"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

venerdì 8 febbraio 2008

Brasile, "Gioca, bambino di favelas". Il reportage della ragazza fotografa


Rio, favelas - foto del Washington Post
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Guardie e ladri. Gang e polizia. Fucili di legno e mitragliatori veri
Nelle strade e stradine di Rio de Janeiro tra la violenza finta e quella reale

Un ministro combatte in prima linea e una diciannovenne riprende il cambiamento


di MARCO MATHIEU / FOTO di DENISE ANDRADE


Bambini di favelas (foto Denise Andrade)

RIO DE JANEIRO - Ci sono venti gradi e altrettanti chilometri di differenza, tra l'ufficio al quarto piano dell'edificio governativo e le stradine in discesa della favela arrampicata sulla collina. Nell'ampia stanza del secretario de seguranca (equivalente del ministro dell'Interno) dello Stato di Rio, tra quadri alle pareti e vista sul confuso panorama architettonico del centro città, l'aria condizionata è al massimo. Sul vicolo del Morro da Pereira, stretto tra muri senza intonaco, picchia invece impietoso il sole che colora lo scorcio di Rio de Janeiro, laggiù in basso: Botafogo, Flamengo e una porzione di Copacabana, tutto dentro uno sguardo lungo fino all'oceano.


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In questi luoghi, due facce della stessa metropoli
e dei suoi problemi di urgente quotidianità, è ambientata una storia fatta di giochi e di violenza. Di bambini armati con fucili di legno e di mitragliatori che ammazzano per davvero. Una storia raccontata con numeri e analisi da José Mariano Benincà Beltrame, anni 50, responsabile della legge e dell'ordine capace di ridurre, per la prima volta, il ritmo omicida che scandisce il tempo nascosto dietro le immagini da cartolina per i turisti. La stessa storia interpretata dal manipolo di bambini che giocano alla guerra di fronte all'obiettivo di Denise Andrade, anni 19, al suo esordio in quella che spera diventi una carriera da fotoreporter. O almeno un lavoro.


DIGNITÀ E POLIZIA

"La mancanza di dignità nella vita di troppe persone, ecco quale è la vera emergenza di Rio", spiega il secretario con avi italiani ma nato nel sud del Brasile, che la sua carriera l'ha fatta tra i settori investigativi e di intelligence della polizia federale. "Purtroppo le persone sembrano aver perso la voglia di discutere le ragioni di questa condizione. Come se tutto potesse essere risolto con la sicurezza pubblica". Ovvero, 48mila effettivi, tra polizia militar e civil, in uno Stato da 43mila km quadrati abitato da quasi 15 milioni di persone. Una regione grande e popolata all'incirca come l'Olanda, se non fosse che qui le droghe sono illegali e risultano responsabili del 70 per cento degli omicidi, e quasi la metà della popolazione è concentrata nella capitale. Rio de Janeiro, appunto.


RIFLESSI DI TELEVISIONE

"Qui al Pereirao vivono parecchie migliaia di persone, ma non chiedermi quante, non lo so...", ride Denise, un metro e settanta di bellezza nera seduta sul muretto. Nessun censimento e nessun nome per i viottoli che scendono ripidi lungo lo spicchio della collina su cui è stato costruito l'insediamento. "So che i giovani sono la maggioranza. E i bambini sono tantissimi". Come Gabriel, Lucas, Jorginho e Diego, i due Matheus, ma anche Vanderlei, Dhara, Tuany, Mariane e Caroline. Poco più di un secolo tra tutti. "Un giorno li vidi in azione, dalla mia finestra. E li sentii. "Pim". "Pum". "Pam". Urlavano e correvano, si muovevano rapidi tra le case. Agguati e finte sparatorie. Giocavano a "guardie e ladri". Uscii immediatamente, con la macchina fotografica. Chiesi loro il permesso di scattare e da lì in poi fu come se facessi parte anch'io del gioco. Quando domandavo chi e perché sceglieva le "guardie" rispondevano: "I poliziotti hanno sempre i vestiti puliti e stirati e a casa li aspetta una moglie, una famiglia tranquilla"". E i banditi? "Dicevano che quelli hanno il potere e il rispetto della comunità". Riflessi di televisione. E di realtà.

Foto di Denise Andrade


LA FILASTROCCA DELLE GANG


"A Rio lo scontro non è tra banditi e polizia, quanto piuttosto tra le diverse gang", dice l'uomo stempiato alla scrivania, lo stesso che sorride dalla prima pagina di O Globo, sotto il titolo che annuncia il successo dell'operazione con cui è stato sventato un piano per liberare i boss del narcotraffico detenuti in un carcere di massima sicurezza. Cravatta regimental, occhiali con montatura sottile, in metallo. E voce ferma. A recitare quella che pare una filastrocca. "CV, TCP, ADA". Traduzione: Comando Vermelho, Terceiro Comando Puro, Amigos dos Amigos. "Sono le gang che si dividono il traffico di droga e che controllano il territorio. Che a Rio significa 700, ormai quasi 800 favelas, metà delle quali dominate militarmente ed economicamente". Beltrame usa il linguaggio della politica quando ammette "il profondo problema di esclusione sociale che è la vera causa di questa situazione", ma non dimentica il suo passato da poliziotto, lamentando "la carenza di organico che costringe i nostri uomini a turni massacranti e li espone costantemente al pericolo". Tace invece sulle gesta dei corpi speciali come il Bope (Batalhão de Operações Policiais Especiais) al centro di polemiche dopo il successo del film Tropa de Elite (2007) che racconta con crudo realismo una quotidianità di violenza e corruzione.

