"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

domenica 17 giugno 2007

Così ho liberato la Sandra che era in me. "Un corpo di ragazzo, e una ragazza dentro"



20/04/2007


Questa storia per motivi di tempo (al momento) viene rappresentata come news. Presto troverà un suo giusto spazio all'interno del sito.
Nel frattempo leggete questo capolavoro di attenzione scritto da Antonella serafini (
www.censurati.it), pubblicato da uno dei pochi mensili attenti alle storie della gente (casablanca) e rilanciato da noi (notoriamente Associazione senza "peso").



"Così ho liberato la Sandra che era in me"

Un corpo di ragazzo, e una ragazza dentro. Succede. Ma in un paese barbaro e incivile (l'Italia anni Sessanta: certo, non l'Italia di ora) ogni diversità è una condanna. E la sentenza è semplice: Tu non sei un essere umano". Sandra ha combattuto, e vinto, contro tutto questo. Ora è una signora matura, realizzata, sposata da 34 anni. E' una famiglia, la sua: forte, unita e felice. Quanti dei farisei che
l'accusano potrebbero dire altrettanto?


Nel 2001 arrivò nella posta di censurati un'email che sembrava un'accorata e inconsueta richiesta di aiuto: " Per essere nata con sembianze femminili ma di sesso maschile, i moralisti degli anni 60 mi perseguitarono con leggi di P.S. punitive che mi portarono a diversi anni di carcere, distruggendomi nell'inserimento sociale. Nonostante abbia aggiustato il tutto anagraficamente, sono finita nel baratro della depressione e varie patologie psicologiche causate dai duri isolamenti carcerari. Dieci anni di detenzione spalmati in un'arco di tempo molto più vasto. Ora vivo con una invalidita' del 74% e sono stata dichiarata per questo NON ABILE AL LAVORO. Si può tacere? Fino a quanto si può sopportare?

L'email era firmata con nome e cognome, e con recapiti telefonici . Che ho usato. Feci all'epoca un'intervista telefonica, più che altro per conoscere la persona, per poi eventualmente approfondire, e saltarono fuori delle cose sconcertanti. Stupri in carcere, letti di contenzione, 41 bis, carcere duro, 37 carceri girati in tutta Italia, come la patata bollente che non vuole nessuno. Cominciano ad affiorare elementi che non si possono approfondire per telefono, quindi decido di partire per Firenze Campo Marte, dove mi aspetta Sandra. La storia è questa:
Sandro ha sempre sentito di appartenere al genere femminile ma il destino ha voluto che nascesse uomo. A 16 anni, va in Inghilterra e si opera. Sono gli anni 60-70. Un transessuale in Italia è visto come Ruini guarda Luxuria. Un po' peggio, anzi.

Figlia di una famiglia borghese di Torino, papà nelle forze dell'ordine, i suoi mal tollerano questo cambiamento del figlio. Una spietata legge sulla pubblica sicurezza, la addita come persona che attenta alla morale, e viene espulsa dalla sua città con un foglio di via. Durante una retata in una casa di prostitute dove lei faceva le pulizie, lei viene prelevata dalle forze dell'ordine e portata in caserma. Il padre pensa che sia un bene, "magari guarisce". Dopo un breve periodo di fermo viene rilasciata ma lei non torna a casa. Scappa, si allontana. Arriveranno fogli di via, avvisi di presentarsi a firmare in caserma, tutte cose che poi diventeranno condanne in contumacia, perché nessuno la avverte, perché lei ormai ha preso una strada sua, perché non vuole sentirsi umiliata e diversa in casa. Anche perché lei ha un profondo rispetto per i propri genitori per farli sentire nell'imbarazzo in cui sono piombati dopo la "triste" operazione che ha tolto virilità a un uomo che non si sentiva tale.

