Pubblichiamo integralmente l'ultimo comunicato stampa di Emergency, ribadendo ancora una volta che Gino Strada ed i suoi collaboratori hanno tutta la nostra solidarietà e che è nostro parere che il governo italiano debba fare tutto quanto in suo potere perché il signor Hanefi torni a casa.
Siamo grati al compagno Diliberto per aver espresso la stessa determinazione pubblicamente, nella sua relazione conclusiva a Rimini.
30 aprile '07 - Emergency risponde all’Ambasciatore afgano in Italia
Lettera inviata all’Ambasciatore afgano in Italia, Musa Maroofi, in risposta all’intervista rilasciata al TG1 domenica 29 aprile.
Milano, 30 aprile 2007
Signor Ambasciatore Maroofi,
in un’intervista al TG1 di domenica 29 aprile, Lei ha dichiarato di non comprendere il perché di “tanta simpatia per una persona che ha violato le leggi piuttosto che per le vittime di un crimine brutale”.
Dobbiamo ricordarLe che il “crimine brutale” ha ovviamente come primi diretti responsabili coloro che lo hanno commesso, ma che si è determinato per l’incapacità del Suo Governo a conquistare la fiducia di una parte estesa della popolazione del Suo Paese e per l’incapacità di controllare e porre in sicurezza la maggior parte del territorio che dice di governare.
Dobbiamo ricordarLe che moltissimi cittadini italiani, sostenendo l’azione di Emergency, ai drammi del popolo afgano sono molto più sensibili delle autorità del Suo Paese, che non sa avviare un sistema sanitario che ne rispetti i bisogni, nonostante gli ingenti aiuti internazionali.
Dobbiamo ricordarLe, Signor Ambasciatore, che il Suo Paese non può dirsi democratico, se contempla la possibilità che un cittadino afgano sia sequestrato per quaranta giorni senza che vi sia traccia documentata e constatabile di un’imputazione, che dunque non avrà alcuna plausibilità quando (e se) sarà formulata. Dobbiamo ribadire che diffondere, nel frattempo, voci diffamatorie su questo cittadino configura esattamente quel “fabbricare false prove” di cui Le abbiamo parlato.
Dobbiamo ricordarLe che l’assenza di un avvocato difensore per tutto questo tempo in un sistema pur tenuemente democratico renderebbe invalidi questi atti, molto più simili a un crimine che a un procedimento “di giustizia”.
Dobbiamo ricordarLe che il Procuratore generale dello Stato afgano, Abdul Jabar Sabet, fornisce con sue parole la prova evidente dell’enorme illegalità che il Suo Paese compie, quando afferma che nei confronti di Rahmatullah Hanefi si sta procedendo segretamente, secondo norme così segrete da non essere note nemmeno a lui, la massima autorità giudiziaria afgana. Lei dovrebbe riconoscere, Signor Ambasciatore, che questa è la descrizione dell’arbitrio, di nulla che risponda ai requisiti minimi di ciò che possa definirsi “giustizia”.
Lei crede di rassicurare l’opinione pubblica italiana dicendo che, a Suo avviso, “non ci sarà alcuna esecuzione”. Chi dispone di un minimo sentimento di legalità è indignato per il sequestro di persona commesso dal Suo Paese, per il fatto che sia previsto un processo non ai sequestratori (funzionari pubblici del Suo Governo) ma alla vittima del sequestro, il Signor Rahmatullah Hanefi.
Questo suggerire un possibile sollievo per l’esclusione di un esito macabro è un maldestro tentativo di rendere accettabili altri esiti di questa assurda vicenda, inconcepibile e incompatibile con ogni principio di legalità e con la stessa Costituzione afgana vigente.
Lei sottovaluta, Signor Ambasciatore, l’intelligenza e la civiltà dei cittadini italiani quando disapprova la loro preoccupazione per la sorte di un uomo che ha agito in attuazione di quanto il Governo italiano gli chiedeva di compiere, in seguito a intese con il Governo afgano.
Lei afferma inoltre, Signor Ambasciatore, che l’Organizzazione non governativa Emergency è uscita dall’Afganistan perché “lo hanno deciso loro”.
Lei ignora così le accuse non solo calunniose ma anche minacciose rivolte a Emergency dal responsabile dei Servizi “di sicurezza” Amrullah Saleh.
Lei ignora il comportamento intimidatorio, il 25 aprile, di funzionari di polizia che, con un gesto immotivato e senza precedenti nella permanenza di Emergency in Afganistan sotto diversi regimi, dal 1999, pretendevano di sequestrare i passaporti del personale internazionale dell’organizzazione.
Omettendo o ignorando questi fatti, Lei attribuisce a un’inspiegabile scelta nostra la sospensione delle attività di Emergency.
Si tratta invece di una decisione dolorosa, imposta dai comportamenti ostili delle autorità del Suo Paese: questi comportamenti rappresentano e costituiscono minacce autentiche e concrete alla sicurezza del personale di Emergency.
Crediamo indispensabile chiarire che della sospensione delle attività di cura che fin qui abbiamo svolto e delle sofferenze che ne derivano a moltissimi cittadini afgani sono responsabili le azioni del governo che Lei rappresenta.
In fede
EMERGENCY
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