di Maurizio Clerici
Non so quale tormento ha sconvolto i cattolici argentini nell’ascoltare le voci dei sopravissuti alle squadre della morte dei generali P2. Imputato il cappellano militare Christian Von Wernich. Le Tv e i fotografi che cercavano di cogliere nel volto un’ombra di imbarazzo ( se non di pentimento ) trovavano occhi di ghiaccio, labbra piegate nel sarcasmo quando, chi uscito vivo dalle prigioni clandestine, spiegava di quale inferno il sacerdote era stato protagonista.. L’ho visto e rivisto in Tv per evitare il luogo comune del colpevole indifferente, ma Von Wernich insisteva nel rappresentarsi come luogo comune senza speranza. Ha confessato i prigionieri che non si erano arresi alla tortura non avendo segreti da raccontare. Li invitava a collaborare perché l’Altissimo lo pretendeva. Chi confidava la verità nascosta - abbandono di ogni credente che si inginocchia - era lontano dal sospetto di un confessore spia dei torturatori.
L’accusa ha inchiodato all’ergastolo Von Wernich: 7 omicidi, 32 casi di tortura ripetuta dopo le notizie raccolte nel confessionale e 42 amici spariti nel nulla. Nove anni fa il capitano Scilingo è stato il primo repressore a spiegare con quali parole di consolazione Von Wermich ed altri cappellani militari accompagnavano i condannati a morire sull’aereo che li avrebbe dispersi in mare: la volontà del Signore lo pretendeva, segno dell’ amore col quale proteggeva la patria. “Rassegnati, Dio lo sa”. Nell’interpretazione di questi sacerdoti, la rassegnazione disinfettava dagli insetti maligni la nuova società. Ma non erano insetti e non erano maligni: solo ragazzi che non sopportavano l’oppressione armata.
Ecco perché 30 anni dopo memoria e perdono restano i problemi irrisolti della Chiesa nel continente più cattolico del mondo. Von Wermich non è diventato improvvisamente colpevole otto giorni fa. Subito dopo la sentenza del tribunale, la Chiesa annuncia procedure che gli statuti vaticani contemplano per decidere il destino di un prete del quale si conoscono i delitti da tempo immemorabile. Negli ultimi mesi ogni vescovo ha incontrato ogni giorno su ogni giornale e ogni Tv i racconti dei testimoni e i documenti che provano l’orrore. Non a caso il comunicato della Commissione Episcopale appare cinque minuti dopo l’annuncio dell’ergastolo. Perché cinque minuti dopo e non cinque anni o cinque mesi fa come i credenti pretendevano ? Parole preparate da tempo; poche righe che deludono: “Il Vangelo di Cristo impone a noi discepoli una condotta rispettosa verso i fratelli. Un sacerdote cattolico, per azioni e omissioni, si è allontanato dall’esigenze della missione che gli era stata affidata. Chiediamo perdono con pentimento sincero mentre pregiamo Dio nostro Signore di illuminarci per poter compiere la missione di unità e di servizio”. Non una parola di pena per le vittime. La deviazione di Von Wermich rimpicciolisce nella deviazione personale, pecora nera lontana dall’impegno della comunità ecclesiale.
Ed è vero, ma il silenzio della comunità ecclesiale resta il peccato inspiegabile che ha riunito tanti vescovi e tanti sacerdoti alcuni di loro prossimi al processo. E dopo la sentenza se ne aggiungono altri. Il vescovo vicario della diocesi di san Miguel, Federico Gogala, visitava giovani donne che stavano per partorire. Nude e incappucciate per non riconoscerlo. Se ne andava col bambino appena nato mentre la madre veniva assassinata. Una suora e un’infermiera stanno testimoniando. E testimoniano le nonne di piazza di Maggio con la prova di una nipote ritrovata, data in adozione dal Movimento Familiare Cristiano vicino al vescovo ausiliare Gocala. Comprensibile l’imbarazzo e il dolore eppure nessuna spiegazione su “omissioni ed azioni” che tormentano il clero argentino, ma anche sacerdoti e cattolici di tutte le americhe latine, e non solo delle americhe. Non hanno saputo affrontare il passato prossimo con la lealtà che obbliga la loro missione. Per il diritto canonico la decisione sul futuro sacerdotale dell’ex cappellano militare è competenza del vescovo della diocesi, monsignor Martin Elizaide, 67 anni, profilo incolore nella gerarchia argentina. Facile pensare che il verdetto risentirà degli umori della conferenza episcopale. La procedura sarà lunga, Martin Elizaide non ha indicato quanto finirà. A Von Wermich è consentito ricorrere al tribunale vaticano se gli sarà proibito di esercitare la funzione ministeriale.
