La sinistra non teme più il sindacalista Rossa
L.T. ROMA
Un’anteprima importante per ospiti e autorità domani sera al cinema Barberini di Roma, poi “Guido che affrontò le Brigate Rosse” di Giuseppe Ferrara slitterà ancora e dopo due anni sarà nelle sale per il pubblico nella terza settimana di agosto. «Un periodo più favorevole per un film difficile come questo», dice il produttore Carmine De Benedictis. Il regista Giuseppe Ferrara non dimentica quelli che considera i segni d’un forte disagio politico intorno alla sua opera: il film, elenca Ferrara in conferenza-stampa, non ha avuto il sostegno della commissione statale per il cinema di qualità, di solito tanto generosamente elargito, né ha ottenuto dalla Rai la distribuzione 01; il solo contributo decisivo è stato quello finanziario dell’Ilva spa, 900.000 euro circa.
Realizzato nell’anno del centenario della Confederazione Generale italiana del Lavoro e nel 25°anniversario della morte di Guido Rossa, sindacalista genovese della Fiom unico a denunciare personalmente nel 1978 la presenza delle Brigate Rosse all’Italsider e a venire poi ucciso dalle Br, il film prodotto da Carmine De Benedittis ha come protagonista Massimo Ghini, ha come interpreti Gianmarco Tognazzi, Mattia Sbragia, Elvira Giannini componenti delle Brigate Rosse, Anna Galiena nella parte della moglie di Guido Rossa. Gli attori hanno lavorato pagati al minimo sindacale. Le riprese sono avvenute a Genova. Consulente per i dialoghi tra brigatisti è stato il brigatista Alberto Franceschini.
E perché un simile film dovrebbe infastidire qualcuno? Il regista Ferrara sembra ritenere che Guido Rossa rimanga per la sinistra italiana un personaggio imbarazzante: un sindacalista che denuncia un operaio poi condannato a quattro anni di carcere per aver diffuso volantini in fabbrica, che viene ucciso da altri operai che vorrebbero la classe operaia al potere.
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Guido Rossa
Dai resoconti giornalistici del gennaio 1979.
I terroristi delle Brigate Rosse hanno cominciato ad uccidere anche i militanti comunisti. La prima vittima di questo nuovo fronte è un operaio di Genova, Guido Rossa, delegato sindacale della Fiom - Cgil all’Italsider, iscritto al PCI. Rossa 44 anni , sposato e padre di una ragazza, aggiustatore meccanico nella fabbrica genovese, è stato assassinato all’alba del 24 gennaio, a pochi passi da casa. Guido, ha pagato con la vita non soltanto la sua militanza politica, ma il suo impegno contro il terrorismo. Era stato lui a scoprire e denunciare un fiancheggiatore delle BR, Francesco Berardi, impiegato nella sua stessa fabbrica, l’Italsider. E i brigatisti, nella loro follia omicida, hanno voluto “punirlo”, proprio per quel suo atto di coraggio civile: “Abbiamo sparato a Guido Rossa, spia dei padroni, dell’Italsider”, dice la telefonata che rivendica l’assassinio.
La tecnica dell’attentato è stata quella consueta di tanti altri agguati. Rossa esce da casa poco dopo le 6.30, in via Ischia , per recarsi al lavoro allo stabilimento di Cornigliano. A piedi svolta per via Fracchia e sale sulla sua “ 850 Fiat “ dalla parte destra, perché l’auto è parcheggiata di fianco al muro. La zona è quella di Oregina, sulle alture di Genova, scoscesa e piena di strade strette e tortuose. Mentre Guido entra nell’auto, sta spostandosi sul sedile di guida, i terroristi cominciano a sparare. I primi colpi di pistola lo raggiungono alle gambe, poi un proiettile gli spacca il cuore. Guido muore quasi subito. A sparare sono stati almeno in due ( per terra troveranno bossoli di due armi diverse, una calibro 9 lungo e una 7.65).
