Questo lungo post non vuole solo ricordare l'assassinio di Peppino Impastato, un militante "vero" che, come dice suo fratello "non è un'eroe, ma un esempio da seguire", ma riaffermare che la Mafia esiste, e che vive in ognuno di noi.. La mafia, ogni mafia, va combattuta a "prescindere". Perché se pensiamo che essa esista solo in Sicilia, o come manifestazione di una cultura e di un costume circoscritto ad un'isola allora.. siamo veramente tutti morti.
mauro
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TERMINI IMERESE (Palermo) - Sfregio alla memoria di Peppino Impastato, il giovane militante di Democrazia proletaria e fondatore di radio Aut ucciso da Cosa nostra a Capaci il 9 maggio 1978, lo stesso giorno dell'assassinio di Aldo Moro, sulla cui vita è stato tratto il film «I cento passi». L'albero che era stato piantato in suo onore in un'aiuola comunale a Termini Imerese, in provicia di Palermo, è stato sradicato e appoggiato su un muro dove è stato poi scritto «Viva la mafia». La polizia sta indagando per scoprire se è stata solo una bravata o se il gesto è un messaggio mafioso.
fonte: http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2007/04_Aprile/05/sradicato_albero_impastato.shtml
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Giuseppe Impastato: l'attività, il delitto, l'inchiesta e il depistaggio
Nato a Cinisi, in provincia di Palermo, il 5 gennaio 1948, da una famiglia mafiosa (il padre Luigi era stato inviato al confino durante il periodo fascista, lo zio e altri parenti erano mafiosi e il cognato del padre era il capomafia Cesare Manzella, ucciso con una giulietta al tritolo nel 1963). Ancora ragazzo, rompe con il padre, che lo caccia via di casa, e avvia un’attività politico-culturale antimafiosa.
Nel 1965 fonda il giornalino "L'Idea socialista" e aderisce al Psiup. Dal 1968 in poi partecipa, con ruolo dirigente, alle attività dei gruppi di Nuova Sinistra. Conduce le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo, in territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati. Nel 1975 costituisce il gruppo “Musica e cultura”, che svolge attività culturali (cineforum, musica, teatro, dibattiti ecc.); nel 1976 fonda “Radio Aut”, radio privata autofinanziata, con cui denuncia quotidianamente i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, e in primo luogo del capomafia Gaetano Badalamenti, che avevano un ruolo di primo piano nei traffici internazionali di droga, attraverso il controllo dell’aeroporto. Il programma più seguito era “Onda pazza”, trasmissione satirica con cui sbeffeggiava mafiosi e politici.
Nel 1978 si candida nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali. Viene assassinato nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978, nel corso della campagna elettorale, con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia. Gli elettori di Cinisi votano il suo nome, riuscendo ad eleggerlo al Consiglio comunale. Stampa, forze dell'ordine e magistratura parlano di atto terroristico in cui l’attentatore sarebbe rimasto vittima e, dopo la scoperta di una lettera scritta molti mesi prima, di suicidio.
Grazie all’attività del fratello Giovanni e della madre Felicia Bartolotta Impastato, che rompono pubblicamente con la parentela mafiosa, dei compagni di militanza e del Centro siciliano di documentazione di Palermo, nato nel 1977 e che nel 1980 si sarebbe intitolato a Giuseppe Impastato, viene individuata la matrice mafiosa del delitto e sulla base della documentazione raccolta e delle denunce presentate viene riaperta l’inchiesta giudiziaria.
