della vendemmia, in primavera la raccolta attira braccianti da ogni parte del Paese.

In Afghanistan la raccolta dell’oppio è già iniziata. Le grandi piogge primaverili lasciano credere che nei rapporti Onu dell’anno prossimo vedremo un nuovo record di produzione. Nella sola provincia di Helmand si coltiva il 40 per cento di tutto il papavero afgano, con una produzione di 150 chilogrammi a ettaro. L’aumento della produzione ha già fatto scendere i prezzi, passati dai 100 dollari dell’anno scorso agli 80/90 di oggi. I talebani controllano gran parte dell’area e gli scontri e i bombardamenti con le forze Isaf sono quotidiani. Due tentativi di distruzione delle piantagioni non hanno dato i risultati sperati. Da poco, su pressione delle Nazioni Unite, ne è iniziato un terzo. Ma gli ostacoli da superare sono due. Primo. Se da un lato le Nazioni Unite stimano che il 50 per cento del Pil afgano è rappresentato dall’oppio, l’economia del Paese è interamente controllata dall’esterno. Il presidente Karzai viene da tutti definito il «sindaco di Kabul» e il contrabbando di droga aumenta sempre di più. Anche per la difficoltà, come in Iraq, di controllare i 5.800 chilometri di confini. Secondo. La corruzione e la connivenza del potere sia con i talebani che con i narcotrafficanti. «Rappresentanti del governo e signori della guerra sono pesantemente coinvolti nella produzione e nel traffico illecito di oppio e stanno trasformando il nostro Paese in un narco-Stato» ha dichiarato il ministro dell’Interno al quotidiano Kabul Times. Aggiungendo che, pur non potendo fare nomi, il suo ministero «ha raccolto prove sufficienti per dimostrare che funzionari del governo, compresi ufficiali dell’esercito e della polizia, sono implicati nel narcotraffico».

Conoscono nomi e cognomi,
sia di chi è implicato direttamente che di chi offre protezione in cambio di denaro, ma «solo in pochi casi siamo riusciti a intervenire e arrestarli». Operazioni che probabilmente vengono condotte solo contro personaggi diventati scomodi e pesci piccoli. Inoltre, precisa il ministro, «a Kabul stiamo arrestando moltissimi trafficanti, ma questo avviene solo per un motivo: perché lo smercio di oppio grezzo o lavorato sta assumendo dimensioni tali da non riuscire più a rimanere invisibile». E se alcuni ritengono che la soluzione sia nella conversione della produzione di oppio da illegale a legale, per la produzione di morfina per le terapie del dolore, il capo dell’Unodc Costa la cestina subito come «irrealistica», spiegando che «sul mercato illegale rende tre volte di più, e in ogni caso con la produzione dello scorso anno il mondo starebbe bene per cinque anni». Continueremo quindi a vedere in tutto il mondo e ancora per molto gli effetti di questa rigogliosa agricoltura.

1 giugno 2007

fonte: http://www.avvenimentionline.it/content/view/1396/1/

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2 commenti:

Equo ha detto...

Arruolati! Visiterai Paesi lontani e potrai bombardarli, conoscerai gente diversa e la ucciderai, potrai farti una carriera... o anche farti e basta! :-)

Val ha detto...

Esigiamo i ...cannoncini!
Val