murales a Decimoputzu
Giovedì, 06 Dicembre 2007
di Ilvio Pannullo
Era la metà di ottobre e in Sardegna i rappresentanti degli agricoltori e dei pastori iniziavano lo sciopero della fame nella sala del consiglio comunale di Decimoputzu. Protestavano per la vendita all’asta di 5.000 aziende agricole. Vendita all’asta richiesta dal Banco di Sardegna in forza di un credito pari all’equivalente di quasi l’intera produzione agricola annua di tutte le aziende sarde. Il credito del Banco, che vanta per effetto dell’applicazione della legge regionale 44/88, dichiarata poi illegale dalla UE, ammonta a 700 milioni di euro. Tutto inizia nel dicembre del lontano 1988 quando viene emanata la legge regionale n.44 che istituisce, all’art.5, un regime di aiuti sotto forma di mutui a tasso agevolato per favorire la ricostituzione della liquidità di aziende agricole in difficoltà. Spetta alla Giunta regionale deliberare di volta in volta, a seconda delle necessità, le modalità pratiche di concessione dei mutui. E verrà fatto per ben quattro volte. Nell’ultima occasione, le cose vengono fatte per bene, così, con lettera del primo settembre 1992, l’Italia notifica alla Commissione Europea la legge regionale n.17 della Regione Sardegna. L’art. 12 di suddetta legge rimandava, per le modalità tecniche di esecuzione, all’art. 5 della legge n.44/88 della stessa regione, mai notificata alla Commissione europea.
E’ così che nell’agosto 1994 la Commissione comunica all’Italia l’avvio di un procedimento nei confronti degli aiuti stabiliti dall’art.5 della legge 44/88, ritenendo tali aiuti atti a falsare la concorrenza. Invitava pertanto l’Italia a presentare proprie osservazioni al riguardo. L’Italia ci prova per tre volte a convincere la Commissione, ma non ottiene alcun risultato; ogni osservazione viene puntualmente respinta perché incompatibile con i criteri che generalmente vengono applicati da tutti gli stati membri per aiutare le aziende agricole in difficoltà.
Tanta è l’attenzione delle nostre istituzioni al caso che le giustificazioni avanzate dall’Italia sono ritenute così deboli da costringere l’UE a dichiarare illegali gli aiuti concessi dalla Regione Sardegna in base all’art. 5 della legge 44/88 , così come illegali vengono considerate le successive delibere. L’Italia è, dunque, obbligata dalle istituzioni comunitarie a recuperare presso i beneficiari l’importo dell’aiuto illegittimamente concesso. Quei tassi agevolati che servivano proprio per far fronte a gravi problemi di liquidità vengono, dunque, richiesti indietro dallo Stato alle banche, che, a loro volta, non mancano di richiedere quanto dovuto ai poveri contadini sardi.
E’ così che pochi giorni fa, il primo dicembre, per gridare la loro disperazione, migliaia di contadini e pastori di realtà, reti e comitati di base di tutt’Italia, con alla testa ed alla coda i trattori simbolo del lavoro contadino, hanno marciato per le strade della capitale dietro ad uno striscione unitario che recitava: “Su la Testa! Siamo tutti di Decimoputzu”. Ed è vero. La mobilitazione sarda, che conosce una nuova escalation in questi giorni con la ripresa dello sciopero della fame da parte di due contadine davanti alla sede della Presidenza della Regione Sardegna, sta aprendo i riflettori su una situazione insostenibile in tante aree rurali del nostro Paese dove, peraltro, in queste settimane sono attive mobilitazioni che si vanno allargando. Corriamo il rischio di perdere il 40% del nostro patrimonio produttivo entro i prossimi 5 anni; una perdita intollerabile per l’intera società italiana.
É arrivato il momento che la politica si assuma le sue responsabilità senza lasciare alle banche il diritto di operare una selezione selvaggia fra chi dovrà vivere e chi dovrà morire nelle campagne. Le aziende sono sempre più piegate dall’aumento dei costi produttivi, dal crollo dei prezzi alla produzione, dalla gestione della commercializzazione funzionale solo agli interessi degli speculatori e della grande distribuzione. É evidente che così non c’è futuro e che sarebbe ragionevole rimettere al centro gli interessi di chi lavora e di chi consuma il cibo.
Mentre, infatti, l’Europa lavora incessantemente per creare un mercato perfettamente concorrenziale, aprendo procedure d’infrazione contro quegli Stati colpevoli di aiutare economicamente le proprie aziende al fine di garantire una degna occupazione e mantenere vive le tradizioni locali, la globalizzazione obbliga il contadino sardo a competere con un sterminato popolo di umili, di sfruttati e di schiavi. Competizione semplicemente impossibile perché impari. Viene allora da chiedersi per chi sia vantaggiosa questa globalizzazione e per quale motivo l’Europa si ostini a credere possibile una competizione tra paesi tanto diversi nelle regole e nelle condizioni sociali.
Se è vero, infatti, che la globalizzazione assicura prezzi ridicoli alla produzione, con relativi utili faraonici degli intermediari, è vero anche che rovina la vita di migliaia di contadini italiani, colpevoli solo di essere cittadini di uno stato che non li tutela. Questi uomini e queste donne chiedono un intervento della Regione, dello Stato per un aiuto, ma nessuno risponde. A cosa servono, dunque, queste istituzioni se non a tutelare il territorio, la cultura, i cittadini e le produzioni locali? Se non si occupano di questi temi possono essere tranquillamente sciolte, rappresentando solo l’ennesimo inutile costo, per quei contadini a cui è stata tolta persino la terra da coltivare.
fonte: http://altrenotizie.org/alt/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=28639&mode=thread&order=0&thold=0
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3 commenti:
Come ho già detto in commenti precedenti, la soluzione a questo problema può darla (e deve darla) solo la politica
Anch'io ribadisco: "A fora sos Italianos!" :-)
la maggior parte degli agricoltori ha pagato i debiti e ne ha solo 1 minima parte.... gli unici ke hanno i debiti sono quelli ke nn hanno MAI lavorato(e continuano a prendere i contributi aggratis) anke agli scioperi la gente ke lavora nn ci va x 1 mese di seguito....... proprio perkè DEVE lavorare se vuole sopravvivere....
saluti!
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