The International Jew (L’ebreo internazionale) di Henry Ford non si colloca nell’area dell’antigiudaismo tradizionale, di ispirazione religiosa, ma rappresenta qualcosa di radicalmente diverso. Nei suoi quattro volumi sono raccolti gli articoli che l’industriale americano ha pubblicato sul suo giornale, The Deabord Independent. In uno di questi scritti, una frase sulla salutare “reazione della Germania contro l’Ebreo” dà un’idea molto chiara di questo nuovo antisemitismo che ha pretese scientifiche, e si serve di un linguaggio infarcito di metafore prese a prestito dalla medicina. Ford tira in ballo una questione di “igiene politica”, in quanto la “principale fonte della malattia del corpo nazionale tedesco” sarebbe l’influenza degli ebrei.
In vari altri passaggi, questi ultimi sono descritti come “un germe”, per cui si renderebbe necessaria “una pulizia” (cleaning out). Come è noto, Adolf Hiler ed i suoi collaboratori hanno poi ripreso letteralmente alla lettera questa terminologia pseudosanitaria. Gli ebrei non sono più definiti in termini di religione, bensì di “razza”. “Una razza che ha resistito a tutti gli sforzi compiuti per il suo sterminio”.
Anche se Henry Ford non arriva a proporre di riprendere questi sforzi, la sua formulazione è quanto meno curiosa. E per contrasto cita la razza “anglosassone”, “ariana”, “bianca europea” o “anglosassone-celtica”, che nel suo sangue porta la civiltà ed ha attraversato l’Oceano per fondare l’America: “Sono il popolo dominante (the Ruling People) che nel corso dei secoli è stato scelto per regnare sul mondo” Quello che si deve fare è dunque suscitare nei giovani “l’orgoglio della razza”.
Henry Ford si ispira al Protocollo dei Saggi di Sion, a suo parere “troppo terribilmente vero per essere una fiction, troppo profondo nella conoscenza degli ingranaggi segreti della vita per essere un falso”, citato e commentato a iosa come prova ultima e irrefutabile della cospirazione ebraica per impossessarsi del potere su scala mondiale.
Ma Ford, lungi dal limitarsi a copiare a copiare quel testo, si sforza di aggiornare le sue argomentazioni ed applicarle all’analisi di una serie di eventi contemporanei, tra cui in particolare le rivoluzioni in Europa. La Germania è citata spesso – forse per l’influenza del suo segretario Ernest Liebold – come un paese dominato da una consorteria di ebrei, anche se “non vi è al mondo nulla di più contrastante con la pura razza semita della pura razza germanica”.
In quest’ottica, la rivoluzione bolscevica va vista solo come “la copertura esterna di un assalto da tempo pianificato per stabilire il dominio di una razza”. In altri termini, i soviet non sarebbero altro che un travestimento dell’istituzione ebraica del kahal (comunità autogestita); e tutti i dirigenti rossi – a incominciare ovviamente da Leon Trotzky (“Braunstein” sic) sarebbero ebrei. Indubbiamente, sempre secondo Ford, i comunisti lo negano, quanto meno nel caso di Lenin; ma “i suoi figli parlano yiddish”, e avrebbe inoltre “imposto per decreto lo shabbat al posto della domenica cristiana”. Tuttavia, prosegue l’autore, presto o tardi la Russia autentica si sveglierà e “la sua vendetta sarà terribile”. La forma che questa vendetta potrebbe assumere è suggerita in una lettera citata nel quarto volume del libro: “Immaginiamo che non vi siano più semiti in Europa. Sarebbe davvero una gran tragedia? Nient’affatto! (…) Un giorno raccoglieranno ciò che hanno seminato”.
Uno dei leitmotiv del libro, poi abbondantemente ripreso dal nazismo, è la complicità tra il giudeo-bolscevismo ed i finanzieri e capitalisti ebrei, in una cospirazione volta ad imporre al pianeta un governo ebraico mondiale. Ad esempio, il governo sovietico avrebbe ricevuto denaro dai finanzieri ebrei d’Europa e d’America; i quali ultimi avrebbero foraggiato anche i movimenti sociali nei paesi occidentali, in Inghilterra ed in America. Certo, non si tratta di argomenti inventati da Henry Ford e dai suoi scribi; ma il suo libro raccoglie in una sintesi imponente i discorsi antisemiti che all’inizio degli anni 1920 circolavano un po’ dovunque.
