"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

domenica 22 marzo 2009

L'anca sbilenca fa due mesi...


Lo so: non è notizia degna di assurgere agli onori di cronaca. Infatti, nonostante l’egocentrismo che mi contraddistingue, ho intenzione di usarla solo come spunto (anche perché a tutt’oggi non serve a molto altro… l’anca, intendo) per parlare di sanità e salute.

Ho letto questa notizia da adnkronos:

BIOETICA: COMMISSIONE SANITA' APPROVA ARTICOLO 2 DDL CALABRO'

Roma, 10 mar. (Adnkronos/Adnkronos Salute) - La Commissione Sanità del Senato ha approvato l'articolo 2 del Ddl Calabrò. Si tratta dell'articolo, il numero 4 nel testo originario, che entra nel vivo del consenso informato, stabilendo che il dichiarante debba essere informato in maniera completa e comprensibile, su diagnosi, prognosi, natura, rischi e benefici del trattamento proposto. E che stabilisce che il consenso dato dal paziente possa essere sempre revocato, anche solo parzialmente. "Sono stati accolti alcuni emendamenti dell'opposizione - spiega il relatore del provvedimento Raffaele Calabrò - che introducono miglioramenti solo formali, perché la sostanza dell'articolo resta invariata".

Dacché sono stata direttamente coinvolta di recente e lo sarò ancora, vorrei condividere alcune considerazioni, prendendo per buono quanto riportato nella notizia perché il testo originale io non l’ho trovato…

Ad un lettore che non bazzica ospedali e medici, dovrebbe sembrare una buona innovazione: sapere cosa e come ti propinano una cura ed i rischi/benefici che ne puoi trarre non può che aiutare a decidere con più cognizione di causa se affrontare intervento o terapia, o meno.

Però… come sempre, la teoria è una cosa e la pratica un’altra. E’ un po’ come quando si stipula una polizza assicurativa o si apre un conto corrente in banca: chi ha mai letto tutte le clausole ed i codicilli, ma soprattutto: a chi sono mai state spiegate?

Facciamo un caso a caso: sono stata ricoverata la mattina in cui sarei stata operata. Tra una preparazione ed una visita è passato pure l’anestesista con una cartella di fogli da firmare.
Non riporto il dialogo preciso, non me lo ricordo e ovviamente non l’ho registrato… ma il senso è stato:

“Firmi qui”
“Che cos’è?”
“Il consenso ad eventuali trasfusioni di sangue proveniente da donatori altri da lei, se le sue autodonazioni non dovessero bastare”
“E se io non fossi d’accordo? Ho un paio di cugine che si sono prese l’epatite, grazie ad una trasfusione di sangue subita in ospedale…”
“Be’, in caso di necessità la trasfonderemmo lo stesso, solo che avremmo bisogno dell’autorizzazione del giudice (cito a memoria, potrei sbagliare carica preposta ma non la sostanza) e perderemmo solo un po’ di tempo in più”
“Va bene, allora però specifichiamo i donatori ammessi: ho parecchie persone compatibili disposte a versare il loro sangue per me”
“Non si può. Il donatore dev’essere anonimo; non sono consentite donazioni ad personam, perché altrimenti i pazienti che non hanno amici disponibili potrebbero restare a secco”
“Incredibile: ho fatto la donatrice per anni, finché le nuove regole restrittive mi hanno escluso dal giro, e non ho mai sentito di donatori egoisti… Ma se vengo contagiata dall’epatite, mi rimborsate?”
“E’ molto difficile perché i controlli oggi sono molto più severi, comunque no perché ha acconsentito”
“Quindi, qualsiasi cosa succeda sono fatti miei”
“…”
“E queste carte che sono?”
“Il consenso informato- L’accettazione dell’intervento proposto, nonché la dichiarazione di consapevolezza che qualcosa potrebbe andare storto”
“Mi faccia un po’ leggere…”
“Senta, è parecchio materiale… Io è dalle 8 che sono in giro per le camere a far firmare gli operandi, e se tutti avessero deciso di leggere dall’inizio alla fine e magari chiedere anche spiegazioni sarei ancora dal primo…”
“Sì vabbé, ma se vuole il consenso informato dovrò pure sapere cosa firmo! Altrimenti non firmo”
“In tal caso, la dimetto immediatamente e non se ne parla più”
“Ma il mio intervento?”
“Salta: non possiamo operarla se non firma”
“… a scatola chiusa. E se davvero qualcosa va male la responsabilità di chi è?”
“Sua, perché ha firmato”
“Ma senta un po’: io mi prendo la responsabilità delle mie attività di cittadina, madre e lavoratrice. Perché debbo essere io la colpevole di un’anestesia sbagliata o di un taglio troppo profondo o che ne so?”
“Be’ ma la struttura deve tutelarsi, se tutti decidessero di far causa per qualcosa che va storto… Ma poi è solo burocrazia”
“Già, però è burocrazia sulla mia pelle…”