Si apre un tempo paradossale. Von Wermich può continuare a confessare, celebrare messa come ogni parroco in pace con Dio; potrà distribuire la comunione agli altri torturatori chiusi nella stessa prigione fino a quando la decisione del vescovo non lo impedirà. Ma glielo proibirà per sempre o “la contrizione palese per il male commesso” potrà risorgerlo a nuova vita restituendogli messa, comunione e confessione? Su Ernesto Cardenal e Manuel D’Escoto, ministri nel governo sandinista, papa Woytila aveva alzato l’indice del rimprovero. Hanno perso la messa per sempre. Ferdinando Cardenal, fratello di Ernesto e gesuita, a 70 anni ha riaffrontato il noviziato con l’umiltà di un seminarista adolescente. Ed è tornato a celebrare dopo la lunga punizione. Loro colpa aver accettato un ruolo politico come è successo in altre regioni, anche in Italia. Baget Bozzo (don Gianni per i ragazzi ormai bianchi del ’68) era diventato parlamentare europeo nel nome di Craxi: gli hanno benevolmente imposto la proibizione del predicare in pubblico. Nel privato restava il prete di sempre. Nessuna sanzione radicale.
I delitti di Von Vernich oscurati da silenzio e complicità aprono un capitolo finora esplorato con imbarazzo: il rapporto tra cappellani militari e dittature, dall’America Centrale a Brasile, Cile, Argentina. Con quale spiritualità si sono rivolti a Dio gomito a gomito con le squadre della morte? Fedeli ai doveri pastorali o ligi all’obbedienza dovuta che incatena ogni militare? Fino al processo Von Wernich, ai cappellani militari di Argentina e Cile la Chiesa non ha detto niente. Si sapeva e si sa delle ambiguità a volte degenerate in collaborazione al delitto. Sembra impossibile che i vescovi cappellani militari e i vescovi amici dei vescovi militari siano stati all’oscuro. Possibile che i nunzi apostolici, ambasciatori del Papa, si siano limitati ai sussurri? Forse i doveri diplomatici e l’amicizia personale con gli strateghi della repressione hanno annacquato nell’ipocrisia l’impegno che impone la fede. Vent’anni dopo, 1996, i vescovi argentini si fanno vivi con un’autocritica superficiale. Nel 2000 chiedono per la prima volta perdono. In Cile il silenzio continua. Alla messa della domenica nella cattedrale castrense di Santiago, vecchi e nuovi militari si accostano all’altare con la devozione di Pinochet.
La storia dei rapporti chiesa-stato ha conosciuto in Argentina momenti che oggi (solo oggi) imbarazzano le coscienze. Subito dopo il colpo di stato 1976, il cardinale di Buenos Aires Carlo Aramburu invita i fedeli a collaborare col governo dei generali “i cui membri appaiono assai bene ispirati”. Gran parte dei vescovi e il nunzio apostolico Pio Laghi (cardinale romano) assistono alla cerimonia di insediamento del generale Videla. Laghi è il solo diplomatico straniero presente. Perché? Tre mesi dopo benedice a Tucuman le truppe scatenate nella repressione: “l’autodifesa contro chi vorrebbe far prevalere idee estranee alla nazione… impone misure determinate. In queste circostanze si potrà rispettare il diritto fin dove si potrà”. Anche Benelli, sostituto Segretario di Stato Vaticano, si dichiara “soddisfatto per l’orientamento assunto dal nuovo governo argentino nella sua vocazione cristiana e occidentale”. Paolo VI era stanco, malato. Lo si informa in qualche modo nascondendo quasi tutto.
Anche Giovanni Paolo II viene a sapere della tragedia argentina dalle Madri di piazza di Maggio. La Chiesa di Buenos Aires tranquillizzava il Vaticano ma le madri alle quali avevano rubato i ragazzi vengono a Roma sperando di informare il papa. Per sopravvivere lavorano come perpetue o inservienti in collegi religiosi e parrocchie. Ed è così che Giovanni Paolo II, e non un vescovo argentino, pronuncia per primo la parola “desaparecido”. Tardi, purtroppo: 30 mila morti.
