"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

martedì 5 febbraio 2008

Dopo il Darfur, adesso sprofonda anche il Ciad





05-02-2008

La crisi attira l’attenzione del mondo: la guerra locale può espandersi a tutta l’area

Il presidente minaccia il Sudan. I Francesi non intervengono, l’Ue aspetta, la Libia pronta per la mischia


di Giorgio Bastiani

L’attenzione del mondo si è spostata verso il Ciad. Un paese dell’Africa sub-sahariana in cui si è aperta la quarta grande crisi del continente nero, dopo quella nel Darfur, quella in Somalia e la più recente nel Kenya. Il Ciad risente della guerra civile (e del genocidio) del Darfur. Le sue regioni orientali ospitano 250.000 profughi. In più il paese, come tante altre realtà della regione, è da sempre diviso etnicamente, con un Nord sharaiano prevalentemente “bianco” e un Sud nero, proprio come nel Sudan. Diciotto anni di governo del presidente/dittatore Idriss Deby (giunto al potere con un golpe e poi riconfermato alle urne per tre volte con elezioni fortemente sospette di brogli) hanno aiutato a mantenere una traballante stabilità nel paese. Ma la crisi nel vicino Darfur l’ha fatta saltare. Tra Khartoum e N’Djamena, infatti, non scorre buon sangue. Il regime islamico del Sudan accusa il vicino Ciad di non limitarsi all’ospitalità dei profughi, ma di fornire i santuari ai ribelli armati del Darfur. Il regime militare del Ciad, a sua volta, teme che il Sudan esporti la rivoluzione islamica entro i suoi confini, alleandosi con le popolazioni del Nord-Est del paese. Quando i primi contingenti della forza Eufor (una forza di peacekeeping europea il cui compito principale è la protezione dei profughi) hanno iniziato a sbarcare uomini e materiali a N’Djamena e ad Abeche, il capoluogo delle regioni orientali, i tre principali gruppi di opposizione hanno accusato il loro arrivo come un sostegno europeo al presidente Deby.

Sono arrivati fino alla capitale, ma lì sono stati sconfitti. Pare si sia trattato di una strategia adottata deliberatamente dal presidente Deby, per poter affrontare il nemico su un terreno a lui più favorevole. Non ci sono ancora dati precisi sul numero dei caduti. E si teme per l’incolumità dei cittadini stranieri. Circa 600 sono stati fatti evacuare dai francesi, che nel Ciad mantengono una forza stabile di 1600 militari della Missione Sparviero. Non si hanno notizie di un sacerdote di Piombino, Francesco Guarguaglini e di tre missionari trentini, Carlo Crepaz, Guido Piva e Maurizio Toldo. La crisi nel Ciad preoccupa fortemente i governi europei, in primo luogo perché può mettere seriamente a rischio la missione Eufor. Javier Solana, l’Alto Rappresentante per la politica estera e di difesa europea, ha dichiarato ieri che “La situazione non è chiara, ma noi vogliamo che l’operazione (Eufor, ndr) resti in piedi”. Tuttavia per l’invio dei previsti 3700 militari, Solana vuole attendere: “Dovremo vedere come si evolve la situazione sul terreno”. Il problema di Eufor è che si tratta di una forza neutrale, che non può essere coinvolta in alcun modo in uno scontro interno al Ciad.

Diversa è la posizione dei francesi. Tra Parigi e N’Djamena esistono accordi militari, come ha ricordato ieri il ministro della Difesa Harvé Morin, ma essi prevedono solo un sostegno logistico e sanitario. La politica estera di Bernard Kouchner, incentrata com’è sulla difesa dei diritti umani, non può permettersi l’appoggio ad una dittatura militare. E per questo Parigi non scende in campo al fianco di Deby. “La Francia può intervenire soltanto nel quadro di un preciso accordo, come un accordo di difesa” - ha dichiarato ieri Morin - “o nell’ambito di un mandato che le verrebbe affidato dall’Onu per assicurare l’integrità del Ciad e del legittimo governo”. La guerra in Ciad, piuttosto, può estendersi ad altre nazioni confinanti. Il Sudan è già direttamente coinvolto. Deby ha accusato il regime di Khartoum di essere alle spalle della rivolta e ha inviato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, una lettera in cui afferma il suo diritto all’autodifesa “con tutti i mezzi possibili e, se necessario, anche in territorio sudanese”. La Libia, che guida la missione dell’Unione Africana in Darfur e si presenta ancora come la nazione leader dell’Africa, potrebbe intervenire di nuovo nel Ciad, questa volta contro il regime islamico di Khartoum.


fonte: http://www.opinione.it/pages.php?dir=naz&act=art&edi=24&id_art=1004&aa=2008

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Ciad - bambini in una scuola cattolica

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il manifesto del 03 Febbraio 2008


Parigi e l'Ue alla prova del ginepraio ciadiano

L'Unione europea doveva mandare in Ciad una forza di interposizione fortemente voluta da Parigi per proteggere i profughi dell'est. I ribelli hanno fatto prima, lasciando Bruxelles nell'imbarazzo


di Irene Panozzo

Situazione spinosa quella che Parigi ha vissuto ieri. Mentre i ribelli ciadiani riuniti sotto il Comando militare unificato entravano a N'djamena e in circa tre ore ne prendevano il controllo, mettendo in serissimo rischio il regime del presidente Idriss Déby Itno, la Francia doveva decidere cosa fare: dare ordine ai più di mille militari francesi di stanza in Ciad di intervenire per difendere il regime oppure rimanere a guardare, utilizzando l'esercito e i suoi mezzi per evacuare i cittadini francesi ma evitando di prendere parte allo scontro con i ribelli? Una scelta difficile, in cui la seconda opzione sembra aver avuto la meglio. Secondo fonti di stampa l'esercito francese avrebbe fornito al governo ciadiano notizie di intelligence, ma di fatto lasciando che gli eventi facessero il loro corso.

