LE MENE DI BUSH
Con la valigia in mano la diplomazia degli Stati Uniti prova a recuperare lo spazio perduto. Signora Rice a Bagdad, padrona di casa attorno alla tavola della tranquillità alla quale sono ammessi perfino i paesi canaglia. Ospite l’Iran che nasconde l’atomica nel cassetto, particolare imbarazzante mentre Washington - per difendere la democrazia - sta sperimentando la superbomba all’idrogeno, mille volte più micidiale del petardo di Hiroshima. C’è anche la Siria: le sue ombre destabilizzano Libano e Medio Oriente ma l’emergenza frettolosamente consiglia di considerarla un posto normale. Rimettere ordine nelle patrie del petrolio è la speranza per fa dimenticare i deliri del presidente di Teheran e l’ambiguità della dinastia Hassad, monarchia repubblicana di Damasco. La vittoria dei democratici costringe la Casa Bianca a un’umiliazione imbarazzante dopo le crociate e i massacri necessari a liberare il mondo oppresso dal fanatismo.
Il sorriso di Condoleeza Rice lancia messaggi subliminali: dateci una mano, noi perbene dobbiamo restare uniti nella lotta al terrore. Intanto Bush prova a recuperare altre patrie energetiche: quell’America Latina sconvolta dal laboratorio maleducato di Chavez, signore inaffidabile del Venezuela Saudita. Nazionalizza il petrolio non considerando equi i vecchi accordi che prevedevano ogni quattro barili un barile di royalty ai padroni di casa e tre alle compagnie straniere. Il rapporto è stato scandalosamente rovesciato, multinazionali offese: Bush eviterà Caracas. Andrà in Messico, Guatemala, Colombia, Uruguay e nel Brasile continente con la speranza di non sopportare le piazze bollenti di un anno e mezzo fa: quei fischi dall’Argentina al Messico. Non sarà una traversata di sole parole quella che sta per cominciare perché la strategia degli affari resta l’urgenza indispensabile all’economia Usa, il cui rallentamento immiserisce le ricadute interne del liberismo. Dal 2000 ad oggi l’aumento della povertà travolge nella violenza 28 stati, da Washington alla Florida. Il numero degli "estremamente poveri"
Poi gli emigranti, in parte clandestini. Come in Italia, tirano avanti accontentandosi delle paghe nere, pesano meno di un terzo delle paghe normali. Vivono uno sull’altro nelle cantine dei quartieri disperati pur di mandare a casa 51 miliardi di dollari che nel 2006 hanno tenuto a galla periferie e campagne dei loro paesi. Come stabilito dai protocolli di Friedman, padre incensato del liberismo, alle masse diseredate si contrappone la splendida salute di Wall Street e i bilanci sfolgoranti delle compagnie petrolifere e delle industrie pesanti rallegrate da consumi a dire il vero un po’ fuori abitudine: nei dintorni delle guerre vanno a ruba i loro campionari. L’illanguidirsi delle risorse del petrolio e la voracità energetica dell’India e della Cina, rendono insicura ogni previsione a medio termine. Garantire l’energia vuol dire garantire il primato della prima economia del mondo mentre segni di incertezza annunciano un ristagno che si immagina temporaneo, ma con qualche apprensione.
Tutto previsto; l’invasione irachena è stata la scorciatoia vecchio stile ( ma anche un po’ disperata ) per ridare fiato al sogno americano la cui prosperità coinvolge le abitudini dell’altra America. Nel caso la crisi allungasse i tempi, gli emigranti, braccia da soma quando il prodotto lordo vola, verrebbero messi da parte e i 51 miliardi delle rimesse diventerebbero briciole. Per Nicaragua, Salvador, Guatemala, Honduras, Messico, una catastrofe.
Ecco il viaggio di Bush: proporre alleanze non soltanto commerciali. Il futuro delle energie rinnovabili ha bisogno di spazi immensi e partner fedeli. Bush si muove con ritardo, bacchettato dai democratici ormai padroni di Congresso e Senato. Prova a recuperare una disattenzione lunga sei anni. Che comincia a costare cara. L’America Latina non ha solo cambiato le bandiere; il ciclone Chavez rimpicciolisce l’influenza Usa distribuendo petrodollari ai paesi stressati dalle gestioni di Fondo Monetario e Banca Mondiale. I bonus venezuelani sciolgono la sudditanza di Argentina, Bolivia ed Equador ormai liberi dalla gestione Fmi, autocrate che per mezzo secolo ha programmato infelicità e sviluppo di ogni nazione: tutto deciso a Washington essendo il Tesoro di Washington maggior azionista del Fondo e della Banca Mondiale.
All’improvviso i tutori sono rimasti senza potere e il Fondo orfano dei "grandi clienti"
Chi pagherà l’ambizione sono i soliti senza nome. Lo abbiamo già raccontato: il mais del Messico finisce negli Usa dove funzionano raffinerie che trasformano grano e mais in etanolo. Piattaforme gigantesche galleggiano nelle praterie del Mid West: a fine anno saranno 173. Altre 79 sono in costruzione, ed è appena l’inizio. Gli accordi che il Bush comprensivo sta offrendo prevedono coltivazioni transgeniche e raffinerie nell’ Honduras poco abitato: 7 milioni di persone in un paese grande un terzo l’Italia. Il suo destino sta per cambiare: diventerà un Kuwait verde-soia. La Colombia è la nazione prediletta affidata dagli Stati Uniti alle mani del presidente Uribe. Ha cambiato la costituzione per farsi rieleggere. Si prepara a ricambiarla in vista di una permanenza eterna, come Chavez, ma per Uribe nessun lamento. Disciplinato, obbediente. Malgrado la vicinanza imbarazzante ai massacri dei paramilitari, resta il solo presidente al quale Washington continua a garantire gli aiuti antiterrorismo e antinarcos, milioni tagliati ad Equador, Bolivia, Perù, naturalmente al Venezuela.
