(fonte immagine: http://image.guardian.co.uk/sys-images/Guardian/Pix/pictures/2006/06/08/italy372ready.jpg)
di Massimo Solani
«A metà degli anni Settanta, la ’ndrangheta sente la necessità di darsi nuove regole e anche una struttura in grado di evitare le guerre interne. Nasce così la Santa. “Una struttura nuova, elitaria, una nuova dirigenza”, si legge nella relazione della Commissione antimafia della XIII legislatura». Una svolta per l’organizzazione ’ndranghetista, la porta d’ingresso verso una nuova criminalità globalizzata, potente e ricca. La ’ndrangheta che l’opinione pubblica ha iniziato a scoprire soltanto dopo la strage di Duisburg e che è protagonista del libro e Dvd in uscita mercoledì 3 ottobre per Rizzoli (“La Santa”), a firma dei giornalisti Enrico Fierro e Ruben H. Oliva. Un lungo viaggio nei mutamenti storici e organizzativi che hanno permesso all’organizzazione criminale calabrese di uscire indenne da guerre interne, di sopravvivere alle inchieste della magistratura e di diventare in pratica la monopolista del traffico internazionale di droga.
Dalla Colombia alla Calabria, per un viaggio di morte che frutta montagne di dollari che reinvestite diventano armi con cui controllare il territorio, potenza di ricatto e economia pulita. In un giro vorticoso di affari, clientele, aziende che lavorano come lavatrici di soldi che puzzano di morte e cocaina. Intrecci internazionali che sono minuziosamente descritti nel quarto capitolo del libro (“Un mare di cocaina”), attraverso le intercettazioni telefoniche dei personaggi che si muovono sullo sfondo di un affare miliardario sospeso fra la fincas colombiane e le coste calabresi. Prima tappa di un viaggio che, con la benedizione delle ‘ndrine, porta la cocaina in tutti i mercati del pianeta.
«Nel mondo si producono novecento tonnellate di cocaina l’anno - scrivono Fierro e Oliva - Di questa quantità più della metà, dalle cinquecento alle ottocento tonnellate l’anno, viene prodotta in Colombia. Ed è coca purissima tutta nelle mani dei calabresi. “In Colombia - spiega il dottor Piero Grasso, procuratore nazionale antimafia - la coca costa 3 dollari al grammo, in Italia è venduta a 50-100 euro”». Tonnellate di polvere bianche che fruttano montagne bigliettoni da reinvestire nell’economia legale attraverso la compiacenza di teste di legno, facce presentabili sui mercati che agiscono per conto degli innominabili.
Innominabili come Salvador Michele Mancuso, el Mono, la scimmia. L’uomo che controlla le organizzazioni paramilitari e che con l’Italia e la Calabria ha costruito un solido legame economico costruito su mattoni di polvere bianca e purissima. Un legame che dura anche oggi che Mancuso è in carcere. Dietro alle sbarre eppure libero di aggiornare il proprio sito Internet e parlare al telefono satellitare con tutto il mondo. «Una quarantina d’anni - si legge in “La Santa” - Mancuso è di famiglia italiana, i suoi emigrarono in Colombia da Sapri, in provincia di Salerno. Ha il passaporto italiano, il comandante, e soprattutto solidissimi legami con il regime del presidente Alvaro Uribe. (...) Di Mancuso, comandante generale delle Auc (Autodefensas Unidas de Colombia, ndr) si è occupata la giustizia internazionale. Gli Usa ne chiedono l’estradizione per narcotraffico e per i massacri compiuti in Colombia. (...) Guardia di Finanza, Servizi Antidroga, le procure di Milano, Catanzaro e Reggio Calabria, ritengono el Mono il maggior fornitore di cocaina della ‘ndrangheta».
Un ruolo, quello giocato da Mancuso a braccetto con le famiglie calabresi, su cui ha fatto luce l’inchiesta «Galloway-Tiburon» della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria condotta dal magistrato calabrese Nicola Gratteri, che ha messo in evidenza la rete di “alleanze” insospettabili di cui Mancuso gode in Italia. Gente come Giorgio Sale e suo figlio Cristian che, secondo i magistrati reggini, gestiscono gli interessi di el Mono in Italia, dove Mancuso sogna di trasferirsi per sfuggire alla giustizia internazionale. Interessi che significano innanzitutto beni puliti su cui reinvestire i frutti del narcotraffico, per creare un impero pulito e al riparo dalle inchieste. Progetti di cui i magistrati sono venuti a conoscenza attraverso le intercettazioni telefoniche. Spiega Giorgi Sale al telefono: «dice che è andato a ritirare: 1.800 milioni... sono andati a prendere la prima tranche del 50%, e gli ha detto: “sono quelle tre casse là... 900 milioni”. Tre casse! Tre casse piene!!! Questo quando mi mandato 300 milioni, due scatoloni! Mi spiego? (...) Questo dice: “Sono andato in giro per Bogotà con 900 milioni spicci, che se mi ferma la polizia che gli racconto?». Soldi che finiscono anche in Italia e che diventano villaggi turistici, attività imprenditoriali pulite e palazzi. Come quello che, spiegano Fierro e Oliva, i sodali di Mancuso volevano comprare dal Vaticano. Palazzo del Drago, di cui parlano al telefono Sale e altri due membri dell’organizzazione, Paola Vasari e Andrea Sguazzini. V: «Figurati se dalla Colombia vengono a portare i soldi a lui (riferito a Sale, ndr), mi pare tanto strano a meno che non ci siano davvero soldi da lavare». S: «Questo è sicuro. Sono tutti da riciclare sì, ma li lavasse lui, io non li posso lavare».
