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venerdì 8 giugno 2007

Missioni militari: Uranio, 45 decessi e 500 malati





di
Carla Ronga, 22 marzo 2007


Parte la commissione parlamentare d'inchiesta e la presidente Lidia Menapace illustra alla stampa le linee guida che verranno seguite. Tragiche le cifre sui reduci dai teatri di guerra operati alla tiroide



Circa il 70 percento dei militari italiani reduci da missioni all'estero sono stati operati alla tiroide in seguito alla presunta contaminazione da uranio impoverito. Le operazioni verrebbero effettuate in un ospedale di Siena e in altre strutture convenzionate con l'esercito.

A denunciare questo dato, inquietante e tragico, un giovane soldato tornato dal teatro bellico dei Balcani e da tempo sotto controllo medico. La sua testimonianza è stata affidata a Domenico Leggiero, dell'Osservatorio militare, un'associazione che assiste gli appartenenti alle forze armate e i loro familiari. "Ci sono tre casi di militari malati sottoposti a studio e uno di loro ci ha confessato candidamente che larga parte dei militari che tornano dai teatri di guerra viene sottoposto a intervento alla tiroide. Noi non siamo in grado di confermare la cifra del 70 percento" spiega Leggiero, "ma ci aspettiamo che qualcosa si muova in parlamento per fare chiarezza sulla questione. Anche se si trattasse soltanto della metà, si tratta di un dato comunque enorme ed è necessario poter avere accesso a queste informazioni".
E questo è l'obiettivo della Commissione parlamentare d'inchiesta del Senato sull'uranio impoverito, la cui presidente, Lidia Menapace (Prc) ha illustrato alla stampa le linee guida che verranno seguite.


Uno dei primi compiti della Commissione riguarderà la raccolta e l'analisi statistica dei dati, per le quali la Commissione intende rivolgersi "all'Istat, all'Istituto superiore di Sanità, alla Direzione generale della sanità militare, al fine di acquisire elementi e valutazioni di tipo oggettivo ed ufficiale". Inoltre, "tenendo conto anche delle doverose esigenze di contenimento dei costi" saranno "privilegiati" gli esperti e i funzionari delle pubbliche amministrazioni con "incarichi a tempo e a tema". Basta insomma con le "carrettate" di consulenze.

L'esistenza di un nesso fra i decessi e le malattie dei reduci da missioni all'estero e l'esposizione all'uranio impoverito è ormai un fatto acclarato, anche se continua ad essere oggetto di forti polemiche e indagini. La commissione Mandelli, in tre successive relazioni, ha concluso che rispetto al numero statisticamente atteso le vittime nel gruppo di riferimento (i militari che hanno preso parte a diverse operazioni nelle zone "incriminate") sono quattro volte superiori, ma non è stata in grado di collegare direttamente la presenza dell'uranio ai casi di tumore registrati. E una successiva commissione di inchiesta ha sostenuto che i dati della Mandelli erano probabilmente sbagliati e sottostimati. "Durante i lavori della Commissione lo scorso anno abbiamo chiesto più volte i dati (dei militari malati) - ha fatto notare il responsabile dell'Osservatorio militare, il maresciallo Domenico Leggiero (lui in Bosnia c'è stato cinque volte) - in un anno la Difesa non ci ha mai risposto".
Ad oggi, dunque, non ci sono certezze sul numero esatto delle vittime: secondo l'Osservatorio i morti sarebbero 45 e i malati 515, affetti da patologie riconducibili all'esposizione all'uranio impoverito, usato in modo massiccio negli armamenti della Nato soprattutto nei Balcani. Altre associazioni hanno dati diversi, così come diversi sono quelli forniti dalla Difesa.


La pacifista senatrice di Rifondazione ricorda che "si tratta della vita di persone giovani e dunque è prima di tutto di un debito etico: non se ne occupa nessuno. Non si può mettere in primo piano il sacrificio di alcuni, e vergognarsi di altri".
"L'esistenza di patologie anomale tra i militari dei contingenti impiegati nelle missioni all'estero, nei pressi dei poligoni di tiro e dei siti di stoccaggio delle munizioni, è stata riscontrata con certezza - ha proseguito Lidia Menapace - le patologie non sono direttamente riconducibili all'utilizzo diretto di proiettili all'uranio impoverito, ma piuttosto, ai possibili effetti delle nanoparticelle di minerali pesanti che in seguito alle esplosioni si disperdono nell'ambiente".
Alla conferenza stampa ha partecipato, oltre alla senatrice Franca Rame (Italia dei Valori) anche Falco Accame, presidente dell'Ana-Vafaf, associazione che sostiene i familiari dei militari deceduti: "Dicono che in Libano non è stato usato l'uranio impoverito - ha raccontato - ci è stato detto che faranno un esame del suono, ma sappiamo che, come fu per la Bosnia, potranno esplorare ben poco".

La Commissione darà per acquisiti i risultati ottenuti nella passata legislazione, dalla stessa Commissione presieduta dal senatore Paolo Franchi, riguardo i dati epidemiologici sulle vittime decedute o gravemente ammalate per l'esposizione all'uranio impoverito. Ma c'è una novità: "Le indagini della nuova Commissione saranno allargate - ha dichiarato la Presidente Menapace - oltre che al personale militare interessato, anche alle popolazioni civili nei luoghi di guerra e nelle zone adiacenti alle basi militari in Italia".


