(fonte immagine: http://www.archiviostorico.unibo.it/images/homepicture.jpg)
On. presidente Prodi, on. Ministro Mussi.
Scrivo questa lettera aperta per chiedere di fermare il masochistico massacro dell’università e delle inevitabili conseguenze che sul paese avranno le scelte operate dal suo governo. L’anomalia italiana di un’Università costituita da un organico caratterizzato da solo un terzo di ricercatori con età media di 50 anni e dai restanti 2/3 da professori con età media di 63, descrive senza la necessità di commenti l’assenza di ricambio generazionale e di conseguenza il rapido declino a cui è destinata la ricerca italiana e quindi il futuro del nostro paese.
Il Governo, anziché affrontare le modalità per l’inserimento nell’organico di ruolo del precariato storico (rappresentato da ricercatori maturi che dopo i tre anni di dottorato hanno prestato servizio con ulteriori quattro/cinque anni di assegni di ricerca, finanziati da progetti di valenza internazionale, a cui hanno avuto accesso tramite concorso pubblico), si operano tagli ai fondi di ricerca e non si indicano dei concorsi nazionali, per permettere ai più meritevoli di accedere e garantire il trasferimento delle conoscenze alle generazioni più giovani. Un segnale negativo è stato dato dall’emendamento aggiuntivo all’Art. 3 del D. Lgs del 05.09.07 con il quale si trasferiscono agli Atenei i fondi aggiuntivi che il Ministero avrebbe dovuto ripartire dopo aver definito nuove modalità concorsuali.
Non si capisce per quale motivo le Università stanno giustamente stabilizzando il personale amministrativo, mentre il personale di ricerca, sulle cui spalle negli ultimi dieci anni è pesata sia l’attività di ricerca che di didattica, sia pesantemente discriminato. La campagna denigratoria della ricerca scientifica non è giustificata dai numeri e lo dimostrano le numerose pubblicazioni scientifiche di elevato impatto internazionale che questi ex giovani hanno nonostante le poche risorse e i disagi dello stato di precariato. I ricercatori precari sono i primi a non volere un “ope legis” ma il riconoscimento di meriti conquistati sul campo attraverso lo sviluppo di ricerche di punta, la formazione di giovani ricercatori a cui sono state trasmesse le innovazioni prodotte da tali ricerche e articoli scientifici di rilevante impatto innovativo.
On Presidente Prodi e On Ministro Mussi da elettore e docente universitario vi chiedo di affrontare e sanare questa decennale agonia a cui sono soggetti le migliori menti del nostro paese, che fino a quando possono resistere non lo abbandonano per amore e per la consapevolezza di poter contribuire a migliorarlo.
Censendo e prendendo atto dello stato del precariato, potete distribuire correttamente le risorse rese annualmente disponibili dalla legge finanziaria, evitando di continuare, come prima, a ripartirle tra i vari gruppi di potere. Con quelle risorse andrebbero urgentemente sanati quei ricercatori in grado di dimostrare che, negli anni di precariato post dottorato, hanno pubblicato su riviste internazionali ad elevato impatto, hanno contribuito allo sviluppo di progetti internazionali.
Non è comprensibile perché molti di questi ricercatori maturi siano da anni considerati abili a tenere insegnamenti universitari, ad essere relatori di tesi di laurea e responsabili di progetti internazionali o responsabili di scuole di perfezionamento, ma non siano considerati sufficientemente idonei ad usufruire e poter partecipare ad un concorso libero, che permetta loro di dimostrare le capacità sviluppate e di accedere a pieno diritto al ruolo che da anni ricoprono da precari.
Il Governo se non affronta questo problema e anziché promuovere un concorso nazionale, distribuisce i posti alle singole sedi locali, indipendentemente dalla presenza o meno di precari storici da stabilizzare, lasciando liberi gli atenei di dirottare le risorse ad altri settori, finirà per lasciare spazio allo sviluppo di meccanismi perversi, basati sul potere dei singoli gruppi e non su un riconoscimento del merito. In pochi anni nonostante i Professori possono andare in pensione a 75 anni, l’Università è destinata drammaticamente a spopolarsi e allora sarà necessario operare un ingresso in massa non basato sul merito ma sull’emergenza.
Nessuno nega che nell’attuale distribuzione tra potentati, più politici che scientifici, una consistente parte dei posti possa essere assegnata anche a parti di questo “precariato storico”, ma le modalità di distribuzione non sono però determinate dal riconoscimento del servizio prestato e dalla carriera dei singoli, quanto dalla fedeltà al professore-barone e dalla sua capacità politico-clientelare di accaparrarsi un importante numero di posti disponibili per l’intero ateneo. Che fine faranno i ricercatori negli anni cresciuti fuori dell’ala protettiva dell’ordinario di riferimento?
Occorre ricordarsi che, nonostante le scarsissime risorse che lo Stato destina alla ricerca, l’Università italiana è oggi competitiva con le principali Università estere, grazie al lavoro fatto da questi ricercatori precari, e farseli scappare verso quelle università estere che ogni giorno li cercano, costituirebbe un danno difficilmente recuperabile in tempi medi; e con la velocità dell’innovazione e della ricerca globale, i tempi brevi sono già lunghi.
Carmela Vaccaro
Professore associato di Petrografia
Dipartimento di Scienze della Terra
Università di Ferrara
On. presidente Prodi, on. Ministro Mussi.
Scrivo questa lettera aperta per chiedere di fermare il masochistico massacro dell’università e delle inevitabili conseguenze che sul paese avranno le scelte operate dal suo governo. L’anomalia italiana di un’Università costituita da un organico caratterizzato da solo un terzo di ricercatori con età media di 50 anni e dai restanti 2/3 da professori con età media di 63, descrive senza la necessità di commenti l’assenza di ricambio generazionale e di conseguenza il rapido declino a cui è destinata la ricerca italiana e quindi il futuro del nostro paese.
