"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

giovedì 26 aprile 2007

Sulle orme della memoria: la Ritirata di Russia



















Ho conosciuto Lingua Battista in un centro riabilitativo del cuneese, dove è stato ospite per breve tempo. Persona estremamente amabile e dal carattere buono, mi aveva colpito per il suo sereno ottimismo e la profonda fiducia nel proprio futuro. Non rassegnazione, non fatalismo, ma una limpida visione priva di qualsiasi amaro rimpianto. Un giorno mi disse, sorridendo e in tono pacato: "L'hai ancura vint'an 'd bun..", ho ancora vent'anni di buono, parlando di se e del suo futuro dopo il periodo riabilitativo. E l'ha detto un uomo di 88 anni!
...
Questo è il racconto di un orrore a cui pochi sono sopravissuti, che il Lingua ha ricostruito pescando fedelmente nella memoria che solo i vecchi possono avere.. dettato in dialetto piemontese e quindi tradotto in italiano senza rimaneggiamenti. Colpisce la descrizione quasi asciutta di una cronaca allucinante, che a tratti ha la tavolozza di un grande film epocale. Solo che questa non è finzione ma tragica realtà.
mauro


......................

TESTIMONIANZA DELLA RITIRATA DI RUSSIA


Sono partito militare nel 1936 a settembre, ho fatto sei mesi permanente a Casale Monferrato, artiglieria pesante campale, tornai a casa per malattia di mio papà.
Sono stato richiamato nel 1939 per la guerra con la Francia, ad Acqui, sempre nell'artiglieria pesante campale, dove sono rimasto fino al 1940 quando dovevo partire per l'Africa ma non sono partito per un cambio di persona rimanendo su queste montagne (colle della Lombarda).
Nel 1941 sono stato a Demonte.
Appena tornato ad Acqui nel 1942 è arrivato l'ordine di andare in Russia con un permesso di 48 ore per salutare i miei cari, che io però non ho sfruttato per non far piangere troppo i miei genitori.
Nel mese di luglio ci fu la partenza per la Russia, ci dicevano che doveva essere una passeggiata e si poteva partire felici e contenti.

Partito col treno da Acqui via Brennero, con qualche problema già in Polonia dove la situazione era confusa, la stazione di Varsavia era completamente distrutta, per due volte il treno deragliò ma senza conseguenze.
Dopo 18 giorni di viaggio arrivammo a destinazione, una cittadina russa prima del Donetz, con i camion ci hanno trasportati a Moncovo dove abbiamo trovato gli alpini fra i quali c'erano mio zio Cot, Tomatis di Viore, Costanzo Rosso (fratello di Giulia) e altri di Montanera.
In un giorno di vento, riparati contro un muro abbiamo mangiato assieme, quel giorno mi fu dato del brodo e come secondo sette caramelle che ho diviso con loro.
Rimasi in quel luogo fino al mese di settembre.
Siamo poi partiti per la zona di Bocuciar in attesa del cambio dell'artiglieria tedesca in zona di operazione.
La situazione era calma pur sentendo ogni tanto degli spari in lontananza, sentivamo il nemico in agguato e uno strano andirivieni di aeroplani russi che puntavano a colpire i campanili che fungevano da osservatorio, una bomba ha colpito la prima batteria causando un morto, il primo che ho visto.
Nel mese di ottobre entrammo in zona di guerra, accampati dentro un bosco preparavamo i rifugi e i camminamenti sotto terra per l'inverno.
Siamo così arrivati a novembre con il lavori a metà.
Il mio servizio era aggiustare le linee telefoniche che ci collegavano con l'osservatorio.
La temperatura iniziava ad abbassarsi ed il freddo cominciava a farsi sentire, facevamo rifornimento di patate trovate nei campi circostanti ma alcune erano già gelate.
Dopo qualche giorno che ero in linea andavo volentieri all'osservatorio (distante quattro o cinque chilometri) dove c'era Magliano, il fratello di Marianna Giubergia, e dove si avevano notizie più precise del fronte e c'era anche qualche cosa da mangiare.
Eravamo vestiti sempre allo stesso modo e la guerra che doveva essere lampo sicuramente sarebbe durata un pò di più.
Mentre riparavamo le linee davanti all'osservatorio eravamo bersaglio delle mitragliatrici nemiche, quindi sempre pronti a buttarci a terra nel tentativo di ripararci.
Aiutavamo a spostare i pezzi per poter centrare ed abbattere un campanile nemico che fungeva da osservatorio.
Avevamo tirato sù un bel rifugio per quattordici soldati, ho costruito una stufa con materiale di fortuna, i tubi della stufa li ho fatti con le scatole della carne, l'avevo perfino abbellito con un perlinaggio (avrei dovuto abbellire anche il rifugio dei comandanti e per Natale era in programma perfino una fotografia).
In questo rifugio di sera recitavamo il Rosario guidato da Sapetti (il padre di Costanzo Bergesio) la partecipazione era molto grande, Gesù Cristo era nei nostri cuori anche in quei momenti.


