"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

giovedì 19 aprile 2007

LA LIBERTA' DI INFORMAZIONE ASSASSINATA











L'assassino di Brad Will, un istante prima che sparasse







Maurizio Chierici: MORIRE D'INCHIESTA

Chi fa questo mestiere in questi giorni si rende conto d’essere cresciuto nell’illusione che il mettere le mani sotto la realtà, evitando di diventare imbianchino del potere, resta un lavoro scomodo. Le inchieste non piacciono. Gli approfondimenti danno fastidio. Meglio le chiacchiere del talk show. Dividono il pubblico in due tifoserie.

Curva Tremonti, curva Mastella.

Ognuno dice la sua e chi legge o ascolta ne sa come prima, ma lo spettacolo è salvo. L’apparenza è quella di un mondo trasparente. Vita elettronica in diretta, ma per chi? Per chi non sfoglia le pagine dove si nasconde la vergogna dei segreti di stato e dei segreti privati, preferendo galleggiare tra l’amicizia dei padroni dell’informazione e i brontolii della sinistra. Senza scavare troppo. Piacevole giornalismo di superficie. Durante il fascismo gli elzeviri illanguidivano nei tramonti tropicali o attraversano le steppe su slitte tirate dai cani volonterosi. E i lettori rabbrividivano di piacere sotto l’ala del regime. Viaggi esotici di viaggiatori che sembrano fuori tempo ma ecco che ritorna il parlare dell’inutile per nascondere i drammi della porta accanto. Si prova a far crescere i nuovi lettori nel limbo degli anni neri. Gli anni sessanta avevano cambiato il modo fascista di rappresentare la realtà, ma erano gli anni sessanta con protagonisti che nell’età matura hanno poi messo la testa a posto.

Se la curiosità diventa ”maleducata “ la vita del giornalista cambia, oggi come ieri. E la possibilità di guardare, e liberamente riferire, svanisce dopo i buoni consigli. Si può arrivare fino a un certo punto, ma se non ti fermi diventa imbarazzante. Si scatenano le proteste dei Cicchitto’s boys. La gente non ne può più di vecchie storie come la P2 o del conflitto d’interessi. I ragazzi non capiscono, padri e madri hanno altri pensieri. Basta con le manfrine avvelenate. Il passato è passato. La memoria infastidisce. Parliamo del futuro. Torna nel nostro mondo. Alla tua età dovresti sapere come vanno le cose. Per il giornalista che non vuol sapere, comincia la stagione dei silenzi, punizione tutto sommato veniale (malgrado rabbie e frustrazioni) se paragonata al dolore che travolge i testimoni nelle democrazie imperfette.

Anna Politovskaya è stata uccisa perché raccontava cosa fanno in Cecenia i soldati di Putin: torture, massacri, delitti eccellenti. Chi scopre certe verità non può raccontarle. E’ successo al fotografo di Radio Radicale: ucciso perché sulla traccia di un segreto che imbarazzava il presidente di Mosca. In un certo senso nessuna novità: abitudini di ogni esercito di occupazione dall’Iraq alla Somalia dei bombardamenti americani. Anche perché cosa serve parlare dei morti senza nome? Carne sconosciuta.

Quando nella scuola di Beslan i terroristi ceceni prendono in ostaggio centinaia di ragazzi, la Politkòskaya sospetta una strage di stato da esibire all’indignazione dell’Europa. Noi dei paesi civili ci torciamo le mani. Non sappiamo che pesci pigliare, divisi tra la tentazione di ripetere le parole che ricordano la shoah e la convenienza del voltare la testa pensando al gas russo che scalda i nostri inverni. Due anni fa Anna lascia Mosca per capire cosa succede nella scuola-ostaggio: i servizi di Putin si impegnano a non farla curiosare. Un’aranciata l’addormenta in aereo. Si sveglia all’ospedale dopo che le truppe speciali hanno perfezionato il piccolo olocausto. Anna continua a cercare come fa ogni cronista che scopre una parte della verità e vuol capire il resto. Ascolta in Tv il discorso di Putin a Pratica del Mare dove Berlusconi aggredisce una giornalista straniera: pretendeva dall’ospite tanto amato, informazioni sulla libertà di voto dei ceceni costretti a confermare il potere dell’uomo di Mosca fra guardie armate e segretezza zero. Anna si sfoga con André Glucksmann, nuovo filosofo invecchiato a Parigi: ”la disgrazia dei ceceni siete voi occidentali. Italia, Francia e Germania non vogliono vedere cosa sta succedendo”. E per darle ragione, quando smette di fare il cancelliere, Schroederer diventa impiegato del Gaz –Prom; Chirac appende al petto di Putin la medaglia più lucida della repubblica, e Berlusconi chiede asilo politico al Cremino per “respirare una sana amicizia” nelle ore cruciali della rielezione di Bush: aspetta accanto al padrone di casa i risultati di Washington per brindare alla vittoria. Alla fine Anna Politkòvskaya viene sepolta dal comunicato del suo governo: due righe di gelida burocrazia. “La legge ci obbliga ad aprire l’inchiesta necessaria a chiarire la tragica fine della giornalista”. L’ultimo libro si intitola “Proibito parlare e la sua morte fa capire perché. In Italia é un Oscar Mondadori. Berlusconi giura di non essere ormai padrone di case editrici e Mediaset, ma gli affari restano affari e per quel poco che conta nelle aziende dei figli, usa l’idealismo della testimone assassinata per arrotondare i bilanci. Chissà se ha telefonato a Mosca per scusarsi.

