La guerra è madre di tutte le cose. Divagazioni semiserie di un cuore irriducibilmente anarchico
"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci
venerdì 3 agosto 2007
Mucche "hi-tech" ed il latte non ha più gusto
di Carlo Petrini
"Dona che te durmivet giuedi sera / dona t'avean prumis de portarti al cine / e poeu s'enn fermà giò in latteria / parlar de fùtbal cunt i amis..." (Donna che dormivi, giovedì sera / donna, ti avevano promesso di portarti al cinama / e poi si sono fermati giù in latteria, / a parlare di calcio con gli amici...)
E' una canzone di Jannacci, del 1966. Tempi in cui le latterie erano luoghi della socialità popolare, ma anche del consumo di latte buono, di panna fatta come si deve, di formaggi onesti, di burro da mangiare con le acciughe, o col salame. Dei tempi in cui il latte era cibo e si sapeva da dove veniva, non era un composto anonimo da addizionare di qualcos'altro.
Oggi in tv la signorina, bella e sofisticata, frena a stento l'orrore: "Bisognerebbe mangiare un secchio di broccoli (occhio, non un "piatto": un volgarissimo"secchio"), o quaranta acciughe. Al giorno". Questo per avere l'apporto di calcio che ci serve. "Oppure -e qui ritrova il sorriso- bere due bicchieri di latte X".
Le signorine belle e sofisticate, dunque, non mangiano (men che mai broccoli o acciughe): semmai cercano soluzione nel mondo riduzionista del latte-farmaco.
Chi farà un latte degno di tanta eleganza? Le vacche. Che, se fossero alla loro discrezione, ne produrrebbero circa 15-20 litri al giorno. Però i "miglioratori" delle razze si sono dati molto da fare negli ultimi 20 anni ed han portato le vacche a farne oltre 50 litri al giorno.
Da una razza molto vocata, la frisona olandese, hanno selezionato femmine e riproduttori badando solo ad aumentare la produzione del latte: per produrre di più, han detto, devono magiare di più, quindi devono essere più grandi.
Pesavano circa 450 Kg, oggi ne pesano fino a 700. Il loro rumine è aumentato di volume, e così la loro cavità addominale; le mammelle sono più grandi e pesanti. Per contro, partoriscono con difficoltà perché si è ridotto lo spazio per l'utero, ma il vitello è più grande e deve passare sempre per le stesse vie; il loro scheletro non regge il nuovo peso e hanno problemi alle articolazioni: vivono 6 anni anziché 15; partoriscono 2-3 volte nella vita anziché 7-8. Ma divorano circa 22 Kg di materia secca e 130 litri di acqua al giorno. Per capirci: l'erba fresca ha un 5% di materia secca. E' come se ogni vacca mangiasse 4 quintali di erba fresca. Al giorno. Peccato che per sostenere gli attuali ritmi di mungitura le bovine si demineralizzano e quindi il loro latte è povero come il loro organismo.
In qualche modo, però, si riesce ad arrivare ad un latte che ha un contenuto di grassi del 3.7-3.8%. Ma siamo tutti spinti a consumare latte scremato. Dove finisce quel 3.7? In centinaia di preparazioni alimentari industriali che prevedono la presenza di panna. Il latte che compriamo è una specie di sottoprodotto, quel che avanza da lavorazioni più pregiate.
Il latte a lunga conservazione (UHT) al supermercato costa tra 0.70 e 0.90 euro. E se non è latte italiano la legge prevede due sterilizzazioni: una nel Paese di origine e l'altra in Italia al momento dello scarico. In termini di sostanze nutritive, minerali e vitamine, penso che sia più ricco il cartone del suo contenuto.Probabilmente è preferibile anche dal punto di vista organolettico.
Il latte fresco (6 giorni di durata) costa invece tra 1.30 e 1.80 euro, mentre quelli speciali (alta digeribilità, addizionati di vitamine, di Omega3, di calcio...) da 1.80 a 2.50.
Al produttore vanno, comunque, 32 centesimi al litro. Evidentemente il latte che esce dalle cascine è considerato una materia prima da trasformare e valorizzare. Così per l'allevatore non c'è che una strada: produrre di più.
Mi si dice che non esistono evidenze scientifiche che, in zootecnia, colleghino l'aumento della quantità al calo della qualità. Secoli di buon senso contadino e pratiche agricole virtuose stanno a dimostrare che per ottenere prodotti di qualità, boisogna che la priorità non sia la quantità prodotta nè la rapidità del profitto.
Quindi, basandomi sulle evidenze del mio palato, io dico: quei 50 litri al giorno sono latte di bassa qualità. So che esiste una definizione commerciale di "alta qualità" basata sulla conta delle cellule somatiche, dei grassi, delle proteine e della carica batterica, ma è un trucco: la qualità non si "conta".
Prima di arrivare al supermercato quei 50 litri sono stati pastorizzati, eliminando tutti i batteri ovvero quel che permette al latte di essere vivo, di trasformarsi in formaggio, in yogurt, in flora batterica intestinale nostra, in difese immunitarie. Però si possono aggiungere i batteri, e saranno tutti uguali, provenienti da ceppi industriali. Ma a quel punto saranno un valore: ci dicono pure il nome del batterio che mangiamo, come se fosse un animaletto cui affezionarsi.
Oppure i 50 litri sono stati microfiltrati, dopo un trattamento termico meno violento. Il risultato non è diverso in termini di (non) sapore finale, visto che la materia prima è sempre la stessa, prodotta da una mucca-macchina, che si attiene alle evidenze scientifiche.
Andiamo ancora indietro.
Che cosa erano quei 50 litri prima di assumere quella forma liquida e bianca? Foraggio per la mucca scientifica, che, bella e sofisticata, non mangia nei pascoli come una vacca qualsiasi. Solo che le evidenze scientifiche che dimostrano che un'alimentazione naturale, a base di erbe o di fieno polifita (ricavato da prati su cui sono presenti molte erbe diverse) è un'alimentazione più ricca, completa e salutare per gli animali, ebbene, quelle esistono.
E se fosse questa la strada? Il nesso tra la produzione massiva e la bassa qualità sta nel fatto che la produzione massiva chiede uniformità, mentre la qualità si fa con la diversità.
Eccoci, dunque, con il nostro latte nato povero di gusto, profumo ed elementi nutritivi; lo abbiamo pastorizzato o microfiltrato. Lo abbiamo scremato, arricchito con Omega3, con calcio, batteri, vitamine... Abbiamo inquinato, danneggiato, impoverito, creato malessere negli animali. E' pronto, possiamo comprarlo. Oppure possiamo dar retta agli studi che indicano che il contenuto in calcio o in Omega3 del latte di una vacca podolica allevata al pascolo, è fino a 3 volte superiore a quello del latte arricchito.
Qualcuno glielo dica, a quella signorina: se proprio non vuole i broccoli, almeno beva del latte buono.
Carlo "Carlin" Petrini
fondatore di Slow Food
articolo tratto da Repubblica del 3 agosto 2007
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