Ieri, come oggi, in Argentina e nel continente latino ( Venezuela compreso ) si delineano Chiese che non si capiscono. Tanti preti e qualche vescovo fra le vittime. Romero e dodici religiosi in Salvador. Due vescovi e religiosi assassinati in Argentina. Il primo a morire don Carlos Mugica, fondatore del movimento dei sacerdoti terzomondismi. Poi padre Josè Tedeschi, poi l’intera comunità dei Pallottini: tre preti, due seminaristi. Il vescovo Enrique Angeletti viene ucciso al ritorno da un convegno in Ecuador organizzato dai teologi della liberazione; il vescovo Carlos Ponce muore a San Nicolas in un incidente stradale che la polizia definisce “immaginario”. Due suore francesi violentate, torturate e uccise dal guardiamarina Astiz. L’essere riconosciuto colpevole non ferma la sua carriera: l’indulto del presidente Menem gli permette la divisa immacolata di capitano di vascello. I vescovi Karlic e Novak non sopportano: precedono il mea culpa ufficiale invocando perdono per il male che la Chiesa “non ha impedito, sopportato e in qualche caso aiutato”.
Il regime cade eppure certe solidarietà non svaniscono. 24 settembre 1991: il nunzio apostolico Ubaldo Calabresi organizza un ricevimento per festeggiare il dodicesimo anniversario dell’investitura di Giovanni Paolo II. Fra gli invitati i generali Videla, Viola e l’ammiraglio Massera riconosciuti colpevoli dell’uccisione di migliaia persone, ma perdonati e rimessi in libertà dalla legge che “riappacifica il paese”. L’altra Chiesa argentina guarda al futuro in modo diverso. Dopo la condanna di Von Wernich la Commissione Giustizia e Pace assistita dal vescovo Jorge Casaretto (71 anni, origini genovesi) si preoccupa del dolore dei familiari ed esprime pietà per le vittime invitando la giustizia a scoprire quali complicità e quanti tradimenti siano allo radice di una tragedia impossibile da nascondere. Casaretto ha guidato la Caritas negli anni del disastro economico: metà Argentina non sapeva cosa mangiare. Ha aperto mense popolari, bussato alle porte che contano.
Von Wernich appartiene all’altra Chiesa. Il suo ergastolo illumina lo scandalo dei sacerdoti che hanno trasformato la confessione in un gadget della tortura. “Era difficile”, sospirava qualche anno fa il vescovo Laguna, portavoce della conferenza episcopale, nella sua stanzetta di Morelos. “Difficile restare fedeli alla promessa e sopravvivere nella paura”. Difficile, ma non impossibile. Cambiando latitudine ecco la storia del cardinale di Praga Miloslav Vlk. Il socialismo reale avevo imposto l’ateismo trasformando la devozione religiosa in un “sentimento privato”. I preti dovevano lavorare per vivere. Per i credenti una sfida andare a messa mentre mani curiose annotavano i nomi sul registro dei sovversivi. Il giovane prete Miloslav Vlk lavava vetri agli angoli delle strade. Ogni tanto perdeva tempo a discorrere coi passanti. Lo racconta nel libro di Sara Regina (edizione San Paolo: Da lavavetri a cardinale). Chi lo avvicinava voleva confessarsi lontano dagli occhi delle polizie. Col secchio d’acqua in mano, Miloslav Vlk ascoltava e assolveva chiudendo nel cuore le loro parole. Qualcuno dovrebbe mandare il libro a Von Wernich e a chissà quanti cappellani militari dell’altra America (ma non solo). Magari capiranno.
mchierici2@libero.it
Non so quale tormento ha sconvolto i cattolici argentini nell’ascoltare le voci dei sopravissuti alle squadre della morte dei generali P2. Imputato il cappellano militare Christian Von Wernich. Le Tv e i fotografi che cercavano di cogliere nel volto un’ombra di imbarazzo ( se non di pentimento ) trovavano occhi di ghiaccio, labbra piegate nel sarcasmo quando, chi uscito vivo dalle prigioni clandestine, spiegava di quale inferno il sacerdote era stato protagonista.. L’ho visto e rivisto in Tv per evitare il luogo comune del colpevole indifferente, ma Von Wernich insisteva nel rappresentarsi come luogo comune senza speranza. Ha confessato i prigionieri che non si erano arresi alla tortura non avendo segreti da raccontare. Li invitava a collaborare perché l’Altissimo lo pretendeva. Chi confidava la verità nascosta - abbandono di ogni credente che si inginocchia - era lontano dal sospetto di un confessore spia dei torturatori.
