C’era una volta, in un paese lontano, una bambina che amava tanto ridere e giocare, come tutti i bambini del mondo. Questa bambina, però, amava anche passare lunghe ore solitarie, soprattutto quando l’estate la portava lontano dal cemento della città.
Si stendeva all’ombra degli alberi e restava guardare sopra la sua testa l’enorme ombrello di fitte e grandi foglie che, viste da sotto, così turgide e gonfie di linfa e di vita, sono tanto più belle che viste da sopra, brillanti e attraenti, ma un pò piatte e insipide.
Un giorno, buttandosi a terra sudata dopo una lunga corsa sul prato, allargò le braccia nell’erba e guardò su. Osservava, come sempre affascinata, e ascoltava il fruscio leggero che le portava mormorii di antiche favole quando all’improvviso, in un punto alto del suo noce preferito, il vento aprì di colpo le foglie abbracciate e un raggio di sole le cadde dolcemente sul corpo, accarezzandola tiepido e leggero e scivolandole addosso dalla testa ai piedi.
Era così bello e luminoso che la bimba se ne innamorò e, stiracchiandosi lentamente come un gatto, decise che l’avrebbe sempre tenuto con sé. Ma appena le foglie tornarono ad abbracciarsi, il raggio di sole sparì e la bambina tornò nell’ombra. Ora però non stava più bene nell’ombra, aveva freddo e si sentiva molto infelice. Capì che non avrebbe più potuto fare a meno del raggio di sole, e così decise di fare fagotto e di andarne in cerca.
Passarono molti anni. La bambina aveva fatto un lungo cammino, durante il quale tante cose erano accadute. L’ombra le era sempre addosso, e più frequenti dei momenti di gioia erano stati quelli di tristezza. E di paura anche. Soprattutto, e le era successo più volte, quando doveva attraversare lunghi tunnel oscuri.
Ogni volta, quando si trovava in un tunnel, guardava in fondo, là dove finiva il buio, e vedeva sempre un un bel colore lucido e smagliante che l’aspettava e la chiamava. Lei sapeva che, per arrivare ad accarezzare il colore, là in fondo, avrebbe incontrato bestie feroci che l’avrebbero aggredita, ma il desiderio di raggiungere la meta, di afferrare e tenersi stretto il colore brillante, rosso, giallo, blu, violetto, era sempre più forte di tutto il resto. Sperava sempre in un incontro magico che l’avrebbe aiutata nelle situazioni più difficili; e infatti, ogni tanto incontrava un mago o una fata che venivano in suo aiuto.
Tuttavia, giunta in fondo ad ogni tunnel, affaticata e pesta, quando con slancio si buttava ad abbracciare il colore, questo si frantumava in mille schegge, mille grigi acuminati come cocci di vetro opaco che le piovevano addosso. La bambina non sapeva che i colori non si possono abbracciare e che, per arrivare ad afferrare il raggio di luce, avrebbe dovuto trattenere i colori, uno per uno, e riunirli tutti assieme nell’arcobaleno.
Era passato molto, troppo tempo ormai. La bambina era già molto stanca e disillusa quando, in un tunnel particolarmente buio, incontrò una bestia più brutta e più feroce di tutte le altre, che la ghermì all’improvviso alle spalle e le affondò nel corpo artigli più aguzzi e più lunghi di quanti ne avesse mai provati. Anche questa volta, tuttavia, comparve un mago che l’aiutò e la curò. Così riprese il cammino nel tunnel. Ma mentre stava per giungere allo sbocco, la bestia l’attaccò ancora. La bambina cadde a terra, stremata. Si sentì soffocare e fu certa che non si sarebbe più rialzata. L’ombra aveva avuto il sopravvento, l’oscurità aveva vinto. In quell’istante non ci fu più nulla, né dentro né fuori di lei, né gioia né tristezza, né desiderio né infelicità.
C’era solo l’ombra.
Allora la bambina cessò di opporre resistenza, decise di lasciarsi andare a di abbandonarsi a tutto quello che sarebbe arrivato. Sfinita, allargò le braccia e abbracciò l’ombra. E in quell’attimo, mentre entrava dentro di lei, l’ombra cominciò a rimpicciolirsi e a diventare trasparente, e dall’ombra emergevano impercettibili fili di luce. Perché l’ombra non può esistere senza la luce, ma questo la bambina non lo sapeva. E non sapeva nemmeno se quello che soltanto ora riusciva a vedere era il raggio di luce che aveva tanto cercato. Sentì che nulla più contava, neanche quel desiderio di luce che l’aveva sempre accompagnata lungo il cammino.
La percezione del tempo si era rarefatta, il tempo stesso si era sciolto nel vuoto. Nella sospensione di quell’attimo magico, il solo che il tempo avesse lasciato, sentì che doveva restare immobile, aprire il suo cuore e lasciare, che dalla trasparenza oscura, affiorasse lentamente la luce..
di Mina Ronchi
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