Il 9 maggio del 1979 il Centro siciliano di documentazione organizza, con Democrazia Proletaria, la prima manifestazione nazionale contro la mafia della storia d’Italia, a cui parteciparono 2000 persone provenienti da tutto il Paese. Nel maggio del 1984 l’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, sulla base delle indicazioni del Consigliere Istruttore Rocco Chinnici, che aveva avviato il lavoro del primo pool antimafia ed era stato assassinato nel luglio del 1983, emette una sentenza, firmata dal Consigliere Istruttore Antonino Caponnetto, in cui si riconosce la matrice mafiosa del delitto, attribuito però ad ignoti. Il Centro Impastato pubblica nel 1986 la storia di vita della madre di Giuseppe Impastato, nel volume La mafia in casa mia, e il dossier Notissimi ignoti, indicando come mandante del delitto il boss Gaetano Badalamenti, nel frattempo condannato a 45 anni di reclusione per traffico di droga dalla Corte di New York, nel processo alla “Pizza Connection”. La madre rivela un episodio che sarà decisivo: il viaggio negli Stati Uniti del marito Luigi, dopo un incontro con Badalamenti in seguito alla diffusione di un volantino particolarmente duro di Peppino. Durante il viaggio Luigi dice a una parente: "Prima di uccidere Peppino devono uccidere me". Morirà nel settembre del 1977 in un incidente stradale.
Nel gennaio 1988 il Tribunale di Palermo invia una comunicazione giudiziaria a Badalamenti. Nel maggio del 1992 il Tribunale di Palermo decide l’archiviazione del “caso Impastato”, ribadendo la matrice mafiosa del delitto ma escludendo la possibilità di individuare i colpevoli e ipotizzando la possibile responsabilità dei mafiosi di Cinisi alleati dei “corleonesi”. Nel maggio del 1994 il Centro Impastato presenta un’istanza per la riapertura dell’inchiesta, accompagnata da una petizione popolare, chiedendo che venga interrogato sul delitto Impastato il nuovo collaboratore della giustizia Salvatore Palazzolo, affiliato alla mafia di Cinisi. Nel marzo del 1996 la madre, il fratello e il Centro Impastato presentano un esposto in cui chiedono di indagare su episodi non chiariti, riguardanti in particolare il comportamento dei carabinieri subito dopo il delitto. Nel giugno del 1996, in seguito alle dichiarazioni di Salvatore Palazzolo, che indica in Badalamenti il mandante dell’omicidio assieme al suo vice Vito Palazzolo, l’inchiesta viene formalmente riaperta.
Nel novembre del 1997 viene emesso un ordine di cattura per Badalamenti, incriminato come mandante del delitto. Il 10 marzo 1999 si svolge l’udienza preliminare del processo contro Vito Palazzolo, mentre la posizione di Badalamenti viene stralciata. I familiari, il Centro Impastato, Rifondazione comunista, il Comune di Cinisi e l’Ordine dei giornalisti chiedono di costituirsi parte civile e la loro richiesta viene accolta. Il 23 novembre 1999 Gaetano Badalamenti rinuncia alla udienza preliminare e chiede il giudizio immediato. Nell’udienza del 26 gennaio 2000 la difesa di Vito Palazzolo chiede che si proceda con il rito abbreviato, mentre il processo contro Gaetano Badalamenti si svolgerà con il rito normale e in video-conferenza. Il 4 maggio, nel procedimento contro Palazzolo, e il 21 settembre, nel processo contro Badalamenti, vengono respinte le richieste di costituzione di parte civile del Centro Impastato, di Rifondazione comunista e dell’Ordine dei giornalisti.
Nel 1998 presso la Commissione parlamentare antimafia si è costituito un Comitato sul caso Impastato e il 6 Dicembre 2000 è stata approvata una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini.
Il 5 marzo 2001 la Corte d'assise ha riconosciuto Vito Palazzolo colpevole e lo ha condannato a 30 anni di reclusione. L'11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti è stato condannato all'ergastolo. Badalamenti e Palazzolo sono successivamente deceduti.
Il 7 dicembre 2004 è morta Felicia Bartolotta, madre di Peppino
Bibliografia su Giuseppe Impastato
Felicia Bartolotta Impastato, La mafia in casa mia. Intervista a cura di Anna Puglisi e Umberto Santino, La Luna, Palermo 1986, 2000, 2003.
Salvo Vitale, Nel cuore dei coralli. Peppino Impastato, una vita contro la mafia, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995, 2002.
Umberto Santino (a cura di), L'assassinio e il depistaggio. Atti relativi all'omicidio di Giuseppe Impastato, Centro Impastato, Palermo 1998.
