Una parola che da più di due secoli tormenta il ricercatore sociale, come non di meno i concetti di libertà e uguaglianza. Finché essi saranno affrontati singolarmente si sarà presi dallo sconforto, perché ciò a cui si giunge in teoria non trova corrispondenza in pratica: la libertà è continuamente minata dal convenuto e soffocata dall’arbitrio; l’uguaglianza si sperimenta forse per un giorno quando si vota ma poi si continua a subire la disuguaglianza di diritti, la legge non è uguale per tutti; e della fratellanza non ne emerge neppure un serio concetto causa il dominante egoismo. Se si vogliono comprendere i tre concetti è necessario che il pensiero da razionale e morto
diventi immaginativo e vivente, allora le azioni conseguenti si intersecano e creano un’unità: l’una non può entrare nell’applicazione concreta se non in stretta connessione con le altre due.
Non può svilupparsi vera libertà se non in connessione con l’uguaglianza e la fratellanza; né giusta uguaglianza se non si sviluppano contemporaneamente libertà e fratellanza; e la fratellanza non è in alcun modo possibile senza la libertà e l’uguaglianza. Se non si intercompenetrano fra di loro assurgendo a vita, non sono che astrazioni intellettuali e per nulla pratica. Libertà è azione di necessità sospinta dalla profonda comprensione dell’uomo e del mondo, materiale e spirituale.
Uguaglianza è diritto di cittadinanza, diritto di appartenenza a un popolo e quindi diritto di vita, di essere, per tutti; l’uguaglianza non è possibile che si esprima nella sua grandiosa e agognata bellezza finché non si afferra e si mette liberamente in pratica la fratellanza.
L’essere umano si può esprimere nella sua pienezza quando liberamente entra in una collettività di uomini che lavorano insieme, una collettività vivente che riesce a portare a vita le tre tensioni di libertà, uguaglianza e fratellanza. Oggi ogni nazione che si erga su una o due tensioni solamente, è destinata ad ammalarsi socialmente.
Come si realizza la fratellanza? Quando si mediterà sulla seguente legge sociale fondamentale: “La salute di una comunità di uomini che lavorano insieme è tanto maggiore quanto meno il singolo ritiene per sé i ricavi delle sue prestazioni, vale a dire quanto più di tali ricavi egli dà ai suoi collaboratori, e quanto più i suoi bisogni non vengono soddisfatti dalle sue prestazioni, ma da quelle degli altri. Tutte le istituzioni entro una comunità di uomini che contraddicono questa legge, alla lunga producono in qualche modo miseria e dolore.” (Rudolf Steiner – I punti essenziali della questione sociale – pag.230)
Se un artigiano è solo a svolgere il suo lavoro, egli terrà per sé il ricavo della vendita degli oggetti o servizi offerti; non andrà a vendere le sue ore lavorate, ma l’oggetto creato. Se la richiesta aumenta e l’artigiano si mette in società con un altro, o altri dieci o cento, nasce da subito il problema del rapporto, e incalza la domanda: abbiamo venduto i prodotti del nostro lavoro e ora il guadagno come lo gestiamo? Come ce lo dividiamo?
E’ la domanda chiave di un secolo di tormenti sociali, sindacali, umani. Deve essere una “vendita” interna di posizioni, titoli, raccomandazioni, divisione anticipata e sporca di utili camuffata da alte remunerazioni, un’asta moderna di autoschiavi? O non sarebbe il caso di affrontare una decisa ricerca di svolta, separando ciò che è il lavorare per i propri simili dal conseguire entrate?
Nell’impresa più semplice, i due soci apriranno la cassa e si guarderanno in faccia con la domanda fatidica: come ce li dividiamo? Io voglio di più di te perché ho un titolo… perché la mia mansione è più responsabile della tua… perché sono più scaltro… perché muovo più colli… perché sollevo più chili… perché… perché…
L’altro lo guarderebbe dritto negli occhi e lo spirito di collaborazione verrebbe sostituito ben presto dall’odio.
Ma potrebbe anche dire: tu hai famiglia, figli piccoli, molte più necessità di me che vivo solo e mi accontento, tu puoi prendere due parti e io una. Gratitudine e riconoscenza dell’altro il quale in sé già guarda oltre a quando l’amato compagno avrà più alte necessità.
Quando non si muove la comprensione verso l’altro, la legge fondamentale sociale è così tradita, inizia la “discesa infernale” verso miserie e dolori. Il dialogo agognato è interrotto, il dirigente vuole essere colui che pensa e l’operaio “deve” essere colui che ubbidisce e fa, gli impiegati diventano una casta e gli operai un’altra, inferiore; l’egoismo imperversa e, come un essere, ghigna alle spalle dei malcapitati uomini, ben divisi da mammona.
Il lavoro è un diritto, non una merce, un diritto per tutti e non privilegio per chi ce l’ha, spavento per chi ha paura di perderlo e non poterlo più ritrovare (eccetto la casta statale), miseria per chi è costretto alla disoccupazione.
Il lavoro è un diritto e i diritti non si pagano! E’ il diritto di partecipare all’evoluzione del mondo, alla creazione dell’uomo!
