"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

martedì 7 agosto 2007

50 anni fa: su l'Unità l'addio di Calvino al Pci



di Alessia Grossi


Italo Calvino - foto archivio - 220x213

È il 7 agosto 1957. Italo Calvino si dimette dal Pci. «Cari compagni devo comunicarvi la mia decisione ponderata e dolorosa di dimettermi dal partito». Con questa lettera lo scrittore piemontese si univa alle fila dei fuoriusciti. Per lui, come per altri arriva immediata la stroncatura del partito. In questi stessi giorni, a cinquant'anni di distanza da allora l'Unità pubblica un inserto con le pagine storiche del giornale. Momenti salienti come questo in cui la storia d'Italia e degli uomini che l'hanno fatta si incrociano sulle pagine del nostro giornale.
L'articolo-lettera di Calvino appare sulla settima pagina del giornale, allora organo del partito comunista. Il titolo esplicativo è già un anatema: «Le dimissioni di Calvino dal Pci condannate dal C.D. di Torino». Subito sotto, in basso a destra, la risposta del comitato direttivo. Il tono più che di condanna è di recriminazione. In quegli stessi mesi, dalle pagine di Città Aperta e di Rinascita, Calvino e Ferrara polemizzano con racconti ambientati nel mar delle Antille.

La decisione di Calvino di abbandonare il Pci arriva in agosto, ma sono già in molti ad aver lasciato il partito dagli ultimi mesi del '56. Sono gli anni della diaspora, segnati dai fatti di Ungheria, dalla lettura che di quegli avvenimenti dà il Pci e anni in cui il dibattito aperto dalla questione ungherese si riflette necessariamente per scrittori e giornalisti, sulle pagine dell'Unità. Coloro che come Calvino, Antonio Giolitti, Fabrizio Onofri, Eugenio Reale così come i 101 intellettuali che firmano il manifesto di dissenso, solo per citare qualche esempio, prendono le distanze dalla linea di Togliatti e del Pci. «I compagni e gli avversari» devono sapere, dice lo scrittore piemontese e non solo lui. E con lo stesso criterio i dirigenti accusano i rivoltosi di voler dare spettacolo della crisi del partito dandola in pasto con i loro articoli alla stampa borghese. Il fatto è che dopo la rivolta d'Ungheria, il 1957 per molti intellettuali e militanti doveva essere l'anno della svolta. La svolta rinnovatrice che sarebbe dovuta uscire dall'VIII congresso del Pci . Coloro che rimasero delusi dal congresso, i cosiddetti rinnovatori, non videro altra possibilità che quella di uscire dal partito. Entrambe le parti, fuoriusciti e militanti, misero bianco su nero le rispettive delusioni. Da parte di entrambi la speranza di un possibile rincontro.

Nel caso di Calvino questi anni difficili e questi avvenimenti, contrariamente alle sue dichiarazioni iniziali, segneranno un lento ma progressivo allontanamento dalla politica .
La lettera di dimissioni di Calvino

Italo Calvino si dimette dal Pci. Come altri compagni chiede che la sua lettera venga pubblicata sul L'Unità. Le ragioni della sua fuoriuscita sono chiare: «La via seguita dal Pci [...]» dichiara Calvino dalla settima pagina dell'Unità del 7 agosto 1957 «attenuando i propositi rinnovatori in un sostanziale conservatorismo, m'è apparsa come la rinuncia ad una grande occasione storica». La delusione dello scrittore è evidente. Il suo dissenso, oltretutto, sarebbe solo d'ostacolo alla sua partecipazione politica. Astenersi da «ogni attività di Partito e dalla collaborazione alla sua stampa» per evitare una «nuova infrazione disciplinare» non è più un comportamento plausibile per lo scrittore piemontese.

Per Calvino, entrato nel Pci dopo aver combattuto contro i nazifascisti, iniziato alla scrittura con la collaborazione con Il Politecnico e L'Unità quello di voler essere un intellettuale indipendente resta una desiderio insindacabile. «Credo che nel momento presente quel particolare tipo di partecipazione alla vita democratica che può dare uno scrittore e un uomo d'opinione non direttamente impegnato nell'attività politica sia più efficace fuori dal Partito che dentro» spiega nella lettera ai compagni. Ma lo scrittore sa benissimo come il termine indipendenza, per lui tanto necessario non verrà accolto in modo benevolo dal partito. E, si affretta a spiegare, «non ho mai creduto (neanche nel primo zelo del neofita) che la letteratura fosse quella triste cosa che molti nel Partito predicavano e proprio la povertà della letteratura ufficiale del comunismo mi è stata di sprone nel cercare di dare al mio lavoro di scrittore il segno della felicità creativa: credo di essere sempre riuscito ad essere, dentro il Partito, un uomo libero. E continuerò ad esserlo» Così Calvino saluta i compagni. «Non rinnego il passato» dice «vorrei rivolgere un saluto anche ai compagni più lontani dalle mie posizioni che rispetto come combattenti anziani e valorosi, al cui rispetto, nonostante le opinioni diverse, tengo immensamente e a tutti; e a tutti i compagni lavoratori, alla parte migliore del popolo italiano dei quali continuerò a considerarmi il compagno».


La stroncatura del comitato direttivo di Torino

«Il Comitato direttivo ritiene necessario esprimere il proprio giudizio sugli argomenti con i quali Italo Calvino appoggia la sua decisione». La risposta del direttivo è inevitabile. Calvino aveva chiesto la pubblicazione della lettera di dimissioni per sottrarsi ai colloqui previsti dallo statuto che - aveva detto lo scrittore - non avrebbero fatto che «incrinare la serenità» del suo commiato. Il partito non accetta il tacito accordo e replica immediatamente. «Nessuno contesta a Calvino il diritto di avere una sua opinione sul modo con cui il rinnovamento si va compiendo nel Partito, ma ciò che è da respingere è che egli pretenda di fare del proprio giudizio l'unica misura obiettiva di valutazione e che da ciò tragga la grave conclusione di lasciare il Partito» - tuona il comitato direttivo da Torino. Calvino è accusato di aver preso le distanze «dal metodo di valutazione marxista, per il quale dovrebbe essere chiaro che le posizioni e le esperienze dei singoli confluiscono nel dibattito a formare insieme quella superiore realtà politica e storica che è rappresentata dalle posizioni collettive del Partito». Così stando le cose le ragioni dello scrittore sono in contraddizione l'una con l'altra. Parla di indipendenza, reagiscono dal comitato. «Indipendente da chi e da cosa?», si chiedono. Le formule di Calvino su un nuovo tipo di partecipazione alla vita del partito sono solo «formule che propongono una inaccettabile rinuncia». Il tono di recriminazione non cessa. «Proprio nel momento attuale» continua la lettera, la decisione dello scrittore denota «un cedimento rispetto alle sue responsabilità».

Ma la stroncatura arriva sul finale, apparentemente incoraggiante. «È da respingere con fermezza l'opinione che il Pci sia andato attenuando i propostiti rinnovatori in un sostanziale conservatorismo». Da qui la rimarcata intenzione da parte del direttivo di restare sulle sue posizioni e il vuoto augurio a fine lettera che «Calvino riesca a ritrovare la giusta posizione di lotta, propria di un intellettuale militante quale Calvino dichiara ancora di voler essere». Fermo restando la condanna del suo gesto e la critica dei suoi errori da parte del Pci.

scarica il file in pdf della pagina del 7 agosto 1957 (640 kB)


Pubblicato il: 07.08.07
Modificato il: 07.08.07 alle ore 14.35

fonte: http://www.unita.it/view.asp?idContent=68018

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