Peppino Impastato: anatomia di un depistaggio. Relazione della Commissione parlamentare antimafia presentata da Giovanni Russo Spena, Editori Riuniti, Roma 2001, 2006.
Giuseppe Impastato, Lunga è la notte. Poesie, scritti, documenti, a cura di U. Santino, Centro Impastato, Palermo 2002-2006.
Anna Puglisi e Umberto Santino (a cura di), Cara Felicia. A Felicia Bartolotta Impastato, Centro Impastato, Palermo 2005.
Mostra fotografica Peppino Impastato. Ricordare per continuare, Centro Impastato, Palermo 2006, 24 poster formato 70X100, cartella-catalogo.
http://www.centroimpastato.it/conoscere/peppino.php3
http://www.tantestradeperpeppino.nelweb.it/
I RETROSCENA
22 novembre 2004
Parla Giovanni, fratello di Peppino Impastato, condannato a pagare cinquemila euro all’avvocato del boss Gaetano Badalamenti: “ La mia prima reazione a caldo è stata quella di considerarmi la vittima di una grande beffa. Pensavamo di avere già pagato tutto quello che c’era da pagare. E non solo in termini di soldi. Mi riferisco a una battaglia di civiltà che per ventisei anni abbiamo condotto a Cinisi rivolgendoci a tutta l’Italia. E - mi creda- non si è mai trattato di una passeggiata o di una marcia trionfale affinché si affermasse una volta e per tutte la verità su quanto era accaduto. Perché dico: abbiamo già pagato? Proprio perché abbiamo conosciuto l’isolamento in una vicenda che solo in parte era una vicenda e una tragedia familiare”. Lo incontro, insieme alla madre, a Cinisi, in Corso Umberto 220. Una casa aperta a tutti: la stessa in cui visse Peppino.
Oggi racconteremo due storie italiane in una. La Storia numero uno si chiama “Impastato”. La storia numero due si chiama “Badalamenti”. E, in un certo senso, si è detto tutto. Ma vi chiederete: perché proprio ora? Sì, insomma, perché tornare sua una pagina criminale di Sicilia, ora che il vecchio boss Tano Badalamenti, è passato a miglior vita? E non è forse scritto sui portali dei cimiteri: “noi fummo come voi, voi sarete come noi” ? Verrebbe da dire: rispettate almeno la morte, ora che il tempo sta iniziando la sua opera e cancella con giudizio tutto quello che è bene cancellare, affinché non rimangano tracce troppo scabrose. Eppure viene difficile dare retta al monito cimiteriale, ora che milioni di italiani, grazie al bellissimo film i “Cento Passi” di Marco Tullio Giordana - e attraverso la recitazione allucinata e vera di Luigi Lo Cascio, Tony Sperandeo, Gigi Burruano, Paolo Briguglia, Ninni Bruschetta e Lucia Sardo - , hanno saputo finalmente cosa accadde la notte dell’ 8 maggio 1978, a Cinisi. E sapete perché? Perché il diavolo, come si dice, si nasconde nei dettagli.
E di dettagli, in questi ultimi giorni, se n’é registrato qualcuno di troppo. Dettagli macroscopici, indigeribili per tutti coloro che hanno imparato a conoscere la triste ( e bella) storia di Peppino Impastato, ucciso dai mafiosi, in quanto giornalista coraggioso, senza peli sulla lingua, tipico rappresentante di una Sicilia Altra, rispetto a quella dei Governatori che Governano con sulle spalle fardelli giudiziari per mafia, o associazioni esterne, o violazioni del segreto che dir si voglia. Una Sicilia Altra che è sempre esistita.
Dettaglio numero uno: Giovanni Impastato, fratello di Peppino, il 31 marzo 2003, viene condannato da un Tribunale della Repubblica Italiana al pagamento di cinquemila euro per diffamazione nei confronti dell’ avvocato Paolo Gullo, difensore del boss mafioso Gaetano Badalamenti, deceduto a ottant’anni negli States, il 29 aprile 2004. Sentenza definitiva. E ai primi di settembre di quest’anno, viene dunque pignorata la pizzeria degli Impastato a Cinisi, motivo per cui è stato inevitabile sborsare i cinquemila euro delle vergogna.