Quando poco tempo dopo fu fermata per il furto di una bicicletta, inizia la trafila. Lei ha ancora i documenti da uomo, ma è ormai operato, ed è diventato donna, con cure di ormoni, una terza di reggiseno, una voce diversa. Insomma, in che carcere si manda? Maschile? Femminile? Vince la burocrazia, quindi alla fine viene deciso che si spedisce in carcere maschile. Una donna in un carcere maschile come finisce? Finisce che sette secondini la stuprarono, a turno. Hanno il giocattolo. Per motivi di sicurezza viene spedita nelle celle di sicurezza, quelle del carcere duro, letti di contenzione, 41 bis. Nei seminterrati, sotto terra. Niente luce, niente di niente, solo un metro per due e tanti rumori di catenacci. Pensava di morire mentalmente. Per vedere se riuscire a provare ancora sensazioni, ha tentato il suicidio in carcere, ottenendo solo di essere additata come persona pericolosa per sè e per gli altri.

Dopo aver girato ben 35 carceri, tra cui l'Asinara, in cui ha conosciuto anche Curcio, perché viene messa in mezzo ai criminali veri, finalmente finisce il calvario, arrivano i documenti con il nuovo nome, si sposa con un uomo conosciuto in carcere, e cerca di vivere una vita normale. Una signora che ad oggi ha più di 30 anni di matrimonio alle spalle, cerca di fare una battaglia per i diritti che le sono stati negati in gioventù, e si rivolge a tutte le associazioni transessuali per chiedere aiuto.

Nessuno che le abbia teso una mano, ma neanche un piede, niente. Cerca così di far conoscere la sua storia tramite la stampa. Nessuno la ascolta, nessuno la vuole, ha più di 50 anni, non è appariscente, non porta parrucche, non si trucca, non dice parolacce, insomma non fa audience. Nel frattempo è diventata amica di censurati.it, e si fa scrivere un fax da spedire nelle varie redazioni. La ascolta prima Funari, poi qualcuno in Rai, poi Costanzo. Sembra che le cose cominciano a cambiare, quindi. Il forte carattere la porta a litigare con Costanzo, poi con chiunque la faccia apparire diversa per motivi legati agli ascolti televisivi. Tenta un'altra strada: apre un'associazione. Questo sarà il cambiamento della sua vita, perché cominceranno a chiamarla i politici (perché attira voti dei "diversi"), ma qualunque sia il loro scopo, a Sandra non interessa. Basta che qualcuno la consideri una persona normale. Quale lei è. Io credo che sia anormale solo perché il suo matrimonio dopo 34 anni dura ancora, mentre tra etero basta una lite futile e arrivederci e grazie.

Sandra ha da sempre voluto solo una cosa: essere considerata normale. Essere considerata una persona. Una persona semplice, con la sua forza e le sue debolezze. Avrebbe voluto il diritto al lavoro, invece dell'invalidità che la rende "non idonea al lavoro". Per reinserirsi e fare una vita come avrebbe sognato tanti anni prima.

Ora lotta per gli altri, con la sua Associazione, e si è fatta conoscere con le sue sole forze.

La storia potrebbe sembrare chiusa qui, in realtà c'è un seguito con belle notizie, motivo che mi ha portato a rispolverare questo vecchio caso dopo sei anni. L'8 marzo, grazie all'europarlamentare DS Zingaretti, viene presentato un libro sulla storia di Sandra, scritto da Massimo Caponnetto, figlio del compianto giudice Caponnetto, con un'introduzione di Don Ciotti. Sandra ha vissuto l'inferno, ha lottato nell'anzianità, un po' di pace e di diritti li meriterebbe prima della vecchiaia.

fonte: http://www.ritaatria.it/

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tratto da "Il Volo"

"La mia diversità e' stata il mio reato. Altri non ne ho mai commessi. Sono stata spedita al confino più volte, sono stata nelle carceri speciali, venduta dai secondini a chi pagava loro di più, senza potermi opporre, se non volevo punizioni e umiliazioni ancora più grandi. Sono stata legata per giorni interi al letto di contenzione, ed anche lì guardie e detenuti venivano in processione, a mostrarmi ed impormi le loro perversioni: i loro atti osceni, in luogo pubblico. Quando ripenso a quegli anni, li definisco la mia “Shoah”, razzismo praticato senza coscienza, discriminazione che cancellava ogni sentimento.