Continuai i soliti lavori fino a metà dicembre quando dall'osservatorio si vedeva un grande movimento di carri armati russi, era impressionante.
La sera del 16 dicembre arrivò l'ordine del comando tedesco di ritirarci.
Il mattino del 17 abbiamo recuperato il materiale delle linee telefoniche arrivando all'accampamento a mezzogiorno.
Un rancio ridotto e veloce poi l'ordine di ritirare la linea tra il gruppo che era a Bocuciar ed il nostro accampamento distante tre chilometri.
Siamo partiti la sera alle cinque per recuperare quello che si poteva, dovevamo trovarci oltre il ponte di Bocuciar verso le undici, dove c'era un gran movimento di tedeschi in ritirata che ci sbarravano la strada.
Senza mangiare, con il freddo intenso, affaticato mi sedetti su una slitta trainata da cavalli, riuscendo ad attraversare il ponte verso le quattro di mattina del 18 dicembre.


A questo punto feci lo sbaglio di restare troppo fermo, avendo le scarpe piene di neve ebbi i piedi congelati.
Dopo il ponte c'erano delle case e ci siamo rifugiati un pò.
Togliendomi le scarpe a fatica mi trovai i piedi duri come ghiaccio con le calze attaccate.
Due donne russe uscirono a prendere un pò di neve in un catino, non lasciandomi avvicinare al calore mi fecero stare per un pò con i piedi coperti di neve, mi massaggiarono gli arti ancora insensibili, poi un male tremendo.
In quel momento presi l'immagine della Madonna (che mi aveva dato don Barale prima di partire) e la baciai.
Una delle donne me la tolse di mano e disse "Madonna italiaska", non me la riconsegnò più.
Anche un giovane siciliano aveva i piedi congelati, però si avvicinò alla stufa, gridava dal male e non so più che fine abbia fatto.
Dopo un'ora i piedi scongelati erano coperti di bolle d'acqua, forandole restava la carne viva, riuscii lo stesso a mettermi le calze e le scarpe che per fortuna erano un pò grandi.
Uscii per raggiungere la mia batteria e prendermi lo zaino, i primi passi li feci con un male indescrivibile.
Trovai il mio gruppo che partiva già per la ritirata a piedi.

Non potendo camminare come volevo mi aggrappai alla bocca di fuoco di un cannone e mi feci trascinare a tratti cercando di muovere i piedi per paura di un nuovo congelamento.
La sera non si trovava la via d'uscita, qualcuno passò ma si tentava di salvare il materiale attraverso un'altra strada.
Nella notte ci fu una fermata in aperta campagna, io e Giraudo di San Pietro del Gallo abbiamo raccolto dell'erba secca, mettendo una coperta sotto e l'altra sopra ci siamo rannicchiati scaldandoci i piedi a vicenda per riposare fino all'alba.
Il mattino del 19 dicembre ci fu una tremenda ritirata della fanteria rincorsa dai russi, si sentivano grida e un gran fracasso, il colonnello ordinò di puntare i pezzi e sparare ad altezza uomo riuscendo a fermare per un pò i russi.
Dopo un'ora siamo scappati anche noi per non restare prigionieri, abbiamo abbandonato i cannoni e dei camion senza carburante.
Camminammo fino al mattino del 20 quando vicino ad un capannone trovai un pò di pane e delle gallette in un camion abbandonato, era da due giorni che non mangiavo, per bere succhiavo un pò di neve.
Intanto arrivarono tre carri armati russi che tentarono di farci prigionieri, trovammo un pezzo anticarro e facemmo fuoco centrandone uno e mettendo in fuga gli altri due, mentre il capitano salì sulla macchina in piedi col cannocchiale, fu circondato dai mezzi russi e non fece più ritorno.
Siamo partiti verso sera ed io non ce la facevo più per i piedi, trovai ancora posto su un camion ma feci pochi chilometri che finì il carburante.
Il 21 all'alba arrivarono altre due colonne di sbandati, una da destra e l'altra da sinistra e formarono un'unica grande colonna, mentre i russi ci hanno individuati sparando con i mortai facendo un gran subbuglio e diverse vittime.

