Al vice di Bassolino un milione l'anno. “Più durava l'emergenza più si guadagnava". Parole della Procura di Napoli. Mentre la Commissione europea apre un'altra procedura di infrazione contro l'Italia, si viene a sapere che l'emergenza stata l'occasione per far guadagnare cifre spropositate a chi lavorava al commissariato straordinario. L’emergenza rifiuti? Una vera e propria gallina dalle uova d’oro. Questa la tesi della Procura di Napoli. Durante la gestione Bassolino, i subcommissari hanno ricevuto compensi pari anche a 95 mila euro al mese e non c'era quindi alcun interesse a risolvere la situazione. Secondo Noviello e Forleo, il subcommissario Vanoli, il vice del governatore della Campania, percepiva un milione e cinquantamila euro all'anno, i subcommissari Paolucci e Facchi, compensi tra gli ottocento e i novecentomila euro. Sempre il Corriere riferisce che la stessa situazione si sarebbe verificata anche quando commissario era il prefetto Corrado Catenacci, che in una intercettazione telefonica allegata agli atti e sintomatica della situazione che si era venuta a creare, si lamentava con l'interlocutore perché doveva "accontentarsi" di appena cinquemila euro al mese, mentre due tecnici intascavano cifre pari a un miliardo di lire all'anno. Con compensi così alti, sostiene |
Mentre i supercommissari ricevevano superstipendi, la crisi si aggravava con il rischio concreto, oggi, di costare all'Italia pesanti sanzioni dall'Ue, che ha appena avviato una nuova procedura di infrazione per le troppe discariche abusive in tutto il Paese.
Un altro duro colpo per il futuro politico di Bassolino, dopo che ieri il presidente della
SPAZIOSTAMPA - 06 febbraio 2008
fonte: http://www.spaziostampa.it/POLITICA_/notizie.asp?id=418
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Rifiuti, storia di un grande imbroglio
di Enrico Fierro
«Ma come mai ti è venuto in mente di togliere questa grana a Bassolino? Qui non stiamo mai tranquilli, abbiamo sul collo tutti, la Direzione antimafia, la Finanza. Tutti». È il 23 marzo del 2005. Il prefetto Corrado Catenacci (uno degli otto commissari straordinari all´emergenza rifiuti in Campania) si sfoga così al telefono con un alto funzionario della Protezione civile. Le cose vanno male, malissimo. Siamo a tre anni fa, ma la tragedia è già nell´aria. Gli impianti chiusi, dei due termovalorizzartori solo uno è in costruzione ma ci vorranno almeno quattro anni ancora perché riesca a bruciare rifiuti, le discariche sono colme come uova marce. Come se non bastasse un suo viceprefetto è finito nei guai. Dice che parlava troppo dei segreti dell´ufficio con ditte in odore. Lo scenario che si profila è da fare tremare le vene ai polsi: Napoli e la Campania sommerse di monnezza, la gente in rivolta, con i cortei e i blocchi stradali di chi non vuole i rifiuti per strada ma neppure la discarica o il termovalorizzatore sotto casa. E una inchiesta giudiziaria che va avanti. Silenziosa ma impietosa. I telefoni degli uffici sono sotto controllo, quintali di documenti - quelli che si riescono a trovare - sono stati sequestrati, qualcuno è già finito in galera. Si tratta di pesci piccoli, i magistrati della procura puntano in alto.
A tutti i commissari, i vice commissari, i subcommissari, i consulenti, gli imprenditori e i loro subappaltatori che in 14 anni, hanno sperperato soldi per 2 miliardi di euro. Ingrassato clientele politiche e personali, favorito la Camorra Spa, inquinato il territorio, ridotta a brandelli l´immagine di Napoli e della Campania. Una platea vastissima che è responsabile dello scempio più odioso: aver consegnato ad un gruppo imprenditoriale del Nord il più grande affare degli ultimi anni. È l´Impregilo della famiglia Romiti, che in Campania è diventata padrona assoluta del territorio, piegando ai suoi interessi leggi, norme e regole.La storia della monnezza è uguale a quella del dopo terremoto. Riassunta con brutale efficacia da Giulio Facchi, ex assessore verde alla provincia di Milano negli anni Novanta e subcommissario all´emergenza rifiuti in Campania per volontà di Edo Ronchi. «Abbiamo messo i destini della Campania e i coglioni di Bassolino nelle mani di Romiti e di Impregilo».
