23 maggio 1992
Sono le 17,48 quando su una pista dell'aeroporto di Punta Raisi atterra un jet del Sisde, un aereo dei servizi segreti partito dall'aeroporto romano di Ciampino alle ore 16,40. Sopra c'è Giovanni Falcone con sua moglie Francesca. E sulla pista ci sono tre auto che lo aspettano. Una Croma marrone, una Croma bianca, una Croma azzurra. E' la sua scorta, erano stati raggruppati dal capo della mobile Arnaldo La Barbera.
Una squadra affiatatissima che aveva il compito di sorvegliare Falcone dopo il fallito attentato del 1989 davanti la villa del magistrato sul litorale dell'Addaura. La solita scorta con Antonio, Antonio Montinaro, agente scelto della squadra mobile che, appena vede il "suo" giudice scendere dalla scaletta, infila la mano destra sotto il giubbotto per controllare la pistola.
Tutto è a posto, non c'è bisogno di sirene, alle 17,50 il corteo blindato che trasporta il direttore generale degli Affari penali del ministero di Grazia e giustizia è sull'autostrada che va verso Palermo.
Tutto sembra tranquillo, ma così non è. Qualcuno sa che Falcone è appena sbarcato in Sicilia, qualcuno lo segue, qualcuno sa che dopo otto minuti la sua Croma passerà sopra quel pezzo di autostrada vicino alle cementerie.
La Croma marrone è davanti. Guida Vito Schifani, accanto c'è Antonio, dietro Rocco Di Cillo. E corre, la Croma marrone corre seguita da altre due Croma, quella bianca e quella azzurra. Sulla prima c'è il giudice che guida, accanto c'è Francesca Morvillo, sua moglie, anche lei magistrato. Dietro l'autista giudiziario, Giuseppe Costanza, dal 1984 con Falcone, che era solito guidare soltanto quando viaggiava insieme alla moglie. E altri tre sulla Croma azzurra, Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo. Un minuto, due minuti, la campagna siciliana, l'autostrada, l'aeroporto che si allontana, quattro minuti, cinque minuti.
Ore 17,59, autostrada Trapani-Palermo. Investita dall'esplosione la Croma marrone non c'è più. La Croma bianca è seriamente danneggiata, si salverà Giuseppe Costanza che sedeva sui sedili posteriori. La terza, quella azzurra, è un ammasso di ferri vecchi, ma dentro i tre agenti sono vivi, feriti ma vivi. Feriti come altri venti uomini e donne che erano dentro le auto che passavano in quel momento fra lo svincolo di Capaci e Isola delle Femmine.
Fu Buscetta a dirglielo: "L'avverto, signor giudice. Dopo quest'interrogatorio lei diventerà forse una celebrità, ma la sua vita sarà segnata. Cercheranno di distruggerla fisicamente e professionalmente. Nondimentichi che il conto con Cosa Nostra non si chiuderà mai. E' sempre del parere di interrogarmi?".
Giovanni Falcone, "Cose di Cosa Nostra" (Rizzoli, 1991): "Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande".
"Ma è certamente motivo, e lo sappiamo, di particolare sgomento l'avere appreso che il giudice Falcone si muoveva in via e con mezzi che dovevano rimanere coperti dal più sicuro riserbo.
Chi li conosceva?
Chi li ha rivelati ai nemici dei giudici?
Mandante ed esecutori."
(breve estratto dell'omelia del cardinale Pappalardo)
………..
STRAGI
di Pierluigi Vigna
1. Delitti silenziosi e messaggi forti
La strage ha assunto, nella strategia di Cosa Nostra, un significato ed una portata del tutto particolari nel biennio 1992-1993.
Anche se la strage, sotto il profilo del diritto penale, ha un'univoca chiave di lettura - e cioè quella di un atto che, realizzato per uccidere una o più persone, è commesso con mezzi tali (ad esempio: autobombe, esplosioni di edifici o di tratti stradali) da porre in pericolo l'incolumità di un numero indeterminato di soggetti - diverse possono essere le motivazioni che la sottendono e le finalità che chi la compie si propone di conseguire.
Normalmente le organizzazioni criminali - e segnatamente Cosa Nostra - preferiscono delitti silenziosi (tipico lo strangolamento) che, da un lato, richiamano meno l'attenzione e consentono anche la distruzione del cadavere per occultare la prova del crimine, ma, dall'altro esprimono messaggi ben comprensibili nell'ambiente ove sono realizzati. Talvolta, peraltro, il gruppo criminale ha necessità di inviare un messaggio forte che rompa il silenzio dal quale usualmente preferisce circondarsi e nella valutazione costi-benefici, che anche ogni scelta delittuosa implica, i secondi sono considerati perseguibili solo con azioni clamorose.
Questo è avvenuto, nel 1992 - il 23 maggio ed il 19 luglio - con le stragi di Capaci e di via D'Amelio.