E il volto di Mancuso, finora sconosciuto in Italia, compare per la prima volta nel film abbinato al libro e girato fra la Calabria, la Colombia, l’Argentina e Buccinasco, dove l’ex sindaco racconta delle intimidazioni subite dalla ‘ndrangheta. Parole di terrore e di morte, come quelle di due mamme di Filadelfia. Un fazzoletto di terra fra Pizzo Calabro e Vibo Valentia dove almeno cinquanta ragazzi sono spariti, vittime della lupara bianca. Una delle due, davanti alla telecamera, si dice fortunata: i cani hanno trovato il corpo del figlio e hanno fatto scempio: «Ma almeno abbiamo ritrovato una clavicola». L’altra piange un fantasma e fa appello agli ‘ndranghetisti per ritrovare il cadavere. E poi San Luca, il paese delle vittime delle strage di Duisburg, quel cuore di Aspromonte sconvolto da una faida che dura da oltre venti anni. Un documentario girato a giugno, prima della mattanza di Ferragosto, che si chiude con una triste profezia: «Altro sangue scorrerà». Ed è davvero andata così.
Pubblicato il: 03.10.07
Modificato il: 05.10.07 alle ore 16.53
fonte: www.unita.it
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di Massimo Solani
«A metà degli anni Settanta, la ’ndrangheta sente la necessità di darsi nuove regole e anche una struttura in grado di evitare le guerre interne. Nasce così la Santa. “Una struttura nuova, elitaria, una nuova dirigenza”, si legge nella relazione della Commissione antimafia della XIII legislatura». Una svolta per l’organizzazione ’ndranghetista, la porta d’ingresso verso una nuova criminalità globalizzata, potente e ricca. La ’ndrangheta che l’opinione pubblica ha iniziato a scoprire soltanto dopo la strage di Duisburg e che è protagonista del libro e Dvd in uscita mercoledì 3 ottobre per Rizzoli (“La Santa”), a firma dei giornalisti Enrico Fierro e Ruben H. Oliva. Un lungo viaggio nei mutamenti storici e organizzativi che hanno permesso all’organizzazione criminale calabrese di uscire indenne da guerre interne, di sopravvivere alle inchieste della magistratura e di diventare in pratica la monopolista del traffico internazionale di droga.
Dalla Colombia alla Calabria, per un viaggio di morte che frutta montagne di dollari che reinvestite diventano armi con cui controllare il territorio, potenza di ricatto e economia pulita. In un giro vorticoso di affari, clientele, aziende che lavorano come lavatrici di soldi che puzzano di morte e cocaina. Intrecci internazionali che sono minuziosamente descritti nel quarto capitolo del libro (“Un mare di cocaina”), attraverso le intercettazioni telefoniche dei personaggi che si muovono sullo sfondo di un affare miliardario sospeso fra la fincas colombiane e le coste calabresi. Prima tappa di un viaggio che, con la benedizione delle ‘ndrine, porta la cocaina in tutti i mercati del pianeta.
«Nel mondo si producono novecento tonnellate di cocaina l’anno - scrivono Fierro e Oliva - Di questa quantità più della metà, dalle cinquecento alle ottocento tonnellate l’anno, viene prodotta in Colombia. Ed è coca purissima tutta nelle mani dei calabresi. “In Colombia - spiega il dottor Piero Grasso, procuratore nazionale antimafia - la coca costa 3 dollari al grammo, in Italia è venduta a 50-100 euro”». Tonnellate di polvere bianche che fruttano montagne bigliettoni da reinvestire nell’economia legale attraverso la compiacenza di teste di legno, facce presentabili sui mercati che agiscono per conto degli innominabili.
Innominabili come Salvador Michele Mancuso, el Mono, la scimmia. L’uomo che controlla le organizzazioni paramilitari e che con l’Italia e la Calabria ha costruito un solido legame economico costruito su mattoni di polvere bianca e purissima. Un legame che dura anche oggi che Mancuso è in carcere. Dietro alle sbarre eppure libero di aggiornare il proprio sito Internet e parlare al telefono satellitare con tutto il mondo. «Una quarantina d’anni - si legge in “La Santa” - Mancuso è di famiglia italiana, i suoi emigrarono in Colombia da Sapri, in provincia di Salerno. Ha il passaporto italiano, il comandante, e soprattutto solidissimi legami con il regime del presidente Alvaro Uribe. (...) Di Mancuso, comandante generale delle Auc (Autodefensas Unidas de Colombia, ndr) si è occupata la giustizia internazionale. Gli Usa ne chiedono l’estradizione per narcotraffico e per i massacri compiuti in Colombia. (...) Guardia di Finanza, Servizi Antidroga, le procure di Milano, Catanzaro e Reggio Calabria, ritengono el Mono il maggior fornitore di cocaina della ‘ndrangheta».