È andata esattamente così. L´Impregilo e le sue imprese Fibe e Fisia, alla fine degli anni Novanta vincono la gara d´appalto per la gestione dell´intero ciclo dei rifiuti. Un business da capogiro: 83 lire per ogni chilo di rifiuto raccolto in tutta la Campania, più 290 lire per ogni Kw di energia ricavata dalla loro combustione. Si occupano di monnezza e ci guadagnano, ma non pagano tasse. Neppure l´Ecotassa. Quando il 10 giugno del 2003 i pubblici ministeri della procura di Napoli chiedono lumi a Luigi Anzalone - ex Pci-Pds, ora Pd - Assessore regionale al Bilancio della prima giunta Bassolino, rimangono sbigottiti. «Non conosco Fibe, non ne so nulla». «La Fibe non ha mai pagato tale tassa non essendo obbligata», risponde l´ingegner Cattaneo, amministratore delegato dell´azienda. Il presidente della Commissione ambiente del Senato, Tommaso Sodano di Rifondazione comunista, il 30 maggio 2005 racconta un´altra storia al sostituto Giuseppe Noviello. Riferisce di un accordo tra Commissariato e imprese dei Romiti per modificare alcune clausole contrattuali a loro favore. Il patto è che Fibe e Fisia rinuncino ad una "riserva". Soldi, milioni di sonanti euro. «Mentre nel primo atto del 24 giugno 2003 risultano riserve per un ammontare di circa 109 milioni di euro (la cifra è scritta anche a lettere), nel successivo atto del 23 settembre 2003, la somma perde lo zero posto tra il numero 1 e il 9, nonché la specificazione a lettere». Risultato: «L´ammontare al quale Fibe rinuncia passa ad una ben più modesta somma di circa 19 milioni di euro. Sul punto ha reso dichiarazioni Stefano Cassella, rappresentante della banca West LB Ag, il quale ha precisato che per il suo istituto la somma effettivamente rinunziata è quella di circa 19 milioni di euro». Tutto agli atti della Commissione parlamentare d´inchiesta sul ciclo dei rifiuti. E´ uno dei tanti "miracoli napoletani" sulla monnezza.
La bufera su Bassolino
Bastava anche solo questo per scatenare una inchiesta giudiziaria. Ma c´era altro, evidentemente, tanto altro. Tre anni di indagine, migliaia di atti sequestrati, ore di interrogatori e di intercettazioni telefoniche. Un lavoro immane condotto dai pubblici ministeri Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo, che zittisce quanti in questi giorni di emergenza rifiuti hanno incautamente parlato di "inerzia" della Procura napoletana. E alla fine, il 31 luglio del 2007, la richiesta di rinvio a giudizio per Antonio Bassolino, Piergiorgio e Paolo Romiti, Armando Cattaneo, amministratore delegato Fibe, Raffaele Vanoli e Giulio Facchi - vicecommissario e subcommissario -, e di una schiera di tecnici e collaboratori del Commissariato, tra questi Giuseppe Sorace e Claudio De Biase. Per le aziende dei Romiti il ciclone era già arrivato a giugno, con un durissimo provvedimento del Tribunale di Napoli firmato dal gip Rosanna Saraceno: divieto di trattare con la pubblica amministrazione per le attività di smaltimento dei rifiuti e loro utilizzo per fini energetici e sequestro di 753 milioni di euro.
«Fibe, Fisia e Impregilo - scrivono i magistrati - erano consapevoli fin dall´inizio che lo smaltimento dei rifiuti non poteva funzionare, ma hanno fatto di tutto per nascondere tale situazione». Un raggiro reso possibile dalla connivenza di chi doveva controllare e non lo ha fatto. «Ma come è possibile - si chiedono i giudici napoletani - che una azienda così importante venga a fare a Napoli un contratto ben sapendo di non poterlo rispettare e comportandosi invece come certi truffatorelli che nascondono le proprie malefatte?». Tutti sapevano, aggiunge il procuratore capo Giandomenico Lepore in una intervista al "Mattino". «Nel 2000 quando iniziò questa storia, già si sapeva che gli impianti non sarebbero stati in grado di risolvere l´emergenza. Eppure tutti tacquero: comprese le banche che finanziarono Impregilo pur sapendo che le opere non si sarebbero realizzate».
