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Piergiorgio Odifreddi. Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici). Milano, Longanesi 2007, pp. 261, € 14,60. EAN 9788830424272
Lungamente atteso, dopo il grande successo del Matematico impertinente, esce finalmente il libro di Piergiorgio Odifreddi dedicato al cristianesimo. Il volume, fin dal titolo, cita Bertrand Russell (altro logico e matematico, guarda il caso) e, con giudizio ovviamente negativo, Benedetto Croce, su cui grava la responsabilità di un testo (Perché non possiamo non dirci cristiani, del 1942) che costituisce ormai il mantra dei sostenitori delle radici cristiane dell’Italia e dell’Europa.
Questa volta, tuttavia, il matematico impertinente ha lasciato il posto al logico coscienzioso. Come fece a suo tempo Isaac Asimov con In principio, analizzando il Genesi come se fosse un testo scientifico, Odifreddi esamina ora soprattutto la coerenza interna delle Sacre Scritture, nonché dei dogmi che ne hanno distillato le confessioni cristiane. Più che di critica biblica si dovrebbe dunque parlare di critica testuale, che si concretizza in un’opera che si potrebbe quasi definire di esegesi laica, in quanto affronta il testo come se lo si leggesse per la prima volta. È questa la ragione per cui le citazioni e le note sono quasi esclusivamente scritturali.
In ordinata e metodica sequenza, dunque, l’Antico Testamento, il Nuovo, il cristianesimo e il cattolicesimo vengono fatti passare per il tritacarne. Tutto sommato, però, con meno impertinenza e disistima di quanto qualcuno temesse (o auspicasse), benché il volume cominci con una capitolo intitolato Cristiani e cretini (un accostamento, peraltro, etimologicamente fondato). La Bibbia è definita come il racconto di «piccole beghe di un popolo di pastori mediorientali di tremila anni fa»: libri intrisi di violenza, tanto che «il conto delle vittime ascrivibili al buon Jahvé, dalla moglie di Lot a Saul, assomma a 770.359 persone, salvo errori e omissioni», come il meticoloso professore diligentemente annota. La circostanza rappresenta una buona ragione per chiedersi «perché mai chi dettava [le Sacre Scritture] avrebbe voluto che si scrivessero così tante cose che, come abbiamo cominciato a notare e continueremo a fare, sono sbagliate scientificamente, contraddittorie logicamente, false storicamente, sciocche umanamente, riprovevoli eticamente, brutte letterariamente e raffazzonate stilisticamente, invece di ispirare semplicemente un’opera corretta, consistente, vera, intelligente, giusta, bella e lineare?».
Già, perché? Perché tutti i testi sacri riflettono, inevitabilmente, le condizioni politiche, economiche, sociali e culturali delle comunità che li hanno creati. Meglio: delle élite che li hanno creati. A questa constatazione non si sottrae nemmeno il Nuovo Testamento, specialmente laddove Gesù dice ai suoi discepoli: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo in parabole, perché vedendo non vedano, e udendo non intendano». Il commento dell’autore è sferzante: «secondo la contorta logica di Jahvé […] la sua parola non deve dunque essere compresa, così che da un lato egli possa perversamente infuriarsi col suo popolo che non comprende […] e dall’altro lato, egli possa poi magnanimamente perdonarlo e risanarlo. Questa contorta logica viene dunque ereditata anche da suo Figlio, o chi per esso, che parla per parabole perché la gente non possa capirlo, affinché si compiano le profezie».
L’inevitabile conseguenza, sostiene l’autore, è che il cristianesimo si rivela «una religione di illetterati cretini», indegna «della razionalità e dell’intelligenza dell’uomo». «Non possiamo essere Cristiani, e meno che mai Cattolici» – sostiene con vigore - «se vogliamo allo stesso tempo essere razionali e onesti. La ragione e l’etica sono infatti incompatibili con la teoria e la pratica del Cristianesimo». È comunque il cattolicesimo il vero bersaglio dell’autore, dai suoi dogmi sconcertanti (la transustanziazione, la Trinità, l’Immacolata Concezione…) ad aspetti meno teologici, ma non meno sorprendenti se si prendessero sul serio le rivendicazioni di povertà, rigore morale e spiritualità ripetutamente avanzate dalle gerarchie vaticane, quali la stipula di concordati, l’otto per mille, gli scandali finanziari…
Facile prevedere che le battute contenute nel libro piaceranno a molti, anche se probabilmente non piaceranno a tutti certe prese di posizione politiche. Un complimento che potrà sembrare perfido all’orgoglioso matematico, ma che mi sento comunque di fare, è che questo è un libro scritto con bel piglio umanistico e perfino filologico (vedi l’ampio ricorso alle etimologie), con una facilità di scrittura da fare invidia a molti scrittori. Quasi che l’autore, già che c’era, intendesse sfatare anche un altro mito, quello della inintelligibilità degli uomini di scienza.
«Finché ci saranno religioni ci saranno guerre di religione, come ci sono sempre state e ci sono. Mentre invece non ci sono guerre di scienza, né ci sono mai state, perché la scienza è una sola». La critica alle religioni, e alla loro pretesa di verità, è dunque impietosa. Dalla lettura del libro sembra emergere, anche se Odifreddi nega di voler “sconvertire” qualcuno, la malcelata ambizione che il grande pubblico sappia: quasi che anche il consenso di cui gode tuttora la Chiesa cattolica non possa spiegarsi razionalmente, se non con il mancato accesso di larga parte della popolazione a fondamentali strumenti di conoscenza. Abbattere il muro di gomma opposto dai mass media è impresa titanica in un paese come il nostro, dove ogni starnuto papale è ritenuto meritevole di dotte analisi accademiche. Piergiorgio Odifreddi, quantomeno, ci ha voluto provare.
Raffaele Carcano
marzo 2007
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