IL ROBINSON DI CROSI
“Vai vai, che tra due mesi torni giù”. Così dicevano gli amici della Foce, quartiere borghese di Genova, a Emanuele Capra. Sicuri che quel ragazzo dai capelli rossi, fresco di diploma in tecnica agraria, sarebbe presto rientrato nella bella casa di via Cecchi, tra le comodità che gli assicuravano il padre imprenditore e la madre insegnante di lettere. Non è andata così: “Sono passati sette anni e da qui non me ne andrò mai”. “Qui” è Crosi, 878 metri sul livello del mare, in mezzo ai boschi della Val Brevenna, a 40 chilometri dal capoluogo. Emanuele l’eremita, il Robinson di un villaggio-fantasma: trenta case in pietra, già spopolate dall’emigrazione tra Ottocento e Novecento, poi del tutto abbandonate negli anni Sessanta e Settanta, alla mercè di razzie vandaliche, pioggia e gelo invernale. “Nel 1989 era rimasta un’anziana, la Maria. E’ morta, sola. Io sono arrivato dieci anni dopo.
Il sole inonda quest’angolo di Appennino Ligure, ma non basta: alle 11 del mattino il termometro segna un grado, la brina resiste. Nella minuscola cucina, il tavolaccio, qualche sedia e la panca, una credenzina con la tv 14 pollici, il pentolame appeso alle pareti di calce annerite dal fumo della stufa alegna.
“C’è anche il fornello a gas, ma la bombola s’è esaurita due mesi fa”. Emanuele abita quel che rimane dell’antica osteria di Crosi. Pali di legno reggono la tettoia metallica, precarie lastre di lamiera fanno da ripari laterali. “Fino all’anno scorso stavo molto peggio, nella casa accanto. In questa almeno il calore della stufa va di sopra, nella stanza dove dormo. Mi basta, sono o non sono ‘u mattu?”.
Già, il matto. Lo chiamavano così quando, ventenne che poteva avere tutto e subito, decise di compiere una scelta radicale e incomprensibile ai più. Ma sin da bambino accarezzava un sogno preciso: “Dicevo sempre di voler andare a pascolare le mucche. Mi dava ascolto soltanto la nonna Palmira: in estate stavo in campagna, sentivo il suono dei campanacci e chiedevo che mi accompagnasse a vederle, perché ne avevo paura”. Ora, tra vacche etori, possiede venti capi.
La casa più vicina è a un chilometro (a Piani, ma anche lì vive stabilmente una sola persona) la strada di fondovalle a sette. “Mi dicono ancora oggi: hai fatto una pazzia. Ma no, è divertimento. Volevo un pezzo di terra e degli animali; potevo anche trovarli in un altro posto, in mezzo alla gente, e sarei stato contento lo stesso. Il giorno in cui giunsi qui, nel febbraio 1999, con Crosa (allora vitellina) e due caprette, c’erano metri di neve. Quando si sciolse scoprii che tutte le case erano soffocate dai rovi, enormi, intricati. Toglierli fu la prima necessità”.
Eamanuele mostra con orgoglio i muretti a secco che in questi anni ha tirato su, i piccoli trattori per spostare fieno e letame, gli alberi cedui dai quali ricava il legname da ardere e il filo spinato con cui ha recintato i pascoli. “Voglio continuare a cavarmela esclusivamente col mio lavoro. La mamma sale da Genova una volta la settimana con qualche provvista e porta giù le marmellate di pere e susine; in estate vende un po’ del formaggio che riesco a produrre, le uova, la verdura. Mio padre ha appena installato l’antenna parabolica, ma se piove forte è inutile: il segnale sparisce. Ma non soffro di solitudine, anzi. Gli abitanti della Val Brevenna non diffidano più di me e quando vado a casa loro per qualche lavoretto non mi lascerebbero più andare via. Poi, ogni tanto arriva un’amico, passano gli escursionisti che salgono sul Monte Antola.. A proposito: sono più matto io o quelli che si fanno oltre 40 chilometri a piedi per raggiungere la cima?”.
Emanuele Capra racconta la sua delusione: “Mi pare fosse il 2000, venne qui un assessore. La provincia di Genova voleva cominciare a recuperare i paesi abbandonati dell’Appennino, partendo da Crosi. Fu organizzato un campo internazionale per giovani volontari, si ipotizzò di portar su le scolaresche, di risistemare l’essiccatoio per le castagne, di coltivare intensamente le patate Quarantine, di realizzare un allevamento delle mucche di razza Capannina. E’ andata avanti per tre anni. Poi è cambiata la giunta… sono emerse altre idee e tutto si è fermato. Sa quante parole inutili ho ascoltato con gli altri allevatori della valle? Non ho voluto entrare nel loro consorzio. A che servirebbe? Mi hanno dato un “premio giovani” di 19 milioni di lire per iniziare l’attività di coltivatore diretto; poi due otre finanziamenti per i macchinari. Ma sostegno vero? Ultimamente sono ricomparsi i lupi: Corrado, lassù a Tonno, proprio sotto l’Antola, aveva 70 capre; gliene hanno mangiate più della metà e ha smasso di allevarle. A Fasciou, qui sotto, ne sono rimaste 15. Se un lupo m’ammazza una vacca, o una cavalla, magari riceverò un rimborso. Ma intanto avrò perso un animale prezioso, forse insostituibile”.
Non è tipo di arrendersi, Emanuele l’eremita. Evelyn, la ragazza che ha conosciuto salendo a cavallo alla’Alpe di Vobbia, dall’altra parte della valle, lo apprezza per questo: “Per anni è andato avanti a salme, formaggio e frutta; almeno gli preparo un po’ da mangiare. Ma io scendo spesso a Genova, lui mai”. Proprio fuori dal mondo.. “Ma no, mi basta un telegiornale ogni tanto: dicono sempre le stesse cose..” replica Capra. La politica? Chiunque governi fa solo quello che vuole. Ed io non ho tempo da perdere, fatico tutto il giorno. Il futuro? Cercherò di recuperare qualche altro rudere e di realizzare un piccolo agriturismo. Ci riuscirò, passassero altri vent’anni”.
Francesco La Spina – inviato del Venerdì di Repubblica
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(.. e magari cambiare vita)
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i numeri di telefono per contattare Emanuele (010-939 0214 e 3487484497) ;e la sua posta elettronica: crosi@charta.acme.com_____________________________________
2 commenti:
minchia.....
Io lo conosco Emanuele è un bravo ragazzo,anche io sogno di andare ad allevare nella mia Valle quella del Brugneto (Val Brugneto) di andare ad allevare le mucche,tenere cavalli e capre e vivere di quello che mi da la natura.
Si per adesso sono solo una ragazzina,ma io sono legata ai miei monti e non li abbandonerò.
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