Quei pochi camion rimasti avevano tanti soldati aggrappati alle centine per tentare di salvarsi, ne ho visti due passare a pochi centimetri schiacciando quei poveri disperati, anche così si moriva in Russia.
Ho visto un camion rovesciato che aveva perso una botte di vino e un sacco di zucchero, c'era la lotta per racimolare qualcosa, la botte perdeva vino dal buco di uno sparo da dove si poteva bere un pò.
Ad un certo punto la grande colonna si divideva in due e mi trovai solo più con Magliano, gli altri li avevo persi.
Guardando quelle colonne non si sapeva dove andare, seguimmo la colonna dove c'erano dei tedeschi ma era un terno al lotto, poteva voler dire la salvezza o la fine.
In questo punto diversi miei compagni di batteria corsero verso un gruppo di soldati che credevano italiani, ma erano russi, non ho avuto più notizie di loro.
Camminando verso notte i tedeschi lanciarono i razzi per illuminare e capire la situazione, trovandosi davanti tantissimi russi schierati ad aspettare il nostro passaggio, lanciarono subito il razzo rosso che significava grave pericolo.
Entrando in un piccolo paese si formò un fronte di difesa, io ho visto una trebbiatrice, tentai di nascondermi ma era piena di russi, per mia fortuna non spararono.
Ci fu un grande scontro che portò ad un arretramento dei russi.
All'alba del 22 cominciarono i colpi dei mortai e katiuscia, si calcolò che fossero 6 katiuscia e 20 mortai che ci bersagliarono.
Ci furono tanti morti e feriti, ho visto un colpo di mortaio colpire una slitta carica di soldati, saltarono in aria come schegge.
La sera io riuscii a mettermi vicino ad una casa in fiamme per riscaldarmi, mentre sistemavo la gavetta piena di neve vicino al calore per ricavarne dell'acqua arrivò un colpo che me la centrò in pieno, il destino ancora una volta mi salvò.
Abbandonando tutto verso le dieci del mattino ci fu l'ordine di andare all'assalto, avanzavamo senza sparare, qualcuno gridò "avanti Savoia" ci fu un massacro indescrivibile.
Finì l'assalto allargando il cerchio dei russi, per quel giorno ci fu un pò di calma.