[...]
Ma la diversita' e' un marchio e non esiste operazione che la cancelli. [...]
In questo libro racconto il mio tratto di strada, che corrisponde ad un’ evoluzione personale, ma anche della società.
Sono stata determinata, spinta da una volontà forte come una fede. Anche nei momenti peggiori ripetevo dentro di me sempre la stessa promessa: “Ce la farò, alla fine ce la farò”, senza chiedere aiuto a nessuno, se non a me stessa, che allora persino Dio mi pareva voltato dall’altra parte. Intanto con la mente correvo, immaginando il futuro, e correvo più forte che potevo, come per prendere una rincorsa e lanciarmi nell’aria, come se fossi un aquilone. E ripetevo la mia promessa, come fosse una preghiera, fino a che non ci credevo, fino a che non ritrovavo la mia leggerezza, fino a che non mi trovavo in volo. Sentivo allora la mia angoscia sollevarsi da terra, e le mie certezze tornare stabili nell’aria. Risentivo il vento, ritrovavo le mie emozioni, che mi facevano di nuovo vibrare: di leggerezza e di speranza. Il filo di quell’aquilone non si e' mai strappato, resistendo a tutto. Ed oggi posso raccontare questo volo, fatto lungo quel crinale che segna il confine fra il pregiudizio e la verità, fra la rinuncia e la speranza.

Conclusioni
Oggi vivo con una pensione di invalidità, causata anche dalle durezze delle detenzioni, di 230 euro al mese, con mille strascichi sul piano fisico, segni di una guerra durata trenta anni, troppo lunga.

Sono invalidità che derivano dai trattamenti e dai soprusi subiti, sono l’effetto di tutta la mia storia: mancata accettazione da parte della famiglia, scontro con le istituzioni, carcerazioni, rifiuto ed emarginazione anche dopo l’intervento.

La mia vita non ha mai smesso di essere una battaglia. Ogni battaglia segue il suo percorso, con un punto di partenza, che corrisponde ad una situazione inaccettabile, che vogliamo cambiare, e un punto di arrivo ideale, che coincide con un sogno, un’ambizione. Il traguardo, per me, e' sempre stato trovare il mio posto, come donna, nella collettività.

A un certo punto del cammino ho perso ogni riferimento. Non avevo più l’energia necessaria per altre battaglie, e al tempo stesso non avevo ancora ottenuto un posto per me nella società. E’ stato in quel momento che si sono insinuate la rassegnazione e la depressione.

Venne anche mia madre a trovarmi, in quel periodo. Venne insieme a mia cognata, che con mio fratello Raffaele mi e' sempre stata vicina, in tutte le mie vicende. Avevo ripreso contatti telefonici con mamma già da un paio di anni, ma adesso era arrivata alla fine della sua corsa, e volle un ultimo incontro. Rimase a casa mia e di Fortunato un mese: il tempo di capirsi.

Il carattere era sempre lo stesso. Dava la colpa a me per quello che era successo in famiglia, e continuava a definire ciò che facevo da ragazzino come “cose nigre”, cose nere, nel suo dialetto foggiano. Mi raccontò tutto il contrasto con papà, con quella colpa da scaricarsi l’un l’altro. Non ebbe mai la forza di appoggiarmi. Troppo forte il peso dell’opinione della gente, troppo urgente difendersi nel conflitto con papà. Le raccontai, a piccole dosi giornaliere, la mia vita. Se al telefono, nei mesi che hanno preceduto l’incontro, mi chiamava ostinatamente Sandro, appena mi vide, e per tutto quell’ultimo mese passato assieme, non ebbe mai un’ incertezza. Sono state le volte in cui il mio nome, Sandra, Sandrina, mi e' risuonato più dolce nelle orecchie.

