La condanna: 3 anni di reclusione
È un ricatto. Sottopagare, non versare i contributi o non fare contratti, approfittando di una situazione di mercato che ha grande domanda e poca offerta di occupazione è estorsione. Lo ha deciso la Cassazione che con una sentenza destinata a fare giurisprudenza, che ha condannato tre datori di lavoro per estorsione.
I tre avevano fatto ricorso contro la Corte d’Appello di Caliari che nel 2003 aveva inflitto loro una pena di oltre tre anni di reclusione e 800 euro di multa per estorsione aggravata e continuata. Tutto era nato dalla denuncia di tre lavoratrici costrette «ad accettare trattamenti retributivi deteriori e non corrispondenti alle prestazioni effettuate e, in genere, condizioni di lavoro contrarie alla legge e ai contratti collettivi, ponendo le dipendenti in una situazione di condizionamento morale, in cui ribellarsi alle condizioni vessatorie equivaleva a perdere il posto di lavoro». I datori di lavoro si difesero dicendo che sì, le dipendenti lavoravano in nero, ma loro non volevano ricattare nessuno.
In realtà, i giudici hanno stabilito che la minaccia di licenziamento può «presentarsi in molteplici forme ed essere esplicita o larvata, scritta od orale, determinata o indeterminata e fin anche assumere la forma di esortazioni e di consigli. Ciò che rileva –e qui sta il punto – è il proposito perseguito dal soggetto agente». Nel caso degli imprenditori sardi, la Cassazione ha evidenziato «tali e tanti comportamenti prevaricatori dei datori di lavoro in costante spregio dei diritti delle lavoratrici»: si va dalla pretesa di far firmare prospetti-paga per importi superiori a quelli effettivamente corrisposti all'assenza di copertura assicurativa, dalla mancata concessione delle ferie fino alla prestazione di lavoro straordinario non retribuito. Niente di eccezionale, purtroppo, aggravata dal fatto che gli imputati ricorrevano «ad esplicite minacce». Ma la sentenza li inchioda alla responsabilità di essersi «costantemente avvalsi della situazione del mercato del lavoro ad essi particolarmente favorevole».
Pubblicato il: 05.10.07
Modificato il: 05.10.07 alle ore 16.28
fonte: http://www.unita.it/view.asp?idContent=69413
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È un ricatto. Sottopagare, non versare i contributi o non fare contratti, approfittando di una situazione di mercato che ha grande domanda e poca offerta di occupazione è estorsione. Lo ha deciso la Cassazione che con una sentenza destinata a fare giurisprudenza, che ha condannato tre datori di lavoro per estorsione.
I tre avevano fatto ricorso contro la Corte d’Appello di Caliari che nel 2003 aveva inflitto loro una pena di oltre tre anni di reclusione e 800 euro di multa per estorsione aggravata e continuata. Tutto era nato dalla denuncia di tre lavoratrici costrette «ad accettare trattamenti retributivi deteriori e non corrispondenti alle prestazioni effettuate e, in genere, condizioni di lavoro contrarie alla legge e ai contratti collettivi, ponendo le dipendenti in una situazione di condizionamento morale, in cui ribellarsi alle condizioni vessatorie equivaleva a perdere il posto di lavoro». I datori di lavoro si difesero dicendo che sì, le dipendenti lavoravano in nero, ma loro non volevano ricattare nessuno.
In realtà, i giudici hanno stabilito che la minaccia di licenziamento può «presentarsi in molteplici forme ed essere esplicita o larvata, scritta od orale, determinata o indeterminata e fin anche assumere la forma di esortazioni e di consigli. Ciò che rileva –e qui sta il punto – è il proposito perseguito dal soggetto agente». Nel caso degli imprenditori sardi, la Cassazione ha evidenziato «tali e tanti comportamenti prevaricatori dei datori di lavoro in costante spregio dei diritti delle lavoratrici»: si va dalla pretesa di far firmare prospetti-paga per importi superiori a quelli effettivamente corrisposti all'assenza di copertura assicurativa, dalla mancata concessione delle ferie fino alla prestazione di lavoro straordinario non retribuito. Niente di eccezionale, purtroppo, aggravata dal fatto che gli imputati ricorrevano «ad esplicite minacce». Ma la sentenza li inchioda alla responsabilità di essersi «costantemente avvalsi della situazione del mercato del lavoro ad essi particolarmente favorevole».