Nel pomeriggio cercammo qualcosa da mangiare, trovammo due buoi morti in una stalla, un mio compagno aveva un coltellino, prendemmo un pezzo di coscia e lo sistemammo in una marmitta di fortuna, mentre la portavamo sul fuoco per farla cuocere arrivò il sibilo di un colpo di katiuscia, abbandonando la marmitta per terra corremmo dietro una casa.
La marmitta fu centrata in pieno e la carne non c'era più.
Nella notte io, Perucca di Trinità e un altro siamo riusciti a riposarci su un pò di paglia stesa su dei cadaveri, ci alternavamo uno per volta di guardia.
Il 23 dicembre giravamo in mezzo a morti e feriti, ho visto su una pianta di pero da un ramo pendere una gamba, mi sono trovato con latri soldati, abbiamo visto aeroplani buttare qualcosa che credevamo cibo, si correva per arrivare a prenderne, invece erano bombe tedesche per rifornire i carri armati, un paracadute non si aprì, il carico scoppiò facendo tante vittime e feriti.
Per il forte scoppio mi sono trovato con la bocca aperta ma nessuna scheggia mi aveva centrato.
Giraudo si sentì male e cominciò a sputare sangue senza essere ferito, in due l'abbiamo accompagnato in un ospedale da campo preparato sulla neve, lasciandoli lì proprio mentre arrivò un nuovo ordine di andare all'assalto, non l'ho più visto.
Ero sempre con gli ultimi per la difficoltà di camminare, c'era una piccola valle da attraversare sotto i colpi di mitraglie russe, mi portai in fondo alla valletta e trovai un soldato che gridava ferito, lo presi sulle spalle e vidi che aveva una grossa ferita al ventre, morì sulle mie spalle, dovetti abbandonarlo.
Tantissimi morti in quella valle, sul fondo il sangue scorreva come un piccolo rigagnolo colorando la neve di rosso.
Tornai indietro e la sera ci fu un altro assalto sotto i colpi dei mortai a cui partecipai con il mio tenente.
Arrivò la notte, il freddo era insopportabile, entrai in una casa con altri soldati, qualcuno gridò forte "Lingua", io risposi, m'illuminò con una pila, cercava mio cugino Antonio, provai tramite questo soldato di far sapere a mio cugino che ero vivo, a mezzanotte uscii gridando forte "Lingua" ma nessuno ha risposto, mi sono allontanato ed ho trovato Perucca che aveva delle sigarette.
Un pagliaio prese fuoco, cercammo di scaldarci, abbiamo visto uscire dei soldati accesi come torce umane, stavano dormendo nella paglia senza accorgersi dell'incendio, così un'altra strage si compì.
Trovai Fresia, un mio amico di Ceva, che cambiò le sue sigarette col mio tabacco.
Il mattino del 24 dicembre mi trovai con una decina di compagni per andare a visitare Giraudo che era morto, improvvisamente arrivò un colpo di mortaio che ci colpì tutti con le schegge, ho sentito bruciare il braccio ed il fianco.
Magliano fu ferito ad una gamba, medicato alla bell'e meglio fu portato in un capannone tipo ospedale dove ci coricammo vicino a lui.
Io, Perucca ed un certo Cristino di Bra rimanemmo lì fino a sera.
Non seppi più cosa successe fuori, si sentivano i colpi di mortai e katiuscia.
Si sparse la voce di dover partire, un soldato gridava "camminate, andate, io rimango quì tra i morti ed i feriti", era il cappellano militare.
Uscimmo fuori a cercare una slitta per non abbandonare Magliano, mentre il cappellano impartiva la benedizione e portava la comunione ai feriti.
Magliano ci disse "andate che io non posso più camminare", a malincuore ci siamo incolonnati lasciandoli lì.
Verso le ventuno partimmo in silenzio dopo essermi medicato i piedi, camminammo tutta la notte.

Il mattino del 25, Natale, col mio tenente e caporal maggiore, due liguri, incontrammo due carrette italiane che trasportavano due soldati russi uccisi dai tedeschi e furono liberati due italiani della mia batteria.
Vedemmo anche l'uccisione di una donna da parte dei tedeschi, avevo fame ed il sonno mi stava aggredendo, mi avvicinai ad un rifugio ma una donna urlava di paura, gli ho fatto segno di essere italiano, mi riempì un sacchettino di patate, poi l'ho nascosta sotto una coperta perchè stavano arrivando dei tedeschi.
Ritrovai l'amico Perucca, dopo un pò riprovai a gridare "Lingua".
Una voce mi rispose, era mio cugino Antonio che avevo già cercato a più riprese.
Io ricordo di averlo incontrato mentre mangiavo patate crude, non mi riconobbe, ero davvero malconcio, la bocca era tutta una cicatrice provocata dal gelo (al ritorno mi disse che stavo mangiando una gallina cruda con le piume che si attaccavano alla bocca, forse non ero più tanto lucido).

Mi chiese da quando non mangiavo, risposi dal giorno 20, mi diede due gallette che tribolai a mangiare per via della bocca.
Siamo partiti a piedi con mio cugino, ci siamo fermati per medicarmi i piedi con un pò di antigelo, poi ci siamo salutati andando ognuno verso i propri compagni, mentre il freddo era intenso.
La colonna si doveva fermare a Moncovo ma invece proseguì così rimanemmo staccati, entrai in una stalla, c'era una mucca che provai a mungere, ma entrò un soldato che sparò alla vacca che per poco non mi crollò addosso.
Ci buttammo tutti a succhiare il sangue, dopo un'ora erano rimaste solo le ossa e la pelle.
C'incamminammo cercando la pista dove era passata la colonna, un carro armato mentre attraversava una palude ruppe il ghiaccio e sprofondò, molti morirono in quel ghiaccio, io non passai di lì per via dei miei piedi.
Camminando, per fortuna la via era quella giusta abbiamo raggiunto la colonna verso le undici del 26 dicembre perchè si era fermata a combattere in un paese, c'era la tormenta, da far fatica a camminare, verso le quattordici hanno sfondato, si calcolava una temperatura di -40 gradi.
La colonna proseguì, tagliando il percorso trovai una casa dove c'era una marmitta con dell'acqua sul fuoco, facemmo cuocere dei maccheroni che avevo barattato con delle patate, arrivarono quattro o cinque soldati che ci puntarono il moschetto e ci presero il mangiare, abbandonammo tutto, per fortuna dopo trovai dei telai di miele ancora con la cera attaccata, ne presi con me e ogni tanto ne succhiai durante il cammino, la bocca mi si gonfiò, ero irriconoscibile.
Verso le diciotto la colonna ripartì, camminavamo a braccetto, ci perdemmo.