La querelle era sorta a seguito di una trasmissione televisiva in cui Giovanni aveva definito l’equazione “Peppino Impastatato- terrorista- suicida” la “tesi di un imbecille” . Da qui la querela dell’ avvocato Paolo Gullo che evidentemente quella tesi riconosceva come sua, o quantomeno aveva fatto propria.
Dettaglio numero due: qualche giorno dopo. La morte di Badalamenti ha chiuso per sempre ( si applica la formula del “non doversi procedere per la morte del reo”) il processo sulla mafiosità dell’imputato che durava dal 1985. Conclusione: gli eredi di Tano Seduto- come lo chiamava ironicamente Peppino dai microfoni della sua radio Aut Aut, incendiaria per i tempi- , rientreranno in possesso dei beni che erano finiti sotto sequestro per iniziativa di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La Procura di Palermo ha cercato di tranquillizzare l’opinione pubblica. Ma la strada è in salita.
Due storie parallele, speculari, intercambiabili. Come fossero scritte una sull’altra. Come i fumetti di Walt Disney, i cui bozzetti, apparentemente tutti uguali, appena mossi, davano il via alla storia. Storia, questa, con i medesimi protagonisti, sempre schierati o di qua o di là. Cocciutamente, caparbiamente, strenuamente, nel bene e nel male. Respiro di sollievo per alcuni, umiliazione per la parte avversa. E così via, all’infinito. Per ventisei lunghissimi anni. Storia tutt’altro che fumettistica, questa. Storia, o storie, con le medesime date chiave. Se la racconti da una delle due prospettive, hai raccontato l’altra. Ma vedremo, alla fine, che questa vicenda assume in maniera assai curiosa i tratti di una metafora perfetta della lotta alla mafia nel nostro Paese. Metafora di una lotta alla mafia sbilenca, strabica, spaventosamente contraddittoria, intrisa di sangue e ipocrisia, lacrime e carte da bollo, strazio delle vittime e ghigno beffardo dei carnefici, fatti atroci e profluvio di parole, memoria e dimenticanza, ragione strappata con le unghie e dissennatezza elevata a sistema.
Due cognomi – Impastato e Badalamenti - indissolubilmente legati da tante cose: la mafia e l’antimafia, certo. Ma anche lo Stato, le Leggi, le Istituzioni, le Procedure, il Diritto, i Codici, i Risarcimenti Danni, le Firme Autenticate, le Arringhe e le Requisitorie, Sentenze e Dispositivi, Prove e Prescrizioni, la Giustizia Italiana, insomma.
Ed è come se, dopo ventisei anni, i protagonisti delle due storie parallele si fossero improvvisamente scambiati le casacche. Come se il palcoscenico avesse compiuto una rotazione di centottanta gradi con tutti gli attori che ci stavano sopra. O come se la Dea Bendata, un po’ alticcia, cominciasse a sproloquiare menando fendenti a casaccio. Andando avanti vedremo che non è assolutamente così. C’è un filo sottilissimo, ma tenace. C’è un rigore tremendo, in queste vicende. Una corda che suona, e suona sempre male.
Qualche giorno fa, avevo avuto modo di ascoltare Giovanni Impastato (che non conoscevo) a Firenze, al Teatro del Sale, dove Fabio Picchi, il titolare del noto ristorante “Cibreo”, aveva organizzato una serata con lui e Gian Carlo Caselli, in occasione del passaggio dal capoluogo toscano della carovana antimafia indetta da “Libera”. Le cento persone presenti gli avevano tributato un’interminabile ovazione, proprio per questa sua antimafia mite, poco gridata, di parole scarne. Antimafia di fatti autentici, vissuti, pagati sulla pelle.
