di Alessia Grossi
«Diversamente ancora oggi noi aspetteremo nostro padre». Quando «le (maschili) autorità alleate vorrebbero affrettarsi ad erigere un monumento sul luogo delle Fosse Ardeatine, le donne, quelle in prima fila, quelle legate alla resistenza esigono l'identificazione «uno per uno», «corpo per corpo» e si mettono in cerca di qualsiasi indizio la consenta: ancora agendine, orologi, il bastone da passeggio, il rammendo su una giacca - e la ciocca di capelli, le mani callose o morbide, una protesi». Diversamente, appunto, ancora oggi quelle donne starebbero aspettando il proprio padre, scrive la storica Anna Bravo in La Memoria della politica (Ediesse, 2007). Un volume di saggi di storiche e storici che riprende analizza e narra le memorie, le biografie degli uomini e delle donne "che si sono impegnati" nell'arco di tempo che corre tra gli anni '20 e il 1956. Il lucido intento del volume, dunque è del tutto simile a quello delle donne delle Fosse Ardeatine. Ricacciare, cioè, dalla prima fila omogenea della grande storia i "rammendi" personali degli uomini e delle donne che l'hanno fatta.
Così La memoria della politica, curata dalle storiche Fiamma Lusanna e Lucia Motti ricompone molti pezzi del puzzle dell'impegno politico e privato, passando dall' analisi dei grandi temi comuni, alla ricerca dei soggetti collettivi e si conclude con le peculiarità dei percorsi individuali. Ventisei piccole memorie illuminano le grandi ombre della storia di quegli anni e ne esce la testimonianza di un impegno che quasi sempre entra bruscamente nella sfera del privato, lo sconvolge, lo trascina nel baratro collettivo. Ed è attraverso queste esperienze che spesso significano sacrificio del sé in nome di un'ideologia collettiva («comunismo come religione» scrive Emma Fattorini nel suo saggio «Dalle tristi alle tranquille passioni») tratte dall'autorappresentazione di chi ha agito, che il libro riannoda quel impegnativo «passato che non passa» a questo presente di «tristi passioni».
Le storie
E allora troviamo «lo sprofondamento dell'individuo nel collettivo», quel «contagio totalitario» dell'ideologia cui neanche «l'essere donna offre di per sé riparo» quando Anna Bravo nel suo saggio ci presenta Iside Viana, «pericolosa sovversiva» condannata nel 1928 a quattro anni di carcere. Lei, una umile militante del Pci figlia di una casalinga e di un muratore si lascerà morire di fame e di sete in galera per essere stata isolata dalle compagne che la vogliono una traditrice. È il sentimento opposto a quel desiderio di singolarità delle donne delle Fosse Ardeatine, che esigono il lutto privato.
Ma c'è donna e donna, c'è militanza e militanza. Ben diversa da quella di Iside è la biografia dell'impegno di Marina- Xeniuska Sereni, moglie del dirigente del Pci Emilio Sereni. Quella di Marina è una di quelle vicende «il cui rango dei protagonisti si intreccia alla radicalità dei comportamenti conferendo loro un marchio di esemplarità» spiega Anna Bravo. Insomma quando Marina Sereni nel 1937 scrive alla madre russa «non mi scriverai, non ti scriverò» perché «su di me ci sono dei più (dei dati positivi) ma anche dei meno», sulla sua militanza è evidente che pesa il ruolo di moglie di un dirigente oltre a quello di attivista. Come è evidente sono queste memorie esemplari o fuori dal coro più che la grande storia a marcare le differenze.
E quelle raccolte nel volume, frutto di un convegno tenutosi tre anni fa a Roma, sono memorie di donne per cui la militanza è legata all'emancipazione femminile, ma anche memorie di donne umili. E sono anche biografie di uomini, partigiani o intellettuali - si veda il saggio su Piero Gobetti di Ersilia Alessandrone Perona. Per questo La memoria politica è «un'opera aperta» come nella definizione di Giuseppe Vacca, Presidente della Fondazione Istituto Antonio Gramsci che ha patrocinato il convegno. Un'opera aperta che lascia entrare tutti i possibili interrogativi che ogni riassetto della memoria attraverso singole storie inevitabilmente stimola. Una narrazione in cui «emergono nodi storiografici importanti» spiega Lucia Motti, ma in cui «è presente inevitabilmente una carica soggettiva non indifferente, perché - dice - per me la storia è comunque una narrazione con una forte carica soggettiva».
Confronti
Ed è questo carico di memorie soggettive che fa fioccare interrogativi durante la presentazione del volume. «In cosa si è trasformata quella spinta che motivava soggettivamente alla militanza» come si chiede la storica Emma Fattorini nel primo saggio della raccolta. O, per dirla con Vacca: «Come si è finiti da tanto impegno a diventare «mucillagine»? Insomma alla presentazione di La memoria della politica, inevitabile nasce il confronto tra quel tempo dell'impegno e questo del disinteresse. E a questi interrogativi il libro risponde venendo «a patti con il passato». Ma se «fare qualcosa per il passato significa di più che riscrivere correttamente un resoconto» come nella citazione di Cohen della Fattorini, forse rileggere le memorie di coloro che si sono impegnati al punto da creare una «gerarchia instabile» tra pubblico e privato, potrebbe spiegarci che proprio quella gerarchia instabile ha portato alla «rimozione» di «quella eredità di cui oggi una generazione sembra vergognarsi, per ostentare il disinganno più disinvolto» per dirla con la Fattorini.
Pubblicato il: 07.02.08
Modificato il: 07.02.08 alle ore 12.02
fonte: http://www.unita.it/view.asp?idContent=72724
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