2. Falcone, Borsellino e la reazione al maxiprocesso
Qui l'obiettivo principale ed anzi esclusivo erano i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, anche se con loro persero la vita numerosi appartenenti alle Forze di Polizia. Si trattava di obiettivi che, con grande probabilità, avrebbero potuto essere annientati con diverse e meno appariscenti e tragiche modalità. Perché allora si vollero le stragi con la devastazione di un tratto di autostrada nell'un caso e di numerosi edifici ed abitazioni nell'altro? La risposta sta nel fine che si intendeva perseguire: non solo eliminare due nemici storici della mafia, ma affermare, con quelle stragi, la permanente potenza dell'associazione dopo la sconfitta subita a seguito del maxi-processo, definito, con irrevocabili sentenze di condanna, il 30 gennaio 1992.
A mio parere, a parte altri concorrenti scopi che con l'eliminazione di quei magistrati si volevano raggiungere, il ricorso, come mezzo di attuazione dei delitti, allo stragismo, rivela il fine di dimostrare, non solo agli uomini d'onore ed ai contigui, ma alla stessa società civile che le condanne del maxi-processo non avevano inciso sulla capacità operativa del gruppo. Un messaggio di vita diretto ai mafiosi, un messaggio di morte diretto a chi pensava che Cosa Nostra era vinta.
Agli uomini d'onore era stato assicurato, nel corso dei vari gradi di giudizio del primo maxi-processo, che questo, nell'uno o nell'altro di essi - probabilmente in appello, sicuramente in Cassazione - sarebbe stato aggiustato con esiti, pertanto, favorevoli per l'associazione criminale. Ma così non fu. Ed allora per provare la forza permanente dell'associazione, per ravvivare il sentimento d'appartenenza a questa - che è poi il cemento che la sorregge - Cosa Nostra doveva dimostrare la propria invincibilità non solo uccidendo due magistrati/simbolo, ma anche facendolo con mezzi e modalità clamorosi. Il messaggio di enorme efficienza doveva poi esser colto anche da chi, in quella sentenza del gennaio '92, aveva visto l'inizio del declino della mafia siciliana.
3. Le stragi in Italia del 1993
Il 1993 presenta, se possibile, uno scenario ancora più devastante e, questa volta, non più in Sicilia - luogo abituale delle azioni di Cosa Nostra - ma addirittura nel continente.
Alle ore 21.40 del 14 maggio, a Roma, in via Ruggero Fauro, esplodeva un' autobomba che doveva provocare la morte del giornalista Maurizio Costanzo, rimasto fortunatamente illeso.
Alle ore 1.02 del 27 maggio, nel centro di Firenze, esplodeva un' altra autobomba che cagionava il crollo di un'ala della Torre dei Pulci, con la sovrastante abitazione di una famiglia, i cui quattro componenti, fra i quali due bambini, decedevano all'istante. I vicini palazzi storici venivano sventrati e nell'incendio di uno di questi moriva uno studente. Risultavano danneggiati anche la galleria degli Uffizi, palazzo Vecchio, la Chiesa dei Santi Stefano e Cecilia al Ponte Vecchio e numerose opere d'arte conservate in quegli edifici venivano distrutte o deteriorate, fra cui quelle di Giotto, Rubens, Tiziano, Sebastiano del Piombo.
Alle ore 23.14 del 27 luglio, in via Palestro a Milano, davanti all'ingresso della Villa reale, esplodeva un'altra autobomba che uccideva cinque passanti e danneggiava gravemente vari edifici, fra i quali il Padiglione d'Arte Contemporanea con le opere in esso conservate e la Galleria d'Arte Moderna.
Alle ore 23.58 del 27 ed alle ore 00.02 del 28 luglio, a Roma, venivano fatte esplodere altre due autobombe: una in piazza S. Giovanni in Laterano e l'altra presso la Chiesa di San Giorgio al Velabro. Anche in questi casi ingenti furono i danni al patrimonio artistico e non solo a questo perché le esplosioni provocarono anche il ferimento di numerose persone.
Nelle stragi del 1993 - che dovevano proseguire con l'esplosione di un'autobomba allo Stadio Olimpico, in occasione di una partita di calcio, in danno di automezzi che trasportavano i Carabinieri che avevano svolto servizio di ordine pubblico ed a parte quella di via Fauro che doveva colpire un giornalista che aveva preso pubblica posizione contro la mafia - gli obiettivi furono ben diversi da quelli presi di mira nel 1992. Non più singole e ben individuate persone, ma direttamente lo Stato, colpito in alcune delle sue più rilevanti espressioni artistiche, culturali e religiose. In tal modo l'azione di Cosa Nostra assume valenze e significati sicuramente terroristico-eversivi.