L’accusa ha inchiodato all’ergastolo Von Wernich: 7 omicidi, 32 casi di tortura ripetuta dopo le notizie raccolte nel confessionale e 42 amici spariti nel nulla. Nove anni fa il capitano Scilingo è stato il primo repressore a spiegare con quali parole di consolazione Von Wermich ed altri cappellani militari accompagnavano i condannati a morire sull’aereo che li avrebbe dispersi in mare: la volontà del Signore lo pretendeva, segno dell’ amore col quale proteggeva la patria. “Rassegnati, Dio lo sa”. Nell’interpretazione di questi sacerdoti, la rassegnazione disinfettava dagli insetti maligni la nuova società. Ma non erano insetti e non erano maligni: solo ragazzi che non sopportavano l’oppressione armata.
Ecco perché 30 anni dopo memoria e perdono restano i problemi irrisolti della Chiesa nel continente più cattolico del mondo. Von Wermich non è diventato improvvisamente colpevole otto giorni fa. Subito dopo la sentenza del tribunale, la Chiesa annuncia procedure che gli statuti vaticani contemplano per decidere il destino di un prete del quale si conoscono i delitti da tempo immemorabile. Negli ultimi mesi ogni vescovo ha incontrato ogni giorno su ogni giornale e ogni Tv i racconti dei testimoni e i documenti che provano l’orrore. Non a caso il comunicato della Commissione Episcopale appare cinque minuti dopo l’annuncio dell’ergastolo. Perché cinque minuti dopo e non cinque anni o cinque mesi fa come i credenti pretendevano ? Parole preparate da tempo; poche righe che deludono: “Il Vangelo di Cristo impone a noi discepoli una condotta rispettosa verso i fratelli. Un sacerdote cattolico, per azioni e omissioni, si è allontanato dall’esigenze della missione che gli era stata affidata. Chiediamo perdono con pentimento sincero mentre pregiamo Dio nostro Signore di illuminarci per poter compiere la missione di unità e di servizio”. Non una parola di pena per le vittime. La deviazione di Von Wermich rimpicciolisce nella deviazione personale, pecora nera lontana dall’impegno della comunità ecclesiale.
Ed è vero, ma il silenzio della comunità ecclesiale resta il peccato inspiegabile che ha riunito tanti vescovi e tanti sacerdoti alcuni di loro prossimi al processo. E dopo la sentenza se ne aggiungono altri. Il vescovo vicario della diocesi di san Miguel, Federico Gogala, visitava giovani donne che stavano per partorire. Nude e incappucciate per non riconoscerlo. Se ne andava col bambino appena nato mentre la madre veniva assassinata. Una suora e un’infermiera stanno testimoniando. E testimoniano le nonne di piazza di Maggio con la prova di una nipote ritrovata, data in adozione dal Movimento Familiare Cristiano vicino al vescovo ausiliare Gocala. Comprensibile l’imbarazzo e il dolore eppure nessuna spiegazione su “omissioni ed azioni” che tormentano il clero argentino, ma anche sacerdoti e cattolici di tutte le americhe latine, e non solo delle americhe. Non hanno saputo affrontare il passato prossimo con la lealtà che obbliga la loro missione. Per il diritto canonico la decisione sul futuro sacerdotale dell’ex cappellano militare è competenza del vescovo della diocesi, monsignor Martin Elizaide, 67 anni, profilo incolore nella gerarchia argentina. Facile pensare che il verdetto risentirà degli umori della conferenza episcopale. La procedura sarà lunga, Martin Elizaide non ha indicato quanto finirà. A Von Wermich è consentito ricorrere al tribunale vaticano se gli sarà proibito di esercitare la funzione ministeriale.
Si apre un tempo paradossale. Von Wermich può continuare a confessare, celebrare messa come ogni parroco in pace con Dio; potrà distribuire la comunione agli altri torturatori chiusi nella stessa prigione fino a quando la decisione del vescovo non lo impedirà. Ma glielo proibirà per sempre o “la contrizione palese per il male commesso” potrà risorgerlo a nuova vita restituendogli messa, comunione e confessione? Su Ernesto Cardenal e Manuel D’Escoto, ministri nel governo sandinista, papa Woytila aveva alzato l’indice del rimprovero. Hanno perso la messa per sempre. Ferdinando Cardenal, fratello di Ernesto e gesuita, a 70 anni ha riaffrontato il noviziato con l’umiltà di un seminarista adolescente. Ed è tornato a celebrare dopo la lunga punizione. Loro colpa aver accettato un ruolo politico come è successo in altre regioni, anche in Italia. Baget Bozzo (don Gianni per i ragazzi ormai bianchi del ’68) era diventato parlamentare europeo nel nome di Craxi: gli hanno benevolmente imposto la proibizione del predicare in pubblico. Nel privato restava il prete di sempre. Nessuna sanzione radicale.