Il racconto della mia vita richiamò tante lacrime ai suoi occhi, quante forse non ne erano mai uscite. “Se tu sapessi, figlia mia, le notti che abbiamo passato, con papà. I rimorsi, i dubbi. Ma che potevamo fare; tuo padre era maresciallo. E come un maresciallo doveva vivere”. Papà era già morto, da quattro anni, e non ci eravamo più rincontrati.

“Dillo quello che ti hanno fatto, Sandrina mia. Vendica anche il mio dolore. Reclama giustizia, perché si sono presi la tua vita. E te la renderanno solo quando ti restituiranno la pace”.

Morì dopo poche settimane.
Nelle sue parole, nelle sue lacrime, ho potuto guardare alla mia storia anche con gli occhi di chi era rimasto a casa, a vivere il mio allontanamento come una scelta difficile e dolorosa, una scelta che, però, non poteva mai essere definitiva, e che ritornava sempre, in tanti ricordi, in tanti sogni, in tanta parte del cuore. La rabbia non ha una gittata infinita, prima o poi cade e lascia tante mancanze, tanti rammarichi da parte di tutti.
Sembra di non essere mai pronti davanti alle differenze. Invece, le dobbiamo accogliere come possibili, come una delle infinite combinazioni che la vita può offrire, e non sempre e solo come una devianza psichiatrica. Il dott. Gamna, con il suo elettroshock, lasciamolo alle vicende del secolo scorso. Decisi allora che, per quanto potevo, non mi dovevo mai stancare di raccontare, di far capire, di accompagnare chi si incammina nel mio stesso percorso, ed aiutarlo a realizzare e vivere la sua identità nel nucleo familiare, per crescere nell’accettazione e nell’amore. Oggi parlo quasi più con i familiari che non con chi vive sulla propria pelle il disturbo di identità di genere. Senza un riferimento affettivo, senza condivisione dei nostri dolori, ma anche delle nostre speranze, finiamo preda della rabbia, della disperazione. Pochi mesi dopo la morte della mamma, ho fatto nascere l’Associazione Italiana Transessuali.

La Costituzione stabilisce la pari dignità sociale e l’uguaglianza di fronte alla legge, senza distinzioni e discriminazioni. Stabilisce il diritto di tutti a trovare un posto nella collettività; ma ogni diritto, ogni legge, una volta scritta, ha bisogno del nostro impegno, della nostra partecipazione, per diventare legge della vita.
Malgrado le ingiustizie subite, non mi sono mai rassegnata, e ho sempre cercato una strada per andare avanti; a volte la rabbia e la disperazione mi hanno fatto perdere la luce della speranza, quella luce all’orizzonte verso la quale sono sempre andata, come per attrazione. Sono stati i momenti più duri, più difficili. Ma quando la vedevo, non c’erano ostacoli lungo il percorso. E a spingermi era l’impazienza di arrivare presto, di terminare un cammino, di compiere un destino, che non era solamente il mio.

Se mi volto indietro, vedo che la mia strada non si e' richiusa dietro di me, e che oggi può essere percorsa anche da altri. Sono stata ostinata, e chiunque ha coraggio e ostinazione apre nuove vie. E’ il compito più prezioso che la vita può riservarci. E ad ogni via aperta il mondo si fa un po’ meno stretto, più libero, meno schiavo dei pregiudizi.

Davanti a me, la luce all’orizzonte e' ancora lontana. Ma l’orizzonte e' irraggiungibile: e' una direzione, non una meta. Lungo la strada ci sono altre sfide, altre battaglie, altre vie da aprire. E altri voli, con cui immaginare un altro mondo possibile.

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Il volo. La mia vita: ieri uomo, oggi donna. Storia di metamorfosi e di lotta
Autore: Alvino Sandra
Diple Edizioni, 2007

€ 12

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