"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

sabato 9 giugno 2007

Push Bush Out


Qualcosa in Italia funziona.. il boicottagio istituzionale. Trenitalia, non contenta di salassare i manifestanti no-war non concedendo sconti, non comunque il 50% come invece è stato accordato ai manifestanti del Family Day, ha usato l'arma che gli è più congeniale per imbufalire la gente: il ritardo dei treni. Ritardo dovuto alla quasi generalizzata mancanza di rispetto degli orari di partenza dalle stazioni di tutta Italia. Nord e Sud indistintamente..
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Push Bush Out

di Paola Zanca
I grandi assenti del benvenuto a Bush del 9 giugno sono i treni. Alle 14, a un’ora dalla partenza prevista del corteo contro la guerra, non è arrivato quasi nessuno. Piccoli gruppi sparpagliati occupano Piazza della Repubblica e tutti vociferano sullo strano ritardo che oggi ha colpito indistintamente i vagoni di Trenitalia. Da nord a sud, tutte gli orari di partenza dei treni non sono stati rispettati, e solo alle 13.30 il convoglio che riuniva i manifestanti in arrivo da Milano e da Venezia muoveva i primi passi dalla stazione di Bologna verso la Capitale. Forse è per questo che la giornata di protesta contro Bush – quella voluta dai centri sociali, dai Cobas, dalla sinistra ultra-radicale – ha due anime diverse, e così ben distinte.

La prima ha il colore rosso degli stendardi che affollano la piazza. Se un tempo la bandiera rossa era una ed inequivocabile, oggi, a guardare Roma sembra che quel simbolo univoco non esista più. I Cobas, il Partito Comunista dei Lavoratori, gli Rdb-Cub, qualche rara bandiera di Rifondazione, qualcuna in più della Sinistra Critica, poi i Carc – Comitati di appoggio alla Resistenza per il Comunismo, il Sll - Sindacato Lavoratori in Lotta, un’enorme bandiera rossa senza scritto nulla, perfino l’Exedra Boscolo Luxury Hotel, che troneggia sulla piazza, espone il suo marchio su una tela amaranto, che in mezzo a quel diluvio di sigle potrebbe essere un’altra formazione politica, e nessuno se ne accorgerebbe. Insomma, le insegne cambiano, ma il pezzo di stoffa rosso resta il sottofondo che fa sentire grandi anche le sigle più piccole e sconosciute.

Quella rossa, comunque, è una piazza ironica che non perde il senso dell’umorismo nemmeno quando esprime il suo dissenso contro Bush e il governo Prodi. Perché il no alla guerra di oggi è soprattutto un no alla politica estera, e interna, dell’esecutivo nazionale. «Che taglio mi consigli?» chiede un fumetto di Prodi a Bush, e non parlano di capelli. «Lasciate ogni speranza o voi che votate», riassume così il malumore per le promesse tradite un altro manifesto. «Sinistri ministri, avete ingannato i pacifisti», gli fa eco uno striscione poco più in là. I più rumorosi, armati di pentole e fischietti, sono quelli del No Dal Molin, quelli per cui la visita di Bush non finisce il 9 giugno, visto che se lo ritroveranno come vicino di casa, piuttosto invadente: «Siamo qui contro il governo che non ci ha aiutato – spiega un pensionato 62enne – e a dire che se il progetto Dal Molin va avanti, ci buttiamo sotto le ruspe».

La seconda anima del corteo, molto meno numerosa, è un’anima più nera, quella che in molti chiamerebbero black block e che è fatta di giovani prevalentemente vestiti di scuro, con caschi sottobraccio e qualche mazza che spunta dagli zaini. Alle 16.45, siamo ancora alla Stazione Termini, si accende il primo fumogeno. Poi, le bombolette spray iniziano a lavorare, e le macchine dei fotografi a mimetizzarsi. Si accoda a loro un piccolo pullman che dice di rappresentare i “lavoratori migranti”: inneggiano alla «lotta che deve crescere nelle strade, nelle scuole, nelle fabbriche», una lotta contro i «banditi occidentali Bush, Prodi, Merkel e Sarkozy». C’è il Movimento di lotta per la Casa, che invece accusa «la sinistra di governo» di aver «lasciato solo il movimento».

La polizia si tiene a debita distanza, la linea è quella dei cordoni di sicurezza lontani decine e decine di metri dai manifestanti. Ma la beffa arriva al Colosseo: alle spalle dello schieramento delle forze dell’ordine sbucano un centinaio di persone che hanno raggiunto comodamente il corteo dalla stazione della metropolitana. «Abbiamo sfidato l’impossibile»: i manifestanti celebrano ad alta voce il loro “blitz” riuscito. «Era previsto», bofonchia un poliziotto, e non si capisce perché. Tanto previsto, a quanto pare, che dopo pochi minuti altri defender arrivano in soccorso. A sirene spiegate, sfidano contro mano una delle poche strade della capitale che la visita di Bush ha lasciato in pace.
Pubblicato il: 09.06.07
Modificato il: 09.06.07 alle ore 19.41
fonte:
http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=66653

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