I delitti di Von Vernich oscurati da silenzio e complicità aprono un capitolo finora esplorato con imbarazzo: il rapporto tra cappellani militari e dittature, dall’America Centrale a Brasile, Cile, Argentina. Con quale spiritualità si sono rivolti a Dio gomito a gomito con le squadre della morte? Fedeli ai doveri pastorali o ligi all’obbedienza dovuta che incatena ogni militare? Fino al processo Von Wernich, ai cappellani militari di Argentina e Cile la Chiesa non ha detto niente. Si sapeva e si sa delle ambiguità a volte degenerate in collaborazione al delitto. Sembra impossibile che i vescovi cappellani militari e i vescovi amici dei vescovi militari siano stati all’oscuro. Possibile che i nunzi apostolici, ambasciatori del Papa, si siano limitati ai sussurri? Forse i doveri diplomatici e l’amicizia personale con gli strateghi della repressione hanno annacquato nell’ipocrisia l’impegno che impone la fede. Vent’anni dopo, 1996, i vescovi argentini si fanno vivi con un’autocritica superficiale. Nel 2000 chiedono per la prima volta perdono. In Cile il silenzio continua. Alla messa della domenica nella cattedrale castrense di Santiago, vecchi e nuovi militari si accostano all’altare con la devozione di Pinochet.
La storia dei rapporti chiesa-stato ha conosciuto in Argentina momenti che oggi (solo oggi) imbarazzano le coscienze. Subito dopo il colpo di stato 1976, il cardinale di Buenos Aires Carlo Aramburu invita i fedeli a collaborare col governo dei generali “i cui membri appaiono assai bene ispirati”. Gran parte dei vescovi e il nunzio apostolico Pio Laghi (cardinale romano) assistono alla cerimonia di insediamento del generale Videla. Laghi è il solo diplomatico straniero presente. Perché? Tre mesi dopo benedice a Tucuman le truppe scatenate nella repressione: “l’autodifesa contro chi vorrebbe far prevalere idee estranee alla nazione… impone misure determinate. In queste circostanze si potrà rispettare il diritto fin dove si potrà”. Anche Benelli, sostituto Segretario di Stato Vaticano, si dichiara “soddisfatto per l’orientamento assunto dal nuovo governo argentino nella sua vocazione cristiana e occidentale”. Paolo VI era stanco, malato. Lo si informa in qualche modo nascondendo quasi tutto.
Anche Giovanni Paolo II viene a sapere della tragedia argentina dalle Madri di piazza di Maggio. La Chiesa di Buenos Aires tranquillizzava il Vaticano ma le madri alle quali avevano rubato i ragazzi vengono a Roma sperando di informare il papa. Per sopravvivere lavorano come perpetue o inservienti in collegi religiosi e parrocchie. Ed è così che Giovanni Paolo II, e non un vescovo argentino, pronuncia per primo la parola “desaparecido”. Tardi, purtroppo: 30 mila morti.
Ieri, come oggi, in Argentina e nel continente latino ( Venezuela compreso ) si delineano Chiese che non si capiscono. Tanti preti e qualche vescovo fra le vittime. Romero e dodici religiosi in Salvador. Due vescovi e religiosi assassinati in Argentina. Il primo a morire don Carlos Mugica, fondatore del movimento dei sacerdoti terzomondismi. Poi padre Josè Tedeschi, poi l’intera comunità dei Pallottini: tre preti, due seminaristi. Il vescovo Enrique Angeletti viene ucciso al ritorno da un convegno in Ecuador organizzato dai teologi della liberazione; il vescovo Carlos Ponce muore a San Nicolas in un incidente stradale che la polizia definisce “immaginario”. Due suore francesi violentate, torturate e uccise dal guardiamarina Astiz. L’essere riconosciuto colpevole non ferma la sua carriera: l’indulto del presidente Menem gli permette la divisa immacolata di capitano di vascello. I vescovi Karlic e Novak non sopportano: precedono il mea culpa ufficiale invocando perdono per il male che la Chiesa “non ha impedito, sopportato e in qualche caso aiutato”.