Pubblicato il: 05.10.07
Modificato il: 05.10.07 alle ore 16.28
fonte: http://www.unita.it/view.asp?idContent=69413
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9 commenti:
Gentile Elena,
lei aggiunge sul suo blog ogni giorno diversi post, potrebbe spiegami perché non risponde spesso ai miei commenti?
Non li legge?
Avevo lasciato un commento su un argomento che mi "sta molto a cuore", si tratta di un argomento tabù: il signoraggio bancario.
A me non importa sentire se lo tratterete o se lo avete già fatto, a me importa ora sentire un suo commento in proposito, sentire che non è semplicemente un agente meccanico ad aggiungere post, ma un agente umano che scambia idee e opinioni.
La ringrazio anticipatamente.
P.S.
Se vuole rispondermi via email, nel mio blog troverà il mio indirizzo.
Il commento è qui
Gentile dmonax, non è che non leggiemo i commenti, o che non vogliamo rispondere.. è che l'argomento è piuttosto complesso e controverso (oltre che non nuovo per noi), ma non per questo non degno di nota. Lo trattiamo oggi, con calma. Rientra comunque tutto nelle complesse manovre di dominio dei "soliti noti" di cui noi tutti (il mondo) ne subiamo le conseguenze.
Ciao, mauro (Elena oggi non c'è ma è concorde con me)
Sono rientrata (giusto per poco). Tanto per iniziare, non ci sono solo io ad aggiungere post al blog (anzi... io faccio ben poco). Poi non rispondo sempre e comunque ai commenti: a volte perché altri han detto già quel che penso, altre perché mi prendo anche dei tempi per rifletterci. Non sono una tuttologa e non mi piace parlare di cose che conosco in modo superficiale, né son disposta (ed i miei fidi collabratori penso siano d'accordo) a riportare articoli o pezzi che non ho capito o che non mi soddisfano pienamente. Quindi, ci vuole anche un po' di pazienza... anche considerando che, come tutti, ho anche una vita "fuori dal blog"!
Comunque spero che il pezzo di Mauro Le piaccia e che questa mia risposta La soddisfi. Personalmente, preferirei passare al "tu"... :)
dmonax, scusa se mi intrometto, ma visti i commenti di mauro ed elena fornisco anche la mia opinione:
Il tuo post richiede conoscenze di politica monetaria, è molto complesso e mette in discussione i trattati internazionali.
Ora e di sicuro la Banca Centrale Europea è il riferimento di ogni paese dell'Unione, dunque dovremmo dare per scontato che l'Europa è un popoli di fessi. Non è credibile e non può essere.
Ciao by Mat
Mi scuso con elena e mauro ringraziandoli per aver risposto e avermi dato conferma della loro esistenza, stavo cominciando a sospettare che il blog non fosse gestito da persone fisiche! :D
A parte gli scherzi ho visto che avete pubblicato un post a riguardo, non posso che essere contento, perché lo ritengo un problema di fondamentale importanza, una vera piaga mondiale.
Rispondendo ad Anonimo 2,
beh, il popolo di per se non è fesso, ma se non gli viene detto alla tv, praticamente non può conoscerlo.
Primo perché non tutti pensano con la propria testa.
Secondo non hanno internet.
Terzo quelli che lo sanno non riescono a diffonderlo a gli altri ignari.
La democrazia, non esiste: si dovrebbe chiamare Telecrazia, perché l'opinione pubblica è influenzata completamente dalla tv. Chi la controlla conduce il gioco...
Ciao e grazie ancora...
L'argomento trattato nel post è molto interessante.