Nella notte tra il 26 e il 27 andai fuori di senno, come in un sogno vidi la statua di Sant'Anna che mi venne in aiuto, mi trovai a Riforano c'era una strada nuova, volevo andare a casa passando per Broccardo, la neve era alta, feci una scorciatoia, dovevo attraversare un canale, non ce la facevo, il freddo era tremendo pensavo di morire.
Con la forza della disperazione riuscii a superare l'ostacolo, mi trovai a Rabiot, bussai alla porta, chiamai il mio vicino di casa e dissi "Giovanni apri, io rimango quì, non vado più a casa", dopo un pò uscì una donna che non mi voleva far entrare perchè la casa era piena di russi, in quel momento ritornai in me.
Entrai e dissi sono italiano, stiamo scappando, mi hanno visto così malconcio, mi hanno preso il moschetto e andarono via lasciandomi lì.
Mi sedetti in un angolo al caldo, la donna mi tolse le scarpe, mi asciugò le calze, mi addormentai e mi svegliai all'alba del 27 con la bocca acida e i piedi medicati con l'antigelo.
Mi vestii ed uscii accorgendomi che l'ostacolo che non riuscivo a superare era una ferrovia.
Appena superata c'erano degli sbandati come me, non sapevano dove andare, ci orientavamo con le scie delle slitte, tanti cavalli e tanti soldati morti, la tormenta li coprì con uno strato di neve, si vedevano solo le sagome.
Dopo circa tre ore arrivammo in una cittadina, Perucca mi cercava, io ero in ritardo, lo trovai in una casa dove mi sono riposato un pò.
I comandanti formavano delle centurie prendendo i soldati a caso, presero anche me ma non riuscimmo a portare a termine il lavoro ordinato, ci rifugiammo in una stalla.
Non so se sia stato lo sbalzo di temperatura, mi colse la colite e una grande debolezza, mi coricai per terra riparato dal vento, mi sentivo mancare, il tenente si informò sulle mie condizioni, trovò delle coperte, mi coprì, ero immobile, ad un tratto sentii il tenente alzare la coperta e dire a qualcuno "è ancora vivo".