La notizia gia alle 8.30 si diffonde per l’intera città, l’emozione è enorme, gli operai escono dalle fabbriche, si sa che è stato ammazzato un sindacalista della Fiom, “un compagno del PCI”. Ma non si sa ancora chi. Poi qualcuno ricorda la storia di Berardi, e la gente capisce: Guido Rossa ha cominciato a morire quando ha deciso di guidare il servizio di vigilanza contro il terrorismo nelle fabbriche in cui lavorava.
Rivediamo le sequenze iniziali di questo dramma. All’Italsider e all’Ansaldo, la presenza di qualcuno che ‘fiancheggia’ le BR è palpabile. Quando sparano al dirigente Liberti, nel maggio scorso, e spiegano perché l’hanno fatto, i brigatisti dimostrano di sapere tutto sull’azienda. In ottobre, Rossa firma quasi certamente la sua condanna a morte. Da tempo sospetta di Francesco Berardi, un operaio degli altiforni poi promosso impiegato, ex militante di Lotta Continua.
Alla fine lo blocca mentre ha con sé alcuni opuscoli delle BR e, assieme al consiglio di fabbrica, avverte i carabinieri. Da una perquisizione, saltano fuori i numeri di targa di alcuni dirigenti Italsider, annotati su un foglietto in possesso di Berardi.
Al processo per direttissima, Rossa è l’unico che ha il coraggio di presentarsi a testimoniare, “conferma le dichiarazioni rese in istruttoria?” “Confermo” Il delegato sindacale rimane in aula neppure un minuto, ma, appena lo vede, Berardi si volge verso il pubblico e lo indica con gli occhi e un cenno del capo a qualcuno che è tra i presenti nell’aula. Berardi viene condannato a quattro anni di reclusione e viene rinchiuso nel super carcere di Novara.
Per Guido rossa cominciano le telefonate anonime: “Te la faremo pagare”. Convinto di aver fatto il suo dovere di cittadino e democratico nonché di militante comunista, Guido continua la sua attività come prima e rinnovata determinazione per combattere il terrorismo che ritiene il male mortale per la classe operaia.
Nel frattempo, le BR diffondono il “ Diario di lotta nelle fabbriche genovesi Ansaldo e Italsider” dove per la prima volta compare in modo esplicito, lo slogan “individuare e smascherare il ruolo controrivoluzionario dei berlingueriani”. Ancora una volta è un’anticipazione chiara di quanto accadrà di lì a poco.
Chi ha ucciso Guido Rossa si è servito quasi certamente di un furgone parcheggiato qualche metro dietro la sua 850, con targhe rubate e il bollo di circolazione e il contrassegno dell’assicurazione contraffatti. Gli inquirenti che lo hanno esaminato sono certi che gli attentatori siano rimasti nascosti nel veicolo per tutta la notte. Le indagini appaiono subito molto complicate, nessuno ha visto nulla, qualcuno compresa la moglie di Guido ha sentito degli spari, ma li ha scambiati per altri rumori. In questo modo, dal momento dell’attentato alla scoperta del corpo di Guido Rossa riverso nell’auto, fatta eccezione di un netturbino , è trascorsa quasi un’ora.<>.
Genova si è scossa dal torpore pigro di queste giornate grigie e piene di pioggia, ma non più di ammazzarono il giudice Coco, l’8 giugno del 1976 o Antonio Esposito, il 21 giugno scorso ( capo dell’antiterrorismo genovese, 36 anni e padre di tre figli). Solo nelle fabbriche , grandi e piccole la rabbia è grande, ma lo sdegno di chi parla dell’assassinio si confonde con un rassegnato senso di impotenza nei confronti del terrorismo determinato anche dalla esiguità dei risultati raggiunti di chi indaga e sta indagando sui precedenti attentati.
C’è da chiedersi se quel giorno, in tribunale, Guido non fosse rimasto solo a testimoniare, se altri compagni del sindacato, tutti insieme avessero confermato le accuse di Guido, se…….
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fonte: http://www.rifondazione-cinecitta.org/guidorossa.html
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