L’impresa deve primariamente e costantemente chiedersi: come posso realizzare la fratellanza fra tutti gli occupati, dai dirigenti agli operai? Con quali criteri chiari e solari ci remuneriamo? Come facciamo a far partecipi tutte le teste, tutti i cuori, tutte le mani secondo la loro possibilità e capacità? Il pioniere Adriano Olivetti se l’è chiesto e ha concretizzato; è stato stroncato! La sua opera deve risorgere in tutte le imprese, perché questo è il futuro! Noi viviamo ancora troppo ghermiti dal passato e dall’egoismo. Gli imprenditori illuminati si stanno svegliando, ma molti dormono profondamente, vivono in un mondo decrepito; i politici sognano molto, occupatissimi a salvare sé stessi nel posto che occupano; di sveglio vi è un anelito che urge in ogni animo: la dignità umana.
Da tempo immemore, e ancor oggi, un richiamo: “uomo conosci te stesso”; dal tempo medio: “fatti non fummo a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza” ;dal tempo nuovo “un giorno tutti gli uomini saranno fratelli”.
Diventeremo liberi e uguali solo quando diventeremo fratelli, e si diventa fratelli quando ognuno impara ad ascoltare l’altro che gli sta vicino, con cui lavora, non solo con l’orecchio ma anche con l’anima, cosicché il suo dolore diventi il tuo dolore, la sua gioia la tua gioia; dolore e gioia che saranno il fondamento fraterno di ogni tua azione libera.
Soprattutto nel bistrattato mestiere primario dell’agricoltura l’uomo deve riconoscere lo spirito fraterno, prima consanguineo ora fra soci affini in grandi imprese biodinamiche; quello spirito fraterno che legava in un afflato il gruppo durante il lavoro in lunghe espressioni canore, quello spirito fraterno che oggi lega ad un piano ideale più individui in una nuova armonia che sale al cielo arricchendo i mondi divini di una grande risposta: la coralità nella libera gioiosa creatività.
E’nella sfera economica che si deve far strada la fratellanza. E’ la sfera economica che deve provvedere alla vita di tutti gli individui di una nazione, dalla nascita alla morte.
Quando una persona soffre perché non può soddisfare le minime necessità di vita, perché è oltraggiata la sua dignità, significa che l’organizzazione economica di uno stato è fallimentare, è violenta e egoista. Tutti i conti di bilancio di uno stato, di un’impresa, di una scuola non hanno alcuna significanza se non tengono costantemente l’uomo al centro, il sacro essere umano al centro, perché l’uomo è il punto di partenza e di arrivo del mondo; emarginarlo, misurarlo non col suo metro, è l’atto più anticristiano, è il peccato in senso assoluto oggi più grave dopo l’Evento unico del Golgota, è la trappola delle potenze dell’ostacolo.
Gianni Catellani
http://www.fondazionelemadri.it/fondazionelemadri/FRATELLANZA.pdf
4 commenti:
Purtroppo, il cammino da farsi verso una fratellanza come descritta nel post, è ancora lungo. In una società dove si spinge alla concorrenza ad oltranza, a superare l'altro senza preoccuparsi di chi resta indietro... siamo ben lontani dal concetto di fratellanza. Ed'è bene ribadirlo ed è bene che se ne parli senza vergongne perchè, oggi, l'uomo non è più sacro, nel senso che non riconosce in se questa sacralità e quindi deride ogni forma di poesia della vita, ogni volta che gli sorridi, ricevi sberleffi, ogni volta che aiuti ricevi solitudine, ogni volta che ami ricevi odio e disprezzo.
.."ogni volta che gli sorridi, ricevi sberleffi, ogni volta che aiuti ricevi solitudine, ogni volta che ami ricevi odio e disprezzo".
Caro Nunzio, non vedo come la cosa debba sorprenderti, né amareggiarti.. da cristiano quale sei devi comunque metterlo in conto, e non è certo per questo che bisogna smettere di credere in un mondo migliore. Anzi!
La fratellanza come descritta nel post non è utopia, ma un qualcosa che si può realizzare perché nelle corde dell'uomo.. Certo ci saranno molte resistenze, ma è questa la via da seguire se non vogliamo vedere scomparire del tutto questa Umanità. E' un'idea folle (e rivoluzionaria, com'è del resto rivoluzionario in nuce il cristianesimo) ma, come dice bene Einstein, proprio per questo ha una buona probabilità di riuscita.
Come sempre, la rivoluzione dobbiamo operarla in noi, perché sia un virus "buono" ed altamente contagioso..
mauro
Ti spaventa non poter vedere i frutti di quello che sarai capace di seminare?
Guarda che la gioia è la riconoscenza che ti sa dare un sorriso non ha prezzo così come non ha prezzo l'insegnamento dei valori della vita.
Diciamo così:vedere che gli stolti e i venduti sono dominanti al punto tale di aver dissolto nel nulla un'intera generazione di giovani e un motivo più che sufficiente per ridare loro il futuro ,incominciando dal presente, poco importa se di generazioni ne serviranno tre o quattro ma,almeno se scriveranno di noi diranno così"tutto è cominciato un giorno quando coloro che volevano essere, lo anteposero decisamente all'avere e......"
Di questo dobbiamo essere capaci nient'altro che questo.
Sarà l'unione di quanti si riconosceranno in questo a spezzare per sempre le catene dell'odio e del disprezzo,a non farci sentire soli e a rendere insignificante la loro derisione.
Purtroppo non è quindi il camino che mi preoccupa.
E'il tempo che scarseggia!
Suerte e non demordere mai.
Val
Apprezzo molto e concordo con le parole di Mauro. Laura
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