Tre volumi su quattro sono dedicati al ruolo degli ebrei negli Stati Uniti. In alcune sue pagine, l’industriale li addita come promotori ed organizzatori dell’alcolismo, della tratta delle bianche, della corruzione nella finanza, nello sport e nella politica ecc. Secondo Ford, l’immigrazione massiccia degli ebrei dall’Europa orientale non avrebbe nulla a che vedere con le “sedicenti persecuzioni”. I “cosiddetti pogrom” non sarebbero altro che propaganda. Si tratterebbe invece di una vera e propria “invasione”: l’ebraismo internazionale sarebbe in grado di spostare un milione di persone dalla Polonia in America “come un generale sposta il suo esercito”.
Curiosamente, lo sdegno morale dell’autore è suscitato soprattutto – al di là del ruolo sovversivo dei sindacati di New York e degli Iww, tutti manipolati dalla “giudaizzazione” del teatro e del cinema in America. Sono stati gli ebrei – sostiene – a introdurre nell’arte scnica statunitense “una sensualità orientale” sporca e indecente, ed a instillarle “un insidioso veleno morale”. Come se non bastasse, l’autore (che sembra non tenere in alcun conto i musicisti neri) addita gli ebrei come responsabili dell’invenzione del jazz, una musica che secondo lui ha “qualcosa di satanico”. “Con diabolica astuzia”, la sua sensualità ed il suo svergognato erotismo susciterebbero “un’atmosfera immonda”, corrompendo la gioventù americana. Sarebbe dunque il semplice buon senso ad esigere “una ripulitura alle fonti della malattia”. In questo discorso che fonde insieme puritanesimo e razzismo, l’unico residuo della tradizionale religiosità protestante è l’ossessione sessuofobia.
Michael Lowy – Le Monde diplomatique il manifesto – 2007-04-17
(traduzione di E. H.)
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Le tristi fucine di Ippocrate
Razzismo nazista e bioingegneria medica: due sperimentazioni unite nel nome dell'eugenetica?
Ancora durante la Guerra del Golfo il governo degli States autorizzò l'uso di vaccini sulle truppe senza il loro consenso
Il 19 agosto 1947 un tribunale militare americano condannava a Norimberga ventitré alti funzionari medici del partito nazista, che avevano ricoperto ruoli ufficiali nella progettazione ed organizzazione del massacro di milioni di persone colpevoli d'essere ebrei o zingari o malati di mente. Gli imputati erano: il medico personale di Hitler e di Himmler, diversi generali, alcuni dirigenti del servizio sanitario nazionale nonché un gruppo d'ufficiali superiori, tutti medici, appartenenti alle Ss. Con l'etichetta di "esistenza spazzatura, gusci umani, creature (quale eufemismo) prive di valore, idioti incurabili che non possono dare un chiaro consenso all'eutanasia, materiale sperimentale, cani, insetti, parassiti, mangiatori ad ufo" tra il 1933 ed il 1939 migliaia d'individui (schizofrenici, malati di mente, epilettici, alcoolisti cronici, maniacodepressi, ciechi, sordi e deformi) furono sottoposti a sterilizzazione coatta in nome di una eugenetica razziale.
Raffaella De Franco, autrice del libro In nome di Ippocrate (Franco Angeli Pagine 240. Euro 20,66) ripercorre la storia di quello che è stato definito "l'olocausto medico" con l'intento di richiamare ricercatori e sperimentatori alla responsabilità morale del loro pensare ed agire. Già nel 1895, ricorda infatti, iniziava ad affermarsi in Germania il concetto d'igiene razziale che andò sviluppando sempre più il principio di salvaguardia della razza ariana, minacciata dalle "impurità" genetiche di chi non vi apparteneva. Sconcertante e ancor più inquietante il fatto che questi concetti fossero stati ripresi una ventina d'anni dopo in America allorché fu varata una campagna di sterilizzazione coatta dei malati di mente: quasi un pendolarismo pseudo-scientifico tra Europa ed America, giustificato da motivazioni socio-economiche (immigrazione incontrollata d'individui "tarati", costi economici per il mantenimento di soggetti improduttivi) o eugenetiche (purezza della razza) o politiche (di opportunità).
