"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

domenica 11 marzo 2007

A BAGDAD HANNO UCCISO LA CULTURA..














Mutanabbi Street, 30 morti e 29 feriti


IL FUNERALE DEI LIBRI DI BAGDAD


"Al Cairo si scrive, a Beirut si stampa, a Bagdad si legge". O meglio, si leggeva. Almeno nella parte che riguarda la capitale irachena, questo antico proverbio arabo va senz´altro riscritto. L´odio che in Mesopotamia sembra non risparmiare più niente e nessuno ha infatti deciso di uccidere anche i sogni.

Al Mutanabbi, la stradina della cultura, dei libri, dei caffè letterari non esiste più. Spazzata via, polverizzata in un attimo nel pomeriggio di lunedì scorso da una delle solite autobomba. Un camioncino imbottito di tritolo che per passare inosservato aveva sul tetto decine e decine di volumi.Stavolta nel mirino degli attentatori non c´erano solo uomini ma miliardi di innocenti parole da cancellare per sempre. Da trasformare in una nube di cenere che si è poi posata leggera come un sudario sui resti delle trenta persone che ci hanno rimesso la vita: studenti, insegnanti, intellettuali. Giovani e meno giovani, gli habitué di quella viuzza bruciati insieme a testi preziosi e libelli di nessun valore. Erano solo parole ma evidentemente facevano più rumore dei cannoni. Davano insomma fastidio a chi crede che la verità sia una e una sola.

Al posto dello Shabandar Cafè, il più vetusto ritrovo di scrittori e intellettuali della città, ora c´è come l´antro di una caverna. Non è rimasto altro che fango e detriti della stretta porta di legno, dei tavolini, delle sedie bianche, delle suppellettili, delle decine di foto storiche che tappezzavano le pareti, dei narghilè. «Abu Fahem al Khashali, il vecchio proprietario, morto anche lui nello scoppio, è affondato con la sua creatura, Meglio così - dice Ashem Hassan, scrittore e poeta, suo amico da sempre - Non sarebbe sopravvissuto allo scempio di quel locale che era tutta la sua vita».

Il mercato dei libri di al Mutanabbi Street, che deve il suo nome al grande poeta arabo del 900 dopo Cristo (Abu Taib ‘al-Mutanabbi, appunto) inaugurato nel lontano 1932 da re Faisal, è uno stretto budello, lungo non più di 300 metri, a pochi passi dalla centralissima Rashid Street e non lontano dal vecchio quartiere ebreo di Bagdad. Un colorato labirinto di banchetti, di bottegucce e caffè dove chi ama leggere poteva trovare autentiche rarità. Ma al Mutanabbi era molto di più che un mercato di carta stampata. Era l´unico posto dove si facesse cultura, l´unico forse in tutto l´Iraq dove opinioni e confessioni diverse potevano confrontarsi senza spargimenti di sangue.
Neppure l´orrore seguito all´invasione del 2003 e le quotidiane mattanze settarie hanno interrotto il via vai di poeti, scrittori, pittori, musicisti, insegnanti, studenti e uomini di cultura. E quando fu imposto il coprifuoco a Bagdad, non a caso le contestazioni più dure arrivarono proprio dai frequentatori di quella stradina. Il non poter fare più due chiacchiere su arte, letteratura o politica di sera con gli amici davanti a un buon tè, fu come una mazzata. Il sottrarre l´unico spazio di libertà a chi è costretto da anni a convivere con l´orrore.

Nella Bagdad dei cento cadaveri al giorno, degli squadroni della morte, degli integralisti e di al Qaeada, Al Mutanabbi era un corpo estraneo. Qualcosa di incontrollabile, di alieno. Paradossalmente ora più che al tempo di Saddam Hussein. Quando quel poco di dissidenza che c´era nel Paese, era proprio lì che circolava sotto forma di opuscoli messi all´indice, di giornali che venivano dall´estero, di intellettuali scomodi, di idee che potevano costare la vita. E lo Shabandar Cafè, allora come una settimana fa, era il vero Parlamento di Bagdad. L´unico autenticamente democratico dove sunniti e sciiti, cristiani e turcomanni, ricchi e poveri, in nome della comune passione per la cultura, si ricordavano di essere soltanto iracheni.

E´ per questo che decine di poeti e scrittori giovedì scorso hanno deciso di rendere omaggio alla loro "casa" distrutta, declamando i loro versi sulle sue rovine ancora fumanti. Ne è venuto fuori un happening struggente. Il funerale di quel poco di cultura che era riuscita a sopravvivere in una città senza legge. «Hanno provato a spegnere la nostra luce per sempre ma noi la riaccenderemo», ha detto Jabbar Muhaibs, docente all´Accademia di Belle arti di Bagdad. E in quel nulla che resta dello Shabandar cafè, il celebre poeta Abdel Zahra Zaki per descrivere il desolante paesaggio che aveva d´intorno ha recitato alcuni versi del suo poema Parole, parole, parole: "Qui non ci sono che parole. Parole che bruciano". «Ho perso amici e ho visto distrutte alcune delle cose che avevo più care - ha detto tra le lacrime Ashem Hassan - anche se non ero qui in quel tragico lunedì un po´ sono morto anch´io». Ma c´è stato anche chi come lo scrittore Dawud Salam ha cercato di risollevare il morale dei presenti: «I fuochi della violenza e della distruzione non devono distruggere le nostre speranze». Concetto poi ripreso con ancora più vigore dal poeta e drammaturgo, Tawfik Timemi. «Non rinunceremo mai al nostro spazio di libertà. Siamo nel mirino di pazzi criminali che odiano chiunque non la pensi come loro, ma noi non ci piegheremo alla repressione e ricostruiremo la nostra Mutanabbi Street, perché la cultura possa a tornarci a fiorire».

Renato CAPRILE, inviato

estratto da "La Repubblica"
10-03-2007
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questo articolo si commenta da solo: la stupidità e l'odio degli uomini, una volta di più, hanno dimostrato di non avere limiti..



3 commenti:

Anonimo ha detto...

peccato non sapere l'arabo... vorrei dire a chi è rimasto che sono solidale con loro e che si rimane ammirati da chi nonostante tanta barbaria non si arrende e vuole ricostruire la casa della cultura che una bomba ha spazzato via...
peccato non poter essere lì e tirarsi su le maniche per aiutare chi è rimasto, la cultura è vita, la cultura unisce, la cultura è amore... laura

elena ha detto...

... "la cultura è vita, la cultura unisce, la cultura è amore..." ed è proprio per questo che fa paura... e noi, abitanti del pianeta, non impariamo mai nulla, a quanto sembra... purtroppo.

Anonimo ha detto...

Dopo questa notizia qui appresa, ho come l'impressione, che aleggi tra i vari interessi guerrafondai, una nuova forma di interesse strisciante e che, affiancando la guerra ufficiale, sta facendosi strada...