Un ruolo, quello giocato da Mancuso a braccetto con le famiglie calabresi, su cui ha fatto luce l’inchiesta «Galloway-Tiburon» della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria condotta dal magistrato calabrese Nicola Gratteri, che ha messo in evidenza la rete di “alleanze” insospettabili di cui Mancuso gode in Italia. Gente come Giorgio Sale e suo figlio Cristian che, secondo i magistrati reggini, gestiscono gli interessi di el Mono in Italia, dove Mancuso sogna di trasferirsi per sfuggire alla giustizia internazionale. Interessi che significano innanzitutto beni puliti su cui reinvestire i frutti del narcotraffico, per creare un impero pulito e al riparo dalle inchieste. Progetti di cui i magistrati sono venuti a conoscenza attraverso le intercettazioni telefoniche. Spiega Giorgi Sale al telefono: «dice che è andato a ritirare: 1.800 milioni... sono andati a prendere la prima tranche del 50%, e gli ha detto: “sono quelle tre casse là... 900 milioni”. Tre casse! Tre casse piene!!! Questo quando mi mandato 300 milioni, due scatoloni! Mi spiego? (...) Questo dice: “Sono andato in giro per Bogotà con 900 milioni spicci, che se mi ferma la polizia che gli racconto?». Soldi che finiscono anche in Italia e che diventano villaggi turistici, attività imprenditoriali pulite e palazzi. Come quello che, spiegano Fierro e Oliva, i sodali di Mancuso volevano comprare dal Vaticano. Palazzo del Drago, di cui parlano al telefono Sale e altri due membri dell’organizzazione, Paola Vasari e Andrea Sguazzini. V: «Figurati se dalla Colombia vengono a portare i soldi a lui (riferito a Sale, ndr), mi pare tanto strano a meno che non ci siano davvero soldi da lavare». S: «Questo è sicuro. Sono tutti da riciclare sì, ma li lavasse lui, io non li posso lavare».
E il volto di Mancuso, finora sconosciuto in Italia, compare per la prima volta nel film abbinato al libro e girato fra la Calabria, la Colombia, l’Argentina e Buccinasco, dove l’ex sindaco racconta delle intimidazioni subite dalla ‘ndrangheta. Parole di terrore e di morte, come quelle di due mamme di Filadelfia. Un fazzoletto di terra fra Pizzo Calabro e Vibo Valentia dove almeno cinquanta ragazzi sono spariti, vittime della lupara bianca. Una delle due, davanti alla telecamera, si dice fortunata: i cani hanno trovato il corpo del figlio e hanno fatto scempio: «Ma almeno abbiamo ritrovato una clavicola». L’altra piange un fantasma e fa appello agli ‘ndranghetisti per ritrovare il cadavere. E poi San Luca, il paese delle vittime delle strage di Duisburg, quel cuore di Aspromonte sconvolto da una faida che dura da oltre venti anni. Un documentario girato a giugno, prima della mattanza di Ferragosto, che si chiude con una triste profezia: «Altro sangue scorrerà». Ed è davvero andata così.
Pubblicato il: 03.10.07
Modificato il: 05.10.07 alle ore 16.53
fonte: www.unita.it
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2 commenti:
Voglio divertirmi a fare due conti:
produzione in mano ai calabresi 800 tons anno
pari a 800.000 chili
pari a 800.000.000 di grammi
costo 3$/gr -venduta 50 euro/gr
ricavi 40.000.000.000 di euro
che al netto delle spese potrebbe ridursi a 20.000.000.000
VENTIMILIARDI di euro, pari a circa
38.000 miliardi di vecchie lire.
tale utile annuale in oltre 20 anni di attività criminale, ammontano a (udite udite)
760.000 miliardi di vecchie lire, che divise per circa 1.000.000 di maschi (qualsiasi età) calabresi, fanno una fetta di 760 milioni di lire pro-capite (sempre compresi vecchi e bambini).
Ora, pur non discutendo l'entità del fenomeno criminale, vi pare possibile?? e dove stanno tutti questi soldi?
by Mat
Complimenti per questo bel post.A parte lo strapotere della 'ndrangheta anche all'estero in Calabria c'è una condizione difficilissima.Non vivo più in Calabria da oltre dieci anni ma lì la 'ndrangheta controlla tutto, dalle attività commerciali alla politica scegliendo direttamente i candidati e portando voti a questi.Ma vedi la nostra classe politica oggi ha altro da fare.I teatrini di cui siamo spettatori tutti i giorni sono più importanti della lotta alla mafia e alla corruzione.
Ascoltare De Magistris da una tristezza che non si può descrivere;un altro colpo della politica alla gente onesta che non ne può più di questi quattro cialtroni.A presto
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