I giornalisti del quotidiano fondato dal bomber a Livorno: «Telefona in continuazione»
ANDREA SCANZI
La Pravda secondo Lucarelli è un open space rettangolare con dieci computer e nove assunti, al primo piano di un palazzone in marmo rosa che dà sulla centrale e non memorabile Piazza Attias. L’arredamento è bianco moderno, accanto alla stampante c’è un vassoio con due «Luisone», le paste avanzate di benniana memoria. Alle pareti due manifesti pubblicitari. Uno ritrae una donna incinta: «Nasce il tuo quotidiano di fiducia». L’altro, pressoché identico, vede protagonista un labrador chocolate: «Il tuo amico di fiducia: dal 9 settembre in edicola».
La sede
E’ qui che, da quattro giorni, si elaborano le quaranta pagine a colori del Corriere di Livorno, «quotidiano indipendente nato nel 2007», il cui presidente del consiglio di amministrazione è il calciatore Cristiano Lucarelli. «Il grafico è esordiente, fresco dell’università a Edimburgo», racconta il direttore Emiliano Liuzzi, «gli altri hanno esperienze giornalistiche: chi viene dall’Ansa, chi dal Telegrafo, chi da TeleGranducato. Ho imposto che non ci fossero giornalisti in prova, solo assunti». Lodevole intento, anche se gli orari sono da gulag. «Entriamo in redazione alle 9 e usciamo alle 2 di notte. Ieri abbiamo chiuso il giornale all’una, poi ci sono stati problemi in tipografia. Un disastro. Per ora siamo appassionati ma sgangherati, tra un mese potremo fare un bilancio».
Diecimila copie vendute all’esordio, cinquemila al secondo, tremila il terzo. Non una progressione memorabile. «L’obiettivo sono 3500 copie di media. E il primo giorno ne abbiamo tolte 4mila al Tirreno». Cifra che non conferma Luigi Casini, caposervizio del Tirreno, che da più di cent’anni ha il monopolio dell’informazione livornese. «Domenica ci hanno tolto sì e no 400 copie, ma non voglio fare polemica. Liuzzi è cresciuto con me, ha fatto per anni il cronista di giudiziaria al Tirreno, gli rinnovo i miei auguri. Non abbiamo paura del loro giornale, la concorrenza ci stimola. E poi mica è la prima volta: negli Anni Sessanta ci ha provato il Paese Sera e quindici anni fa La Nazione sotto le mentite spoglie de Il Telegrafo, un nostro vecchio marchio». Come andò? «Chiusero dopo pochi mesi. E avevano molti più soldi del Corriere di Livorno».
Il presidente
Il presidente, cioè Lucarelli, telefona dalle due alle quattro volte al giorno. Vuole sapere tutto. Una sua chiamata arriva alle quattro, ci rimane male quando gli dicono che il secondo giorno le copie vendute erano 5mila e non 6500. Poi chiede qual è il servizio di punta del giorno. Liuzzi risponde con entusiasmo: «La prostituta della porta accanto. Abbiamo mandato un inviato in una zona di condomini a luci rosse, dicendogli di fingersi cliente dopo aver letto gli annunci delle squillo sui giornali. L’idea è di intervistare vicini di casa, amministratori». Neanche a farlo apposta, in quel preciso istante rientra in redazione l’inviato. A mani vuote. «Non parla nessuno, si vergognano tutti». «Riprovaci», lo rincuora Liuzzi. Lucarelli, dall’altra parte della cornetta, ascolta in silenzio.
Chi ve lo ha fatto fare? «La passione. Lucarelli si è sentito abbandonato dalla città, e per reazione ha deciso di contribuire a qualcosa che faccia storia a Livorno. E’ un calciatore atipico: altri avrebbero aperto un ristorante, lui ha fondato un giornale. Le uniche città italiane con un solo quotidiano locale erano Bolzano, Trieste e Livorno. Rimini ne ha perfino quattro. Abbiamo colmato un vuoto».
Frenesia
La vita in redazione è frenetica: non è facile fare 7-10 articoli al giorno cadauno. Il cronista sportivo, dopo una telefonata, esala: «Ho scoperto quanti soldi prendeva Coco dal Livorno» (20mila, gli altri li pagava l’Inter). Un altro commenta sconsolato: «Ulivieri non vuole rilasciare dichiarazioni sulla Gea». Il giornale, di buona fattura, è un mix di cronaca, gossip e sport. Ammicchi rosa («Prima la truffa e poi tenta di sposarla»), attacchi alla giustizia sportiva («Dopo Calciopoli le punizioni esemplari non sono mai arrivate»), quindi la metamorfosi di tale Serena Bilanceri, che prima faceva gli spot per il cacciucco e oggi dipinge quadri con il nome di Anères.
«Siamo apolitici», garantisce Liuzzi. «Vogliamo essere oggettivi. Certo, se domani si discutesse dell’introduzione della pena di morte a Livorno, urlerei che sono contrario, ma è un caso limite. Penso alle inchieste sugli ultrà: non basta intervistare il sociologo di turno e fargli dire le solite sciocchezze, bisogna sentire anche i ragazzi, ascoltare entrambe le parti». Difficile da credere, però, che un giornale livornese, città più rossa d’Italia, presieduto da Lucarelli, calciatore più guevarista d’Italia, non sia schierato. «Non abbiamo nessun biglietto di auguri da politici e istituzioni. Un po’ è segno della nostra libertà, un po’ è la dimostrazione che Livorno è una città grezza e maleducata». A leggere il giornale, l’orientamento sembra però evidente. Un editoriale in prima pagina contro la guerra in Iraq, un fondino sapido sulle critiche del Polo al nuovo Cda Rai e una riflessione sconsolata sulla nascita del Partito Democratico, che a Livorno mette l’allegria di un requiem.
La vita nella Pravda lucarelliana prosegue nevroticamente. Liuzzi dispensa carota e bastone. Il redattore più anziano (l’unico sopra i 40 anni) gioisce: «La pagina 9 è fatta». Un altro gli fa eco: «Guai a chi consegna dopo le 23». L’orologio circolare appeso alla parete scorre implacabile. L’inviato principe, quello mandato in avanscoperta nei quartieri a luci rosse, non è ancora rientrato.
fonte: http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200709articoli/25654girata.asp
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