Giovanni Impastato è uomo mite, di poche parole. Insieme alla madre Felicia Bartolotta, ha animato, per ventisei anni, quello sparuto gruppo di amici di Peppino che non si rassegnarono alle tenebre di Stato che si profilarono sui cieli di Cinisi all’alba di quell’ 8 maggio 1978. E appena un anno dopo, fu atto di coraggio non comune intitolare alla memoria di Peppino Impastato, il centro siciliano di documentazione diretto da Umberto Santino. Perché atto di coraggio? Perché i primi carabinieri intervenuti sul luogo del delitto, sentenziarono, come tanti Maigret che andavano a fiuto, che Peppino aveva messo in atto un attentato terroristico alla linea ferrata Trapani- Palermo, prima di morire dilaniato suicida ( ?) con il suo stesso esplosivo. E verrebbe da dire: troppo zelo quello dei Maigret di casa nostra. Chè se Peppino Impastato era terrorista, non poteva essere, quella notte, terrorista e suicida insieme. Era un pò troppo per il senso comune. Ma tant’è.
E proprio adesso che con la condanna di Badalamenti per l’omicidio del fratello (undici aprile 2002) la verità sembrava farsi strada, per Giovanni è arrivato il diavolo con il suo carico di dettagli perniciosi. Giovanni, sono andato a rileggermi le dichiarazioni in processo dell’ avvocato Gullo. Definiva suo fratello “ un terrorista”, “un buono a nulla” “ un pazzo” “un bestemmiatore”. Non era tenero neanche con la commissione antimafia liquidata come “ un clan di amici di Peppino”. Forse, sarebbe bene che in certi processi, gli avvocati potessero essere arrestati in aula quando offendono la memoria dei morti e delle vittime. Non è d’ accordo?
“ Io le posso solo dire che tutte quelle offese l’avvocato Gullo le ha snocciolate in aula. Si renderà conto allora che se alla fine mi sono permesso di definire “imbecille” una tesi di quel genere, qualche piccola ragione forse l’avevo anche io”. Poi, ai primi di novembre, la doppia beffa: la notizia che sempre lo stesso avvocato ha chiesto il dissequestro dei beni del boss, con la motivazione – giuridicamente ineccepibile- che non si è mai giunti a una definitiva condanna per mafia del suo assistito. Ha avuto la sensazione che i due fatti fossero in qualche modo collegati? “Come non pensarlo?” E’ bene però ricordare, che la nostra giustizia, sia pure lentissima, una parolina su Badalamenti aveva avuto il tempo di dirla condannandolo in primo grado quale “mandante” dell’ assassinio di suo fratello. E la pena era stata quella dell’ergastolo. “ Perché si arrivasse a questo punto, alla prima e unica sentenza della corte d’assise di Palermo, presieduta da Claudio Dall’ Acqua, avevamo atteso quasi un quarto di secolo.”.
Lo dicevamo all’inizio : due cognomi paralleli, gli Impastato, i Badalamenti di Cinisi. Ma perché questa è metafora perfetta della lotta alla mafia nel nostro Paese? Ricordiamo solo qualche precedente. Sino alla veneranda età di 80 anni, Tano Seduto, negò sempre di aver fatto parte della mafia. Gli americani, che tanti limiti hanno, ma verso la mafia hanno dimostrato negli ultimi anni scarse inclinazioni, in carcere lo fecero restare sino alla fine. Era stato condannato grazie alle dichiarazioni di Tommaso Buscetta nel processo Pizza Connection istruito negli States contro le famiglie mafiose italo americane. In Italia, invece, Tano Seduto ha goduto ininterrottamente di simpatie e complicità spesso anche istituzionali. Giudizio troppo duro?
Ma come valutare allora il pellegrinaggio di investigatori e giornalisti che lo andavano a corteggiare nel carcere americano con la speranza che ritornasse in Italia a dire la sua? Erano gli anni in cui Badalamenti, che mafioso diceva di non essere mai stato, rilasciava interviste affermando che Giulio Andreotti con la mafia non aveva nulla a che vedere. Curioso che un signore estraneo a Cosa Nostra potesse però sapere chi ne faceva parte e chi no. Ma nessuno in Italia si pose mai la questione. Anzi. Era un gran titolare sui giornali, per definire Badalamenti un virtuale AntiBuscetta. Ma sin dal giorno del ritrovamento dei brandelli di Peppino Impastato lungo la linea ferrata Trapani- Palermo, il buon Badalamenti dimostrò di avere tanti santi in Paradiso.