All'alba del 28 dicembre dei compagni trovarono una cucina tedesca, fecero del thé caldo e me lo diedero, mi fece bene e ripresi un po di forze, col camion mi portarono in paese dentro una casa dove sono rimasto fino all'Epifania.
Ero malato con poche forze, quasi sempre coricato, mangiavo poco, i piedi però non peggioravano,
Il giorno dell'Epifania arrivò un aeroplano detto "cicogna", portava dei comandanti, il pilota era lombardo amico di un mio vicino di letto, ci disse "scrivete che porto via la posta per i vostri familiari", avevo ancora un biglietto postale in tasca, ho scritto, ricordo ancora il contenuto "amici siamo ancora io e Perucca e speriamo di essere fuori di tutto" e consegnato a quel pilota il biglietto arrivò a casa mia.
Mio cugino Antonio fu arruolato nelle centurie in linea con le SS vestiti di bianco, parlando seppe che ero in una casa malato, riuscì a trovarmi, gli dissi "quando torni a casa dì ai miei che io sono rimasto qui, ormai non ce la faccio più".
Continuavo a restare in quel luogo, dopo circa tre giorni mi alzai, uscii a camminare un pò per vedere la reazione del fisico, arrivò un colpo di cannone che sventrò la casa, per fortuna era vuota, nei pressi trovammo un soldato morto assieme al padrone della casa, avevo ricevuto un'altra grazia.
Antonio seppe di quel disastro, pensò che io fossi sotto a quella casa, anche Perucca e di il tenente vennero a cercarmi e con sorpresa mi videro gironzolare, ero vivo.
Dopo trecento metri trovammo un'altra casa dove ci rifugiammo in sei o sette, ero ancora senza forze.
Dopo qualche giorno uscendo trovai un magazzino viveri che bruciava, entrai dalla porta in fondo, trovai del miele con cui riempii delle scatole vuote di sardine e le misi nel tascapane.
Dopo duecento metri c'era un pagliaio, mentre tiravo un pò di paglia mi arrivò una bomba dietro a circa due metri, non scoppiò e rotolò per una ventina di metri, ritornai nella casa.
Dopo un giorno o due vennero a trovarci due compagni, uno si chiamava Quaranta l'altro non ricordo, mentre si aggiravano attorno alla casa arrivò una bomba che colpì a morte i due amici, anche la casa in parte crollò, io rimasi sotto delle travi illeso, ci spostammo nella parte che aveva resistito continuando a rimanere lì fino al 15 gennaio 1943.
Arrivò l'ordine di scappare perchè stavano arrivando nove divisioni russe a Cercovo, io non volevo ripartire ma gli amici mi convinsero e mi aiutarono a partire, uscimmo ma la colonna partì solo al mattino, il freddo peggiorò la mia colite ed anche i piedi.
Mi avvicinai ad una casa, c'era un soldato ferito ad una gamba, lo aiutai a coricarsi, sanguinava forte, si accese una sigaretta dicendomi "spero di morire prima di finirla".
Perucca venne a cercarmi, non avevo voglia di proseguire, mi fece uscire con la forza, la colonna era già partita all'alba e i russi ci aspettavano all'uscita del paese, noi eravamo nell'ultima parte della colonna e tentammo lo stesso di passare dove i tedeschi avevano sfondato lasciando sul campo tanti mezzi e tante vittime.
Perucca e gli altri passarono strisciando per terra, io passai in piedi mangiando del miele, se fossi caduto non mi sarei più rialzato ero sfinito, un colpo mi forò il pastrano, un altro mi staccò il tacco della scarpa, un soldato che strisciava davanti a me fu ferito alle gambe ma potè proseguire.
Grassano, un altro amico, si sentì male al petto, fu salvato dall'orologio che teneva nel taschino all'altezza del cuore.
Appena usciti da quell'inferno ci riprendemmo a braccetto sempre sotto i colpi dei mortai, ci voltammo e vedemmo circa mille soldati fatti prigionieri.