Sette i capi di imputazione per il governatore della Campania, commissario straordinario dal 2000 al 2004. La frode in pubbliche forniture per «non aver impedito» e addirittura «consentito e realizzato la perpetua violazione» delle clausole e degli obblighi contrattuali stabiliti con Impregilo. E poi il «concorso in truffa aggravata ai danni dello Stato» per non aver impedito che i fratelli Romiti aggirassero norme e leggi con artifizi e raggiri. Insomma, Bassolino - nella sua funzione di Commissario straordinario - non avrebbe mai contestato ai Romiti le violazioni del contratto favorendoli, concorrendo così anche all´interruzione di un pubblico servizio e alla violazione delle normative in materia di tutela dell´ambiente.
Un terremoto che scuote la politica napoletana, fa implodere il centrosinistra, proietta ombre inquietanti sull´uomo che da quindici anni è il protagonista assoluto della politica in Campania. «Orgoglio e maledizione», dicono a Napoli. L´uomo che nel 1993 conquista una città piegata da anni di dominio di viceré che si chiamano Gava, De Lorenzo, Pomicino, mortificata da Tangentopoli e minacciata da una camorra che aspira diventare come Cosa Nostra. Dalla bancarotta del Comune all´illusione del rinascimento napoletano. Tutto seppellito sotto tonnellate di rifiuti. Bassolino si difende: «Le accuse che mi vengono rivolte sono ingiuste e non hanno fondamento nella realtà». Lui non ha mai favorito Romiti e le sue aziende. E poi quella gara d´appalto.
«Bassolino - dicono i suoi legali - non ha mai partecipato alla preselezione, né alla stesura delle norme della gara d´appalto e di capitolato, non ha partecipato alla nomina della commissione, meno che mai alla scelta dell´impresa vincitrice. È subentrato ai suoi predecessori con l´unico ruolo formale e di rappresentanza esterna di firmare un contratto le cui clausole erano ben definite e specificate in tutti gli atti di gara». Ma se quel contratto era fin dall´inizio sbagliato, e proprio nei punti più delicati, perché Bassolino non lo ha cancellato? «Le ordinanze di Bassolino per evitare la rescissione del contratto, tutte legittime - è la tesi della difesa - erano totalmente giustificate dalla situazione di emergenza. E poi, non dimentichiamo che per rescindere il contratto con la Fibe e i Romiti è stato necessario un provvedimento legislativo ad hoc, un decreto legge del 2005».
Interrogato dai pm il 23 aprile del 2004, il governatore afferma che il suo incarico al Commissariato era politico, non tecnico. Erano i suoi collaboratori a portargli le ordinanze da firmare, lui le firmava, ma raramente le leggeva. Si fidava dei subcommissari come Paolucci e Vanoli. Ma è proprio Massimo Paolucci a fornire ai pm una versione diversa: «Bassolino sapeva tutto sui rifiuti, lo informavo puntualmente e personalmente sulle problematiche dell´Ati (l´associazione temporanea di imprese, Fibe e Fisia di Impregilo, vincitrice della gara, ndr)». Massimo Paolucci è uno dei tanti ex "delfini" di Bassolino. Funzionario della federazione Pci di via dei Fiorentini (si occupava di diffusione dell´Unità e di amministrazione), nel 1993 viene eletto consigliere comunale, nel 2000, ultima giunta Bassolino, diventa assessore alla nettezza urbana. Ed è forse per questa sua esperienza che quando Bassolino viene nominato commissario ai rifiuti, viene chiamato a collaborare con la carica di vicecommissario vicario. Nonostante un avviso di garanzia. Si tratta della vicenda delle presunte irregolarità nella demolizione delle auto custodite negli autoparchi comunali. Ne uscirà assolto il 6 febbraio 2007. Vice commissario vicario, un gradino sotto Bassolino, un gradino sopra il professor Raffaele Vanoli. Paolucci esercita un potere enorme ma non ha potere di firma, sceglie, coordina, detta direttive, ma non mette mai nero su bianco. Oggi è in rotta di collisione col governatore, eletto con una barca di voti al Consiglio comunale alle scorse elezioni, è nella segreteria regionale del Pd. Veltroniano ma non di fede bassoliniana.
Pubblicato il: 18.01.08
Modificato il: 20.01.08 alle ore 16.35
fonte: http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=72216
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