PERCORSI STORICI
..........
Luigi Borgomaneri
Hitler a Milano
i crimini di Theodor Saevecke capo della Gestapo
Per gentile concessione della casa editrice Datanews e dell’autore, pubblichiamo in anteprima
Hitler a Milano. I crimini di Theo Saevecke capo della Gestapo nella versione aggiornata alla luce delle nuove fonti emerse nel corso del processo celebrato dal Tribunale militare di Torino a carico dell’ex capitano delle SS Theo Saevecke, condannato all’ergastolo il 9 giugno 1999 per violenza con omicidio in danno di cittadini italiani (vedi Sentenza di condanna a carico di Theodor Saevecke).
PREFAZIONE dell’Autore
Quando nell’estate del 1996 iniziai le ricerche per ricostruire vita, attività e carriera di Theodor Saevecke ignoravo fosse ancora vivente né immaginavo che da lì a pochi mesi sarei divenuto uno dei due consulenti tecnici del Procuratore militare di Torino, Pier Paolo Rivello, nel procedimento penale a carico di Saevecke. La continuazione delle ricerche per incarico della procura torinese dopo la pubblicazione delle prime due edizioni del libro, e la collaborazione del giornalista Eggert Blum, di Mara Cambiaghi, Marc von Miquel e Sergio Fogagnolo, hanno portato al reperimento di nuove testimonianze e documenti che mi hanno indotto ad aggiornare il testo originario al fine di evidenziare ulteriormente le responsabilità di Saevecke in merito al reato contestatogli, al suo diretto coinvolgimento nella persecuzione antisemita, nonché al ruolo da lui svolto nelle stragi del luglio 1944 nel territorio del comune di Corbetta e a Robecco sul Naviglio.
Data la quasi generale distrazione dei media nei riguardi dello svolgimento della fase dibattimentale, ho ritenuto opportuno fornire ai lettori anche nuovi elementi di conoscenza sulle deposizioni di Frida Unterkofler, ex segretaria del comando retto da Saevecke, e dell’ex tenente dell’Ufficio politico investigativo della Gnr, Manlio Melli, citati entrambi dal Pubblico Ministero come testimoni a carico. Ugualmente - data la versione fornita da Indro Montanelli durante sua deposizione - mi è parso questa volta necessario inserire la ricostruzione della sua liberazione dal carcere di San Vittore (vedi nota 31).
Colgo l’occasione per ringraziare il professor Richard Lamb per le cortesi indicazioni archivistiche fornitemi, e in particolare lo storico Gerhard Schreiber e Bruno Pappalardo del Public Record Office di Londra, per la sollecita disponibilità dimostrata anche nel corso delle nuove ricerche.
Voglio infine ricordare il generoso contributo offertomi da Guido Valabrega, la cui recente scomparsa lascia un doloroso vuoto in chiunque, come me, abbia avuto la fortuna e l’onore di poterne apprezzare l’onestà intellettuale e l’impegno civile.
Milano, marzo 2000
INTRODUZIONE
Se il signor giudice Quistelli non avesse emesso la ormai nota sentenza del processo Priebke, questo libro non sarebbe forse stato scritto.
Sono passati più di cinquant'anni dalla conclusione della lotta partigiana e la memoria della Resistenza è attaccata dall'ignoranza e dalla mistificazione dei fatti artatamente e tenacemente coltivate da rivisitazioni becere e ingiuriose cui si contrappone una impacciata e svogliata difesa d'ufficio da parte di chi pure dice di richiamarsi ai suoi valori.
I governi succedutisi per cinquant'anni hanno fatto di tutto prima per criminalizzarla e poi per imbalsamarla nella retorica di una ufficialità appiattita e lottizzata rendendone anche il solo nome insopportabilmente noioso alle nuove generazioni mentre la sinistra storica ha contribuito ad asfissiarne ricordi e insegnamenti con una politica culturale sempre più ristretta a rituali commemorativi stanchi e disertati e con l'occhio attento ieri a non urtare la suscettibilità democristiana e oggi a non intralciare un allargamento del consenso, meglio ancora se elettorale,
raccontato in chiave di pacificazione nazionale. La scuola, salvo encomiabili eccezioni, ha mancato alle sue funzioni didattiche ed educative e i pregevoli risultati della storiografia resistenziale dell'ultimo ventennio sono rimasti per lo più confinati tra gli studiosi mentre il lavorio delle termiti di un revisionismo storico fazioso è stato amplificato da una televisione compiacente.