Camminando fino a sera arrivammo ad un comando tedesco, il freddo mi colpì, le forze erano davvero poche, entrammo in una casa dove mi addormentai.
Arrivò un camion tedesco che ci offrì un passaggio, Perucca voleva salire, io rifiutai, litigammo, al mattino siamo partiti a piedi ed abbiamo visto quel camion ribaltato nella neve.
Mentre camminavamo Perucca mi accusava d'impedire anche a loro di salvarsi, andai per terra e lui mi alzò, ritornai in me e facemmo la pace, anche il sistema nervoso stava cedendo.
Proseguimmo e ci facemmo coraggio a vicenda, qualcuno aveva perso una fisarmonica, la trascinai per un pò dietro di me.
Nel percorso c'era un soldato su uno slittino che si spingeva avanti con due pezzi di legno, non poteva camminare, chiedeva aiuto, lo tirammo un pezzo per superare una collina poi ci disse "lasciatemi che io vado".
Verso le sedici del 17 gennaio arrivammo ad un comando tappa, c'erano dei camion, eravamo fuori della sacca, riuscimmo a mangiare di nuovo un rancio caldo, tentai di salire sul camion senza farcela, rimasi in una casa, ci promisero di venire a riprenderci, invece ci abbandonarono, al mattino il comando tappa non c'era più, tutti fuggivano.
Dietro una casa c'era un'autoambulanza ferma, l'autista dormiva, lo svegliai ma non riuscì a far partire il mezzo, passò un camion tedesco che lo trainò, mi aggrappai al camion con le braccia infilando i gomiti tra le centine, un soldato vicino a me attaccato con le mani si staccò e fu schiacciato dall'autoambulanza, Perucca rimasto indietro vide quel cadavere e pensò che fossi io, riuscimmo entrambi a salire sull'ambulanza, Perucca salì da un finestrino con un vetro rotto.
Siamo riusciti così a fare 60 chilometri dove c'era un altro comando tappa, c'era da mangiare, salimmo su un camion, ci diedero dei viveri e delle scatolette, ci portò per altri 70 chilometri, ci fermò in una stazione dove c'era il treno che non partì perchè la ferrovia era interrotta.
Ci fermammo la notte e il giorno dopo, il 21 gennaio, arrivò un comandante che ci consigliò di camminare fino alla base dei camion altri quattro chilometri, la colite continuava a farmi soffrire.
A metà strada c'era un soldato con un bidone di cognac per soccorrerci, riempii il gavettino ne assaggiai con Perucca, sentii subito le gambe mancare, mentre Perucca barcollava portandomi a braccetto ebbi la forza di versare il cognac per terra, a stento riuscimmo a raggiungere la base dei camion.
Ci coricammo sul camion di un colonnello che partì per ultimo perchè dopo il suo passaggio si fece saltare il ponte sul fiume Donetz.
Verso sera arrivammo davanti ad un capannone dove si parlava di andare via, c'era un'ambulanza che caricava i feriti, io ero congelato e salii sopra, Perucca rimase lì nel capannone dove trovò Campana di Cuneo e Botta del Piasco, loro erano usciti dalla sacca prima di Natale.
Perucca è stato trovato dagli amici in uno stato pietoso ma disse "se vedeste Lingua".
Riferì che mi portarono all'ospedale, vennero a cercarmi perchè l'ospedale stava per essere abbandonato.
L'ambulanza mi portò all'ospedale, che stava per essere trasferito, rimasi in un corridoio a bere un caffè caldo e medicare i piedi che mi fasciai da solo.
Sentivo dire che ad un chilometro c'era il treno che ci avrebbe portati via, m'infilai tra i malati e gli infermieri, dopo un quarto d'ora sentii il treno fischiare e mi feci coraggio.
Arrivai alla stazione il mattino del 22 gennaio, salii sul treno con l'aiuto di altri, vagone bestiame, faceva freddo ma ci diedero una coperta ed una pagnotta.
Mettemmo la coperta sulla paglia sistemandoci uno contro l'altro, invece di viaggiare ventiquattro ore come previsto siamo rimasti sul treno per sei giorni, per dissetarmi raschiavo la brina dalle fessure della porta con il coperchio della gavetta.
Arrivai a Leopoli in Polonia, il treno entrò direttamente nell'ospedale, non potei più scendere, un infermiere di Benevagienna, parente di Sanpò di Rubella, mi prese sulle spalle e mi portò all'interno dell'ospedale, sul vagone rimasero due soldati morti.
Mi lavarono, ero pieno di pidocchi, era da quaranta giorni che non mi cambiavo, mi sbarbarono e mi medicarono poi l'infermiere mi portò nel letto.
Nella notte le luci erano azzurre, dormii per ventiquattr'ore, svegliandomi pensai di essere in paradiso.
Rimasi dal 28 gennaio al 6 febbraio, mi ripresi un pò, con un treno ospedale mi portarono a Montecatini dove rimasi due mesi per curare i piedi congelati, mi fecero fare la cura termale che mi ristabilì.
Da Montecatini scrissi a casa, ma mio cugino Antonio non credeva che io fossi vivo, i miei genitori volevano farmi visita ma io scrissi che non era possibile per epidemia di tifo, mio cugino continuava a pensare che io fossi morto.
Ai primi di maggio fui dimesso con cinquanta giorni di convalescenza, arrivai finalmente a casa.
Finii il militare a Savigliano a settembre del 1943.

Lingua Battista
...............
mostra fotografica virtuale:



http://www.url.it/muvi/bacheca/nuovi/russia/indice.htm


1 commento:

Anonimo ha detto...

Caro Mauro,
la cugina di mia nonna ha perso un fratello in Russia Giocondo Bini, era nella stessa zona del signor Lingua Battista e nello stesso periodo quando non ha dato più notizie. Ci sarebbe modo per voi di ricontattarlo per sapere se magari sa qualcosa di Giocondo Bini di torre del lago lucca divisione celere portalettere o a chi ci possiamo rivolgere? Fatemi sapere, è molto importante. laura