Attraverso il programma di stragi realizzato in quell'anno l'associazione mafiosa voleva perseguire finalità politiche sostituendo al metodo democratico, quello fondato sull'intimidazione.
Emerge infatti con certezza, dalle indagini svolte, che, con quelle azioni, si volevano costringere le Istituzioni ad un disimpegno nella repressione di Cosa Nostra, azzerando la politica legislativa antimafia espressa dopo le stragi del 1992.
Dunque: non più regime speciale per i detenuti mafiosi, non più protezione dei collaboratori di giustizia ed utilizzazione delle loro dichiarazioni.
4. Un potere criminale integrato
L'indagine svolta sulle stragi del 1993 ha consentito di individuare coloro che materialmente ebbero a compierle e coloro che, dall'interno di Cosa Nostra, le progettarono.
Lo stesso è avvenuto per la strage di Capaci e per quella di via D'Amelio.
Tuttavia le procure della Repubblica che hanno indagato sull'una e sull'altra "serie stragista" non hanno ritenuto chiuse le loro investigazioni: una pluralità di sintomi induce infatti a prospettare un ulteriore percorso di indagine volto a verificare la concretezza dell'ipotesi investigativa, suggerita appunto da quei sintomi, secondo cui di tali fatti possano esser stati ispiratori "mandanti dal volto coperto" estranei, cioè, all'organizzazione mafiosa Cosa Nostra, ma mossi da interessi con essa convergenti ed anch'essi appagabili con la strategia attuata da tale associazione.
Si tratterà di stabilire, al termine del cammino investigativo già iniziato, ma seminato di difficoltà di vario tipo e spessore, se le tracce si saranno trasformate in orme o, meglio ancora, in impronte digitali.
In tale prospettiva va rilevato che Cosa Nostra, cui sempre più sono collegate 'Ndrangheta e Camorra, le altre storiche associazioni mafiose, è divenuta compartecipe di un progetto disegnato e gestito insieme ad un potere criminale diverso e più articolato, dando vita a quello che ben può definirsi "potere criminale integrato".
Lo scenario criminale delineato sullo sfondo degli ultimi attentati ha infatti posto in evidenza da un lato - come si è già avuto modo di rilevare - l'interesse alla loro esecuzione da parte della mafia e dall'altro la certezza di una presenza operativa di Cosa Nostra: ma è la sapienza della regia delle stragi a segnalare la novità.
5. Oltre Cosa Nostra
Gli investigatori hanno notato che le sottili valutazioni sugli effetti di una campagna terroristica e lo sfruttamento del conseguente condizionamento psicologico non sembrano il semplice frutto della mente di un criminale comune, sia pure mafioso: si riconosce in queste operazioni di analisi e di valutazione una dimestichezza con le dinamiche del terrorismo e con i meccanismi delle comunicazioni di massa ed anche una capacità di sondare gli ambienti politici e di interpretarne i segnali. Si potrebbe pensare ad una aggregazione di tipo orizzontale, in cui ciascuno dei componenti è portatore di interessi particolari perseguibili nell'ambito di un progetto più complesso nel quale convergano finalità diverse.
La stessa svolta della risposta giudiziaria, sia sul versante della repressione delle associazioni di tipo mafioso che su quello della corruzione, con i ben noti effetti dirompenti sull'apparato dei partiti, può aver determinato una coincidenza degli interessi di Cosa Nostra con quelli di altri settori investiti dalle indagini: settori della politica corrotta e dell'eversione di destra; logge massoniche coperte; imprenditori e finanzieri d'avventura collusi; pezzi o reticoli di funzionari dello Stato infedeli.
Se questi nodi saranno sciolti, il nostro Paese avrà compiuti passi di decisiva importanza per una sempre più radicata affermazione della democrazia.
L’autore
Piero Luigi Vigna nasce il 1° agosto 1933 in provincia di Firenze.
Entra in Magistratura nel 1959. Dapprima Pretore a Firenze e Milano, dal 1965 ha svolto le funzioni di procuratore della Repubblica (prima sostituto, poi procuratore aggiunto ed infine - dal 1991 - procuratore capo con funzioni di procuratore distrettuale antimafia) presso la procura della Repubblica di Firenze.
Dal 14 gennaio 1997 è Procuratore Nazionale Antimafia.
Ha diretto numerose indagini sul terrorismo di estrema destra e sinistra; sui sequestri di persona a scopo di estorsione, sul traffico - anche internazionale - di sostanze stupefacenti; su associazioni per delinquere anche di tipo mafioso; sulla criminalità mafiosa russa; sulla strage del treno rapido 904 Napoli-Milano del 23/12/84 (per la quale furono condannati esponenti di Cosa Nostra); sulla stragi mafiose verificatesi a Roma, Firenze e Milano nel biennio 1993/94.
fonte: http://digilander.libero.it/inmemoria/strage_capaci.htm - stragi
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