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giovedì 5 luglio 2007

Pensioni: chi sta barando?



LETTERA APERTA ALL’INPS SULLE PENSIONI ITALIANE

Di Luciano Gallino

Signori Presidenti del Consiglio d’Amministrazione e del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’Inps, abbiamo bisogno di lumi.

Siamo un gruppo di persone i cui figli e nipoti sono preoccupati perché temono che a suo tempo non avranno più una pensione, o almeno una pensione decente. Alla base delle loro preoccupazioni vi è un’idea fissa: che il bilancio dell’Inps sia un disastro, o ci sia vicino. L’hanno interiorizzata sentendo quanto affermano ogni giorno politici, economisti ed esperti di previdenza, associazioni imprenditoriali, esponenti della Commissione europea. Non tutti costoro, è vero, menzionano esplicitamente l’Inps. Ma tutti sostengono che le uscite dovute al pagamento delle pensioni risultano talmente superiori alle entrate da rappresentare una minaccia devastante per i conti dello Stato. Che tale deficit peggiorerà di sicuro nei decenni a venire, poiché pensionati sempre più vecchi riscuotono la pensione più a lungo, mentre diminuisce il numero di lavoratori attivi che pagano i contributi. Che allo scopo di ridurre il monte delle pensioni erogate in futuro bisogna allungare al più presto l’età pensionabile e abbassare i coefficienti che trasformano il salario in pensione. Dal complesso di tali affermazioni pare evidente che chi parla ha in mente anzitutto l’istituto che eroga quasi il 75%, in valore, di tutte le pensioni italiane. Cioè l’INPS. E il suo bilancio.

Pressati dai nostri giovani – quasi tutti lavoratori dipendenti o prossimi a diventarlo – che ci domandano dove stia l’insostenibile pesantezza del deficit della previdenza pubblica che minaccia il loro futuro, abbiamo passato qualche sera, in gruppo, a scorrere il bilancio preventivo 2007 dell’Inps. Tomo I, pagine 933. Ed ora abbiamo un problema.. Perché non siamo riusciti a comprendere da dove provenga la necessità categorica di elevare subito l’età pensionabile, e di abbassare l’entità delle future pensioni, pena il crollo della solidarietà tra le generazioni ed altre catastrofi.

Quel poco che noi, genitori e nonni inesperti, crediamo di aver capito lo possiamo riassumere così:

  1. lo stato trasferirà dal proprio bilancio a quello dell’Inps, nel 2007, 72,3 miliardi di euro. Cifra enorme. Quasi 5 punti di PIL. Vista questa cifra (a pag. 90), ci siamo detti: ecco dove sta la voragine che minaccia di ingoiare le pensioni dei nostri figli e nipoti. Poi qualcuno ha notato che il titolo della pagina riguarda non il pagamento delle ordinarie pensioni, bensì gli oneri non previdenziali. I quali ammonteranno a 74,2 miliardi in tutto, coperti dallo stato per la cifra che s’è detto e per 1,9 miliardi da altre entrate. Gli oneri non previdenziali sono per quasi la metà uscite che, per definizione, non presuppongono nessuna entrata in forma di contributi. Si tratta di interventi per il mantenimento del salario (2,5 miliardi); oneri a sostegno della famiglia (2,7 miliardi); assegni ed indennità agli invalidi civili (13,5 miliardi); sgravi dagli oneri sociali ed altre agevolazioni (12,7 miliardi). Sono tutti oneri sacrosanti, che lo stato ha il dovere di sostenere. Ha quindi chiesto all’Inps di gestirli, cosa che dal 1988 l’istituto fa con una cassa separata, la Gestione degli Interventi Assistenziali (GIAS). Però chi prende il totale di questi oneri per sostenere che la normale previdenza costa ai contribuenti oltre 70 miliardi l’anno, per cui è necessario tagliare qui ed ora le pensioni ordinarie, forse ha esaminato un po’ troppo alla svelta i bilanci dell’Inps. O, nel caso del bilancio preventivo 2007, si è fermato a pagina 89.
  2. Poiché quasi tutti i nostri giovani sono o saranno lavoratori dipendenti, siamo andati a cercare nel bilancio quale rapporto esista tra le entrate del Fondo pensioni lavoratori dipendenti (FPLD) in forma di contributi, e le uscite in forma di pensioni. Anche qui, sulle prime, credevamo di aver letto male. Il FPLD in senso stretto avrà un avanzo di esercizio, nel 2007, di quasi 3,5 miliardi (pagina 219). In altre parole, i contributi che entrano superano di 3,5 miliardi le pensioni che escono. Ma poiché adesso sono stati accollati, con gli anni, degli ex Fondi che generano rilevanti disavanzi (trasporti, elettrici, telefonici, più l’INPDAI, l’ex Fondo dirigenti di azienda che quest’anno sarà in rosso per 2,8 miliardi) il FPLD farà segnare un passivo di 2,9 miliardi di euro. Il bilancio Inps definisce appropriatamente “singolare” il caso del FPLD (pagina 162). In effetti, esso appare ancor più singolare ove si consideri che il passivo egli ex Fondi, per un totale di 6,3 miliardi, è generato da poche centinaia di migliaia di pensioni. Per contro, le pensioni del FPLD sono nove milioni e seicentomila, ben il 96% del totale. Tuttavia sono proprio anzitutto queste ultime di cui la riforma delle pensioni vorrebbe ridurre l’entità, in base all’assunto che i lavoratori attivi non ce la fanno più ad alimentare un monte contributi sufficiente a pagare le pensioni di oggi e di domani.