Erano i tanti Maigret che poi sarebbero stati definiti dalla commissione parlamentare antimafia autentici “depistatori”. I Maigret che, di fronte a quanto era accaduto, come pronto accomodo andarono a perquisire la casa di Peppino e dei suoi compagni di Democrazia Proletaria, alla ricerca di tutto il “materiale ideologico” che ne provasse la sua adesione al terrorismo. Quello stesso giorno, a Roma, in via Caetani, era stato trovato il corpo di Aldo Moro. E mentre i riflettori erano accesi da tutt’altra parte, i Maigret di periferia ebbero tutto il tempo per manipolare, insabbiare, nascondere reperti che sarebbero stati fondamentali per ottenere la condanna di Badalamenti con un quarto di secolo d’anticipo. Concorda?
“ Che Badalamenti avesse santi in paradiso lo pagammo sin dal primo giorno. Incontravamo un muro di resistenze. E non capivamo perché. Chiedevamo supplementi di indagine e ci chiudevano la porta in faccia. Si negava la pista mafiosa. Eppure, uno dopo l’altro, tutti quei magistrati che, nonostante tutto, cercavano di arrivare alla verità, venivano eliminati. Gaetano Costa, allora procuratore di Palermo, Rocco Chinnici che guidava l’ufficio istruzione, persino Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Insomma: lottavamo contro i mulini a vento. Io mi creavo un interlocutore di riferimento con il quale dialogare e al quale rappresentare tutte le nostre angosce e le nostre perplessità e quello, prima o poi, moriva per mano di mafia. E’ questa la storia di ventisei anni trascorsi a bussare alle porte della giustizia italiana.”
Ora, come dicevamo all’inizio, è come se la Dea Bendata, un po’ alticcia, stesse menando fendenti a casaccio. Ma così non è. C’è un’ opinione pubblica che ormai ha capito tutto quello che c’era da capire. C’è un pezzo delle istituzioni che , purtroppo, resta fedele al cliché di un Badalamenti non mafioso. Con le conseguenze deleterie che abbiamo cercato di descrivervi. E’ l’Italia, eternamente in bilico tra verità e oblio, è l’Italia che Leonardo Sciascia definiva paese incapace di avere una sua verità.
Felicia Bartolotta oggi ha ottantotto anni. Lucidissima, è la memoria dell’intera famiglia, e dopo avere ascoltato in silenzio l’intero colloquio fra me e Giovanni, scuote la testa.
E si limita a dire, quasi a conclusione di queste due storie italiane in una: “ Non sono stata sempre convinta che ce l’avremmo fatta. C’erano anzi momenti in cui prevaleva lo sconforto e la disperazione. Ma tutto mi sarei immaginata tranne che, una volta raggiunta la verità di una sentenza, questa potesse essere capovolta da provvedimenti che sembrano ignorare proprio quella sentenza e quelle conclusioni. Chiederò a Giordana, o a un altro regista che mi consiglia lui, di fare un film, magari quasi comico, per raccontare “ La vita di Peppino Impastato. Parte Seconda”. Insomma: in Italia non si finisce mai di imparare.“
E di soffrire.
fonte:
http://www.antoninocaponnetto.it/archivio/documenti/22_11_04.php
RADIO AUT E L’ONDA PAZZA DI PEPPINO IMPASTATO
Nel 1976 Peppino e i suoi compagni fondano una radio, Radio Aut, mezzo con cui Peppino e company si facevano beffa degli “intoccabili” di Cinisi. La radio aveva sede a Terrasini, veniva gestita in regime di autofinanziamento e in questo modo Peppino poteva liberamente utilizzare questo mezzo per denunciare i potenti mafiosi del paese in cui viveva e di Terrasini. La trasmissione, "Onda Pazza a Mafiopoli", andava in onda ogni venerdì sera, ed era definita “Trasmissione satiro-schizo-politica sui problemi locali”.