Il Governo, anziché affrontare le modalità per l’inserimento nell’organico di ruolo del precariato storico (rappresentato da ricercatori maturi che dopo i tre anni di dottorato hanno prestato servizio con ulteriori quattro/cinque anni di assegni di ricerca, finanziati da progetti di valenza internazionale, a cui hanno avuto accesso tramite concorso pubblico), si operano tagli ai fondi di ricerca e non si indicano dei concorsi nazionali, per permettere ai più meritevoli di accedere e garantire il trasferimento delle conoscenze alle generazioni più giovani. Un segnale negativo è stato dato dall’emendamento aggiuntivo all’Art. 3 del D. Lgs del 05.09.07 con il quale si trasferiscono agli Atenei i fondi aggiuntivi che il Ministero avrebbe dovuto ripartire dopo aver definito nuove modalità concorsuali.
Non si capisce per quale motivo le Università stanno giustamente stabilizzando il personale amministrativo, mentre il personale di ricerca, sulle cui spalle negli ultimi dieci anni è pesata sia l’attività di ricerca che di didattica, sia pesantemente discriminato. La campagna denigratoria della ricerca scientifica non è giustificata dai numeri e lo dimostrano le numerose pubblicazioni scientifiche di elevato impatto internazionale che questi ex giovani hanno nonostante le poche risorse e i disagi dello stato di precariato. I ricercatori precari sono i primi a non volere un “ope legis” ma il riconoscimento di meriti conquistati sul campo attraverso lo sviluppo di ricerche di punta, la formazione di giovani ricercatori a cui sono state trasmesse le innovazioni prodotte da tali ricerche e articoli scientifici di rilevante impatto innovativo.
On Presidente Prodi e On Ministro Mussi da elettore e docente universitario vi chiedo di affrontare e sanare questa decennale agonia a cui sono soggetti le migliori menti del nostro paese, che fino a quando possono resistere non lo abbandonano per amore e per la consapevolezza di poter contribuire a migliorarlo.
Censendo e prendendo atto dello stato del precariato, potete distribuire correttamente le risorse rese annualmente disponibili dalla legge finanziaria, evitando di continuare, come prima, a ripartirle tra i vari gruppi di potere. Con quelle risorse andrebbero urgentemente sanati quei ricercatori in grado di dimostrare che, negli anni di precariato post dottorato, hanno pubblicato su riviste internazionali ad elevato impatto, hanno contribuito allo sviluppo di progetti internazionali.
Non è comprensibile perché molti di questi ricercatori maturi siano da anni considerati abili a tenere insegnamenti universitari, ad essere relatori di tesi di laurea e responsabili di progetti internazionali o responsabili di scuole di perfezionamento, ma non siano considerati sufficientemente idonei ad usufruire e poter partecipare ad un concorso libero, che permetta loro di dimostrare le capacità sviluppate e di accedere a pieno diritto al ruolo che da anni ricoprono da precari.
Il Governo se non affronta questo problema e anziché promuovere un concorso nazionale, distribuisce i posti alle singole sedi locali, indipendentemente dalla presenza o meno di precari storici da stabilizzare, lasciando liberi gli atenei di dirottare le risorse ad altri settori, finirà per lasciare spazio allo sviluppo di meccanismi perversi, basati sul potere dei singoli gruppi e non su un riconoscimento del merito. In pochi anni nonostante i Professori possono andare in pensione a 75 anni, l’Università è destinata drammaticamente a spopolarsi e allora sarà necessario operare un ingresso in massa non basato sul merito ma sull’emergenza.
Nessuno nega che nell’attuale distribuzione tra potentati, più politici che scientifici, una consistente parte dei posti possa essere assegnata anche a parti di questo “precariato storico”, ma le modalità di distribuzione non sono però determinate dal riconoscimento del servizio prestato e dalla carriera dei singoli, quanto dalla fedeltà al professore-barone e dalla sua capacità politico-clientelare di accaparrarsi un importante numero di posti disponibili per l’intero ateneo. Che fine faranno i ricercatori negli anni cresciuti fuori dell’ala protettiva dell’ordinario di riferimento?
Occorre ricordarsi che, nonostante le scarsissime risorse che lo Stato destina alla ricerca, l’Università italiana è oggi competitiva con le principali Università estere, grazie al lavoro fatto da questi ricercatori precari, e farseli scappare verso quelle università estere che ogni giorno li cercano, costituirebbe un danno difficilmente recuperabile in tempi medi; e con la velocità dell’innovazione e della ricerca globale, i tempi brevi sono già lunghi.
Carmela Vaccaro
Professore associato di Petrografia
Dipartimento di Scienze della Terra
Università di Ferrara
1 commento:
L'altro giorno mi sono recata all'università per il mio incontro periodico col relatore della mia tesi. Io sto per laurearmi a dicembre, dopo, mio malgrado, ben 10 anni di frequentazione dell'università. Molti dei professori titolari di insegnamenti che ho frequentato dal primo anno erano già sulla settantina quando ho cominciato. L'altro giorno, con mia enorme sorpresa, uno dopo l'altro, li ho visti TUTTI. SCendevano le scale, uni dopo l'altro. Piano piano. Con prudenza.
Ci tengo a specificare che solo un paio di questi avrebbero diritto, per meriti scientifici e soprattutto didattici, di restare su quella cattedra per il bene degli studenti.
E' una lettera tristemente veritiera: nell'università regna un baronato da far schifo....anche questo un male italiano, o il mondo accademico è fatto così in tutto il mondo?
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