Mi è capitato non di rado, in alcuni Istituti in cui sono stato invitato nei soliti mesi d'aprile, che qualche studente, muovendo dall'assunto che la democrazia repubblicana è nata dalla Resistenza, si e mi chiedesse se le radici del consociativismo e del malcostune pubblico e privato che ha corroso il tessuto morale del paese insieme alla credibilità dei pubblici poteri, non dovessero essere di conseguenza ricercate proprio nella Resistenza, puntando così il dito contro l'autenticità della moralità e delle aspirazioni di rinnovamento sociale che erano state l'anima e la forza della Resistenza.Domande logiche e speculativamente più che legittime ma in questi ultimi anni alimentate ad arte per proseguire lungo quel cammino denigratorio iniziatosi già nell'immediato dopoguerra.
Questo libro non si prefigge di rispondere a quelle domande: se mai, attraverso la storia ricostruita, una storia come tante e finita come troppe, spera di suscitarne altre ancora.
Negli anni Sessanta si scoprì che Theodor Emil Saevecke, ex SS comandante la Sicherheitspolizei e la Gestapo operanti a Milano e responsabile di vari delitti, aveva nel dopoguerra continuato la sua carriera nella polizia della Repubblica federale tedesca, diventandone nientemeno che vicedirettore di uno dei più delicati e importanti dipartimenti. Lo scandalo che ne nacque venne sfacciatamente insabbiato, l'ex capitano, ormai colonnello, sparse la voce che si sarebbe prepensionato - il che non fece - e l'inchiesta ministeriale aperta a suo carico si concluse con la sua riabilitazione.
Il caso Saevecke è però diverso da quello di criminali di guerra come Priebke o Hass. Dopo la guerra non era entrato nell'ombra nascondendosi a Bariloche o a Albiate Brianza, non aveva cambiato nome né aveva cambiato mestiere. Non ce n'era stato bisogno. Nell'Europa postbellica un passato poliziesco vergognoso e da esecrare facevano fede di vocazione antidemocratica e anticomunista e così come, tanto per fare un esempio di casa nostra, Guido Leto, ex dirigente dell'Ovra, la famigerata polizia segreta del ventennio, era stato riammesso in servizio affidandogli la direzione di tutte le scuole di polizia della Repubblica, il signor Saevecke, insieme ad altri ex nazisti disseminati tra governo, magistratura e polizia, era stato riciclato per vegliare sulle scelte e sulla sicurezza della giovane democrazia tedesca o, se si preferisce, sugli interessi di chi tornava a servirsi di nazisti e fascisti pur di contenere le spinte di rinnovamento democratico.
Non si trattò di un errore ma di una scelta politica, così come, per scelta politica e non per incuria mediterranea, nel nostro paese centinaia di fascicoli relativi a crimini di guerra nazisti sono rimasti seppelliti per cinquant'anni con pesanti responsabilità della magistratura militare, ma soprattutto dei ministeri della Difesa che ne hanno controllato e diretto l'attività fino al 1988.
Il passato doveva essere dimenticato. Riportare a galla quei crimini avrebbe fatto emergere le connivenze e le protezioni di cui molti nazifascisti avevano goduto nel dopoguerra e avrebbe spinto a ricercare le motivazioni di quelle complicità; avrebbe rievocato la memoria della Resistenza e delle diffuse aspettative di rinnovamento istituzionale e sociale che ne erano state alla base e per la cui realizzazione, per la prima volta nella nostra storia, vaste masse si erano impegnate in prima persona; avrebbe inevitabilmente voluto dire tornare ad interrogarsi sui perché, con quali strumenti e da chi - ma anche a causa di quali errori - quelle aspettative erano state disattese.
Non solo. Seduti sul banco degli accusati i criminali nazisti, per scagionarsi, avrebbero certamente chiamato in causa i loro complici repubblichini e la coscienza dell'intero paese avrebbe dovuto riaprire dei conti troppo frettolosamente chiusi, a partire dall'indifferenza generale con cui vennero accolte le leggi razziali nel 1938 per arrivare a tutti quegli ebrei e resistenti non rastrellati o arrestati dai nazisti ma consegnati loro dai fascisti e dalla stessa polizia italiana. Allo stesso modo sarebbe riemerso quello che ancora oggi si cerca di sottacere o di ridimensionare e che va invece raccontato a quanti non sanno e ribadito a chi vuole fingere di non sapere o di non ricordare: senza la collaborazione volontaria dei corpi armati e polizieschi della repubblichina di Salò i nazisti non avrebbero potuto saccheggiare, reprimere, assassinare e deportare come fecero. Se questo accadde fu perché poterono servirsi di complici che portano ancora oggi sulle spalle ampia parte della responsabilità dei lutti, delle distruzioni e, in primo luogo, della guerra civile che afflissero il paese.