Il regime cade eppure certe solidarietà non svaniscono. 24 settembre 1991: il nunzio apostolico Ubaldo Calabresi organizza un ricevimento per festeggiare il dodicesimo anniversario dell’investitura di Giovanni Paolo II. Fra gli invitati i generali Videla, Viola e l’ammiraglio Massera riconosciuti colpevoli dell’uccisione di migliaia persone, ma perdonati e rimessi in libertà dalla legge che “riappacifica il paese”. L’altra Chiesa argentina guarda al futuro in modo diverso. Dopo la condanna di Von Wernich la Commissione Giustizia e Pace assistita dal vescovo Jorge Casaretto (71 anni, origini genovesi) si preoccupa del dolore dei familiari ed esprime pietà per le vittime invitando la giustizia a scoprire quali complicità e quanti tradimenti siano allo radice di una tragedia impossibile da nascondere. Casaretto ha guidato la Caritas negli anni del disastro economico: metà Argentina non sapeva cosa mangiare. Ha aperto mense popolari, bussato alle porte che contano.
Von Wernich appartiene all’altra Chiesa. Il suo ergastolo illumina lo scandalo dei sacerdoti che hanno trasformato la confessione in un gadget della tortura. “Era difficile”, sospirava qualche anno fa il vescovo Laguna, portavoce della conferenza episcopale, nella sua stanzetta di Morelos. “Difficile restare fedeli alla promessa e sopravvivere nella paura”. Difficile, ma non impossibile. Cambiando latitudine ecco la storia del cardinale di Praga Miloslav Vlk. Il socialismo reale avevo imposto l’ateismo trasformando la devozione religiosa in un “sentimento privato”. I preti dovevano lavorare per vivere. Per i credenti una sfida andare a messa mentre mani curiose annotavano i nomi sul registro dei sovversivi. Il giovane prete Miloslav Vlk lavava vetri agli angoli delle strade. Ogni tanto perdeva tempo a discorrere coi passanti. Lo racconta nel libro di Sara Regina (edizione San Paolo: Da lavavetri a cardinale). Chi lo avvicinava voleva confessarsi lontano dagli occhi delle polizie. Col secchio d’acqua in mano, Miloslav Vlk ascoltava e assolveva chiudendo nel cuore le loro parole. Qualcuno dovrebbe mandare il libro a Von Wernich e a chissà quanti cappellani militari dell’altra America (ma non solo). Magari capiranno.
mchierici2@libero.it
Cortesia dell'Unità
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18 commenti:
Elena hai una media di 5 post giornalieri. Ora un blog è soprattutto confronto di idee o mira ad approfondire alcune tematiche, ma con questo ritmo resta solo il tempo di aprire i post e leggere qualche riga.
Posso offrirti un caffè hag??
Ciao Mat
@elena, passi da me un secondo? appello for kilombo. besos rojos
ladytux
E ieri in Vaticano 498 franchisti sono stati beatificati perché "Martiri della Repubblica"...
@ladytux: fatto! stasera ti copio... :) grazie
@franca: ma non era mica una mossa politica!!! :(
@mat: lo so, la produzione di post è elevata. Ma, a parte che ho un redattore molto prolifico - e anche molto attento a quanto succede nel mondo, devo dire - c'è il fatto che un blog è quello che uno vuole che sia. Lui ritiene che la controinformazione sia fondamentale e tutto sommato io mi associo. A quanto capisco, tu vorresti che limitassimo i temi in modo da poter leggere ed approfondire e discutere. Ma ovviamente dovrei essere io insieme al team a decidere di che parlare. E a me non sembra giusto farlo. Poniamo che a me interessi parlare (male?) degli USA e che a te interessi la scuola (che a me non prende più di tanto, ma bada che è solo un'ipotesi): perché non dovrei più riportare le nefandezze del nostro sistema di istruzione?
Poi sai, non è che uno debba necessariamente lasciare traccia del suo passaggio ad ogni post: dal titolo normalmente si capisce se ti può interessare o meno e in base a quello puoi decidere se commentare o no. Vedrò di "restringere" il campo "etichette" in modo più razionale - così se uno cerca un determinato argomento fa meno fatica e non deve scorrersi tutto il blog. Ma se un giorno ti dovesse venire il ticchio di scoprire qualcosa su un tema che normalmente trascuri, qui sai che hai qualche possibilità di trovare qualcosa - e quasi mai la versione ufficiale e basta.
Inoltre, anche se tra un mese dovessi decidere di commentare un post vecchio, riceveresti comunque risposta (perchè i nuovi commenti mi vengono segnalati). Con i MIEI tempi, ovvio... infatti so benissimo che devo almeno una risposta a te - su comunismo e anarchia - ed una, da ancor più tempo, a Myecud - che spero non abbia perso la speranza...