e finiamola così. Quei fogli erano ovviamente pieni di paroloni incomprensibili ai non addetti ai lavori, quindi “consenso informato” è una parola grossa. Presupporrebbe che qualcuno – magari non una parte in causa – spiegasse in dettaglio ed in modo comprensibile cosa può succedere, ma chi ha il tempo di farlo, anche volendo? Ci vorrebbe un esercito di medici-informatori… che se però son pagati dalla struttura in ci lavorano, sono di parte ed il rischio – reale – è che raccontino solo la parte positiva… quindi temo che anche questo emendamento migliorativo sia destinato a restare lettera morta.

E parliamo poi di medici. Ne ho una certa esperienza: per mia sorte ne ho conosciuti parecchi… molti seri, bravi, impegnati ed umani. Qualcuno superficiale, pressappochista, arrogante e persino ignorante. Come in tutte le “categorie”, del resto.
Quello che però mi ha sempre lasciato perplessa è la tendenza generale a considerare il paziente “una parte”. Se ti vai a fare un’artoprotesi all’anca, sei “l’anca”, non sei la persona con un’anca operata. Se l’intervento va bene e per caso in sala operatoria ti becchi un’infreddatura, per farti dare anche solo un’aspirina devi metterti ad urlare. Dal punto di vista del medico, l’anca sta bene, quindi che vuoi?

Certo i miei studi classici non aiutano… ma mi sembrava di aver sentito parlare dell’uomo nella sua totalità, dell’influenza della psiche sul corpo… c’è stato persino uno che paragonava il funzionamento dello stato a quello di un corpo umano in cui tutti gli organi debbono contribuire, ciascuno per la parte che gli compete, in armonia e salute… altri tempi?

E come non spendere due parole sulla cartella clinica, quell’insieme di informazioni cui il paziente non ha accesso mentre è ricoverato (ma basta farsi venire a trovare da un medico amico che improvvisamente te la ritrovi su un vassoio d’argento, consultabilissima anche da te…). Quando vieni dimesso, se ne vuoi una copia, devi pagarla (ma se il tuo medico la volesse visionare e non avesse tempo di andarsela a consultare in ospedale- cosa peraltro non difficile, visto il numero di pazienti che ha? Se l’assicurazione te ne facesse richiesta, perché, visto che è ROBA TUA, devi pagare per sapere cosa ti hanno fatto?).

Che poi, non è che leggerla sia così edificante: non so le ultime (non l’ho ancora sottomano). Quelle che mi ricordo erano scritte in modo incomprensibile (tipica grafia medica, la chiamo io: una via di mezzo tra i geroglifici e gli scarabocchi). Oltretutto, le informazioni sono di una banalità sconcertante: “il paziente sta bene” – e magari tu eri lì che rantolavi con l’emoglobina a zero, però ti avevano operato un osso, mica stavi facendo una cura per il sangue!

Qualcuno vuole e/o può spiegarmi cosa mi è sfuggito? Perché, per me, delle due l’una: o sono un individuo consapevole e responsabile (e allora non devo essere tenuta all’oscuro di alcunché mi riguardi), oppure sono un numero, una cosa, un pezzo (ma allora non richiedi il mio consenso informato).

1 commento:

Franca ha detto...

Il consenso informato è una grossa balla. Serve solo a tutelare la struttura e il personale sanitario.
In pratica nessuno ti informa, ma in compenso ti prendi la responsabilità di quello che può accadere.
Per il resto essere una parte di qualcosa è già "qualcosa". In genere in ospedale sei un numero...
Come in tutte le situazioni, i buoni e i cattivi, i bravi e i somari ci sono sempre, ma alcuni mestieri dovrebberpo essere un po' più di un lavoro...