Il secretario si sistema sul divano
che occupa metà del suo ufficio ed esibisce le statistiche diventate vanto nazionale. "Lo scorso anno, per la prima volta, gli omicidi sono calati in tutto lo Stato, del 13 per cento". Ovvero, 4.530 morti ammazzati tra gennaio a ottobre, contro i 5.232 dello stesso periodo nel 2006. Numeri comunque "iracheni". "Ma questa è Rio, con il suo scenario sociale drammatico. E unico al mondo". Nonostante l'eccezione dell'estate scorsa, appunto, quando in occasione dei Giochi panamericani fu moltiplicato il numero degli agenti e gli atti criminali vennero drasticamente ridotti. "La prova che questa guerra si può vincere". Una guerra che lo Stato combatte innanzitutto nelle carceri. "Perché è dalle celle dove sono rinchiusi i boss che partono gli ordini di rivolte, stragi e omicidi", spiega l'uomo del "nuovo ordine" di Rio. "Abbiamo trasferito una dozzina di boss in supercarceri di altri Stati brasiliani, a migliaia di chilometri di distanza, limitando così la loro influenza e il numero di crimini".


BALAS PERDIDAS

"È da tanto che la polizia non entra qui", si fa seria Denise, aggiustandosi la spallina del top giallo che indossa sopra i jeans tagliati al ginocchio. "Hanno modi che offendono le persone, chiedono, spingono, urlano. Quando arrivano tutti si chiudono in casa. Anche chi è fuori a giocare a pallone, chi se ne sta tranquillo a chiacchierare per strada, si affretta a rientrare". Eppure questa non è la Mangueira, dove le vittime delle balas perdidas (pallottole vaganti) si contano quotidianamente. No, spiega la giovane fotografa, "il Morro da Pereira è una comunità tranquilla. So che la droga c'è, ma non so da dove arriva, è un circolo chiuso e io ne sto alla larga. Mi piace il baile funky e mi è capitato di andare in altre favelas, ma non faccio un passo se non conosco qualcuno". Uno sguardo in giro, Denise ricambia i saluti della signora che passa e ignora il commento dei due ragazzi seduti sul terrazzo malconcio della casa di fronte. Poi un sorriso più vecchio della sua età le illumina il viso. "Ognuno difenda la sua comunità. E io sento di appartenere a questo luogo, a questa gente. Vogliamo soltanto vivere in pace".


ITALIA-BRASILE


"Non credete alla pace dichiarata dagli abitanti delle favelas. Questa non è pace per me. Laddove non esiste possibilità di denunciare violenze e soprusi. Intere porzioni della città sono controllate dal narcotraffico. La pace in quei luoghi è una mentira". Bugia. Menzogna. La risposta del secretario è lapidaria, nella stanza risuona ormai soltanto il condizionatore. Rimane il tempo per chiedergli del futuro. Che in qualche modo, passa dall'Italia. "Sì, c'è un accordo tra la nostra e la vostra polizia. Noi abbiamo bisogno di tecnologia, di organizzazione informatica per combattere contro le gang. E l'Italia ci chiede aiuto per debellare il traffico di esseri umani destinati alla prostituzione. L'operatività della collaborazione è imminente". Come il prossimo impegno di Beltrame. Saluti, allora. E auguri, perché la conta impazzita degli omicidi rallenti ancora.


JORGINHO E IL COLLETTO ALZATO


Venti chilometri e altrettanti gradi
più lontano, il sorriso di Denise si allarga alla vista di due dei bambini che giocano a "guardie e ladri" in queste pagine. "Quando iniziai a uscire con la macchina fotografica al collo la gente mi chiedeva cosa facessi, fu un modo per avviare relazioni con loro, diventammo amici, alcuni volevano essere fotografati. Ora c'è rispetto reciproco. Voglio diventare una fotografa professionista, è il mio sogno. Intanto però studio scienze della comunicazione e faccio un corso di inglese". Altri saluti, incroci di sguardi e facce che camminano nel caldo torrido del pomeriggio, accanto al muretto. "Nel gioco i bambini del Pereirao riescono a trasmettere molte cose della realtà di questa comunità. O favela, come la chiamate voi. Io non ho creato nulla, ho visto, vissuto e scattato". Passa un bambino, Denise saluta il suo piccolo incedere fiero. "È Jorginho, nel gioco lui era il capo, teneva il colletto della camicia sempre alzato. Non poteva morire. E decideva chi doveva vivere".

(Foto dell'agenzia Olhares)

(8 febbraio 2008)

fonte: http://www.repubblica.it/2008/02/sezioni/esteri/bambini-di-favelas/bambini-di-favelas/bambini-di-favelas.html

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