Ma la presa di posizione sulle consulenze "a tempo e a tema" non è passata "liscia". A non gradirla, il senatore di An Marcello De Angelis, segretario della commissione, a margine dell'incontro con i giornalisti, afferma: "Era ora che si cominciassero i lavori, abbiamo perso tempo e parte delle conoscenze che potevamo avere. In questo settore - insiste - il tempo è tiranno. Anche per questo abbiamo chiesto di confermare alcuni consulenti della commissione precedente". Insomma, per "conservare una memoria storica" (che, per la verità non ha portato a grandi risultati, ndr). Sempre secondo De Angelis, su questa impostazione "c'è un asse bipartisan" ma manca "l'accordo con la presidenza e purtroppo non è stata ancora trovata un'intesa". Poi la stoccata: "La funzione di una commissione parlamentare d'inchiesta deve essere anche quella di trovare la sintesi tra le legittime aspettative dei cittadini e delle istituzioni. E' questo il compito della politica- precisa- non quello di accusare il Dipartimento della Difesa a prescindere".
La dialettica si preannuncia particolarmente accesa. "La mia presidenza di questa commissione- aveva detto pochi minuti prima Lidia Menapace - è stata decisa dal presidente del Senato, che io ringrazio. Su di me - che già aveva 'perso' la presidenza della commissione Difesa a inizio legislatura- c'erano dei veti".

Francamente, di fronte ai tanti militari e civili contaminati dall'uranio impoverito le polemiche politiche passano in secondo piano. I tempi sono stretti. Si attendono risposte concrete. Menapace ha invitato i cittadini o esperti in materia a scrivere direttamente alla "Commissione parlamentare d'inchiesta sull'uranio impoverito" (Senato della Repubblica, Roma).

fonte: http://www.aprileonline.info/2341/uranio-45-decessi-e-oltre-500-malati

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mercoledì 6 giugno 2007

Primo campanello d'allarme dal Libano. E' calabrese il militare rimpatriato



Un tumore a rapido sviluppo ha colpito un giovane militare calabrese rimpatriato per questo tre giorni fa dal Libano. E ciò nel più totale silenzio da parte del Ministero della Difesa, nonostante si tratti di un serio campanello d’allarme, dal momento che i nostri militari sono stati inviati senza misure di protezione per l’uranio impoverito”. Lo dichiara, al sito Vittimeuranio.com, Falco Accame presidente dell'associazione delle vittime Anavafaf.

Accame aggiunge che “il ragazzo sarebbe stato probabilmente necessario farlo rientrare prima, appena apparsi i primi sintomi, ma c’è da chiedersi se ai nostri militari in Libano vengono effettuati periodicamente e a breve distanza almeno i test sulle urine”.

“La specificità del rapido sviluppo del tumore -dice Accame- è una condizione rilevata in passato più volte dall’associazione. Infatti alcuni casi che hanno sorpreso i medici curanti (ci riferiamo a vicende non più coperte da privacy perché venute alla luce anche sulla stampa) sono ad esempio quelle del maresciallo Umberto Pizzamiglio di Verona, del maresciallo Antonio Fotia di Padova, del paracadutista Aniello D’Alessandro di Salerno. Si tratta di una peculiarità che forse la scienza medica potrà un giorno approfondire”.

“Il pericolo in Libano -secondo l'ex parlamentare- non è certo costituito dalla radioattività al suolo che incide soprattutto sulle falde acquifere, su cui sembrano essersi concentrate tutte le analisi finora eseguite, dalle quali abbiamo appreso che questa radioattività è inferiore in Libano rispetto a quella esistente in Italia. Almeno per i nostri militari che bevono acqua minerale la questione è di scarso interesse”.

Le forme di pericolo sono per Accame “piuttosto legate al venire in contatto con obiettivi come bunker, casematte, postazioni blindate, come quelle con cui erano protetti i missili degli Hezbollah, che non si può escludere siano state colpite da armi all’uranio impoverito o addirittura armi all’uranio naturale o arricchito. E’ il sostare in prossimità di questi obiettivi, che divengono sorgenti di emanazione di “particolato” radioattivo (e anche chimicamente pericoloso) da cui deriva il rischio dei tumori”.

“Non dobbiamo -conclude- dimenticare a questo proposito quanto accadde nella prima Guerra del Golfo nel 91, in Kuwait, dove si verificarono casi di tumore tra i nostri militari che si erano recati a visitare carri armati irakeni colpiti dalle armi USA ad uranio impoverito e raccolti tutti assieme in campo deposito”.

fonte: http://inchiestauranio.blogspot.com/

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Gratis, per i nostri lettori, il libro inchiesta scritto nel 2006 dal Presidente dell'Anavafaf Falco Accame sull'uranio impoverito.

Un volume da scaricare leggere e conservare. Per molti una vera bibbia sull'argomento. >>> SCARICA IL LIBRO



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