Vi sono in verità altri temi, connessi al bilancio Inps, che nel nostro gruppo inter-generazionale di discussione hanno fatto emergere dei dubbi. Ad esempio: le pensioni di domani, indicano i grafici su cui siamo capitati, sarebbero a rischio perché senza interventi drastici sul monte pensioni esse arriveranno verso il 2040 a superare il 16% del PIL, in tal modo generando un onere intollerabile per il bilancio dello stato. Però a noi risulta che il totale delle pensioni pubbliche, erogate dall’Inps e da altri enti, al netto delle gestioni o spese assistenziali in senso stretto (le citate GIAS) rappresentavano nel 2005, ultimo anno per cui si hanno dati consolidati, l’11,7% del PIL. Le GIAS valevano da sole oltre 2 punti di PIL, pari a 30,1 miliardi. Le gestioni previdenziali dell’Inps incideranno sul PIL del 2007 per il9,7%, ma se si escludono il fondo ferrovie e l’ex INPDAI arriveranno appena al 7,4% (pagina 61).

A noi sembra quindi che chi disegna o brandisce scenari catastrofici per il 2040 (il 2040!) lasci fuori dal disegno un po’ tanti elementi. Tra di essi: il peso economico delle gestioni assistenziali (di cui una legge del 1988, la nr. 67, dava già per scontata la separazione dalla previdenza); il fatto che i contribuenti, quelli che pagano i contributi, non stanno affatto diminuendo, bensì aumentano regolarmente da diversi anni (+ 121.000 nel solo 2007: pagina 45); il peso rilevante dei deficit che non riguardano il Fondo dei Lavoratori Dipendenti in senso stretto; il fatto, ancora, che prendere come un assioma il rapporto pensioni/PIL significa voler misurare qualcosa con un elastico, visto che il rapporto stesso può cambiare di molto a seconda che il PIL vada bene o vada male. Com’è avvenuto tra il 2001 ed il 2005.

Riassumendo: delle due, l’una. O noi inesperti dei bilanci Inps abbiamo capito ben poco, e i nostri figli e nipoti hanno ragione di temere per le loro future pensioni ove non si decida subito di tagliarne il futuro ammontare. Se questo è il caso, restiamo in trepida attesa delle Loro precisazioni. Oppure dobbiamo concludere che quando, nelle più diverse sedi, si dipinge di nero il futuro pensionistico dei nostri giovani, si finisce per utilizzare i dati Inps, come dire, con una certa disinvoltura.

Su questo, naturalmente, non ci permettiamo di chiedere un parere all’Inps


fonte: Repubblica, pag 22, del 05/06/07


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