L’indignazione del primo ministro turco Erdogan, dopo l’uccisione del giornalista Hrandt Dink, risente della furbizia mediterranea: ne è desolato, si dispiace, lo trova orribile. Ma non trova orribile mantenere la legge che proibisce di parlare e scrivere sulle strage degli armeni, novant’anni dopo. Montagne di corpi abbandonati come manichini in discariche che si perdono all’orizzonte. Auschwitz, Cambogia di Pol Pot. Impresa dei giovani turchi alla vigilia della prima guerra mondiale. Un milione e mezzo di morti. “Non più di 200 mila” si innervosisce la storiografia segreta di Istanbul. Segreta perché nessuno deve sapere. Chi osa discuterne finisce in tribunale: traditore della patria e scrittori e giornalisti diventano bersagli a disposizione del fanatismo. In Francia succede il contrario: si condanna chi nega l’olocausto armeno. Ecco perché il cammino verso l’Europa del presidente Erdogan deve riconoscere il passato e non mettere sotto processo cronisti coraggiosi e lo scrittore Pamuk, premio Nobel non disposto a nascondere la vergogna. Non bastano le lacrime di coccodrillo.

La leggenda che i giornalisti rischiano solo quando raccontando le guerre, nasconde verità inquietanti. E’ quasi più pericoloso far sapere cosa succede dietro i paraventi dell’economia e della politica dei paesi formalmente perbene. L’esempio dell’America Latina lo conferma. L’ultima guerra risale a 150 anni fa ma raccontare cosa succede non è facile. Giornalisti rapiti, uccisi, svaniti o “giustiziati” davanti alle telecamere. Muoiono come in nessun continente.

In quindici anni le vittime diventano 212 con l’assassinio di Brad Will, fotografo di Indy Media caduto ad Oaxaca, Messico, ottobre 2006, mentre testimoniava la tensione tra il governo locale e maestri e contadini da mesi in rivolta per le aule che non ci sono, mancano libri e banchi, e chi insegna guadagna meno di un bracciante precario. La procuratrice di Oaxaca, Lizabet Cana, lo definisce un omicidio premeditato. Brad Will è stato caricato su un’auto da uomini in borghese ma con scarponi da poliziotto. Il suo corpo presentava segni di violenza: al torace, alla schiena “come se l’avessero stordito prima di assassinarlo”. Cadono altri tre cronisti nelle settimane di novembre. Joé Miguel Nava Sanchez, direttore dell’“Excelsior”, quotidiano storico della capitale: viene pugnalato dopo aver presentato il libro dove racconta in quale modo il giornale è stato comperato dal magnate di Los Angeles Oleario Vàzquez Runa, vicino all’ambasciatore Usa in Messico, compagno di scuola e amico fraterno del presidente Bush. A Santa Cruz, stato petrolifero, Roberto Marco Garcia della rivista “Testimonio” (sinistra vicina a Lopez Obrador) é fulminato con quattro colpi di pistola appena registrata l’intervista con un comandante della polizia. E a Zilhuatamajo, Guerrero, muore nella camera di un albergo per turisti, Misael Hernàndez, direttore del quotidiano “El Despertar”.

Siamo sempre la lunga vigilia delle elezioni presidenziali. Per caso tutte le vittime scrivono in favore del candidato della sinistra Lopez Obrador. Diventano 216 gli operatori dell’informazione assassinati. Ultima vittima a Caracas. Si chiamava José Tovar direttore di “Ahora” quotidiano vicino al governo Chavez. “La posizione del cadavere fa capire che non si tratta di omicidio per rapina, ma opera di professionisti bene addestrati. L’arma usata è una pistola militare”. Il linguaggio impassibile della burocrazia fa capire da che parte venivano i colpi.

In Italia siamo diversi. Sparano solo mafia e camorra. Ma non si contano le siberie alle quali tanti giornalisti sono costretti quando fanno un passo in più dei passi permessi. Resiste, per fortuna, la professionalità di chi è disposto a cercare per giornali e spazi Tv che ritengono l’informazione strumento indispensabile alla democrazia. Negli ultimi mesi Repubblica e l’Espresso hanno fatto sapere come vengono trattati gli emigranti salvati dal mare, i malati nei letti d’ospedale e con quale segretezza la giustizia conserva i segreti dei processi.

Altri giornalisti e altri giornali importanti insistono nell’esplorare la realtà, ma la maggioranza si adegua al rispetto. Soprattutto nelle province dove economia ed editoria oscurano i problemi per proteggere gli interessi degli impresari–editori che regnano su giornalisti costretti all’obbedienza o all’emigrazione. La democrazia imperfetta falsa il profilo di piccole e grandi città. Non succede mai niente mentre i palazzi crescono e gli appalti restano misteriosi. I ragazzi si affacciano alla vita senza sapere; soprattutto impediti a capire. Nessuno spara, per il momento, ma come a Istanbul o nella Mosca di Putin, la verità resta un optional insopportabile, proprio come erano insopportabili Mani Pulite. Si dice che il silenzio tranquillizza l’economia ma nascondere la storia che accompagna i nostri giorni aiuta la fioritura delle Betulle, varietà botanica dei giornalisti cash. Così cari e così amati: mai problemi nello sbarcare il lunario.

Fanno capire ai battaglioni di cronisti precari che il modo per sopravvivere è a portata di mano: cerca, ma non scrivere e telefona a chi di dovere.

Maurizio Chierici | altre lettere di Maurizio Chierici

mchierici2@libero.it

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in memoria dell'amico Enzo Baldoni

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