Ed è questa forse la vera novità. Il regime di Idriss Déby, al potere a N'djamena dal 1990, dava chiari segni di vecchiaia e di cedimento già da molto tempo. Ma la scelta di non intervenire in sua difesa non è stata dettata solo dalla decisione di risparmiare al paese questo ulteriore «accanimento terapeutico». In fondo due anni fa, nell'aprile 2006, quando a una settimana dalle elezioni presidenziali i ribelli erano già entrati nella capitale, Parigi non aveva esitato a seguire la migliore tradizione della Françafrique utilizzando i suoi Mirage F1 per lanciare bombe sui ribelli.
Rispetto al 2006 però qualcosa è cambiato. Non tanto in Ciad, dove Déby è rimasto al potere senza cambiare nulla nel suo regime e la ribellione, basata soprattutto nell'est del paese, al confine con il Sudan, ha continuato a operare. Le cose sono cambiate in Francia e, di riflesso, in Europa. L'estate scorsa a Parigi è cambiato il presidente della repubblica. Non appena arrivato all'Eliseo, Nicolas Sarkozy ha subito preso un'iniziativa apparentemente in controtendenza rispetto alla politica africana dei suoi predecessori. Per bocca del ministro degli esteri Bernard Kouchner, infatti, la nuova amministrazione francese ha proposto lo scorso giugno di inviare nell'est del Ciad e nel nord-est della vicina Repubblica Centrafricana una missione di pace europea, a pattugliare i confini con il Darfur sudanese e a garantire la sicurezza dei campi profughi nati negli ultimi anni a ridosso della frontiera. Un modo di intervenire, stando alle intenzioni dichiarate da Sarkozy e dai suoi, in ambito multilaterale e badando innanzitutto alla tutela dei diritti umani, invece che agendo in base ad accordi di difesa bilaterali a sostegno di governo in molti casi impresentabili.

La proposta francese è piaciuta a Bruxelles e ai governi degli Stati membri, come è riuscita gradita al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite. È così nata l'Eufor Ciad-Rca: 3700 uomini, di cui tra i 2000 e i 2100 francesi e il resto forniti da Irlanda, Italia, Polonia, Austria e via elencando. Una missione di dodici mesi che, dopo vari rinvii dovuti alle difficili condizioni politiche dell'est del Ciad, ha ottenuto la luce verde lo scorso 28 gennaio. Tra giovedì sera e venerdì mattina i primi tre aerei con militari irlandesi e austriaci sarebbero dovuti atterrare a N'djamena. Invece non sono mai partiti, perché i ribelli sono stati più veloci. E in pochi giorni hanno attraversato i circa 700 km che ci sono tra la capitale e la regione orientale entrando ieri a N'djamena.

Una tempistica molto accorta, che ha costretto l'Europa a ritardare l'invio dei soldati e che ha messo la Francia di fronte a una scelta difficile. Perché Parigi non solo ha proposto, voluto e, fornendo uomini e mezzi, ha garantito la fattibilità dell'Eufor, una forza che si vorrebbe neutrale. Ma dal 1986 è presente in Ciad con l'operazione «Epervier» (Sparviero), nata per difendere il regime di Hissène Habré dalla mire espansionistiche della Libia e poi rimasta in vigore per aiutare, all'occorrenza anche intervenendo direttamente, Idriss Déby. Una forza quindi tutt'altro che neutrale, composta da mille uomini e da un'importante forza aerea che comprende squadriglie di Mirage F1, aerei ed elicotteri da trasporto, approvvigionamento e ricognizione.
La rapida avanzata dei ribelli ciadiani a messo a nudo la contraddizione. L'esercito regolare, da molto tempo ormai sfilacciato e allo sbando, avrebbe potuto opporre resistenza solo con il sostegno, concreto, della Francia. Ma se Parigi avesse optato per questa soluzione, si sarebbe schierata una volta di più, e indiscutibilmente, dalla parte di Dèby e contro i ribelli. Le cui basi sono in quella stessa regione orientale in cui l'Eufor, composta in prevalenza da militari francesi che indossano la stessa divisa dei loro commilitoni dell'«Epervier», dovrebbe operare. E i ribelli hanno già annunciato più volte che considereranno come «forza nemica» qualsiasi forza straniera che prenderà le parti del governo. Anche se presente in Ciad in virtù di un'operazione di peacekeeping.

*Lettera22


fonte: http://www.ilmanifesto.it/argomenti-settimana/articolo_90077cb4c76fe87bdd06279e239fc42f.html

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1 commento:

Franca ha detto...

Africa terra senza pace...