"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

giovedì 15 novembre 2007

Anarchici, garibaldini, visionari

LIBRI / Il diario risorgimentale e inedito di Luciano Bianciardi
I sogni, gli incubi e le sconfitte dei libertari di fine Ottocento

Storie dal secolo breve

E Gianni Clerici racconta l'ultima notte del Duce
di DARIO OLIVERO




MIRACOLO A MILANO

E' un miracolo che non sia finito dimenticato un uomo come Luciano Bianciardi che pure aveva tutte le caratteristiche per l'oblio. Non allineato, anzi anarchico. Amante e profondo studioso di quella parte del Risorgimento più scomoda, quella garibaldina, repubblicana, rivoluzionaria. Traduttore di autori come Henry Miller. Insomma, uno di quelli che è più comodo non ripubblicare. Invece è commovente come resista, grazie a piccole case editrici come Isbn o, in questo caso, Stampa Alternativa che manda in libreria un gioiellino: Ai miei cari compagni. Diario inedito di un neo-garibaldino (10 euro). Due racconti lunghi che danno il senso della forza corrosiva di uno scrittore come Bianciardi. Il primo racconta delle cinque giornate di Milano, il secondo della spedizione degli straccioni di Garibaldi. Due vittorie dove nessuno se le sarebbe aspettate, due bagliori nella storia. Bianciardi mischia a quelle storie anche fughe in avanti, inquadrature nell'Italia del suo tempo, improvvisamente ricca ma ancora povera e ancora così piena di ingiustizia. E nel ripercorrere la storia che più ama, fa quello che il potere non gli ha mai perdonato, descrive il presente e non lo accetta: "In questi cinque giorni di disordine ha regnato in città un ordine nuovo, spontaneo, entusiastico. Basti pensare che non è stato segnalato un solo caso di furto. Milano stava vivendo un clima morale del tutto nuovo. I ladri han ricominciato a rubare non appena è stato ristabilito il rispetto della proprietà".


UTOPIA/1
Paolo Mantegazza è il cliché perfetto dello studioso della seconda metà dell'Ottocento. Curioso, ottimista, visionario. E' già abbastanza grandicello da vedere il '48, è italiano nel '61, uomo maturo nel '70. Gli sarà risparmiata la Grande guerra che non farà in tempo a vedere. E' un uomo figlio della luce del nuovo secolo, delle scoperte scientifiche e delle scienze politiche che accompagnano la più grande rivoluzione della storia umana, quella industriale. E' figlio dell'elettricità e di Jules Verne, del socialismo di Turati e delle teorie di Darwin. Ma è anche figlio dell'inquietudine che attraversa quel periodo che non a caso finirà con la prima carneficina moderna del 1915-18. Infatti scrive questo strano libro: L'anno 3000, sogno di Paolo Mantegazza (Lupetti, 11 euro), il viaggio di un uomo e una donna attraverso il nuovo ordine mondiale, l'esperimento sociale perfetto che ha superato tutti gli altri e che ha la sua capitale in India. Pur nella sua fiducia, Mantegazza aveva intercettato qualcosa del futuro che sarebbe venuto anche molto dopo di lui. Di quel sogno poche cose si sono realizzate. Molti gli incubi.


UTOPIA/2
Anarchico non individualista, non violento. Disilluso come dovrebbero essere quelli che si spaccano testa e anima per dare un peso filosofico e teorico all'anarchismo. E' la voce narrante di Istante propizio, 1855 di Patrik Ourednik (tr. it. E. Paul, Duepunti Edizioni, 12 euro). Racconta di un esperimento sociale: una nave carica di europei (moltissimi italiani) verso il Brasile. Un mondo da ricostruire, una colonia da impiantare seguendo regole nuove. "Cambiare il mondo? Ma allora la Rivoluzione francese non ci ha insegnato niente? Esiste un solo modo di creare una società, non egualitaria, ma fraterna: unirsi a chi condivide le stesse idee e costruire volontariamente un mondo nuovo lontano dal vecchio, un mondo senza passato e senza odio; e allora - forse! - grazie alla sua sola esistenza, al suo pacifismo, alla sua dignità, questo mondo si espanderà lentamente sugli altri". Sarà dura, è sempre dura.


CLARETTA E BEN
Quasi un testo teatrale o un'autoanalisi. O un processo a se stesso e alla propria vita, al proprio destino politico dall'ascesa dalla miseria di un'Italia da sempre povera e poi ancora di più con la Prima guerra. Alla caduta dopo vent'anni di regime e un'altra guerra ma stavolta dalla parte degli sconfitti. E anche donne, delitti, amori, tradimenti, alibi, ragion di Stato. Tutto in una notte, l'ultima. Benito Mussolini, avvolto in un cappotto della Luftwaffe che non lo ha nascosto dalla vista di un contadino che lo ha riconosciuto e denunciato ai partigiani e Claretta Petacci, in grigio, lei sì anonima, lei sì che forse avrebbe potuto farcela, ma che sceglie di stare accanto all'uomo della sua vita. Solo ora, alla fine di tutto, non le sembra vero di poterlo avere per sé, di non dividerlo più con le altre. Chiusi in una stanza sorvegliata da due giovani partigiani, parlano. Lui soprattutto. Ripercorre tutto, non tralascia niente, è il suo punto di vista, è la voce dell'imputato che non abbiamo mai sentito e forse per questo non abbiamo mai potuto lasciarci alle spalle una volta per tutte. Lo ha scritto Gianni Clerici: si intitola Mussolini, l'ultima notte (Rizzoli, 15 euro).

(15 novembre 2007)

fonte: http://www.repubblica.it/2007/11/sezioni/spettacoli_e_cultura/libri-120/libri-120/libri-120.html

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