"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

domenica 3 giugno 2007

Due manifestazioni il 9 giugno contro la visita di Bush? Oggi è inevitabile







di Sergio Cararo *


Sabato 9 giugno a Roma è stata convocata da un’ampia coalizione di reti, associazioni, sindacati di base, forze politiche una manifestazione nazionale contro la visita di Bush in Italia e l’interventismo militare del governo Prodi.

La piattaforma condivisa che convoca questa manifestazione ha chiarito molto bene che il problema centrale rimane la strategia degli Stati Uniti nelle relazioni internazionali e non solo le iniziative di una amministrazione Bush oggi ridotta nella condizione dell’anatra zoppa a seguito dei sanguinosi insuccessi ottenuti nella guerra.

Non è un dettaglio perché alimentare l’idea che un cambio della guardia nell’establishment USA possa invertire la tendenza, rischia di rinnovare una illusione sistematicamente smentita dalla realtà. E’ sufficiente rammentare che i brutali interventi militari in Somalia e Jugoslavia, l’incrudimento dell’embargo e dei bombardamenti sull’Iraq, il Silk Road Strategy Act sulla conquista dell’Asia Centrale, le leggi Torricelli e Helms-Burton contro Cuba, sono state realizzate negli otto anni dell’amministrazione Clinton.


Bush viene in Italia e non viene per turismo. Viene per incontrare le autorità politiche e probabilmente il Papa. L’agenda delle relazioni tra l’amministrazione USA e il governo Prodi presenta alcuni punti di frizione ma è largamente condivisa in molti punti significativi.

Il governo italiano condivide infatti con gli USA le responsabilità politiche e militari dell’intervento in Afghanistan, condivide l’adesione allo Scudo missilistico in Europa (con un memorandum firmato in segreto dal governo italiano), condivide la cessione di territorio su cui far costruire una nuova base militare USA a Vicenza e nuove strutture a Sigonella e Camp Darby, condivide la cooperazione militare con Israele e l’embargo contro i palestinesi, condivide la decisione di assemblare (e pagare profumatamente) gli F 35 a Cameri, condivide gli ostacoli frapposti alla magistratura nei processi sull’omicidio Calipari e sul sequestro di Abu Omar.

Non possiamo più negare che l’attuale esecutivo – così come gli USA o altri governi europei – abbia maturato la convinzione che l’economia di guerra sia un aspetto rilevante dei propri orientamenti strategici. Lo rivelano l’aumento delle spese militari, il sostegno al rafforzamento di un complesso militare-industriale italiano ed europeo, l’incentivazione all’interventismo militare all’estero (dal Kosovo all’ Afghanistan, dal Libano Gaza) sulla base di un peace-keeping di terza generazione che in nulla somiglia a quello tradizionale delle Nazioni Unite.


La manifestazione del 9 giugno contro la visita di Bush è dunque anche una manifestazione che denuncia queste responsabilità del governo Prodi nelle scelte di politica militare ed internazionale.

A questa iniziativa se ne contrappone un’altra convocata dalla sinistra di governo e da alcune associazioni ad essa collaterali.

In questi giorni è stato lanciato un appello di personalità che chiedono di unificare le due manifestazioni eliminando ogni accenno alle responsabilità del governo italiano nelle scelte di guerra e indicando solo in Bush “il nemico dell’umanità”.

Intendiamo rispondere ai firmatari di questo appello, a persone che conosciamo in larga parte e con i quali abbiamo condiviso molti tratti di strada e molte iniziative in questi anni.

Vogliamo dire che non possiamo condividere il loro appello perché è ormai dal luglio del 2006 che con molti dei firmatari le strade si sono divise e che il movimento No War (o parte di esso) è stato costretto da solo in tutti questi mesi a dare continuità agli obiettivi e alle battaglie condivise fino…al luglio 2006.