Tra il 1933 ed il 1939 furono eseguite in Germania circa 400.000 sterilizzazioni coatte sulla base d'una legge che rispecchiava fedelmente il modello della bozza americana del 1922, convertita nel documento federale del 1924. Per questo la Germania fu debitrice degli Stati Uniti non solo delle tecniche d'esecuzione ma anche della base legale che ne garantiva l'esecuzione senza rischi penali per la classe medica.
Alexis Carrel, premio Nobel per la medicina, nel suo libro Un uomo, questo sconosciuto dichiarava esplicitamente che "criminali e malati di mente devono essere umanamente ed economicamente eliminati in piccoli istituti per l'eutanasia, forniti di gas adatti. L'eugenetica è indispensabile per perpetuare la forza. Una grande razza deve propagare i suoi migliori elementi; le donne si deteriorano volontariamente attraverso alcool e tabacco. D'altro canto rifiutano d'avere figli grazie alla loro educazione, al progredire del femminismo, alla crescita d'una miope autoaffermazione. L'eugenetica può esercitare una grande influenza sul destino delle razze civilizzate; l'espandersi di pazzi e deboli di mente deve essere prevenuta perché è peggiore di qualsiasi fattore criminale. L'eugenetica chiede il sacrificio di molti singoli esseri umani".
Così nacquero e furono sottoscritte le norme che portarono in seguito al massacro di milioni d'innocenti, sui quali vennero eseguite sperimentazioni non terapeutiche, selvagge, assassine: le cavie umane non erano in grado di sopravvivere alla forzatura esercitata oltre ogni limite della resistenza umana nei confronti d'un organismo umano.
Furono ricerche in parte stupide ed inutili, in parte legate alla necessità di "provare" la resistenza psicofisica d'uomini sottoposti a condizioni "estreme" paragonabili, sia pure in forma ridotta, a quelle dei combattenti sui vari fronti di guerra aperti dal Terzo Reich, in parte legate ad una forma di sadismo personale, tutte infarcite comunque di un'etica a dir poco distorta e giustificate da una morale spregiudicata ad usum delphini.
Ma come si comportò il mondo scientifico nei confronti delle pubblicazioni mediche naziste? Ignorandone a lungo la componente criminosa (volutamente o involontariamente) le accettò come contributo al progresso delle scienze, sicché molte di esse, frutto di questi esperimenti, sono entrate nella bibliografia scientifica internazionale, quasi tutte prive dei dati relativi alla provenienza dei soggetti (Dachau, Buchenwald, Ravensbruck, Auschwitz, Herborn ed altri lager). Come si può ben comprendere non sono i dati ad essere contestati ma l'assenza della consapevolezza morale e storica della loro provenienza e a questo proposito ci consola il fatto che l'editore del prestigioso New England Journal of Medicine nel 1989 vietò la pubblicazione degli esperimenti sull'ipotermia fatti eseguire da Sigmund Rascher, per immoralità della fonte scientifica.
Ma di converso nel dicembre 1990 il governo degli Stati Uniti d'America autorizzava la sperimentazione di vaccini sulle truppe, impegnate nella guerra del Golfo, senza alcun consenso preventivo dei militari coinvolti!
Qui la De Franco ci ricorda che l'intima associazione tra scienze biomediche e nazismo "salì sul carrozzone nazista prima dell'avvento del Terzo Reich, vi viaggiò comodamente per tutta la durata del regime (più di 38.000 medici, quasi la metà del totale, tra il 1933 ed il 1945 risultavano iscritti al partito nazista, il 7% nella veste di membri delle Ss) e quando esso crollò ebbe pochi ripensamenti o dubbi, espressi pubblicamente, sul proprio ruolo di passeggero. Quando furono chiamati a rendere conto delle loro azioni, i medici nazisti si presentarono come portatori di valori morali e vittime della tensione conflittuale tra il bene di pochi ed il bene dell'umanità e, appellandosi a questi concetti, furono irremovibili sulle ragioni della loro condotta".
Secondo una tesi della difesa al processo di Norimberga i ventitré medici processati "non avevano commesso alcun illecito morale perché i soggetti degli esperimenti erano volontari (sic), che avrebbero potuto essere liberati se fossero sopravvissuti". Niente di più falso! Evidentemente a Norimberga vi fu un convitato di pietra: la nuova metodologia medica sperimentale.
Avvenire-9 MARZO 2002
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