Scopo della trasmissione era la denuncia sistematica degli speculatori di Cinisi e di Terrasini, che abusavano della loro posizione per servirsi dei soldi dell’amministrazione pubblica a fini personali. Nessuno di Cinisi, che in Onda Pazza diventa Mafiopoli, viene risparmiato dall’invettiva satirica di Peppino e dei suoi compagni: il sindaco Gero Di Stefano era Geronimo Stefanini; il suo vice Franco Maniaci era Franco Maneschi “della sinistra avanzata, ma non troppo” ; il tecnico comunale era l’ing. Marpionese; Gaetano Badalamenti, il boss di Cinisi che sarà condannato per essere stato l’autore dell’assassinio di Peppino, era Tano Seduto e così via.
Nei periodi di maggior successo la gente ascoltava “Ondapazza” anche nelle radioline dei bar e si sbellicava dalle risa, mentre i direttamente interessati se ne stavano con l’orecchio incollato agli apparecchi, per non perdere una parola che avrebbe potuto ledere la loro onorabilità. La trasmissione era per lo più affidata all’improvvisazione dei suoi tre o quattro collaboratori e si contava soprattutto sul fatto che Peppino era sempre in possesso di notizie freschissime e riservate.
Il linguaggio usato a Radio Aut era naturalmente lontano da quello delle radio nazionali o delle stesse radio libere locali che presentavano un palinsesto “istituzionale”. A Radio Aut si faceva satira e le parole dovevano essere forti, graffianti, incalzanti, come l’umorismo e l’ironia che dovevano esprimere. Lingua ufficiale l’italiano infarcito di infinite espressioni dialettali e termini coloriti che rendevano più efficace il discorso di ogni venerdì sera.
Le trasmissioni erano un crescendo di comicità affidata al racconto di situazioni apparentemente paradossali ma in realtà calati nella concretezza degli avvenimenti di Mafiopoli. Questo è quanto accade nella trasmissione Commissione elettorale in cui Peppino e i suoi denunciano i misfatti della Democrazia Cristiana di Mafiopoli: nomi e cognomi, anzi chiari soprannomi dei rappresentanti (sempre gli stessi) di una politica iniqua e delittuosa, burattini intenti a godere della grande abbuffata offerta dagli abitanti di Mafiopoli che ora sono chiamati a sentire di quali prodezze è capace la Commissione elettorale. O ancora nella "Cretina commedia", parodia della "Commedia" di Dante Alighieri, in cui le vie di Mafiopoli diventano gironi infernali popolati di peccatori mafiosi e senza scrupoli. In questo caso la solennità dei passi fedeli al tono alto dell’opera dantesca cedono il passo agli accenti pungenti e taglienti della squadra di Radio Aut nel racconto con i peccatori “mafiopolesi”.
In ogni trasmissione la musica rivestiva un ruolo fondamentale, anch’essa inserita nella cornice comica di ogni venerdì. Così si passava da brani dei Pink Floyd a "Viva la pappa col pomodoro" di Rita Pavone, il tutto per completare il discorso che gli spekear avevano iniziato. Basti pensare alla sigla di Onda Pazza: "Facciamo finta che tutto va bene", una canzonetta allegra e leggera che apriva le porte all’esplosivo e travolgente spirito di quei ragazzacci di Cinisi dove, in realtà, niente andava bene.
http://www.itsos.gpa.it/storia/radio/radiotesti/radioaut.htm
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poesia di Peppino Impastato
dagli occhi trasparenti
e dalle labra carnose,
alla nostra giovinezza
consunta nel paese e nei bordelli.
Non disse una sola parola
nè fece gesto alcuno:
questo suo silenzio
e questa sua immobilità
hanno aperto una ferita mortale
nella nostra consunta giovinezza.
Nessuno ci vendicherà:
la nostra pena non ha testimoni.
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