L'omicidio della moglie di Nirta è stato un incidente di percorso, era lui che volevano eliminare In campo due mini eserciti, cento uomini di qua e cento di là, con decine di soldati pronti a sparare
DI GIUSEPPE BALDESSARRO
REGGIO CALABRIA - "Cu campa campa e cu mori mori". Quando i Vottari risposero agli emissari di pace dei Nirta-Strangio, con la frase "chi vivrà vivrà e chi morirà morirà", sapevano che si stavano infilando in una guerra di mafia che sarebbe finita solo con lo sterminio di una delle due parti. Lo sapevano e non hanno esitato lo stesso. Troppi morti c'erano gia stati, e troppo era il rancore che si portavano dentro. Rabbia, cresciuta in 16 anni, fin dai tempi della strage di Carnevale. Da quando ogni tentativo di mediazione per cercare di ricomporre la frattura tra le famiglie di 'ndrangheta era fallito.
La guerra di San Luca è raccontata nelle pagine del rapporto consegnato dai carabinieri ai pm antimafia lo scorso 13 agosto, 48 ore prima della strage di Duisburg. Un corposo documento nel quale vengono annotati, nomi, agguati, omicidi e ferimenti con dovizia di particolari. Le due consorterie possono contare fino a cento uomini l'una. Molti fiancheggiatori, parenti ed amici. Una prima linea di 70 persone e alcune decine di soldati in grado di sparare. È un fascicolo a cui presto si aggiungeranno i risultati delle indagini della Squadra mobile di Reggio Calabria. Si completerà così il puzzle degli interessi dei clan in Italia e all'estero.
Il nome di Marco Marmo, uomo dei Vottari e obiettivo principale dei killer che hanno sparato in Germania, compare sia nel rapporto dei carabinieri che in quello della polizia. Marmo era infatti considerato tra gli organizzatori dell'agguato che a dicembre del 2006 costò la vita a Maria Strangio, moglie di Giovanni Nirta. Secondo una delle piste seguite dalla Dda, Marmo era in Germania per cercare armi. Molto probabilmente il clan rivale ha deciso di entrare in azione a Duisburg per una sorta di strage preventiva, voluta cioè per neutralizzare un gruppo di fuoco che si stava organizzando per sparare ancora.
I segnali di una deriva violenta dello scontro sono tutti nel rapporto, che contiene i possibili obiettivi dei clan. Come pure vi si trovano i tentativi di ricomposizione falliti nel tempo. I gruppi trovarono un primo accordo nei mesi successivi alla mattanza di Carnevale del '91 dove persero la vita Francesco Strangio e Domenico Nirta. Si disse che Antonio Vottari aveva sparato perché provocato. E si stabilì che avrebbe avuto salva la vita a patto che lasciasse San Luca. Vottari fece orecchie da mercante e per questo fu ucciso il 25 luglio del '92. Crivellato. Ogni famiglia avversaria gli sparò un colpo in faccia, l'autopsia stabilì che i proiettili che gli devastarono il volto furono almeno dodici. Il primo maggio dell'anno successivo caddero Giuseppe Vottari e Vincenzo Puglisi, poche ore dopo la risposta arrivò col massacro di Antonio Strangio e Giuseppe Pilia.
Fu allora che i capi storici della famiglia Nirta, appartenenti alla cosiddetta "Maggiore", il livello più alto della 'ndrangheta, si resero conto che si stavano aprendo pericolose crepe nell'organizzazione di San Luca. Nel 1993 il vecchio boss Antonio Nirta, chiese ai De Stefano di Reggio Calabria una intercessione esterna, capace di placare gli animi. La pace sembrò tenere, ma l'odio continuava a crescere a San Luca, di pari passo con gli affari. La droga innanzitutto, ma anche i soldi per gli appalti della trasversale dell'Aspromonte, la strada da Bovalino a Bagnara, e per la statale 106. E poi le estorsioni. Milioni di euro.
Gli equilibri si rompono nuovamente nell'ottobre del 2005. Viene ucciso Antonio Giorgi, dei Nirta-Strangio. L'omicidio implica la rimessa in discussione degli equilibri per la "spartizione". In paese è rientrato Francesco Pelle. Secondo i magistrati è un uomo chiave, di vertice. Vuole nuovi assetti. Pelle è alleato dei Vottari. Viene ferito nell'agosto del 2006. Vivrà condannato alla sedia a rotelle. L'agguato dello scorso Natale, in cui muore Maria Strangio, sarebbe la risposta a quel ferimento, anche se il vero obiettivo era il marito Giovanni Luca Nirta. Dal 25 dicembre si conteranno ancora tre morti. Due sono ritenuti vicini ai Vottari e uno agli Strangio-Nirta. Negli stessi mesi si sarebbe tentata la mediazione a cui, secondo fonti degli investigatori, i Vottari avrebbero risposto "cu campa campa e cu mori mori". Il 2 settembre a Polsi, alla festa della Madonna della Montagna nel cuore dell'Aspromonte, storicamente si incontrano le famiglie di mafia della Provincia. Si vedrà chi fa le condoglianze a chi. Si capirà, forse, "cu campa e cu mori".