Questa sentenza potrebbe diventare una pietra miliare nella giurisprudenza
Carissima Elena
Mia moglie lavora in un Grand Hotel a 5 stelle dal mese di aprile 2008 con un contratto stagionale di sette mesi con la mansione di lavapiatti. Il contratto, come tutti i contratti di categoria, dovrebbe prevedere le classiche 6 ore e 40, cosa che soprattutto in questo settore non è mai rispettato. Tenga presente che il suo orario di lavoro è dalle 10,00 alle 15,00 e dalle 18,00 alle 23,00 minimo, senza calcolare che in moltissimi casi non riesce nemmeno ad avere lo spacco delle tre ore pomeridiane. Ormai il contratto è giunto al termine e purtroppo nell’ultimo periodo è degenerato moltissimo il rapporto con i dipendenti della cucina ma soprattutto con lo chef. Tutto è iniziato quando mia moglie, di nazionalità cubana, si è ribellata a degli atteggiamenti maschilisti ed autoritari dei suoi colleghi di cucina. Sono intervenuto personalmente più volte, anche con i proprietari, ma a tutt’oggi continuano nelle provocazioni meschine e minacce di licenziamento, seppur verbale, nei confronti di mia moglie. In questi casi cosa bisogna fare per tutelare non solo la incolumità psicologica di una donna ma anche lo sfruttamento sull’orario lavorativo? Per quanto concerne lo stipendio i proprietari si sono tutelati concedendo fuori busta paga la misera somma di 250 euro, per la quale fanno firmare una ricevuta, mentre per le continue minacce di licenziamento, sia da parte dei proprietari che da parte dello chef, vale la parola di una ragazza “non italiana” contro quella dei cosiddetti “capi”.
Grazie infinite per rispondermi
Carissimo Salvatore,
innanzitutto grazie per la sua accorata lettera.
La informo che l'ho copiata sul blog dove ci siamo trasferiti dopo le vicissitudini capitate in questo sito (e riporterò parimenti il mio commento), qui:
http://solleviamoci.wordpress.com/2007/10/05/cassazione-%C2%ABlo-sfruttamento-sul-lavoro-e-estorsione-aggravata%C2%BB/#comment-8529
dove la prego di lasciare i suoi eventuali altri scritti, per evitare che mi sfuggano e anche per dare modo agli altri amici che ci seguono (di là appunto) di intervenire con proposte, suggerimenti e quant'altro.
Perché per me l'unione fa davvero la forza... e infatti il primo consiglio che mi sento di dare a lei ed a sua moglie è quello di non sentirsi casi isolati, ma di rendersi conto che, seppure per svariati motivi e con metodi diversi, siamo in molti a subire ricatti, mobbing, prevaricazioni e tutto quello che questo liberismo sfrenato permette a datori di lavoro e colleghi.
La seconda cosa è di rivolgersi ad un sindacato. Ma serio però!
Mi è difficile dire quale perché ovviamente anche il sindacato è composto da esseri umani... e, come tali, fallaci.
Io mi sono trovata benissimo, tempo fa, con i sindacalisti della UILTUCS di Milano (commercio), ma non posso certo mettere la mano sul fuoco per tutti (infatti, in linea generale, mi rivolgerei ai CUB).
Comunque, al di là delle convinzioni personali, chiedere suppporto al sindacato serve. Magari non risolverà la situazione specifica (so quanto è difficile che la parola di una sola persona, oltretutto gerarchicamente inferiore, abbia lo stesso valore di quella dei padroni/dirigenti o di colleghi "addestrati"... se poi la suddetta persona non è neppure italiana, di questi tempi...) però il vedere che tante altre persone sono in situazioni analoghe aiuta. Non risolleva il morale, certo, e non cambia le cose (non subito, quantomeno, ad essere ottimisti) ma aumenta l'autostima - ed in certi casi sapere che non si è nullità o "casi umani" (i lettori più anziani, lo so, stanno ridendo sotto i baffi...) è importante. Fondamentale.
Mi rendo conto di non essere di grande utilità. Purtroppo non ho bacchette magiche, non sono una tuttologa e non mi piace sparare sentenze su cose che non conosco (come, per capirci, gli esperti di ieri che da Santoro parlavano di precarietà... sì, sulla pelle degli altri).
Dica a sua moglie di non mollare e, visto che oltretutto il contratto sta per scadere, di mettersi a cercare un altro posto sena rimpianti.
Lo so che non è facile: non per niente sono una precaria stabile di una cinquantina di anni... e pure invalida.
Cambiano i parametri, ma la realtà del mondo del lavoro, oggi in particolar modo, è purtroppo penosamente uguale.
Un abbraccio solidale - e ci scriva ancora, se vuole.
PER TUTTI I LETTORI: è ovvio che, se avete altri suggerimenti, idee, esperienze... siete invitati a condividerle qui.
Suerte, a tutti noi.
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