Quanto al caffé, grazie, ma, come sicuramente avrai capito, preferisco quello "vero"... che penso sia l'unica cosa che mi circola in vena! :)
Liquidare le vittime della persecuzione comunista nella guerra civile spagnola come "franchisti" e/o fascisti mi sembra una leggerezza enorme e denota una rigidita mentale degna di un robot.
Come dire che in Italia o si è comunisti o fascisti......ma per favore.
Leggete e cercate notizie su internet, vi suggerisco questo sito:
http://necropolisgulag.altervista.org/index.htm?spagna36.htm
Spero che la musica cambi, solo per il piacere, si intende, di leggere qualcosa di meno categorico.
Mat
A volte il buon Mat mi fa scompisciare... come, ad esempio,quando invita ad essere obiettivi consigliando un sito gestito dal movimento Pan-Europeo, ovvero da dei neo-nazisti. Le vittime della persecuzione comunista-stalinista in Spagna non furono solo franchisti, infatti: ci furono molti anarchici, molti comunisti internazionalisti... ed anche preti che avevano benedetto il golpe di Franco e denunciato militanti repubblicani, come, tanto per far un esempio, il poeta Garcia Lorca, fucilato dai falangisti e lasciato morire lentamente dopo che gli si sparò il colpo di grazia non alla nuca, ma nel fondo schiena perché...era una "checca".
Caro Equo, il sito lo consigliato solo perchè riportava dedlle notizie che tu, pur filtrandole, riconosci giuste (parlo di cronaca). Cmq ho invitatao a cercare su internet più fonti.
Per quanto riguarda i crimini dei falangisti, non sono certo io un loro sostenitore, anzi.
Forse sono i tipi come me, che non si riconoscono in ideologie prefabbricate a essere vittime di certi sistemi.
Il mio commento era chiaro e si riferiva all'affermazione di franca, ma vedo che ti ha interessato più ciò che ho scritto io.
Meglio così :-)
Ciao Mat
Mat, c'è una cosa che comunque pare sfuggirti: se 498 franchisti - tra i quali sicuramente c'era anche qualche brava persona - sono stati "Martiri della Repubblica", che peraltro ha perso... quanti saranno stati i comunisti, gli anarchici ed i libertari in generale "vittime del franchismo"? O quelli erano comunque brutta gente, anche solo perché senza dio?
Elena qui sono state disprezzate le vittime dei comunisti ed io mi oppongo a questa sciocca visione di parte.
Sono pronto a difendere le vittime del franchismo se qualcuno le accusasse di essere solo fanatici comunisti.
I crimini di una parte non giustificano i crimini dell'altra, almeno a chi ha una visione imparziale e non si riconosce in chi ha così male interpretato alcune ideologie. Nell'italia fascista c'era brava gente, nel mondo comunista staliniano c'era brava gente e di sicuro persone per bene stavano anche tra i franchisti.
Liberi da etichette, potremmo classificare la maggior parte delle persone come semplici cittadini per bene, altri come democratici, liberali, anarchici e qualunquisti. Aggiungi chi vuoi, ma basta etichettare fascista chi condanna i comunisti e viceversa.
Mat
La repubblica spagnola avrebbe perso anche se avesse "vinto", conmsiderato il potere che avevano preso le brigate comuniste.
La storia ci esonera dall'approfondire questi sviluppi, ma di esempi c'è ne sono abbastanza.
Mat
Vedi Mat, io credo che "quelli che non si riconosco in ideologie" in realta non corrono mai nessun rischio: fanno comodo a qualunque forma di potere. Nella Spagna del '36 un Fronte Popolare aveva vinto delle regolari elezioni ed un gruppo di militari, appoggiati dall'aristocrazia e dalla Chiesa, hanno organizzato un colpo di stato, sostenuto dall'invio di truppe da parte di Mussolini e di Hitler. Mi rifiuto di considerare alla stessa stregua chi si è battuto nel tentativo di ristabilire la democrazia e coloro che sono morti perché volevano imporre una dittatura e, francamente, questo voler mettere tutti sullo stesso piano puzza di quel revisionismo storico che ha già inquinato molte menti. L'esercito repubblicano spagnolo era composto da comunisti, socialisti, anarchici, indipendentisti Baschi e semplice gente del popolo che difendeva il governo che aveva eletto; e nelle Brigate Internazionali c'erano anche persone come Hemingway, che non era certo un comunista. Il fatto che tu sostenga che se la repubblica avesse vinto... avrebbe perso perché in mano ai comunisti, oltre che una disinformazione storica, fa supporre che tu consideri il meno peggio il fatto che, invece, abbia vinto il franchismo, con tutti gli anni d'orrore che ha significato. Devo, dunque immaginare che se domani i militari prendessero il potere in Italia e sciogliessero il Parlamento tu resteresti inerte per non confonderti con noi, comunisti ed anarchici, che ci solleveremmo in armi?
