"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

domenica 26 agosto 2007

SALVIAMO PEGAH: LUNEDI' A ROMA SIT IN DI PROTESTA




(AGI) - Roma, 26 ago. - Un appello e un sit-in di protesta.

Cosi' Arcigay e Arcilesbica, congiuntamente al Gruppo EveryOne, reagiscono alla decisione del governo del Regno Unito di negare l'asilo politico definitivo a Pegah Emambakhsh "la lesbica iraniana rifugiatasi a Sheffield (Regno Unito) che rischia la pena di morte nel suo Paese d'origine".

"Al governo del Regno Unito - nel testo dell'appello - che si ostina a negarle questo diritto fondamentale con motivazioni assurde e pretestuose, e ha emanato l'ennesimo decreto d'espulsione per il 28 agosto (volo British Airways numero BA6633 delle 21.35 diretto a Teheran), le due associazioni nazionali lgbt, con l'adesione del Gruppo EveryOne, rispondono con la convocazione di un sit in di fronte all'Ambasciata Britannica a Roma, via XX settembre 80, prevista per lunedi' 27 agosto dalle 18,30".

"La vicenda di Pegah Emambakhsh - continua l'appello - e' l'ennesimo caso di violazione dei diritti umani da parte dei nostri governi. Le decine di migliaia cittadini, gli attivisti e i politici che hanno aderito all'appello per la sua vita lanciato in questi giorni dal Gruppo Everyone hanno ottenuto una proroga della deportazione al 28 agosto".

"Ma non illudiamoci - conclude l'appello - perche' il governo sta solo aspettando che l'opinione pubblica si concentri su altri eventi per costringere Pegah a salire sull'aereo della morte. Deportazioni come quella riservata a Pegah si sono infatti gia' verificate, anche in tempi recenti, nel Regno Unito e negli altri paesi". (AGI)

fonte: http://cooperazione.agi.it/le-altre-news/notizie/200708260923-cro-rt11000-art.html

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ARABI E OMOSEX

24/8/07

Eppur qualcosa si muove nella regione, dove i gay di religione musulmana provano a difendere i loro diritti. Confutando l'interpretazione che il Corano condanni l'omosessualità

di Paola Caridi

In fondo, le religioni del Libro non differiscono molto, quando si ha a che fare con l’omosessualità. “Quando si parla della condanna dell’omosessualità, l’islam non è né unico né insolito”, scrive Brian Whitaker, giornalista di punta del Guardian, ma soprattutto di uno dei rari (e recenti) studi sull’essere gay nel mondo arabo. “Abbiamo sentito cose simili in diversi periodi da importanti esponenti cristiani ed ebrei, e la reazione di molti cristiani ed ebrei gay o lesbiche è stato l’abbandono della fede nella quale erano cresciuti”, precisa l’autore di Unspeakable Love, Gay and lesbian life in the Middle East, pubblicato l’anno scorso in inglese e in arabo da quella che è forse la più vivace e brillante casa editrice araba, la Saqi Books della compianta Mai Ghoussoub.

Facile trovare conferme alle affermazioni di Whitaker, se pur ve ne fosse bisogno. Quando la comunità gay, lesbica e transessuale d’Israele tentò di organizzare il Gay Pride a Gerusalemme, esattamente un anno fa, le tre religioni monoteiste trovarono un terreno sul quale unirsi. Nessuna marcia omosessuale, nella città santa. E la comunità ebraica ortodossa cominciò a protestare, anche violentemente, per fermare la marcia. Risultato: il Gay Pride si spostò allo stadio universitario di Gerusalemme, un po’ in periferia, dove i partecipanti furono salutati da un grande scrittore (eterosessuale) di più di 80 anni, Sami Michael, presidente dell’Associazione nazionale per i diritti civili.

Una differenza pratica e politica, però, c’è. Ed è, lo dice anche Whitaker, che l’islam è una religione molto più influente nei paesi a maggioranza musulmana, di quanto – per esempio – lo sia il cristianesimo nei paesi a maggioranza cristiana. Anche a livello giuridico. È per questo che anche nelle comunità gay che vivono nei paesi musulmani (per esempio in quelli arabi) e nelle comunità omosessuali musulmane che vivono in Europa o negli Stati Uniti, la linea che sta emergendo da anni è quella di dire: non è vero che il Corano condanni l’omosessualità. L’islam, dicono molte associazioni, condanna la perversione e l’adulterio, ma nella lingua araba non c’è neanche un termine vero e proprio per indicare l’omosessualità maschile. Ancor di meno quella femminile.

I tentativi di riconciliare gli omosessuali musulmani con la loro fede sono diventati sempre più frequenti negli ultimi anni. Tentativi che, però, hanno avuto, tra i risultati, anche quello di rendere la repressione contro l’omosessualità più dura di prima. Nel codice sociale arabo vale una regola che non si limita all’omosessualità, ma a tutti i comportamenti relazionali: si può fare molto, si può fare magari tutto, anche ciò che non è permesso, basta che non si dia pubblico scandalo. Una pratica che in Italia conoscevamo bene, e che forse non è del tutto scomparsa, soprattutto quando riguarda la sfera privata delle persone. Ebbene, se la comunità omosessuale non vuole solamente sopravvivere di nascosto, tra le quattro mura, ma vuole essere accettata, lì nasce il problema: sociale, politico, giuridico, religioso.

C’è un caso per tutti, il più famoso, che serve a definire il cambio nel comportamento delle autorità. L’arresto di decine di gay in Egitto nel 2001: il famoso scandalo della Queen Boat, seguito dalla repressione di quelle persone che avevano creato un sito internet dove confutavano l’interpretazione secondo la quale il Corano condanna l’omosessualità. Da allora, internet ha dato prova di essere un terreno importante per le comunità gay, lesbiche e transessuali in tutto il mondo arabo. Dall’Egitto all’Arabia Saudita, dove la repressione è arrivata sulla Rete, dalle email alle chat, passando per l’oscuramento dei siti. Sino al Libano, caso a parte. Paese dove non esiste una vera e propria repressione dei gay. Paese dov’è nata la prima ong per difendere i loro diritti (Helem, sogno) e il primo magazine (Barra, Fuori), dove sono presenti locali gay, dove non ci si nasconde del tutto.

La questione dei diritti degli omosessuali (uomini e donne, anche se per le donne la repressione non è stata sinora così dura) non può, comunque, essere disgiunta dalle altre questioni. Democratizzazione compresa. Pace compresa. I cosiddetti regimi moderati arabi, quelli che l’Occidente considera pilastri della propria strategia mediorientale, hanno politiche non certo gay-friendly. Né si può sperare che in un Iraq stravolto dalla guerra, in una Palestina che non ha confini e che in compenso ha due governi, in un Libano instabile e ancora piegato dalla guerra dello scorso anno la questione gay possa essere dibattuta come se si fosse in un paese europeo, benestante e in pace. I fuochi accesi in Medio Oriente, per i quali l’Occidente non è innocente, colpiscono soprattutto le fasce più deboli. Le donne, per esempio, come aveva detto il rapporto Onu sullo sviluppo umano nel mondo arabo, che indicava non solo la tradizione e la religione come ostacoli allo sviluppo femminile, ma anche, se non soprattutto, i conflitti. Per i gay, il discorso non è poi così diverso.

Leggi l'articolo a p.7 del Riformista

fonte: http://www.lettera22.it/showart.php?id=7681&rubrica=80

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