Lo ha fatto a luglio mentre in Parlamento si votava a favore del mantenimento della missione militare in Afghanistan e poi mentre Israele bombardava il Libano, lo ha fatto a settembre segnalando perplessità e contrarietà sulla nuova missione militare italiana in Libano, lo ha fatto a Novembre sulla Palestina (anche lì dividendosi sui contenuti in due piazze diverse e distinte), lo ha fatto a febbraio a Vicenza, lo ha fatto a marzo con la manifestazione del 19 e con i presidi sotto il Senato mentre nelle aule parlamentari si votava nuovamente a favore della missione militare in Afghanistan. Lo farà anche a giugno perché gli elicotteri Mangusta, i carri armati e nuovi soldati vengono inviati in Afghanistan nonostante ad aprile molti avessero dichiarato che non avrebbero mai accettato l’invio dei Mangusta, di altri soldati e armamenti nel mattatoio afgano.




Il 9 giugno a Roma ci saranno due manifestazioni perché questa realtà è il risultato dei fatti concreti sopraelencati. Ci sarà un corteo che attraverserà la capitale numeroso, partecipato, pacifico e animato da quelli che in questi dieci mesi non hanno rinunciato a contenuti e iniziative contro la guerra e ci sarà una piazza tematica animata dai partiti e dalle associazioni che tuttora sostengono e collaborano con il governo Prodi e le sue scelte concrete.

Se veramente abbiamo gli stessi obiettivi, come sostiene l’appello ad una manifestazione unitaria, non c’è alcun problema, la manifestazione del 9 giugno che partirà da Piazza della Repubblica, ha già i contenuti adeguati per accogliere unitariamente coloro che si battono contro la guerra …senza se e senza ma.

Se così non è vuol dire che marceremo divisi il 9 giugno ma restiamo disponibili a iniziative unitarie in futuro, ma oggi non si può chiedere ai movimenti No War né a nessun altro di “non disturbare il manovratore”, è tempo che si abbia finalmente rispetto dell’autonomia dei movimenti dalle contingenze della “politica”. Sarebbe gravissimo se il 9 giugno venisse assicurata l’agibilità politica della piazza di Roma solo alle forze della sinistra di governo e negata ai movimenti come indicano alcuni segnali in questi giorni. Speriamo che di questo i firmatari dell’appello siano pienamente consapevoli.

* Rete dei Comunisti
www.contropiano.org

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IL PUNTO






[ PIERO BUSH ]


Mi rendo conto dei rischi. Sarebbe una iattura se le frange estreme provocassero incidenti. Ma le parole pronunciate dal segretario dei Ds, Piero Fassino, mi hanno lasciato di stucco: "Principi elementari di buon senso e civiltà consiglierebbero di non contestare il Presidente degli Stati Uniti nella sua visita a Roma". L'appuntamento è per il 9 giugno. Non capisco la mossa del segretario dei Ds. Anche negli Stati Uniti contestano il loro presidente. Non penso che la politica estera del governo Prodi sia "la risposta" al guerrafondaio Bush. Di certo, i promotori delle due manifestazioni non accoglieranno l'appello del segretario dei Ds, del resto anche il ministro Parisi ha giustamente osservato: "Sono dalla parte della democrazia per cui se negli Stati Uniti i cittadini hanno il diritto di esprimere la propria opinione su Bush, è legittimo esprimerla, nelle forme previste, anche in Italia". Io penso che Geroge W. Bush sia il peggiore presidente degli Stati Uniti e che Piero Fassino sia più realista del re. Che siano manifestazioni di pace e per la pace!

Post Scriptum. E' sempre di ieri l'attacco del segretario dei Ds a Bruno Vespa: "Credo sia una riduzione del pluralismo affidare per anni ad un unico conduttore il principale contenitore di approfondimento politico". Era meglio se si stava zitto. E' inaccettabile che i politici si esprimano sui giornalisti. Non sono critici televisivi, non sono direttori, non sono editori, non sono giornalisti anche se alcuni di loro hanno, ancora, la tessera professionale in tasca.

postato da: aleruotolo alle ore maggio 26, 2007 13:32

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