E’il Brasile il momento sacro della missione che la Casa Bianca annuncia come “impegno per far progredire libertà, prosperità e giustizia sociale, illustrando i benefici della democrazia Usa nella cura dell’educazione, della salute e delle pari opportunità economiche“. Piccola dimenticanza: quei 45 milioni di barboni rifiutati dagli ospedali della grande civiltà. Senza contare i tre dollari al giorno attorno alle capitali del benessere. Anche i numeri brasiliani propongono le stesse contraddizioni. Analfabeti senza lavoro, famiglie affamate malgrado la missione Fame Zero, contadini senza terra, ecco i dolori che Lula prova a risolvere, ma che fatica. Paradossalmente il Brasile è il primo paese al mondo nel consumo di pillole per dimagrire, test preziosissimi che sviluppano l’industria delle anfetamine. L’Organizzazione Mondiale della Sanità lancia l’allarme: il 98,5 per cento dei medicinali che illudono la bellezza vengono fabbricati qui e il 27 per cento é consumato nelle città brasiliane. Forse complice l’obesità dei due paesi, gli gnomi di Wall Street annunciano un idillio Lula-Bush. Non sulle diete; i programmi restano concreti. L’economia non riesce a decollare come Lula vorrebbe: nel 2006 il prodotto lordo è inchiodato al 2,7 per cento contro il 9 per cento di Argentina e Venezuela.
E la benzina che cresce nei campi diventa occasione da non perdere. L’idillio si chiama etanolo. E’ possibile una storia d’amore politico tra il presidente della guerra e il presidente dei Forum della pace a Porto Alegre ? Meglio non metterla così. Gli Stati Uniti hanno bisogno del Brasile per irrobustire il presente e programmare il futuro. Non importa se le controindicazioni messicane fanno capire qual’è il prezzo. Gli Usa non vogliono l’alcool spremuto dalla canne da zucchero. La loro tecnologia si affida a grano e soia, e dell’etanolo il Brasile è il produttore più importante: 18 miliardi di litri l’anno, 2 miliardi e 500 milioni esportati negli Stati Uniti. Purtroppo questa soia non basta: già prenotata. Servono nuove, gigantesche coltivazioni. Chi fabbrica automobili le pretende.
E non ne possono fare a meno condizionatori e case da riscaldare, insomma le nostre morbidezze civili. Le monocolture che spaventavano le democrazie anni ’60 diventano prototipi miniaturizzati nel futuro che Bush vorrebbe disegnare nel continente semiaffamato. Washington si limita a comperare, che colpa ne ha? La produzione della soia sta arricchendo un piccolo gruppo di multinazionali e due importanti imprese brasiliane. Non solo si è mangiata il "mato", immense savane. Comincia a mangiare l’Amazzonia. Non è tutto: i fertilizzanti inquinano i bacini sotterranei avvelenando i fiumi. Centinaia di migliaia di piccoli agricoltori insediati nei terreni demaniali vengono spazzati via. Il numero dei Sem Terra si allunga. Lula ha le spalle al muro: mettersi d’accordo con Bush vuol dire rallegrare esportazioni e bilancia commerciale, ne ha bisogno, ma anche le masse vagabonde per disperazione hanno bisogno di incassare le promesse elettorali. E il suo governo si divide: contenti gli alleati raccolti a destra; furibonda il ministro dell’ambiente Marina Silva, cresciuta nell’esempio di un amico assassinato per aver difeso ritmi e biodiversità della foresta. Sono passati diciotto anni; si chiamava Chico Mendes.
Se il petrolio ha seminato milioni di vittime nella storia dei paesi perseguitati dalla maledizione dell’essere cresciuti sui deserti che lo nascondono, biodisel, etanolo, insomma, la benzina rinnovabile, annuncia un futuro prossimo meno armato ma altrettanto fatale: ruba il pane – ripeto: il pane - a chi vive attorno ai campi di soia, mais e canna da zucchero. Energia semipulita vuol dire tirare la cinghia?
( Per far concorrenza all’eterno rivale, anche Chavez gira l’America Latina nei giorni di Bush. Giovedì, mentre sull’altra sponda del Rio de la Plata, il presidente americano firma il trattato di libero commercio con l’Uruguay di Tabaré, il presidente bolivariano raccoglie in uno stadio di Buenos Aires migliaia di persone: sponsors il padrone di casa Kirchner ed Ebe Bonafini, presidente delle Madri di Piazza di Maggio. Annunceranno la nascita del Banco del Sur, istituto che rimpiazza le vecchie banche mondiali nello sviluppo senza diktat del continente. Argentina, Venezuela, Bolivia, Equador soci fondatori. Il Brasile approva ma resta sulla porta. Promesse e promesse divise dal fiume dell’argento)
mchierici2@libero.it altre lettere di Maurizio Chierici
Cortesia dell’Unità
4 commenti:
Forza Chavez!
ottimo articolo...
complimenti
Grazie Antonio e benvenuto. Complimenti a te per il tuo blog: verremo spesso a trovarti... :)
CAZZ! Ecco perché mi sono trovato tre marines nell'orto! :-))
Scherzi a parte mi associo ai complimenti.
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