Equo sono abituato a ragionare in modo diverso da te. Il revisionismop storico deve sempre tener conto degli orrori e degli eccidi di innocenti e nemici inermi ed è giusto perseguire i carnefici anche oggi. In quanto alla storia, l'europa si divideva in stati o imperi coloniali - che grazie alla colonizzazione non esente da violenza - properavano e si arricchivano e altri che cercavano di imitarli. Il franchismo, per l'epoca storica, può considerarsi un fenomeno tipico. Chi epurava i nemici in russia, in cina e nelle colonie e chi epurava nemici in germania e spagna - fortunatamente l'italia ha sparso poco sangue.
Nessuno può sapere che avrebbero fatto le brigate comuniste in spagnam se avessero vinto, ma erano armate fino ai denti e non uccidevano solo franchisti.
Alla tua ultima domanda se resterei inerte se si scontrassero due fronti in una guerra civile, ebbene rispondo di si, perchè opterei per un fronte di minoranza pacifico anzichè ammazzare miei concittadini. Caso mai sparerei ai criminali di qualsiasi colore.
Pensala come vuoi. Cmq il mondo è cambiato.
Mat
Ecco un copia e incolla da wikipedia:
.......Nei primi giorni di guerra, chiese, conventi e altri edifici religiosi vennero incendiati, molti preti e suore uccisi senza che le autorità repubblicane facessero nulla per impedirlo....
.... In effetti la faida interna, organizzata dai servizi segreti sovietici per eliminare in non allineati all' Internazionale Comunista guidata da Mosca, aveva spaccato le Brigate Internazionali in due tronconi, che vide gli stalinisti sbarazzarsi dei loro alleati scomodi con metodi che andavano dall' arresto fino all' assassinio. Questa tattica finì col facilitire i falangisti e mise gli stalinisti in posizione di assoluto dominio del fronte antifascista limitando così lo scontro a comunisti fedeli al Governo Sovietico contro le forze nazionaliste.
Vedi Equo, dall'una e dall'altra parte vedo solo molta violenza. La nobiltà delle intenzioni perde la sua verginità se si esprime in questi modi.
Già. C'è solo un problema: se tutti l'avessero pensata come te Hitler, Mussolini, Franco e camerati vari dominerebbero ancora l'Europa e, probabilmente, il mondo. Vedi, Mat: tu puoi permetterti i tuoi "distinguo" ed i tuoi dubbi perché altri hanno scelto, invece, di "sporcarsi le mani" e sono morti per darti quella libertà che oggi ti permette di criticarli.
Se tutti la pensassero come me non ci sarebbe stato ne hitler e neanche stalin. Forse il mondo sarebbe più giusto.
Le guerre non ci saono state per motivi di giustizia sociale e neanche per difendere una democrazia che in europa era quasi sconosciuta. Le guerre furono mosse per problemi politici-economici.
Così è anche ora.
La russia si divise la polonia con la germania. Inglesi e francesi temevano un'egemonia tedesca. Gli stati uniti ci misero un bel pò per entrare in guerra e non solo in funzione anti-comunista, ma credo anche per sottrarre influenza e colonie a inghilterra e francia.
La politica non è così trasparente come vorresti farla apparire.
Mat
Se vuoi Equo, ti posso sfidare a Risiko :-))
Mat
Caschi male! Quando ancora non esisteva la versione italiana e si trovava solo in Francia con il nome de "La conquete du monde" (e le regole erano più da war-game che da gioco da tavolo) ci passavo le notti in attesa di andare a lavorare all'alba. Integravo il gioco con la lettura di classici della strategia come il Von Clausevitz, Sun-Tzu, il Go-Rin no Sho, ecc. Forse è meglio se ripieghiamo sugli scacchi: lì sono sempre stato mediocre :-))
ed io che non conosco neanche il "de bello gallico".
OK per gli scacchi, ma solo se mi cedi la regina in ostaggio:-))
Forse vinceresti lo stesso, ma io perderei "felice"
Ciao Mat
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