Chi scelse di stare dall'altra parte, in buona o mala fede che fosse, condivide la responsabilità storica di essersi schierato dalla parte dei Priebke e dei Saevecke, dalla parte di chi programmaticamente negò libertà democrazia e concepì violenza e terrore come principali, se non unici, strumenti di affermazione ed è pertanto responsabile di averne, con il proprio impegno, favorito e supportato i delitti. La comprensione oggi invocata per le motivazioni - non le ragioni - dei giovani di Salò è questione che deve interessare la storiografia, quella di sinistra sotto questo aspetto sicuramente in ritardo, ma non ha niente a che vedere con i propositi o gli inviti alla pacificazione.
Non sono gli ex combattenti della libertà né le generazioni che ne hanno ereditato i valori a doversi pacificare con chi ancora si richiama apertamente o velatamente al ventennio e agli sventurati giorni di Salò, o cerca di contrabbandarne improponibili rivalutazioni. L'amnistia che prese il nome dell'allora Guardasigilli Togliatti fu la più generosa dimostrazione di volontà pacificatoria. Se chi militò nelle schiere nazifasciste ignorava allora di combattere per il sistema dei campi di sterminio e di Marzabotto, in questi cinquant'anni ha avuto tempo e strumenti per sapere, meditare e rivedere le proprie scelte.
La storia dell'SS-Hauptsturmführer Theo Saevecke non è solamente il riflesso dell'ubriacatura nazionalista e razzista in cui precipitò la maggioranza del popolo tedesco in quegli anni, è anche dimostrazione esemplare della criminale complicità dei suoi servi repubblichini e delle scandalose protezioni, nostrane e d'oltralpe, di cui beneficiò nel dopoguerra, ed è una storia che si intreccia e rimanda anche a quella di chi, combattendo la bestia nazifascista, rese possibile la rinascita democratica del paese. E' dunque storia nostra, storia che troppe volte, e in modo fin troppo sbandierato, si è declamato essere impressa nel codice genetico della democrazia repubblicana, ma il cui patrimonio civile e morale non si è saputo - e non si è voluto - far diventare momento fondativo di una nuova coscienza nazionale e la cui memoria è oggi, sempre più spesso, oggetto di insolenti
attacchi, basti pensare, ultimo e macroscopico esempio di inammissibile ignoranza storica e di sfrontate velleità revisioniste, all'incredibile pretesa di voler mettere sotto accusa i gappisti autori dell'attentato di via Rasella e con loro, non ci vuole molto a capirlo, l'intera Resistenza.
Mi è parso necessario raccontare oggi i crimini del capitano Saevecke per ricordare e far ricordare chi furono i carnefici e chi le vittime, chi volontariamente lottò e si sacrificò per la libertà e la democrazia e chi - e con quali mezzi aberranti - cercò invece fino all'ultimo di soffocarle, perché soltanto la conoscenza dei fatti e la conservazione della memoria di ciò che è accaduto possono concorrere nel fornire, soprattutto ai giovani, gli elementi per la formulazione di un giudizio critico che li sottragga alle manipolazioni di chi vuole riscrivere quella storia falsandole e di chi, di volta in volta, non si perita - qualcuno con perseveranza suicida - di adattare storia e storiografia a scelte politiche contingenti. Ho ricostruito le malefatte del signor Saevecke e dei suoi manutengoli anche nella fiducia che, dimostrate le colpe di cui si è macchiato, se si comincia ad interrogarsi su come siano state possibili la sua carriera postbellica e la sua impunità, si inneschi un processo che non può non portare a porsi altre domande su allora e su tante altre vicende dei nostri ultimi cinquant'anni. E se le domande sono sostenute da onestà e rigore intellettuale, prima o poi si approda alle risposte giuste.
Mentre mi accingo a licenziare questo lavoro apprendo che il dottor Pier Paolo Rivello, Procuratore militare di Torino, ha depositato la richiesta di rinvio a giudizio a carico del signor Saevecke. Spetta ora alla magistratura giudicarlo.
La conclusione di una ricostruzione storica può non coincidere con una conclusione processuale, ma anche in questo caso, come ebbe a dichiarare nel lontano 1963 Giovanni Melodia, segretario dell'Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti: «Saevecke [...] per noi resta un criminale».
E chi leggerà la storia delle sue azioni delittuose non potrà che convenirne.
...........
Da questo link potete scaricare tutto il libro in formato PDF: http://www.associazioni.milano.it/isec/ita/memoria/download/hitlermi.PDF
Nessun commento:
Posta un commento