"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

venerdì 24 agosto 2007

Tentazioni da "sinestra"




Left n.30 del 27 luglio 2007E se Veltroni fosse il Sarkozy italiano? La sinistra di Walter ha metabolizzato i valori della destra: mercato, sicurezza, oligarchia, leaderismo

di Rina Gagliardi

La Francia, si sa, non è quasi stata mai un modello “esportabile” nella vicinissima Italia - troppe le sue peculiarità nazionali, le sue Rivoluzioni, i suoi incomparabili Luigi XIV, Napoleone e De Gaulle. Ora, però, dopo le due ultime presidenziali, qualcosa sta mutando proprio in questo rapporto, in questa distanza. Cinque anni fa, per qualche settimana si diffusero anche da noi il “tifo” per Jacques Chirac e la paura del lepenismo. E adesso? Adesso, comincia a dilagare una sorta di “effetto Sarkozy”, a destra come a sinistra. Adesso, la Francia torna a proporsi come una possibile immagine di futuro, anche del nostro prossimo futuro, proprio come succede al marxiano “paese più avanzato” che ti anticipa o ti spiazza.

Vediamo. Ha cominciato, subito dopo la sconfitta di Ségolène Royal, il Corriere della sera, dedicando ben due editoriali all’invocazione, appunto, di un “Sarkozy italiano”. Un leader vincente della destra, prima di tutto, capace di unificare il proprio schieramento ma anche di andare oltre. Una figura “forte” e rassicurante, capace di restituire alla politica il suo perduto prestigio. Ma in Italia, nelle file del centrodestra, non c’è un Sarkozy - nemmeno in nuce, nemmeno in potenza. Ed ecco, martedì 24 luglio, sulle colonne dello stesso quotidiano, un lungo articolo-manifesto di Walter Veltroni: sono dieci proposte per sanare la malattia della democrazia italiana, che nel loro insieme configurano una vera svolta “di programma”. Drastica semplificazione della rappresentanza, fino al bipartitismo puro, poteri accresciuti per il premier, secco ridimensionamento della “libertà di movimento” per i parlamentari, più quote rosa obbligate al cinquanta per cento e voto (amministrativo) ai sedicenni: insomma, nel suo piccolo, un disegno di “Terza Repubblica”, dal sapore decisionista, quasi luhmaniano, se non autoritario, di fronte al quale impallidiscono i vecchi progetti di Grande Riforma prospettati, negli anni Ottanta, da Bettino Craxi. E, anche e soprattutto, un’idea “popolare”, facilmente comprensibile dalle larghe masse, alle quali si ripete, ogni giorno, dalle colonne di tutti i giornali e in ben confezionati best seller, che i partiti sono una iattura, le istituzioni un luogo di bagordi e privilegi, gli spazi pubblici una bazza per fannulloni, raccomandati e “immeritevoli”.

Che c’entra Sarkozy? C’entra, e come. Se il presidente francese può trovare una sorta di suo omologo, qui da noi, esso non sarà a destra, ma a “sinistra”: in una figura, come Walter Veltroni, che dalla sinistra proviene ma che è diventata “vincente” andando tanto oltre le tradizioni e i valori della sinistra da incontrare, sussumere e metabolizzare i valori diffusi dalla destra. La sicurezza fino alle ossessioni securitarie, per esempio. L’a-classismo dichiarato, che finisce in subalternità secca agli interessi del mercato. La “modernità”, tutta e solo sovrastrutturale, tutta e solo interna alla sfera dei diritti civili. E, ora, last but not least, la capacità di usare l’antipolitica per ridurre la politica stessa ad amministrazione, tra l’oligarchico e il leaderistico, di un astratto, impalpabile “interesse generale”. Sì, Veltroni sta già utilizzando, a suo modo, la lezione francese. Non certo perché abbia, personalmente, vocazioni autoritarie o a-democratiche, ma perché davvero il suo Piddì, inizialmente postideologico, ecumenico, liberale, “americano”, man mano che si delinea e cresce come il soggetto centrale della politica italiana, non ha proprio più nulla a che fare con la sinistra - con le sue radici, storia e progetti. E, siccome la partita delle prossime elezioni sarà durissima anche per il vincente supersindaco di Roma, non è difficile capire la tentazione-Sarkozy, in salsa italica e con molti adattamenti, s’intende.

Il principale, il più difficile, è quello che l’operazione, se avviene, avviene a schieramenti (politici, sociali, culturali) rovesciati: se Sarkozy era il leader della destra che doveva conquistare, per vincere, almeno un pezzo dell’elettorato di sinistra, Veltroni sarà il capo di una “sinistra” che, per vincere, dovrà simmetricamente recuperare un bel pezzo di elettorato della destra. E se il presidente francese ha avuto, relativamente parlando, facile gioco nel “parlare” a masse che, ormai, anche se storicamente collocate a sinistra, avevano smarrito ogni valore forte della sinistra stessa (l’eguaglianza, la solidarietà sociale, la pace, il rifiuto della logica del mercato e dell’impresa come paradigmi sovraordinatori della società, la centralità dei “beni comuni”), il leader italiano dovrà faticare molto di più sia nella ricerca del consenso di destra sia nel mantenimento del proprio originario elettorato di sinistra. Dal suo punto di vista, probabilmente, è l’unico tentativo praticabile: cavalcare l’ondata egemonica della destra che va avvolgendo l’Europa intera.

Ed è qui, sull’altro corno del dilemma,
che si ripropone l’effetto Sarkozy. Perché l’altra lezione seria della Francia riguarda proprio la sinistra: tutta sconfitta, e tutta molto divisa. Di là, una forza relativamente massiccia ma programmaticamente inconsistente, tenuta insieme quasi soltanto dalla forza di volontà di una donna oltre che da quel pezzo di Francia che non si rassegna a rinunciare alla parte più gloriosa della propria storia; di là, un insieme di piccole forze alternative, elettoralmente residuali. Ma né l’una né l’altra - ecco il punto drammatico - hanno saputo interpretare le domande sociali, i movimenti, il No all’Europa mercatista, le fiamme delle banlieue. Né hanno saputo usufruire, alle presidenziali, di uno scatto di partecipazione abbastanza straordinario, che ha coinvolto pressoché la totalità della cittadinanza francese. Una sinistra sconfitta, insomma, perché incapace di contrapporre alle ricette di Sarkozy un progetto davvero credibile, un’idea di società ed anche di modernità, una prospettiva di “sviluppo” economico, sociale e civile all’altezza del disagio e delle ansie diffuse in profondità nella società d’Oltralpe. Questa sinistra, come potenzialità e bisogno, non morirà, né in Francia né in Italia. Come non è mai morta negli Stati Uniti. Il vincente Sarkozy e il possibile vincente Veltroni, quando passeranno dalla fase della luna di miele con l’elettorato e i media al confronto con la durezza della crisi sociale, potranno fallire - anche clamorosamente. Ma quel che può morire, dobbiamo saperlo, è la sinistra politica, politicamente organizzata, dotata di radici sociali e ideali, e di efficacia concreta. Questo a noi manda a dire, da Parigi, Nicholas Sarkozy.

27 luglio 2007

fonte: http://www.avvenimentionline.it/content/view/1490/1/

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1 commento:

Franca ha detto...

Speriamo che ciò non avvenga