(19 agosto 2007)
fonte: http://www.repubblica.it/2007/08/sezioni/esteri/duisburg-2/boss-rifiuta-tregua/boss-rifiuta-tregua.html
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A San Luca Giovanni Nirta «Io il boss? Coltivo l’orto» | |
DAL NOSTRO INVIATO
SAN LUCA (Reggio Calabria) — Se questa di San Luca è davvero una faida, cioè «corpo contro corpo», «fare il torto per non patirlo», come dicono i vecchi del paese, allora bisogna scendere a valle, arrivare alla contrada Ferrigno e fermarsi davanti a un cancello. Sul citofono c’è proprio scritto il suo nome: Giovanni Luca Nirta, il capo dei Nirta-Strangio. Se pronunci quel nome, in paese, la gente abbassa lo sguardo. Dopo la strage di Duisburg dicevano tutti che si era nascosto tra i boschi d’Aspromonte per sottrarsi alla vendetta delle famiglie rivali. Invece è qui: 38 anni, smilzo, barbetta nera curata e gli occhi celesti dello Jonio.
Una polo bianca, un paio di jeans, Giovanni Nirta si siede nel cortile di casa tenendo in braccio uno dei suoi tre figli piccoli, orfani di madre. Con lui ci sono anche tre donne vestite di nero: sono la mamma e le sorelle di sua moglie, Maria Strangio, ammazzata a Natale. Lui porta ancora la fede.
Dopo anni di silenzio Nirta accetta di parlare: «Io sarei ’u boss? La mia casa è blindata? Lo vedete voi, sono qui, niente reti, niente cancelli, io sono solo un bracciante agricolo, coltivo l’orto e sto coi bambini. Da gennaio non esco più di casa perché sono in lutto. Mai indagato per associazione mafiosa e neanche per traffico di droga. Solo un arresto per rapina a Milano nell’89 e mi sono fatto 4 anni e sei mesi di galera da innocente (ma è stato condannato in via definitiva, ndr). A San Luca c’è la faida? Non lo so, mettete un punto interrogativo alla risposta. La faida c’è in tutti i paesi. I morti di Duisburg io non li ho mai visti. E poi non sono mai stato in Germania in vita mia. So che Marco Marmo aveva una ditta di ferramenta, che ha fatto anche dei lavoretti in casa nostra, ma le altre famiglie lo sanno che noi non c’entriamo con questa storia. Se sono intelligenti, i Vottari e i Pelle, lo sanno. Quando l’ho saputo dalla televisione ci sono rimasto male, è chiaro, anche a noi dispiace. Intanto, però, io sto ancora aspettando giustizia dalla legge per chi ha ammazzato mia moglie. Se succedeva a Milano li avevano già presi, invece quaggiù si parla e basta. Ci pensi, il ministro Amato. Quella notte hanno sparato a me, a mio fratello, mia moglie è finita in mezzo ed è morta sotto gli occhi dei bambini. E io questo non posso dimenticarlo, i bambini la notte non dormono più, io non posso perdonare e anzi provo rancore. Lei mi manca tanto. Se un giorno sapessi chi è stato, però, non penserei alla vendetta, vorrei solo che andassero in galera. Ma ancora non so perché è morta. Forse all’origine c’è un equivoco: loro pensano che noi abbiamo fatto una cosa che noi invece non abbiamo fatto. Ora si dice che la prossima data a rischio qui a San Luca sia il 2 settembre, la festa della Madonna di Polsi. Io ho paura di morire, certo, però mi auguro che non succeda più niente».
Fabrizio Caccia
18 agosto 2007
fonte: http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2007/08_Agosto/18/nirta-boss-coltivatore.shtml
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fonte: http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2007/08_Agosto/18/nirta-boss-coltivatore.shtml
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2 commenti:
E' in casi come questi che viene da chiedersi dove sia lo Stato
Capisco, cara Franca (o almeno credo) quello che intendi dire.
Ma, formulato così, non mi sembra del tutto corretto - scusa se mi permetto.
Perché in realtà lo stato siamo noi, tutti noi.
Ci indigniamo - giustamente - perché Cirino Pomicino siede nella Commissione Anrtimafia e chiediamo ai nostri politici una coerenza ed un'integrità che non possono avere, perché noi stessi non l'abbiamo, troppe volte.
Non sto generalizzando e nemmeno intendo fare un processo a te o a chichessia - non vedo a che titolo, oltretutto...
Dico solo che un politico, ancorché pervaso dalle migliori intenzioni, si trova inevitabilmente le mani legate. Legate dalla "struttura", che non cambia mai, anche se cambia la dirigenza. Un qualsiasi sindaco, una qualsiasi giunta comunale, eredita immancabilmente, dalla gestione precedente (anche se contraria) tutto l'apparato: il tecnico comunale, la polizia municipale, gli ufficiali dell'anagrafe e tutti gli altri. Il che significa che, se anche il sindaco e la sua nuova giunta decidono di buttarsi in prima persona nella lotta contro la mafia, anzi contro tutte le mafie, anche quelle che non vanno in giro a sparare ma si accontentano di "favori" e "occhi chiusi" (senza arrivare a parlare di connivenze e/o di vera e propria criminilità), si scontrano inevitabilmente contro chi questa battaglia dovrebbe sostenerla. E invece a volte ci ha costruito il proprio "orticello di potere". Ho volutamente parlato di un comune, che è una struttura politica piccola, ma questo discorso vale per le province, per le regioni e, ancor più in alto grado, per lo stato. Cambia il nome del Presidente del Consiglio... ma i dipendenti statali (e via via decrescendo) restano gli stessi.
Morale: o cambiamo noi cittadini per primi, oppure... lo Stato c'è - ed è il nostro fedele specchio. Purtroppo.
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