"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

venerdì 24 agosto 2007

ANNI SESSANTA: LA GRANDE OSSESSIONE DEL CAMBIAMENTO



di FRANCO CASSANO

Nessuna generazione ha uguagliato il protagonismo di quella degli anni Sessanta, la sua voglia di prendere la parola e di giudicare il mondo. I giovani di quegli anni si sentirono profeti e protagonisti di un passaggio straordinario, il mutamento non lo lessero sui libri di scuola, ma furono loro ad annunziarlo: The times they are A-changin’, cantava Bob Dylan.

Ogni generazione è segnata
in modo indelebile, ricorda Mannheim, dalle sue “prime impressioni”, che tendono a fissarsi come la sua concezione naturale del mondo, che rimane “viva e determinante”, anche quando tutto il corso posteriore della vita dovessecontraddirla. Ebbene, i primi anni Sessanta sono quelli in cui tante trasformazioni sembrano formulare una grande promessa. Il tramonto del colonialismo e della guerra fredda apre la prospettiva di un mondo molto diverso da quello della prima metà del secolo, aperto e pacifico, lontano dalla scarsità e dalla paura. L’orizzonte si allarga e c’è più luce: tutta la vita sembra abbandonare la fredda austerità del bianco e nero per tuffarsi nella gioiosa sensualità del colore.

Proprio perché è molto cambiato, il mondo sembra poter cambiare ancora: la parola “nuovo” in quegli anni non è ancora colonizzata dalle filosofie aziendali dell’innovazione ed ha una grande forza evocativa. A questo cambiamento contribuisce lo sviluppo di un capitalismo che, beffando le prognosi staliniane che lo condannavano alla stagnazione, è cresciuto vorticosamente ed ha trasformato in profondità, addolcendola, la vita quotidiana di grandi masse.

L’espansione dei consumi e dell’industria culturale incoraggia l’espressione dei desideri e delle aspirazioni ed erode il primato dell’etica della prestazione e del lavoro. A qualcuno questa trasformazione fa paura. Daniel Bell, che proprio in quegli anni ispira la nascita dei neo-conservatori americani, denuncia questa trasformazione come il passaggio “dall’etica protestante al bazar psichedelico”. È una diagnosi pessimista e riduttiva.

Quelli sono
anche gli anni “keynesiani”, in cui l’onnipotenza del mercato è contrastata dall’espansione del Welfare State e i diritti di cittadinanza si espandono. Certo, nella rivendicazione di una libertà integrale c’è il pericolo che il no rimanga da solo: il titanismo è il rovescio del protagonismo e il sogno di affrancarsi da ogni limite spesso precipita nel vuoto. Ma quei giovani sono anche appassionati ai temi collettivi, la libertà di cui parlano non va
mai da sola, e ai no si accompagnano molti sì: il famoso slogan “fate l’amore e non la guerra” non era un invito a disinteressarsi del mondo, ma a cambiarlo radicalmente. La liberazione individuale e quella collettiva si limitano e si arricchiscono a vicenda.

E, proprio perché si è convinti che da soli non ci si può salvare, s’incrina la mitologia del successo.
Coloro che una volta erano disprezzati, i losere gli indiani, diventano i nuovi eroi: c’è più dignità in un uomo da marciapiede che nelle medaglie del dottor Stranamore.
Ma questa imperiosa e splendida libertà, che vuole cambiare il mondo, produce anche molte paure.

In una scena famosa di Easy Rider, cult movie di quegli anni, uno dei protagonisti si chiede perché lui e il suo amico, che stanno attraversando l’America in moto, si siano imbattuti ovunque
nella sorda ostilità degli abitanti. A questa domanda l’avvocato Hanson (Jack Nicholson) dà una risposta che merita di essere ricordata: «Essi non hanno paura di voi, ma di ciò che rappresentate. E quello che voi rappresentate è la libertà. Parlare di libertà ed essere liberi sono due cose diverse, perché è difficile essere liberi quando ti comprano e ti vendono al mercato. Tutti parlano della libertà, ma quando vedono un individuo veramente libero hanno paura».

Il cambiamento ha infatti molti nemici, ed alcuni di essi giocano in modo pesante. Un’immagine soltanto solare di quegli anni sarebbe unilaterale, perché essi sono anche quelli in cui vengono assassinate, una dopo l’altra, quasi tutte le diverse espressioni del cambiamento: Patrice Lumumba, John Kennedy, Malcom X, “Che” Guevara, Martin Luther King, Bob Kennedy. In un mondo in subbuglio i nemici del cambiamento non stanno guardare. E non abitano solo ad ovest, perché tra essi occorre mettere, con un posto d’onore, la Russia Sovietica, la cui miserabile risposta al ’68 è stata l’occupazione di Praga.

Quel movimento non fu quindi soffocato, come oggi fa comodo pensare, solo dai suoi limiti che pure furono grandi, ma anche dall’ottusità repressiva del mondo che aveva sfidato.
Con effetti di lungo periodo: quando la prospettiva di una trasformazione collettiva s’inabissa, sopravvivono solo le schegge impazzite del terrorismo e i cambiamenti compatibili con il nuovo potere.

Le opzioni febbrili e brucianti di quegli anni si trasformano in target specializzati del mercato e il nuovo vangelo della competizione individualizza l’anima e i sogni. Tutto l’orizzonte si privatizza, offrendo come unica possibilità di cambiamento l’ascesa individuale ed il successo: i loser non vanno più di moda e il personaggio più ricercato è oggi il winner, colui che si salva da solo.

La libertà di oggi è più debole perché ha smesso di giocare con quella di tutti ed è consumata da un individualismo che la rende incapace di affiancare ai suoi tanti no alcuni sì altrettanto forti e precisi, non sa promettere e non sa legarsi.
Ecco perché lascia spazi immensi al ritorno aggressivo delle Chiese.

I FILM


IL LAUREATO
Anticipando il ribellismo che stava per esplodere nelle giovani generazioni americane, il film ha come protagonista Benjamin (un Dustin Hoffman ancora semisconosciuto) che intraprende una relazione con la borghese Signora Robinson ma si innamora di sua figlia Elaine.
Celebre la colonna sonora di Simon & Garfunkel.
Di Mike Nichols (1967)

IL SERPENTE DI FUOCO
Psichedelia allo stato puro. Viaggio all’Lsd di un regista in crisi (Peter Fonda) che si risveglia nel
letto di una sconosciuta.
Colori sgargianti e immagini surreali per raccontare il trip del protagonista.
Di Roger Corman (1967)

EASY RIDER
Musica, ribellione e droga nel road movie manifesto della cultura alternativa americana anni ’60. Billy e Wyatt, dopo aver venduto una partita di droga, partono per un viaggio in sella ai loro
choppers.
Di Dennis Hopper (1969)
fonte: Diario-LaRepubblica di oggi

...

Nessun commento: